mercoledì 19 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro XVI° (16/20)

Libro XVI°


Severità delle leggi di Erode sul furto
Libro XVI:1 - I, I. - Nell'amministrazione dei pubblici affari, allo scopo di reprimere le soperchieria che vi si commettevano sia in città che in campagna, il re emanò una legge diversa dalle precedenti, legge che egli stesso promulgò. Essa ordinava che chi rompeva le mura di una casa fosse venduto (in schiavitù) e allontanato dal regno, punizione, questa, che non solo pesava fortemente sui colpevoli, ma importava anche una violazione dei costumi della patria.
Libro XVI:2 Poiché essere venduto schiavo a estranei e a quanti non hanno lo stesso genere di vita (dei Giudei), essere costretti a compiere qualunque cosa tali uomini comandino, era più un'offesa contro la religione che un castigo dei colpevoli, specialmente allorché il seguente genere di punizioni era osservato nei tempi passati.
Libro XVI:3 Quelle leggi ordinavano che un ladro doveva pagare il quadruplo di ammenda, se incapace di tanto, si doveva vendere, ma in ogni caso non a forestieri né il colpevole era soggetto a schiavitù vita natural durante, ma doveva essere liberato dopo sei anni.
Libro XVI:4 L'asprezza e l'iniquità della pena, allora stabilita, parve doversi attribuire all'arroganza di un uomo che governava non da re, ma da tiranno, che non tiene conto degli interessi dei suoi sudditi.
Libro XVI:5 Tale modo di agire, così simile al resto del suo comportamento, fu in parte motivo delle accuse fattegli e dell'antipatia verso di lui.
Viaggio a Roma di Erode, il ritorno dei figli
a Gerusalemme
Libro XVI:6 - 2. Fu in questo tempo che Erode compì un viaggio verso l'Italia per incontrare Cesare, e per rivedere i suoi figli che risiedevano a Roma. Da Cesare ebbe un'accoglienza amichevole, e tra le altre cose gli consegnò i figli, i cui studi erano ormai finiti e gli concesse di portarseli a casa.
Libro XVI:7 Quando furono ritornati dall'Italia, il popolo dimostrò molto interesse per i giovani che attiravano l'attenzione di tutti per la grandezza della loro fortuna e perché le loro persone non erano indegne del rango regale.
Libro XVI:8 Ma presto incorsero nell'invidia di Salome, sorella del re e di quanti, con le loro calunnie, erano stati causa della caduta di Mariamme: costoro pensavano che non appena giunti al potere, i giovani avrebbero fatto pagare i crimini commessi contro la loro madre.
Libro XVI:9 Questa stessa paura fece sì che, a loro volta, lanciassero calunnie contro i giovani, e sparsero la voce che essi (i giovani) non parlavano volentieri al popolo a motivo della morte della loro madre, tanto che ad essi pareva sacrilego coabitare con l'uccisore della donna che aveva dato loro i natali.
Libro XVI:10 Con simili menzogne iniziate con apparente verità e proseguite con (semplice) plausibilità, essi giunsero ad arrecare danno ai giovani e a distruggere l'affetto che egli (Erode) sentiva per i figli. Costoro (i calunniatori), in verità, non gli parlarono mai di questo direttamente. Ma quando i commenti trapelarono al resto del popolo e furono riferiti a Erode, gradualmente fecero nascere il suo odio che, nel corso del tempo, divenne così forte che la stessa natura non poté superare.
Libro XVI