domenica 30 ottobre 2011

Eliseo e le orse 2 Re 2,23-25.

La morale dell'Antico Testamento


Eliseo era il discepolo di Elia. Quando Elia ascese al cielo, Eliseo ne prese il mantello e iniziò a fare miracoli: divise le acque del Giordano percuotendole col mantello di Elia (2 Re 2,14) e rese potabile una sorgente con un po' di sale (2 Re 2,20-22).



23 Di lì (da Gerico) Eliseo salì a Betel. Mentre egli andava per strada, uscirono dalla città alcuni ragazzetti che si burlarono di lui dicendo: «Sali, calvo! Sali, calvo!».
24 Egli si voltò, li guardò e li maledisse nel nome di Jahweh. Allora uscirono dalla foresta due orse, che sbranarono quarantadue di quei bambini.
25 Di là egli andò al monte Carmelo, e quindi tornò a Samaria.

Testo ebraico
כג וַיַּעַל מִשָּׁם, בֵּית-אֵל; וְהוּא עֹלֶה בַדֶּרֶךְ, וּנְעָרִים קְטַנִּים יָצְאוּ מִן-הָעִיר, וַיִּתְקַלְּסוּ-בוֹ וַיֹּאמְרוּ לוֹ, עֲלֵה קֵרֵחַ עֲלֵה קֵרֵחַ. 
כד וַיִּפֶן אַחֲרָיו וַיִּרְאֵם, וַיְקַלְלֵם בְּשֵׁם יְהוָה; וַתֵּצֶאנָה שְׁתַּיִם דֻּבִּים, מִן-הַיַּעַר, וַתְּבַקַּעְנָה מֵהֶם, אַרְבָּעִים וּשְׁנֵי יְלָדִים. 
כה וַיֵּלֶךְ מִשָּׁם, אֶל-הַר הַכַּרְמֶל; וּמִשָּׁם, שָׁב שֹׁמְרוֹן.



23 καὶ ἀνέβη ἐκεῖθεν εἰς βαιθηλ καὶ ἀναβαίνοντος αὐτοῦ ἐν τῇ ὁδῷ καὶ παιδάρια μικρὰ ἐξῆλθον ἐκ τῆς πόλεως καὶ κατέπαιζον αὐτοῦ καὶ εἶπον αὐτῷ ἀνάβαινε φαλακρέ ἀνάβαινε
24 καὶ ἐξένευσεν ὀπίσω αὐτῶν καὶ εἶδεν αὐτὰ καὶ κατηράσατο αὐτοῖς ἐν ὀνόματι κυρίου καὶ ἰδοὺ ἐξῆλθον δύο ἄρκοι ἐκ τοῦ δρυμοῦ καὶ ἀνέρρηξαν ἐξ αὐτῶν τεσσαράκοντα καὶ δύο παῖδας
25 καὶ ἐπορεύθη ἐκεῖθεν εἰς τὸ ὄρος τὸ καρμήλιον καὶ ἐκεῖθεν ἐπέστρεψεν εἰς σαμάρειαν

42 = 6 x 7 = totalità = 7, imperfezione = 6. sacrileghi, completamente stolti, peccatori contro Dio, rappresentato da Eliseo.
Gerico = peccato

I ragazzi che deridono Eliseo vengono duramente puniti, secondo il testo di 2,23-24. Questo episodio va compreso alla luce della mentalità antica che distingueva in modo molto forte tra sacro e profano, ritenendo che ogni profanazione del sacro potesse portare alla morte. Il profeta, in quanto “uomo di Dio”, fa parte della sfera del sacro: i ragazzi, deridendolo, compiono una violazione della sacralità di Dio, incorrendo così nell'inevitabile e terribile punizione.
i testi biblici non vanno mai letti in senso letterale, altrimenti si rischia il baratro fondamentalista.
L'ideale è integrare vari approcci: quello storico-critico, quello simbolico, quello del genere letterario (ce ne sono anche altri). Se infine usiamo anche la meditazione e la preghiera, meglio ancora così aggiungiamo anche l'importantissimo approccio Spirituale.

Il primo ed il secondo libro dei Re, appartengono alla tradizione deuteronomica, il cui intento fondamentale era quello cetechetico-didattico. Per comprendere il racconto in questione bisogna iniziare a leggere dal verso 2Re 2,1 in poi e inserirlo nel contesto storico in cui il libro si è via via creato, non escludendo anche vari elementi di carattere mitico utilizzati dal narratore e redattore del testo. Non dimentichiamo infatti che nel mondo semitico, nel quale il mondo ebraico era culturalmente integrato e inserito e specialmente del IX°-VII° secolo a.C., il mito era considerato uno strumento narrativo "standard", ne troviamo quindi tracce anche in alcuni brani della Bibbia (pur non essendo essi mai un racconto mitico nella sua globalità). Ci si serviva del mito per presentare un insegnamento sapienziale ed educativo.

Il tema fondamentale é quello della vita e della morte (adoperando la vita corporale cioè l’essere in vita come comunione con Dio, che è la vita): chi ha fede in Dio ha la vita, simboleggiata dalla vita fisica; chi non ha fede in Dio non è vivo ma morto, ciò è espresso dalla vita fisica repressa; L'acqua salata indica la sterilità, ossia la Parola di Dio inquinata dal peccato, quindi la morte. Il miracolo della sorgente simbolegga la vita: Dio che dona la vita e purifica l'acqua; questo il "popolo" non si è voluto fidare di Eliseo (vv 16-18), nonostante Dio li ricolmi di queste grazie e miracoli. Anche il beffeggiamento dei ragazzi è lo stigma sociale tipico che ogni profeta è costretto a sopportare per via della propria missione e delle proprie parole scomode, e quindi quasi sempre non accettate; uno stigma causato da quello che "dice la gente": è il rifiuto da parte del popolo amato da Dio di accettare veramente la sua legge, nonostante il Suo amore. Questo è un tema costante e centrale in tutta la Bibbia fin da Gn 1.
Gerico è simbolo di mancanza di fede e di peccato, ricordiamoci della caduta di Gerico

L'epilogo un po' favolesco simboleggia la morte: ovvero la conseguenza cui va incontro la non adesione alla legge di Dio; si tratta di una punizione, secondo la concezione marale del tempo in cui si credeva nel castigo, qui su questa terra, per i cattivi, mentre il premio per i buoni, questa morale è adoperata dal redattore deuteronomico per descrivere le conseguenze della ostinazione nel peccato; l’immagine delle orse che si avventano su dei giovani ragazzi, simboleggia il fatto che se una generazione è incredula e non pratica la virtù, trascina in rovina anche le nuove generazioni, e saranno proprio queste a pagare il prezzo più alto. Quindi la legge di Dio non va solo accettata e praticata, ma anche trasmessa.

C'è anche da dire senz'altro che il racconto è affetto da una concezione veterotestamentaria del peccato che si pensava si "trasmettesse" da padre in figlio (vedi ad esempio il libro di Giobbe). Ma questa concezione verrà definitivamente superata e ben compresa solo con il messaggio di Gesù Cristo e il mistero della testimonianza della Croce (interessante confrontare anche Gv 9,1-3).

Il testo è molto attuale. Oggi si parla molto di emergenza educativa in cui i giovani vengono visti "privi di valori", quando piuttosto sono gli adulti a non saper trasmettere loro le virtù con il buon esempio: evidentemente perchè neanche gli adulti le praticano, e neanche vogliono davvero crederci. La conseguenza di questo sono sotto gli occhi di tutti: basta parlare con un qualunque insegnate di scuola media o superiore circa la drammatica crisi morale, sentimentale, interrelazionale e affettiva che affligge pesantemente le nuove generazioni: metaforicamente diciamo che stanno incontrando gli orsi.

Nei secoli i linguaggi e modi di raccontare e trasmettere certi contenuti possono cambiare: ciò che rimane è il valore profondo del messaggio; è la Parola di Dio, che è sempre attuale; se non tiriamo fuori l'oggi dal testo biblico, a cosa ci serve?

Tre annotazioni.

Storicità
Non di tratta di un evento realmente accaduto, ma di un racconto metaforico con lo scopo dare un messaggio, oppure anche se questo fosse realmente un fatto storico, niente di strano, infatti vi erano gli orsi a quel tempo, tuttavia gli ebrei lo spiegavano non come un caso, ma sicuramente voluto da Dio, quindi interpretavano dei fatti storici in maniera teologica, che non ha niente a che fare con la realtà. Come si fa a dirlo? Studiando la mentalità orientale e soprattutto quella ebraica, sappiamo che venivano presi dei miti e delle leggende dei popoli vicini, queste venivano rielaborate a secondo del messaggio che si voleva trasmettere; i fatti storici, poi, venivano reinterpretati con la visione religiosa, ad esempio, un fatto realmente



accaduto come la distruzione di Gerico, le mura ciclopiche di Gerico furono distrutta da un incendio provocato dagli egiziani, oggi l'archeologo Lorenzo Nigro ha datato quelle mura e la loro distruzione, avvenuta secoli prima dello stanziamento delle tribù ebraiche, gli ebrei nell’apprendere queste notizie, tramandate da quei popoli che abitavano nei pressi, spiegavano che tale distruzione fu operata da Dio, perché sicuramente avevano peccato, ecco che Gerico è presa come simbolo di rifiuto alla fede nel Dio degli ebrei, allora inventarono la storia che a Gerico crollarono le mura, dopo aver fatto girare l’arca dell’alleanza per 7 volte attorno alle mura, ma dagli scavi risulta che Gerico abbia avuto delle mura ma distrutte dagli egiziani, in seguito ad un incendioe poi era scomparsa 3 o 4 secoli prima della venuta degli ebrei. Anche la storia di Adamo ed Eva è ormai chiaro che non è un fatto storico; come il diluvio universale; questo non intacca la validità rivelata del testo; Galileo e sant’Agostino dissero: "la Bibbia è fatta per andare in cielo, non dice come è fatto il cielo". Su questo abbiamo nel corso della storia fatto molta strada: grazie a Dio ci siamo liberati della gabbia storicistica che ammantava il libro della Genesi e grazie a questo
abbiamo meglio potuto comprendere il senso della Sacra Scrittura Rivelata.




Moralità
La morale è quella di quel periodo, molto primitiva. In un racconto spesso viene usato un linguaggio un po’ cruento, ma con lo scopo di rendere meglio la gravità del peccato.
Ad esempio la favola di “Cappuccetto rosso” il lupo mangia la nonna e cappuccetto rosso poi il cacciatore uccide con il fucile, perché era cacciatore, il lupo cattivo, poi lo apre in due, cioè lo squarta, e fa uscire la nonna e cappuccetto rosso. Notiamo la violenza in questa fiaba, sia sulle due persone, la nonna e cappuccetto rosso, ma anche l’uccisione del lupo e senza tanti complimenti, viene aperto in due per poter permettere alla nonna ed a cappuccetto rosso di uscire. Anche qui la morale è violenta, ma si adoperano immagini simboliche per descrivere la drammaticità.
Dei ragazzi si burlano di un profeta, il profeta li maledice, Dio uccide i ragazzi.
Dio uccide coloro che non credono ai suoi profeti.
Un Dio come questo come può essere considerato "buono", "misericordioso", "giusto"? Ma questo racconto ha assunto delle descrizioni cruente, dandono un altro significato, quello della vita e della morte, chi è nella vita? Ma chi è in comunione con Dio. Chi è nella morte? Chi non è in comunione con Dio, chi non lo accetta. L’autore di questo libro, per esprimere questa verità si è servito di questa immagine, per rendere meglio l’idea, per il suo tempo. Una interpretazione esclusivamente letterale che usa modelli e concetti moderni di lettura, del tutto diversi da quelli degli antichi quando è stato scritto quel libro. Inoltre l'AT va letto (per i cristiani almeno) alla luce del NT. Andare a caccia di "versetti" e "racconti" compromettenti e manipolarli per convincere delle contraddizioni è uno sport vecchio di secoli. Anche satana cita la scrittura, manipolandola, nella tentazione a Gesù nel deserto: la Scrittura può essere manipolata a piacere se la sua lettura non è guidata dallo Spirito.

Validità
C’è stata una evoluzione sul concetto di peccato nell'Antico e nel Nuovo Testamento ha trovato la sua completezza. La concezione del peccato che scaturisce dalla lettura del solo Antico Testamento é "incompleta" ed "acerba".
Perché questa incompletezza? Perché Dio non ha ispirato un Antico Testamento in cui la concezione del peccato fosse già completa?
La Bibbia non è stata scritta da Dio, e nemmeno è stata dettata da Dio, sotto ispirazione, ma la Bibbia è fondamentalmente un’opera di sapienza umana, che si andava ad evolversi nel tempo. Per l’ebreo tutti i pensieri e le azioni che può compiere, non sono frutto dell’uomo, come oggi noi possiamo dire quando pensiamo ad una cosa o componiamo un proverbio, ma per l’ebreo questi pensieri li ha messi in testa Dio. La Bibbia è ispirata da Dio, non nel senso che è stata dettata o sussurrata all’orecchio, ma è ispirata da Dio, perché ci parla di Dio, chi è Dio, come agisce Dio nella storia. La Bibbia è una riflessione su Dio e sul senso della vita, una meditazione sui grandi perché della vita. Pertanto la Bibbia ha per autore solo l’uomo, che è alla ricerca di Dio, ovviamente con tutte le imperfezioni del periodo storico di quel momento.
La morale della Bibbia è una morale umana, cioè è stato l’autore della Bibbia a trasmettere ciò che era giusto, moralmente, e ciò che era ingiusto moralmente, nessun Dio è mai apparso a dare elenchi di peccati o norme, ma è stato solo l’uomo, che ha creato la morale, secondo quello che reputava giusto ed il tutto, poi, lo attribuiva a Dio, come autore dei comandamenti.
In breve, l’autore della Bibbia, ha creduto che Dio fosse come lui lo pensava, quindi quell’immagine del Dio violento è solo una creazione ebraica, un Dio fatto ad immagine e somiglianza dell’uomo.
Così 2Re 2,23-25. si tratta di un insegnamento catechistico, che si è servito di un racconto con una morale che ne scaturisce è che un profeta offeso da dei ragazzi chiede e ottiene la punizione divina per essi. Il concetto di peccato o meglio di "male" nell' AT è ancora "incompleto". Diciamo che non era ancora chiarito completamente. L'uomo biblico si è interrogato a lungo sul "problema dell'esistenza del male" come nel libro di Giobbe. Nonostante questo il suo orientamento è sempre rimasto saldo verso Dio. Nella Bibbia ci sono vari "tentativi" di spiegare il male: due almeno erano più "in voga" durante l'ebraismo antico (se ne vedono traccia in vari libri della Bibbia):

1) in uno si tendeva a identificare il peccato con il peccatore: per distruggere il male bisognava distruggere anche il peccatore; ecco perchè alcuni salmi e passi biblici sembrano incitare alla violenza e alla guerra; era un modo di identificare il peccato con il peccatore; sarà solo Gesù a rivelare definitivamente che peccato e peccatore sono diversi ("chi è senza peccato scagli la prima pietra...")

2) un'altro riguarda il "problema dell'uomo giusto". Vedi libro di Giobbe: "pechè le disgrazie e il male capitano anche all'uomo giusto che rispetta la legge di Dio"? Allora si pensava che se ti capitava una disgrazia dovevi per forza aver fatto qualche peccato, che era la giusta punizione di Dio; ma siccome c'erano anche persone che sembravano così giuste e innocenti, ma nonostante questo gli capitano comunque delle disgrazie (per es. una povera vedova che gli muore l'unico figlio) allora si elaborò la teoria della "trasmissione" del peccato: voleva dire allora che qualche tuo antenato doveva aver commesso qualche peccato che i figli, di generazione in generazione, stavano scontando; ricapitolando: se hai fatto un peccato, allora la disgrazia è la punizione del peccato; altrimenti qualche tuo antenato ha fatto qualche peccato che tu devi scontare; queste erano le spiegazioni più gettonate difronte al problema dell'esistenza del male; ancora una volta sarà solo Gesù Cristo a svelare le cose come stanno veramente con un messaggio completamente rivoluzionario, che portava a compimento o completamento e dava senso a tutta la legge. Infatti quei passi biblici per noi così problematici si "svelano" interpretandoli alla luce di Cristo, che è la chiave di lettura di tutta la Scrittua, compreso l'AT: che in effetti, preso da solo, per un cristiano non ha molto senso.

Tutto questo è eminentemente spiegato nell'episodio evangelico del miracolo del cieco nato all'inizio di Giovanni 9 « Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.» ovvero che il male non è mandato da Dio, né per punire e né per mettere alla prova, ma da vedere ma deve essere superato facendo il bene: una rivoluzione radicalmente trasfigurante.

giovedì 20 ottobre 2011

Il libro della Genesi alla lettera di sant'Agostino Libro II°

LIBRO SECONDO

Il firmamento nel mezzo delle acque.
1. 1. Dio inoltre disse: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque e tenga separate le acque dalle acque. E così avvenne. E Dio fece il firmamento e separò le acque ch'erano al di sopra del firmamento. E Dio chiamò "cielo" il firmamento. E Dio vide ch'essa è cosa buona. E venne sera e poi mattina: secondo giorno. Riguardo alla parola di Dio che disse: Vi sia un firmamento ecc. e al compimento con cui vide ch'è una cosa buona e riguardo alla sera e alla mattina non è necessario ripetere le spiegazioni analoghe [già date]. Avvertiamo perciò che ogniqualvolta, in seguito, troviamo ripetute queste espressioni, devono essere intese frattanto alla stregua dell'esame fattone in precedenza. Possiamo, al contrario, proporci con ragione il quesito se il cielo, di cui ora si tratta, è quello situato fuori dei limiti dell'atmosfera e al di sopra degli spazi più elevati, ove al quarto giorno vengono stabiliti anche i luminari e le stelle, oppure se è l'atmosfera stessa ad esser chiamata "firmamento".
Alcuni negano che le acque siano al di sopra del cielo sidereo.
1. 2. Molti però sostengono che, per loro natura, queste acque non possono trovarsi al di sopra del cielo stellato poiché, a causa del loro peso, sono costrette a scorrere sulla terra oppure, evaporando, ad esser trasportate nell'atmosfera vicina alla terra. Ma nessuno deve confutare questi tali, dicendo che, in considerazione dell'onnipotenza di Dio, al quale tutto è possibile, noi dovremmo credere che queste acque, tanto pesanti come noi sappiamo anche per esperienza, siano state sparse al di sopra del cielo fisico ove sono le stelle. Adesso invece è bene che noi cerchiamo di sapere in qual modo Dio ha costituito la natura delle cose attenendoci alle sue Scritture e non che cosa in esse o per mezzo di esse Egli voglia compiere per mostrare miracolosamente la sua potenza. Se infatti Dio volesse che l'olio restasse al di sotto dell'acqua, ciò avverrebbe senz'altro, ma tuttavia non per questo noi non conosceremmo la natura dell'olio la quale è fatta in modo che, se l'olio viene versato nel fondo d'un recipiente, tende verso il suo proprio posto e s'apre un varco attraverso l'acqua che è al di sopra, e si colloca sulla sua superficie. Adesso dunque noi indaghiamo se il Creatore delle cose, il quale ha disposto ogni cosa con misura, numero e peso, ha assegnato come unico luogo proprio al peso delle acque non solo lo spazio attorno alla terra, ma anche quello al di sopra del cielo, che Egli ha steso attorno [alla terra] e ha stabilito saldamente oltre il limite dell'atmosfera.
Loro argomenti.
1. 3. Coloro che rigettano questa ipotesi, adducono la prova tratta dal peso degli elementi, affermando che il cielo al di sopra di noi non è stato per nulla stabilito tanto saldamente come una specie di soffitto da poter sostenere il peso delle acque, poiché, secondo loro, una siffatta compattezza non può averla se non la terra, e tutto ciò ch'è tale non è cielo ma terra. Gli elementi infatti si distinguono non solo per il luogo loro proprio, ma anche per le loro proprietà, in modo da occupare anche i propri luoghi in ragione delle loro proprietà. Così, naturalmente, l'acqua sta sulla terra; anche se si trova o scorre sotterra, come avviene nelle profondità delle grotte e delle caverne, non è tuttavia sostenuta dalla terra soprastante ma da quella sottostante. Poiché, se dalla parte superiore [d'una caverna] si stacca un pezzo di terra, non rimane sulla superficie dell'acqua, ma passandovi attraverso vi si sommerge e va a finire nel fondo: arrivato là vi si posa come nel luogo suo proprio, restando l'acqua al di sopra e la terra al di sotto. Da ciò si comprende che, anche quand'era al di sopra delle acque, quel pezzo di terra non era sostenuto dalle acque, ma dall'ammasso compatto della terra, come avviene per le volte delle caverne.
La sacra Scrittura e le scienze naturali.
1. 4. A questo punto mi si presenta alla mente di ricordare che bisogna evitare un errore che ho già ammonito di evitare nel primo libro. Poiché sta scritto nei Salmi: [Dio] ha stabilito la terra sulle acque, nessuno di noi pensi di basarsi su questo testo delle Scritture per combattere coloro che ragionano con sottili disquisizioni sul peso degli elementi. Quei tali infatti, non essendo trattenuti dall'autorevole testimonianza delle nostre Scritture e non sapendo intenderne il senso, più facilmente si prenderanno gioco dei Libri santi anziché respingere ciò che hanno compreso con sicure dimostrazioni o hanno conosciuto per via d'esperienze evidenti. Quella frase dei Salmi può infatti essere intesa in due sensi. Può intendersi cioè bene in senso figurato; poiché con il termine di "cielo e terra" vengono spesso denotati gli spirituali e i carnali nella Chiesa, il Salmista ha voluto mostrare che i cieli raffigurano la serena intelligenza della verità quando afferma: [Dio] ha creato i cieli con intelligenza; la terra invece raffigura la fede semplice dei piccoli, non quella incerta ed ingannatrice basata su opinioni menzognere, ma quella saldamente basata sull'insegnamento dei Profeti e del Vangelo e viene consolidata dal battesimo; ecco perché aggiunge: Ha stabilito la terra sull'acqua. Oppure, se ci si vuol costringere a intendere quella frase in senso letterale, non è illogico intendere che denoti le regioni più elevate della terra - tanto dei continenti quanto delle isole che emergono al di sopra delle acque - o le stesse volte delle caverne rese stabili da una massa solida, sospesa sulle acque. Per questo motivo nessuno può intender neppure nel senso letterale la frase: Ha stabilito la terra sulle acque, in modo da pensare che il peso delle acque sia stato posto come un basamento ordinato naturalmente a sopportare il peso della terra.
L'aria al di sopra delle acque.
2. 5. L'aria al contrario si trova al di sopra delle acque sebbene, per gli spazi più vasti da essa occupati, ricopra anche la terraferma. Ciò si comprende considerando il fatto che un recipiente immerso [nell'acqua] con la bocca rivolta verso il basso non può riempirsi d'acqua: questa è una prova sufficiente che l'aria tende per sua natura verso l'alto. Il recipiente sembra bensì vuoto ma si dimostra esser pieno d'aria quando lo s'immerge nell'acqua con la bocca rivolta verso il basso; in realtà poiché [l'aria] non trova una via d'uscita attraverso la parte rivolta verso l'alto e, data la sua natura, non può passare sotto l'acqua penetrandovi a forza, la respinge dal recipiente ch'è pieno e non ve la lascia entrare. Quando invece il recipiente viene posto [sull'acqua] in modo d'aver l'apertura non rivolta verso il basso ma inclinata su un fianco, l'acqua entra dal di sotto mentre l'aria esce dal di sopra. Parimenti quando in un vaso diritto con la bocca rivolta verso l'alto si fa entrare l'acqua, l'aria esce verso l'alto dall'altra parte in cui non si fa entrare l'acqua e fa posto all'acqua di entrare verso il basso. Se però il recipiente viene immerso con forza piuttosto grande in modo che le acque - entrando tutto ad un tratto di fianco a dal di sopra - coprano da ogni parte l'apertura del recipiente, l'aria che tende verso l'alto esce aprendosi un varco attraverso le acque per far loro posto nel fondo; ma nell'aprirsi il varco attraverso le acque, l'aria, uscendo da diverse parti, produce un gorgoglio nel vaso poiché non può uscire subito tutta insieme a causa della strettezza dell'apertura. Se dunque l'aria è costretta a risalire al di sopra delle acque, riesce a fenderle anche se affluiscono in massa allorché - spinte dal suo urto - si precipitano fuori ribollendo e attraverso bolle gorgoglianti mandano fuori l'aria che si precipita verso il suo luogo naturale e dà alle acque la possibilità di cadere al fondo. Se al contrario si pretendesse di far uscir l'aria dal recipiente sotto le acque in modo che, ritirandosi l'aria, si volesse riempire il recipiente, dalla parte della sua apertura immersa verso il basso, sarebbe più facile che il recipiente rovesciato venisse coperto da ogni parte dall'acqua anziché una gocciolina trovasse il posto per entrarvi attraverso l'apertura rivolta verso il basso.
Il fuoco al di sopra dell'aria.
3. 6. Ora poi, chi non vede che il fuoco, lanciandosi in alto, tende ad oltrepassare perfino la stessa natura dell'aria? Se infatti si tiene una torcia con la sua testa volta all'ingiù, la chioma della fiamma tende tuttavia verso l'alto. A causa però della condensazione assai forte dell'aria che si stende intorno e al di sopra di essa, il fuoco spesso si spegne e, sotto la pressione d'una gran massa di questo elemento, si cambia spesso e si trasforma nella proprietà dell'aria; ecco perché non può sussistere a lungo per oltrepassare l'altezza di tutta la massa dell'aria. Si dice perciò che il cielo è un puro fuoco al di sopra dell'aria; fuoco di cui si congettura siano costituite anche le stelle e i luminari risultanti costituiti da una massa di forma sferica e dalla natura della luce ignea distinta nelle forme che vediamo nel cielo. Perciò, allo stesso modo che l'aria e l'acqua cedono al peso degli elementi terrestri perché possano arrivare fino alla terra, così anche l'aria cede al peso dell'acqua perché arrivi fino all'acqua o alla terra. Da questa costatazione gli scienziati pretendono di dedurre che anche l'aria, qualora se ne potesse lanciare una particella nelle regioni più alte del cielo, ricadrebbe necessariamente a causa del suo peso fino ad arrivare alle regioni inferiori occupate dall'aria. Concludono, per conseguenza, che tanto meno le acque possono avere un luogo al di sopra del cielo di fuoco dato che l'aria, molto più leggera dell'acqua, non può rimanere lassù.
Perché secondo un esegeta l'aria atmosferica, detta cielo, è chiamata anche firmamento.
4. 7. Incalzato da siffatti argomenti, un esegeta lodevolmente s'è sforzato di dimostrare che vi sono acque al di sopra dei cieli, al fine di confermare la veridicità della Scrittura, basandosi sui fenomeni naturali visibili e manifesti. Egli fa vedere innanzitutto - cosa ch'era assai facile - che anche l'aria della nostra atmosfera è chiamata cielo non solo nel linguaggio comune, secondo il quale chiamiamo sereno e nuvoloso il cielo, ma anche nel modo d'esprimersi ordinario delle stesse nostre Scritture come quando parlano degli uccelli del cielo, mentre è evidente che gli uccelli volano nell'aria; il Signore inoltre, parlando delle nuvole, dice: Voi siete in grado d'interpretare l'aspetto del cielo. Noi poi vediamo spesso che le nubi si addensano anche nell'aria in prossimità della terra quando esse si posano lungo i pendii dei monti in modo che spesso vengono superate dalle vette dei monti. Dopo aver dunque dimostrato che quest'aria è chiamata cielo, egli sostiene l'opinione che è chiamata anche firmamento per la sola ragione che lo spazio occupato da essa divide alcuni vapori delle acque e le acque che scorrono più dense sulla terra. Le nubi infatti, come sanno quanti le hanno attraversate camminando sui monti, presentano questo aspetto per il fatto di raccogliersi in massa e dell'agglomerarsi di gocce minutissime; se le nubi si condensano maggiormente in modo che più gocce assai piccole si riuniscano per formare una goccia grossa, l'aria non può trattenerla nel suo grembo ma cede al suo peso che la porta in basso: si ha così la pioggia. Questo autore dunque, argomentando dall'aria che si trova fra i vapori umidi - con i quali si formano, al di sopra, le masse delle nubi - e i mari che si estendono al di sotto, ha voluto dimostrare che il cielo è situato tra acqua e acqua. Questa acuta osservazione mi pare veramente degna di lode; poiché ciò ch'egli afferma non solo non è contrario alla fede, ma può esser creduto sulla base d'una prova evidente.
Le acque al di sopra dell'aria.
4. 8. Si potrebbe per altro pensare che il peso naturale dei vari elementi non impedisca che anche al di sopra del cielo più alto possano esserci delle acque sotto forma di minutissime gocce, grazie alle quali esse possono stare sospese anche al di sopra dello spazio occupato dall'aria che avvolge la terra. Quest'aria, sebbene più pesante e situata al di sotto del cielo superiore, è senza dubbio più leggera dell'acqua e tuttavia quei vapori si trovano al di sopra di quest'aria senza che il loro peso lo impedisca. Può darsi dunque che anche al di sopra di quel cielo si stendano vapori di acqua più leggeri delle gocce più minute, il cui peso non le costringe a cadere. Gli scienziati, infatti, mediante un sottilissimo ragionamento, dimostrano che non esiste alcun corpo, piccolo quanto si voglia, nella divisione del quale si possa mettere un limite, ma tutti i corpi sono divisibili illimitatamente, poiché ogni parte d'un corpo è anch'essa un corpo e ogni corpo è necessariamente divisibile nelle sue due metà. Se perciò l'acqua, come noi vediamo, può ridursi in gocce tanto minute da potersi elevare in forma di vapore al di sopra dell'aria ch'è attorno a noi e che per natura è più leggera dell'acqua, perché mai non potrebbe rimanere anche al di sopra di quel cielo più leggero [dell'aria] trovandosi nello stato di gocce più minute e di vapori più leggeri?
Le acque al di sopra del cielo sidereo.
5. 9. Anche alcuni scrittori cristiani, in base alle proprietà e ai movimenti degli astri, si sforzano di confutare coloro i quali negano che, a causa del loro peso, le acque possano stare al di sopra del cielo stellato. I medesimi affermano che il pianeta chiamato Saturno è assai freddo ed impiega trent'anni per compiere la sua rivoluzione percorrendo la fascia zodiacale, per il fatto che percorre un'orbita più lontana dal centro del mondo e perciò più ampia [di quella degli altri pianeti]. Il sole infatti compie il medesimo percorso in un anno e la luna in un mese, cioè - come affermano - in un tempo più breve quanto meno elevata è quella, in modo che lo spazio del tempo è proporzionato allo spazio percorso. Quei nostri autori si domandano pertanto perché quel pianeta è freddo, mentre avrebbe dovuto esser tanto più caldo quanto più alto è il cielo in cui si muove. Non v'è infatti dubbio che quando una massa sferica si muove con moto circolare, le sue parti più interne si muovono più lentamente, quelle esterne invece più velocemente in modo che ai medesimi giri il percorso delle distanze più grandi corrisponda contemporaneamente a quello delle distanze minori: ma le zone che si muovono più veloci si riscaldano, naturalmente, di più. Ecco perché il suddetto pianeta dovrebbe essere piuttosto caldo anziché freddo. È vero bensì ch'esso impiega trent'anni a compiere l'intera sua rivoluzione, dato il grande spazio che deve percorrere; tuttavia, poiché gira in senso contrario al moto del cielo e in modo più veloce, cosa che fa necessariamente ogni giorno - così, a quanto si dice, ogni rivoluzione del cielo corrisponde a un giorno - dovrebbe riscaldarsi di più a causa del moto celeste più rapido. Ciò che dunque rende, senza dubbio, freddo quel pianeta è la sua vicinanza dalle acque che si trovano al di sopra del cielo, cosa questa che non vogliono riconoscere coloro dei quali ho esposto in breve le spiegazioni relative al moto del cielo e degli astri. In base a tali congetture alcuni dei nostri studiosi s'ingegnano di controbattere coloro che rifiutano di ammettere l'esistenza di acque al di sopra del cielo e affermano che quel pianeta, il quale compie la sua rivoluzione vicino alla volta del cielo, è freddo, perché quelli siano costretti ad ammettere che le acque sono lì sospese non in virtù della leggerezza dei vapori, ma della solidità del ghiaccio. Ad ogni modo, quale che sia la natura delle acque e la forma sotto cui esse stanno lassù, non dobbiamo dubitare affatto ch'esse ci stiano; poiché ha più valore l'autorità della sacra Scrittura che la capacità di qualsiasi ingegno umano.
Che significano: "sia", "così fu", "fece".
6. 10. Da alcuni però è stata fatta un'osservazione che nemmeno io credo di dover passare sotto silenzio. Non senza motivo - essi affermano - avendo detto Dio: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque per tener separate le acque dalle acque, all'autore sacro non parve sufficiente aggiungere: E così fu fatto, se non fosse stato aggiunto: E Dio fece il firmamento e separò le acque ch'erano al di sopra del firmamento dalle acque ch'erano al di sotto del firmamento. Essi per vero interpretano quest'aggiunta nel senso che - così dicono - è indicata la persona del Padre nella frase: E Dio disse: vi sia un firmamento in mezzo alle acque per tener separate le acque dalle acque. E così fu fatto; e di poi, per far comprendere ch'è stato il Figlio a fare ciò che dal Padre era stato detto, perché fosse fatto, pensano che fu aggiunto: E Dio fece il firmamento e separò etc.
Con "sia" e "così fu" s'indica la persona del solo Padre o anche quella del Figlio?
6. 11. Ma quando precedentemente si legge: E così fu fatto, da chi dobbiamo intendere che fu fatto? Se dal Figlio, che bisogno c'era di dire prima: E Dio fece con quel che segue? Se invece la frase: E così fu fatto l'intenderemo come un'azione del Padre, allora non è più il Padre a dire e il Figlio a fare, e il Padre potrebbe fare qualcosa senza il Figlio, in modo che il Figlio in seguito potrebbe fare non la medesima cosa ma un'altra somigliante; ma ciò è contrario alla fede cattolica. Se al contrario l'azione di cui è detto: E così fu fatto, è la medesima che viene fatta allo stesso modo quando viene detto: E Dio fece, che cosa c'impedisce di supporre che Colui il quale espresse il comando fu parimenti colui che lo eseguì? Cotali esegeti vogliono forse che, anche escludendo l'affermazione della Scrittura: E così avvenne, nell'espressione: E Dio disse: Sia fatto, e poi nella seguente: E Dio fece s'intenda la persona del Padre solo nella prima e la persona dei Figlio nella seconda?
Altra ipotesi: la creazione è opera di tutta la Trinità?
6. 12. D'altra parte noi potremmo anche domandarci se dobbiamo intendere la frase: E Dio disse: Vi sia.... come se il Padre avesse dato un ordine al Figlio. Perché mai però la Scrittura non s'è preoccupata di presentarci anche la persona dello Spirito Santo? Forse che nelle tre frasi: E Dio disse: Vi sia... - E Dio fece - E Dio vide ch'è una cosa buona si fa allusione alla Trinità? Ma non pare conciliabile con l'unità della Trinità il fatto che il Figlio agisse come se ne avesse avuto l'ordine e che lo Spirito Santo, senza che alcuno glie l'ordinasse, vedesse - di propria iniziativa - che è buono quanto era stato fatto. Poiché mediante quali parole avrebbe il Padre ordinato al Figlio di fare, dal momento ch'è proprio il Figlio la Parola originaria del Padre, mediante la quale è stata fatta ogni cosa? Oppure proprio per il fatto che sta scritto: Vi sia un firmamento, questa azione di dire è forse il Verbo del Padre, il Figlio suo unico, in cui sono tutte le cose create anche prima d'esser create e tutto ciò ch'è in lui è vita? Poiché tutto ciò che da lui è stato fatto è vita in lui e precisamente vita creatrice, mentre sotto il suo potere è invece la creatura. In un modo sono dunque in lui le cose fatte da lui, poiché è lui che le governa e le contiene, in un modo diverso invece sono in lui le cose che sono lui stesso. Egli infatti è la vita, che in lui è di tal natura da essere identica a lui stesso, poiché egli, ch'è la vita, è la luce degli uomini. Nulla dunque sarebbe potuto essere prima dei tempi - un essere siffatto non è coeterno con il Creatore - o all'inizio del tempo o nel corso del tempo, salvo che la sua ragione - seppure è esatto chiamare ciò "la ragione" dell'essere da creare - vivesse d'una vita coeterna nel Verbo di Dio coeterno con il Padre. Per questo motivo la Scrittura, prima d'indicare ciascuna creatura secondo l'ordine in cui ne racconta la creazione, si riferisce al Verbo di Dio dicendo: E Dio disse: Vi sia [tale creatura]. Essa infatti non trova alcun'altra causa perché una cosa venga creata, se non perché la ragione per cui doveva esser creata si trova nel Verbo di Dio.
Ogni creatura ha la sua ragione nel Verbo.
6. 13. Dio dunque non disse: "Vi sia tale o tal'altra creatura" ogni volta che in questo libro viene ripetuta la frase: E Dio disse. Egli infatti ha generato un unico Verbo, mediante il quale ha detto tutte le cose prima che fosse creata ciascuna di esse. Ma il linguaggio della Scrittura, che si abbassa alla capacità intellettiva dei semplici, indicando a una a una le varie specie di creature, ha presente la ragione eterna di ciascuna loro specie nel Verbo di Dio. Senza ripetere quella ragione, tuttavia il libro sacro ripete: E Dio disse. Se infatti avesse voluto dire prima: "Fu fatto il firmamento in mezzo alle acque perché ci fosse la separazione delle acque dalle acque" e gli fosse stato chiesto in qual modo fosse stato fatto il firmamento, avrebbe risposto giustamente: Dio disse: Sia fatto, ossia: "Era nel Verbo eterno di Dio la ragione perché fosse fatto". Il libro [della Genesi] comincia dunque a esporre la creazione di ciascuna creatura partendo da ciò che, anche dopo la narrazione dell'opera compiuta, avrebbe dovuto rispondere per renderne ragione a chi gli avesse chiesto in qual modo fosse stata fatta.
Le cose, create mediante il Verbo, sussistono per la bontà dello Spirito Santo.
6. 14. Allorché dunque sentiamo: E Dio disse: Sia fatto, noi comprendiamo ch'era nel Verbo di Dio la ragione perché quella cosa fosse fatta. Quando invece sentiamo: E così fu fatto, noi comprendiamo che la creatura fatta non aveva oltrepassato i limiti fissati alla sua specie nel Verbo di Dio. Quando poi sentiamo: E Dio vide che è una cosa buona, noi comprendiamo che Dio, per la bontà del suo Spirito, si compiacque di essa, non come se l'avesse conosciuta dopo averla creata, ma che, una volta creata se ne compiacque - sicché potesse permanere nell'essere - grazie alla bontà per cui gli piacque prima che fosse fatta.
Che vuol dire: fece.
7. 15. Ci rimane quindi ancora da ricercare perché mai, dopo aver detto: E così fu fatto - con la quale frase s'indica il compimento già avvenuto dell'opera - la Scrittura aggiunse: E Dio fece, dal momento che, per il fatto stesso che dice: E Dio disse: Sia fatto ciò. E così fu fatto, si comprende già che Dio disse ciò col suo Verbo e fu fatto mediante il suo Verbo, e da quelle parole può già apparire non solo la persona del Padre ma anche quella del Figlio. Poiché, se viene ripetuto e viene detto: E Dio fece, per indicare la persona del Figlio, bisognerebbe forse pensare che non fu per mezzo del Figlio che Dio radunò il terzo giorno l'acqua affinché apparisse la terraferma, per il fatto che in quel passo non è detto: "E Dio fece far radunare l'acqua" oppure: "E Dio radunò l'acqua"! Eppure anche in quel passo, dopo la frase: E così fu fatto, la Scrittura ripete dicendo: E l'acqua ch'è sotto il cielo fu radunata. Forse che anche la luce non fu fatta per mezzo del Figlio per il fatto che in quel passo la frase non è affatto ripetuta? Anche in quel passo l'agiografo avrebbe potuto dire: "E Dio disse: Sia fatta la luce. E così fu. E Dio fece la luce. E vide ch'è una cosa buona" o per lo meno, come a proposito dell'ammasso delle acque [in un sol luogo], senza dire: "E Dio fece", avrebbe potuto ripetere soltanto: "E Dio disse: Vi sia la luce. E così fu. E la luce fu fatta. E Dio vide che la luce è una cosa buona". Ma senz'affatto ripetere, dopo aver enunciato: E Dio disse: Vi sia la luce, aggiunge unicamente: E la luce fu fatta e in seguito, senza ripetere la [solita] formula, riferisce il compiacimento [di Dio] per la luce, la separazione di questa dalle tenebre e i nomi con cui furono denotate la luce e le tenebre.
Perché, a proposito della luce, non fu aggiunto: e Dio fece.
8. 16. Che significa dunque la suddetta ripetizione in tutto il resto del racconto? Forse che in tal modo ci si vuol fare intendere che nel primo giorno, in cui fu creata la luce, con il termine "luce" viene denotata la creazione della creatura spirituale e intellettuale, natura che comprende gli angeli santi e le Virtù? Forse, per questo, dopo aver detto: E la luce fu fatta, [la Scrittura] non ripete il fatto per la ragione che la creatura razionale non conobbe prima la sua formazione e di poi fu formata, ma la conobbe proprio nella sua formazione, cioè mediante la luce della Verità voltandosi verso la quale essa fu formata, mentre le creature inferiori ad essa vengono create essendo fatte dapprima nella conoscenza della creatura razionale e di poi nella loro propria specie? Per questo motivo la creazione della luce è dapprima nel Verbo di Dio secondo la ragione mediante la quale è creata, cioè nella Sapienza sussistente in eterno con il Padre, e in seguito nella creazione stessa della luce secondo la natura creata, e cioè: nel Verbo, luce non creata, ma generata; negli angeli, luce creata poiché formata col passare dal suo [primordiale] stato informe. Ecco perché Dio disse: Vi sia la luce. E la luce fu fatta, affinché ciò ch'era già nel Verbo fosse poi nell'opera. La creazione del cielo, al contrario, era dapprima nel Verbo di Dio in quanto Sapienza generata, di poi fu effettuata nella creatura spirituale, cioè nella conoscenza degli angeli in quanto sapienza creata in essi: in seguito fu fatto il cielo, perché ormai lo stesso cielo esistesse come creatura costituita nella sua propria specie. Allo stesso modo avvenne anche la separazione o specificazione delle acque e delle terre, allo stesso modo furono fatte le diverse nature degli alberi e delle erbe, i luminari del cielo e gli esseri viventi nati dalle acque e dalla terra.
La conoscenza della ragione delle cose negli angeli e la loro creazione.
8. 17. Gli angeli infatti non vedono gli oggetti sensibili del nostro mondo solo con i sensi del corpo alla maniera degli animali bruti, ma, anche ammesso che si servano di qualche senso di tal genere, riconoscono piuttosto le realtà sensibili, che essi conoscono più perfettamente mediante la facoltà interiore nel Verbo di Dio dal quale vengono illuminati al fine di vivere nella sapienza, poiché in essi fu creata per prima la luce, se ammettiamo che nel primo giorno fu creata la luce spirituale. Allo stesso modo quindi che la ragione, per la quale viene creata una creatura, preesiste nel Verbo di Dio alla creatura che viene creata, così anche la conoscenza della stessa ragione è prodotta dapprima nella creatura intellettuale, non offuscata dal peccato, e in seguito viene creata la stessa creatura. Poiché non alla nostra maniera gli angeli facevano progressi per ottenere la sapienza contemplando con l'intelletto le invisibili perfezioni di Dio attraverso le opere da lui compiute. Essi invece, dal momento in cui furono creati, godono la visione dello stesso Verbo eterno mediante una santa e pia contemplazione e, riguardando di lassù le cose della terra alla luce della visione interiore, approvano le azioni giuste e riprovano quelle cattive.
Dio rivelò agli angeli gli esseri che volle creare.
8. 18. Non c'è però da meravigliarsi che ai suoi angeli santi, creati per primi quando fu creata la luce, Dio mostrasse prima ciò che aveva intenzione di creare in seguito. Essi infatti non avrebbero potuto conoscere il pensiero di Dio se non nella misura in cui l'avesse loro mostrato. Chi mai, infatti, ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi è stato il primo a dargli qualcosa, sicché debba riceverne il cambio? Poiché tutte le cose derivano da lui, esistono in forza di lui e tutte tendono a lui. Da lui dunque gli angeli venivano a sapere il suo pensiero quando in loro si effettuava la conoscenza della creatura che sarebbe stata creata in seguito e che poi veniva creata nella sua propria specie.
Conclusione sulle formule del racconto genesiaco.
8. 19. Per conseguenza, dopo essere stata fatta la luce, termine con cui intendiamo la creatura razionale formata dalla luce eterna, allorché a proposito della creazione delle restanti creature noi sentiamo la frase: E Dio disse: Sia fatto, dobbiamo intendere l'intenzione della Scrittura rivolta all'eternità del Verbo di Dio. Quando invece sentiamo la frase: E così fu fatto, dobbiamo intendere che nella creatura intellettuale fu prodotta la conoscenza della ragione - esistente nel Verbo di Dio - della creatura che sarebbe stata creata, sicché questa fu in certo qual modo creata dapprima nella natura [intellettuale] che, per una sorta d'ispirazione antecedente fu la prima a conoscere, nel Verbo di Dio, che quella sarebbe stata creata. Quando alla fine sentiamo ripetere la frase: Dio fece, dobbiamo intendere che la stessa creatura è formata nella sua specie. Quando inoltre sentiamo dire: E Dio vide ch'è una cosa buona, dobbiamo intendere che la bontà di Dio si compiacque dell'opera fatta affinché sussistesse conforme alle leggi della sua specie l'opera che si era compiaciuto di fare quando lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque.
La Scrittura vuole insegnare la salvezza dell'anima, non la figura del cielo o verità scientifiche.
9. 20. Di solito si pone altresì il quesito su quale forma e figura dobbiamo credere abbia il cielo stando alle nostre Scritture. Molti infatti discutono molto su questi argomenti che invece i nostri scrittori sacri con maggior saggezza hanno lasciato da parte, poiché a coloro che li studiano non giovano per ottenere la felicità e, ciò che è peggio, occupano spazi di tempo molto preziosi che dovrebbero essere impiegati per i problemi della salvezza eterna. Che importa infatti se il cielo racchiude da ogni parte, come una sfera, la terra mantenuta in equilibrio al centro del mondo oppure la copra come un disco solo dalla parte superiore? Ma qui è in gioco la credibilità della Scrittura per il motivo più volte da me ricordato. Occorre cioè evitare che uno, il quale non comprende la sacra Scrittura, incontrando nei nostri libri [sacri] o sentendo da altri citare qualche testo [sacro] relativo a tali argomenti che gli pare in contrasto con le verità da lui conosciute con evidenza mediante la ragione, non presti affatto fede agli altri utili insegnamenti o racconti o profezie della stessa Scrittura. Ecco perché è necessario dire in breve che i nostri agiografi conoscevano quanto è conforme alla verità per ciò che riguarda la figura del cielo, ma lo Spirito di Dio, che parlava per mezzo di essi, non ha voluto insegnare agli uomini queste cognizioni per nulla utili alla salvezza dell'anima.
La Scrittura non può essere in contraddizione con se stessa o con la scienza.
9. 21. Ma - dirà qualcuno - come mai non è in contrasto con l'opinione di coloro, i quali attribuiscono al cielo la figura d'una sfera, quanto sta scritto nei nostri Libri sacri e cioè: Tu che hai steso il cielo come una pelle? Ciò sarà senz'altro contrario se è falso quanto affermano coloro; poiché sono vere le affermazioni della divina Scrittura anziché le congetture dell'umana infermità. Ma se per caso quelli potessero provare la loro opinione con argomenti di cui non si dovrebbe dubitare, bisognerebbe dimostrare che l'immagine della pelle usata dai nostri Libri sacri non è in contraddizione con quelle argomentazioni razionali, altrimenti ci sarebbe una contraddizione anche nelle stesse nostre Scritture rispetto a un altro passo in cui si dice che il cielo sta sospeso come una volta. In realtà che c'è di tanto diverso e contrario quanto la superficie piana e distesa d'una pelle e la curva d'una volta convessa? Se invece è necessario - com'è necessario - intendere queste due affermazioni in modo da trovarle entrambe concordanti e non contrastanti fra loro, è ugualmente anche necessario che l'una e l'altra di esse non siano in contraddizione con le dimostrazioni - purché riconosciute vere da una sicura ragione - con le quali si mostra che il cielo ha la figura d'una sfera da ogni parte convessa, sempre tuttavia che ciò sia provato.
Come spiegare le immagini di "volta" e di "pelle" usate per indicare il cielo.
9. 22. D'altra parte l'immagine della volta usata dalla Scrittura, anche se presa alla lettera, non si oppone a coloro che parlano d'una sfera; poiché a giusta ragione si può credere che la Scrittura ha voluto parlare della forma del cielo solo rispetto alla parte ch'è al di sopra di noi. Se dunque il cielo non è sferico, è una volta solo dalla parte in cui il cielo copre la terra; se invece è sferico, esso è una volta in ogni sua parte. Una difficoltà maggiore presenta invece l'immagine della pelle se miriamo ad evitare la contraddizione non solo con quella della sfera - che forse è un'immaginazione umana - ma proprio con l'immagine che abbiamo della volta. Quale significato allegorico abbia a mio parere questo passo si trova nel tredicesimo libro delle nostre Confessioni. Sia dunque che il cielo disteso come una pelle si debba intendere nel senso ivi esposto, sia che lo si debba intendere in qualche altro senso, per i sostenitori pedanti ed eccessivi dell'esegesi letterale dirò una cosa che credo sia chiara per tutte le intelligenze. Ambedue le immagini, della pelle e della volta, possono intendersi forse in senso figurato, ma bisogna vedere come l'una e l'altra possa intendersi alla lettera. Se infatti una volta può chiamarsi correttamente non solo curva ma anche piatta, certamente anche una pelle può essere stesa non solo come una superficie piana ma anche in forma d'una tasca rotonda. In realtà sono una pelle non solo un otre ma anche una vescica.
Il moto del cielo e l'appellativo di "firmamento".
10. 23. Riguardo al moto celeste alcuni fratelli pongono il quesito se il cielo stia fermo oppure si muova. Poiché, se si muove - dicono - come mai può essere "firmamento"? Se invece sta fermo, come mai le stelle, che si crede siano fisse in esso, ruotano da Oriente a Occidente, mentre quelle settentrionali compiono giri più brevi verso il polo? Sembrerebbe quindi che il cielo, se esiste al vertice opposto un altro polo a noi nascosto, gira come una sfera e, se non esiste nessun altro polo, come un disco. Io rispondo loro che, per sapere con sicurezza se le cose stiano o non stiano così, occorrono ricerche razionali molto delicate e laboriose, per dedicarmi alle quali e svolgerle non solo io non ho più il tempo, ma non debbono averne neppure coloro che noi desideriamo istruire per la loro salvezza e per il bene ch'esige la santa Chiesa. Costoro dunque sappiano che da una parte il termine "firmamento" non ci costringe a credere che il cielo sia immobile, dato che si può pensare sia stato chiamato "firmamento" non già a causa della sua immobilità, ma della sua solidità o a causa del limite invalicabile che separa le acque superiori da quelle inferiori; d'altra parte se la verità [scientifica] ci persuade che il cielo è immobile, il moto degli astri non c'impedisce di pensare che sia così. Inoltre anche da quelli stessi che hanno fatto queste ricerche con la massima diligenza e con tutto il tempo disponibile, è stato scoperto che anche nel cielo immobile, con il solo moto circolare degli astri, si potevano produrre tutti i fenomeni [astronomici] notati ed osservati nelle stesse rivoluzioni siderali.
Le acque separate dalla terra e l'informità di questa.
11. 24. E Dio disse: L'acqua ch'è sotto il cielo si raccolga nella sua massa e appaia l'asciutto. E così avvenne. E l'acqua che è sotto il cielo si raccolse nella sua massa e apparve l'asciutto. E Dio chiamò "terra" l'asciutto e "mare" la massa delle acque. E Dio vide ch'è una cosa buona. Di quest'opera di Dio abbiamo già trattato abbastanza nel nostro primo libro, dovendo rispondere a un altro quesito. Qui perciò diamo un breve avvertimento: se per caso uno non si preoccupa di sapere quando furono create le forme specifiche delle acque e delle terre, può ammettere che in quel giorno fu fatta solo la separazione di questi due elementi inferiori. C'è però chi si preoccupa di sapere perché mai la luce e il cielo furono fatti in giorni diversi, mentre l'acqua e la terra furono fatte al di fuori dei giorni o prima di tutti i giorni e perché la luce e il cielo furono fatti mediante la Parola di Dio che diceva: Sia fatto, mentre si trova scritto che l'acqua e la terra furono sì separate mediante la Parola di Dio ma furono create senza che Dio pronunciasse alcuna parola. Costui può, senza pregiudizio della fede, intendere la cosa nel senso che le parole la terra era invisibile e confusa - parole dette prima dell'enumerazione dei giorni, quando la Scrittura spiega di qual natura era la terra fatta da Dio, avendo detto in precedenza: Nel principio Dio creò il cielo e la terra - vogliono soltanto suggerire lo stato informe della materia fisica, e ciò perché la Scrittura preferisce denotarla con termini più comuni che oscuri; purché tuttavia una persona tarda d'ingegno, per il fatto che la Scrittura separa a parole la materia e la forma, non si formi inavvertitamente una falsa idea e tenti di separarle anche nel tempo, come se prima esistesse la materia e in seguito, dopo un certo lasso di tempo, fosse aggiunta la forma, mentre Dio le ha create ambedue simultaneamente e ha costituito una materia formata, la cui informità è denotata dalla Scrittura in precedenza - come ho già detto - con i termini usuali di "terra" e di "acqua". In realtà la terra e l'acqua, benché esistano anche con le proprietà che vediamo essere possedute da esse, tuttavia a causa della facilità, con cui si corrompono, sono più vicine allo stato informe che non i corpi celesti. Inoltre, poiché tutte le opere [della creazione] compiute nei diversi giorni vengono descritte come formate a partire da uno stato informe ciascuna nel suo proprio giorno e l'agiografo aveva già narrato che il cielo era stato creato a partire da questa materia fisica - la cui natura è molto diversa da quella delle cose terrestri - adesso, trattandosi di quel che restava da formare mediante quella materia nella più bassa graduatoria degli esseri, non ha voluto includerlo nella successione ordinata delle cose usando l'espressione: Sia fatto. Il resto di questa informità non era destinato a ricevere una forma simile a quella ricevuta dal cielo, ma una inferiore e di minor pregio e molto vicina allo stato informe. Per conseguenza la Scrittura preferisce usare un'altra espressione dicendo: Si ammassino le acque e: Appaia l'asciutto; in tal modo questi due elementi ricevettero le loro particolari forme specifiche che ci sono ben note e possiamo toccare con le mani, l'acqua mobile, la terra immobile: e di quella è detto: si ammassi, di questa: appaia; l'acqua infatti è dolcemente fluida mentre la terra solidamente ferma.
La creazione dei vegetali.
12. 25. E Dio disse: La terra produca erbe del prato che portino seme secondo la loro specie e la loro somiglianza, e alberi fruttiferi che producano sulla terra frutti contenenti seme in se stessi. E così avvenne. E la terra fece spuntare erbe del prato per il nutrimento contenenti in sé il seme secondo la loro specie e la loro somiglianza, e alberi fruttiferi portanti ciascuno frutto e contenenti il loro seme in se stessi conforme alla loro specie sulla terra. E Dio vide ch'è una cosa buona. E venne sera e poi mattina: terzo giorno. A questo punto occorre considerare il modo d'agire del [sommo] Ordinatore. Le erbe e gli alberi, quanto alla loro specie, sono creature distinte dalla terra e dalle acque; non potendosi annoverare tra gli elementi, con un ordine distinto fu ordinato che uscissero dalla terra e in un modo distinto sono state applicate le solite formule ed anche quest'altra: E così avvenne, ed in seguito è stato ripetuto ciò che fu fatto; in modo anche distinto è indicato che Dio vide ch'è una cosa buona. Ciononostante, poiché queste creature restano fisse con le loro radici, unite e attaccate alla terra, Dio volle che la loro creazione appartenesse al medesimo giorno.
Creazione dei luminari.
13. 26. E Dio disse: Ci siano dei luminari nel firmamento del cielo perché risplendano per l'inizio del giorno e della notte e distinguano il giorno dalla notte e servano da segni per indicare i tempi, i giorni e gli anni e servano da luce nel firmamento del cielo, per far luce sulla terra. E così avvenne. Dio fece i due luminari grandi: il luminare maggiore per l'inizio del giorno e il luminare minore per l'inizio della notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo perché splendessero sulla terra e fossero per [indicare] l'inizio del giorno e della notte e perché distinguessero la luce dalle tenebre. E Dio vide ch'è una cosa buona. E venne sera e poi mattina: quarto giorno. A proposito di questo quarto giorno ci si deve chiedere che significa questa successione ordinata con cui furono create o divise la terra dall'acqua e la terra produsse germogli prima che fossero creati gli astri nel cielo. Non possiamo infatti dire che furono scelte le creature più eccellenti con cui distinguere la serie dei giorni cosicché l'ultimo e quello di mezzo spiccassero per una bellezza maggiore, dal momento che il quarto giorno è nel mezzo dei sette. Si può infatti obiettare che nel settimo giorno non fu fatta alcuna creatura. Forse che la luce del primo giorno corrisponde meglio al riposo del settimo e perciò in tal modo viene ordita la trama di questa successione ordinata, in cui gli estremi si corrisponderebbero, mentre al centro avrebbero risalto i luminari del cielo? Se però il primo giorno corrisponde al settimo, anche il secondo deve per conseguenza corrispondere al sesto. Ma quale somiglianza ha il firmamento del cielo con l'uomo fatto ad immagine di Dio? Forse perché il cielo occupa tutta la parte superiore del mondo, e all'uomo è stato dato il potere di dominare su tutta la parte inferiore? Ma che dire degli animali e delle bestie che la terra produsse nel medesimo sesto giorno ciascuno secondo la sua specie? Qual rapporto può esserci tra essi e il cielo?
L'ordine e la finalità della creazione.
13. 27. O non era forse piuttosto logico che, essendo prima intesa la formazione della creatura spirituale sotto il nome di luce, fosse fatta anche la creatura materiale, cioè il nostro mondo visibile, che fu creato in due giorni a causa delle due grandi parti di cui risulta composto l'universo, e cioè il cielo e la terra, secondo l'analogia per cui anche tutto l'insieme della creatura spirituale e materiale è spesso chiamato "cielo e terra"? In tal modo anche la massa d'aria assai spesso agitata farebbe parte della sfera terrestre poiché si condensa a causa delle evaporazioni umide, mentre, al contrario, se c'è una regione tranquilla dell'atmosfera, ove non si possono formare moti di venti e di tempeste, questa apparterrebbe alla sfera celeste. Una volta creata questa massa dell'universo fisico, situato completamente in un sol luogo ov'è collocato il mondo, era logico fosse riempito di esseri, che quali parti nel tutto potessero spostarsi da un luogo a un altro mediante movimenti appropriati. Questa facoltà non l'hanno invece né l'erbe né gli alberi, poiché sono fissi con le radici alla terra e, benché siano dotati di movimenti appropriati alla loro crescita, non possono tuttavia spostarsi dal loro luogo con i loro sforzi, ma là si nutrono e crescono ove sono fissi e perciò appartengono alla terra piuttosto che alla specie degli esseri che si muovono nelle acque e sulla terra. Poiché dunque alla costituzione del mondo visibile, cioè del cielo e della terra, sono stati assegnati due giorni, resta che i rimanenti tre giorni vengano assegnati alla creazione degli esseri dotati di movimento e visibili che ne fanno parte. E allo stesso modo che il cielo fu creato al principio, così prima dev'essere sistemato con gli esseri della stessa specie: ecco perché al quarto giorno vengono create le stelle, mediante la luce delle quali, diffusa sulla terra, venga illuminata anche la regione inferiore del mondo affinché i suoi abitanti non vengano inviati in un'abitazione invasa dalle tenebre. E perciò, poiché a causa della loro debolezza fisica gli abitanti del mondo inferiore hanno bisogno, per riprender forza, del riposo che subentra ai movimenti, fu fatto sì che il giro del sole e l'alternarsi del giorno e della notte procurasse loro l'alternarsi del sonno e della veglia senza che la notte restasse priva di bellezza ma, con la luce della luna e delle stelle, fosse di sollievo a quegli uomini costretti a lavorare per necessità anche durante la notte, e fosse illuminata a sufficienza per alcuni animali che non possono tollerare la luce del sole.
Relazione tra i luminari e la successione dei giorni e delle notti.
14. 28. Quanto poi alle parole: Servano da segni per i tempi, per i giorni e per gli anni, chi non vede quanto oscura è l'espressione secondo cui i tempi sarebbero cominciati il quarto giorno come se i tre giorni precedenti fossero potuti passare al di fuori del tempo? Chi dunque potrebbe capire come quei tre giorni trascorsero prima che avessero inizio i tempi che, secondo l'affermazione della Scrittura, cominciarono il quarto giorno o se quei giorni trascorsero davvero? O forse il termine "giorno" denota la forma specifica della cosa creata e quello di "notte" la mancanza della forma? Così, con il nome di "notte" sarebbe stata indicata la materia ancor priva della forma specifica, la materia cioè con cui si sarebbero dovute formare tutte le altre cose, allo stesso modo che anche nelle cose, sebbene formate, si può tuttavia intendere l'informità della materia considerandone proprio la mutevolezza, poiché non si può distinguere come se fosse una cosa più lontana nello spazio o anteriore nel tempo. O forse il termine "notte" denoterebbe piuttosto, perfino quando si tratta d'una cosa creata e formata, la medesima mutabilità, ossia la possibilità di cessare - per così dire - d'essere, poiché nelle cose create è insita la possibilità di mutare, anche se non cambiano? Riguardo alla sera e al mattino, sono termini con cui non sarebbe denotato un tempo passato o futuro ma un certo limite, grazie al quale si capirebbe fin dove può arrivare il modo d'essere proprio della natura particolare d'ogni giorno e da qual momento comincia in seguito un'altra natura? Oppure si deve forse indagare più accuratamente qualche altra spiegazione di queste parole?
In qual senso e di che cosa gli astri sono "segni".
14. 29. Quando la Scrittura, a proposito degli astri, dice: Servano da segni, chi potrebbe, senza fatica, penetrarne il senso occulto e dire di quale specie di segni essa parla? La Scrittura infatti non parla di segni, l'osservanza dei quali è indice di vanità, ma evidentemente di quelli utili e necessari all'esigenze di questa vita come quelli che osservano i marinai per governare le loro navi o che osservano gli uomini per prevedere le condizioni atmosferiche durante l'estate e l'inverno, durante la stagione autunnale e primaverile. D'altra parte la Scrittura chiama senza dubbio "tempi" questi che scorrono col moto degli astri, non la durata dei vari spazi di tempo, ma le variazioni atmosferiche e quelle del clima. Se infatti la creazione di questi corpi luminosi fu preceduta da un qualche movimento di natura fisica o spirituale affinché una cosa, attesa per il futuro, divenisse passata attraverso il presente, non poté esistere senza che esistesse anche il tempo. E d'altronde chi potrebbe sostenere che il tempo cominciò solo con la creazione degli astri? Ma l'indicazione precisa delle ore, dei giorni e degli anni, la cui conoscenza ci è abituale, non si potrebbe avere se non mediante il movimento degli astri. Supponiamo pertanto d'intendere "i tempi", i giorni, gli anni in tal senso, cioè come alcune suddivisioni del tempo, misurate dagli orologi o dai moti del cielo che noi conosciamo, quando il sole sorge dall'Oriente fino a raggiungere il suo zenit e di lì cala in senso opposto fino all'Occidente affinché, subito dopo il suo tramonto, possiamo vedere la luna oppure qualche altro astro spuntare dall'Oriente, salire fino allo zenit ad indicare la mezzanotte e poi tramontare quando, al ritorno del sole, appare il mattino: un giorno corrisponde allora al giro completo del sole da Oriente a Oriente; gli anni, al contrario, o corrispondono alle rivoluzioni regolari del sole - non a quelle che compie nel tornare all'Oriente come fa ogni giorno ma a quelle che compie nel tornare in prossimità dei medesimi luoghi delle costellazioni; cioè le effettua solo dopo il trascorrere di 365 giorni e 6 ore le quali sono la quarta parte del giorno - frazione che, ripetuta quattro volte, costringe ad intercalare un giorno chiamato dai Romani "bisèsto", affinché il sole torni al punto di partenza della sua rivoluzione; oppure si tratta di anni anche più lunghi e piuttosto misteriosi, poiché si dice che si compiono anni più lunghi misurati dalle rivoluzioni degli altri astri -; se dunque dobbiamo intendere i tempi, i giorni e gli anni in questo senso, nessuno dubita che siano misurati dagli astri e dai luminari del cielo. La Scrittura infatti si esprime in modo ch'è incerto se la frase: Servano da segni per i tempi, per i giorni e gli anni si riferisce a tutti gli astri oppure se i segni e i tempi sono in rapporto agli altri astri e gli anni e i giorni soltanto in rapporto al sole.
In qual fase fu creata la luna?
15. 30. Molti, inoltre, indagano esprimendosi con un diluvio di ciance, in quale stato fu creata la luna. Volesse il cielo ch'essi parlassero come persone impegnate nella ricerca e non piuttosto a farla da maestri! Essi infatti dicono che fu creata piena poiché non era conveniente che Dio, a proposito degli astri, facesse qualcosa d'imperfetto nel giorno in cui la Scrittura dice che furono creati. Coloro che si oppongono a questa opinione obiettano: "La luna dunque doveva essere al suo primo giorno e non al decimoquinto; chi mai infatti comincia a contare da questo numero?". Io invece sto a ugual distanza tra gli uni e gli altri senza difendere nessuna delle due opinioni, ma affermo chiaramente che Dio creò la luna perfetta sia che la creasse quando è al novilunio che quando è nel plenilunio. Dio infatti è l'autore e ordinatore delle stesse nature. Orbene, tutto ciò che una cosa produce in qualsiasi modo con un processo naturale attraverso tempi convenienti, lo conteneva anche prima allo stato latente, se non nella sua forma visibile o nella sua massa corporea, almeno nella sua essenza e nella ragione della propria natura, salvo che si debba dire che un albero, privo di frutti e spogliato delle sue foglie durante l'inverno, è imperfetto, oppure che, anche nei suoi primordi quando non aveva dato alcun frutto, quella natura era imperfetta. Ma ciò non sarebbe giusto affermarlo non solo dell'albero ma nemmeno del suo germe, in cui tutto ciò che si sviluppa in un modo o in un altro, in progresso di tempo, rimane latente sotto forme invisibili. D'altronde, anche se si affermasse che Dio fece qualcosa d'imperfetto perché lo rendesse perfetto in seguito lui stesso, che ci sarebbe di biasimevole in una tale opinione? Sarebbe giustamente da riprovare se si affermasse che fu resa perfetta da un altro una cosa iniziata da lui.
Si spiegano le varie fasi della luna.
15. 31. Coloro dunque che, a proposito della terra creata da Dio quando egli fece il cielo e la terra, non si lamentano ch'essa era invisibile e caotica ma poi al terzo giorno fu resa visibile e disposta in ordine, perché mai si creano problemi avvolti da oscuri misteri a proposito della luna? Oppure, se ciò che la Scrittura dice a proposito della terra lo interpretano non come fatti avvenuti nel corso del tempo, avendo Dio creato simultaneamente la materia insieme alle cose, ma come si possono esporre in un racconto, perché mai a proposito d'un fatto che si può osservare pure con gli occhi, non vedono che la massa della luna è intera e perfetta in tutta la sua rotondità anche quando risplende in forma di falce, sia che cominci sia che termini di proiettare la sua luce sulla terra? Se dunque in essa la luce cresce arrivando alla sua completezza e decresce, non è la luna stessa a mutare ma la parte che viene illuminata. Se, al contrario, essa risplende sempre da una sola parte della sua piccola sfera, pare crescere mentre rivolge quella parte verso la terra sino a quando non si sia rivolta completamente - ciò che avviene dal primo giorno al decimoquarto -, essa è sempre piena ma non sempre appare così agli abitanti della terra. La spiegazione è la medesima anche se la luna è illuminata dai raggi del sole. Infatti anche così non può apparire, quando è vicina al sole, se non con i corni illuminati, poiché tutta l'altra faccia illuminata del suo globo è invisibile non essendo rivolta verso la terra; solo quando la luna si trova in opposizione al sole, appare alla terra l'intera sua faccia illuminata dal sole.
Si spiega il Salmo 135, 8-9.
15. 32. Non mancano tuttavia di quelli che dicono di credere che la luna fu creata originariamente al suo quattordicesimo giorno, non perché si debba credere ch'essa sia stata creata piena, ma perché nella Scrittura le parole di Dio sono del seguente tenore: La luna fatta per l'inizio della notte. Ora, la luna appare all'inizio della notte solo quando è piena; altre volte, al contrario, comincia ad apparire anche durante il giorno prima d'esser piena e nel corso tanto più avanzato della notte, quanto più essa decresce. Ma chi per "inizio" della notte non intende se non il "dominio" sulla notte - poiché anche il testo greco indica ciò meglio usando il termine , e nei Salmi sta scritto più chiaramente: [Ha fatto] il sole che presieda al giorno e la luna e le stelle che presiedano alla notte - non è costretto a contare cominciando dal quattordicesimo giorno e credere che la luna sia stata creata originariamente al primo giorno della lunazione.
Hanno gli astri il medesimo splendore?
16. 33. Si è anche soliti discutere se questi luminari visibili del cielo, ossia il sole, la luna e le stelle abbiano uno splendore uguale ma, poiché hanno una distanza diversa dalla terra, appaiono perciò con uno splendore più o meno grande ai nostri occhi. Veramente, a proposito della luna, coloro che la pensano così non dubitano ch'essa splende meno del sole dal quale affermano ch'è illuminata. Essi però osano dire che molte stelle hanno la stessa grandezza del sole o sono anche più grandi ma, essendo situate più lontano, appaiono più piccole. Quanto a noi, comunque stia la cosa, ci basta sapere che gli astri sono stati creati da Dio. Dobbiamo tuttavia ritenere quanto è detto dall'autorità dell'Apostolo: Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle; perché ogni stella differisce da un'altra quanto allo splendore. Essi però, pur senza contraddire l'Apostolo, potrebbero ancora rispondere: "Differiscono - è vero - quanto allo splendore, ma solo allo sguardo degli abitanti della terra", oppure: "L'Apostolo si esprimeva così per analogia con coloro che risorgeranno e che alla vista non appariranno diversi da quello che sono in se stessi; gli astri, però, anche se considerati in se stessi, differiscono quanto a splendore, ma tuttavia alcuni sono anche più grandi del sole"; sta perciò ad essi di vedere come mai attribuiscono al sole una superiorità sì grande da affermare che trattiene con sé i suoi raggi spingendole a retrocedere nella loro corsa alcune stelle e proprio le principali, alle quali essi rivolgono le loro preghiere più che alle altre. Non è infatti verosimile che stelle più grandi o della stessa grandezza possano essere sopraffatte dalla veemenza dei suoi raggi. Oppure, se affermano che sono più grandi le stelle superiori delle costellazioni o del settentrione che non subiscono alcuna influenza da parte del sole, perché mai venerano maggiormente le stelle che girano lungo i segni dello zodiaco? Per qual motivo le presentano "domicili" delle costellazioni? Sebbene si sostenga che quelle retrocessioni, o forse ritardi degli astri, non dipendono dal sole, ma da altre cause più misteriose, dai loro libri appare tuttavia evidente che costoro nelle loro stravaganze con cui, allontanandosi dalla verità, congetturano il significato effettivo dei destini, attribuiscono al sole il più grande potere.
Le stelle sono diverse fra loro.
16. 34. Ma lasciamo che riguardo al cielo dicano ciò che vogliono coloro che sono estranei al Padre ch'è nei cieli; a noi invece non conviene né giova far ricerche più sottili su la distanza e la grandezza delle stelle e spendere in siffatta ricerca il tempo necessario a occupazioni più serie e più importanti. Noi d'altra parte preferiamo credere che sono più grandi di tutti gli altri luminari quelli ai quali la Scrittura dà risalto dicendo: Dio fece i due luminari grandi; essi però non sono uguali poiché la Scrittura, dopo aver dato loro la preminenza rispetto a tutti gli altri, aggiunge che sono diversi tra loro. Dice infatti: Il luminare maggiore per l'inizio del giorno e il luminare minore per l'inizio della notte. Concederanno senz'altro, per lo meno, che quei luminari splendono evidentemente più degli altri sulla terra, e il giorno non splende se non grazie alla luce del sole e la notte, pur essendo visibili tante stelle, se manca la luna, non risplende come quando è illuminata dalla sua presenza.
Contro gli indovini poiché si basano su princìpi e calcoli falsi.
17. 35. Per quanto riguarda il destino [degli uomini] dobbiamo respingere assolutamente, per preservare l'integrità della nostra fede, i cavilli di qualunque specie e le presunte osservazioni scientifiche desunte dall'astrologia che i suoi seguaci chiamano ; con tali disquisizioni infatti si sforzano di toglierci perfino i motivi di pregare e, nel caso di azioni cattive con tutta ragione biasimate, c'inducono con la loro falsa ed empia dottrina ad accusare Dio, creatore delle costellazioni, anziché l'uomo, autore delle scellerate azioni. Ma che le nostre anime non sono, per loro natura, soggette neppure all'influsso dei corpi celesti dovrebbero ascoltarlo anche dai loro filosofi. Che poi i corpi celesti non siano superiori ai corpi terrestri quanto ai fenomeni di cui essi si occupano, dovrebbero riconoscerlo una buona volta anche solo dal fatto che, sebbene molti corpi di specie diverse - d'animali, d'erbe o di piante - vengono seminati insieme in un medesimo istante e ne nascono innumerevoli altri in un medesimo istante, tuttavia non solo in luoghi diversi ma addirittura in un medesimo luogo della terra è tale e tanta la varietà del loro sviluppo, delle loro attività e delle loro malattie, che questi astrologi, se osservassero attentamente tali fenomeni, perderebbero davvero - come suol dirsi - le stelle.
Argomento contro gli astrologi; è il caso dei gemelli.
17. 36. Quando gli astrologhi vengono confutati vittoriosamente con questi fatti, che cosa c'è di più insulso e balordo dell'affermare che l'influsso esercitato dalle stelle sul destino riguarda solo gli uomini? Anch'essi tuttavia proprio a proposito degli uomini vengono confutati con l'esempio dei gemelli, perché gli astrologhi ammettono che questi nascono per lo più sotto una medesima costellazione, mentre poi vivono in modo diverso e sono felici o infelici in misura diversa e muoiono anche in maniera diversa; poiché, anche se al momento d'essere partoriti esiste qualche intervallo tra l'uno e l'altro, nel caso di alcuni l'intervallo è tuttavia sì piccolo da non poter - essere calcolato da codesti astrologhi. Al momento della nascita di Giacobbe si costatò che la mano di lui, che veniva dopo di Esaù, teneva il calcagno del fratello che lo precedeva: fino al punto che [i gemelli] nacquero in modo da dare l'impressione che nascesse, per così dire, un unico bambino di dimensioni doppie. Certamente le loro "costellazioni", come le chiamano gli astrologhi, non potevano essere in alcun modo diverse. Che c'è dunque di più sciocco del credere che un astrologo, contemplando quelle costellazioni riguardo al medesimo oroscopo e alla medesima luna, avrebbe potuto predire che uno dei gemelli sarebbe stato benvoluto dalla madre e l'altro no? Se infatti avesse predetto un'altra cosa, avrebbe certamente predetto il falso; se invece avesse detto così, avrebbe detto di certo il vero ma non in base alle sciocche canzonette dei loro libri. Se invece non vogliono credere a questo racconto storico poiché è tratto dalle nostre Scritture, potranno forse distruggere anche la natura delle cose? Poiché dunque affermano di non ingannarsi affatto nel caso che hanno conosciuto l'ora del concepimento, non disdegnino almeno di prendere in considerazione - in quanto uomini - il concepimento di gemelli.
Perché alle volte gli indovini predicono il vero.
17. 37. Si deve quindi ammettere che quando costoro predicono il vero, le loro predizioni sono causate da un'ispirazione affatto misteriosa che le menti umane subiscono a loro insaputa. Ma quando ciò accade per ingannare gli animi è opera di spiriti seduttori: a questi è permesso di conoscere certe verità relative ai fenomeni temporali non solo a causa dei loro sensi più acuti poiché posseggono corpi di natura più sottile dei nostri e non solo a causa di un'esperienza meglio informata grazie alla loro vita più lunga, ma anche grazie agli angeli santi che rivelano loro quanto apprendono dall'onnipotente Dio, anche dietro ordine di Colui che distribuisce agli uomini i meriti secondo una giustizia perfetta e assai misteriosa. Talvolta al contrario questi medesimi spiriti malvagi, facendo finta di pronosticarlo, rivelano ciò che hanno intenzione di fare essi stessi. Ecco perché un buon cristiano deve guardarsi non solo dagli astrologhi ma anche da qualsiasi indovino che usi mezzi contrari alla religione, soprattutto quando dicono il vero, per evitare che ingannino l'anima mettendola in rapporto con i demoni e la irretiscano in una specie di patto d'alleanza con loro.
Si suole indagare se le stelle sono animate da spiriti.
18. 38. Si è soliti porre anche il quesito se questi luminari visibili del cielo siano solo dei corpi o abbiano ciascuno uno spirito che li governi e, qualora li avessero, se ricevono da questi spiriti anche il soffio vitale, come la carne riceve la vita dall'anima degli animali, o se gli spiriti li governano con la sola presenza pur restando distinti da quelli. Sebbene sia difficile saperlo, credo tuttavia che nel corso della presente esposizione delle Scritture potranno presentarsi dei passi più adatti con cui sarà possibile, se non dimostrare qualcosa di certo, almeno mettere in chiaro su questo problema la nostra fede secondo le norme della sacra Scrittura. Per ora, osservando sempre una saggia e religiosa prudenza, non dobbiamo, a proposito d'un problema sì oscuro, credere nulla temerariamente, per evitare che, se in seguito si venisse a scoprire la verità, sebbene questa non possa essere affatto in contraddizione con i Libri sacri dell'Antico e del Nuovo Testamento, la rifiutassimo tuttavia per affezione al nostro errore. Ma ormai dobbiamo passare al terzo libro della nostra opera.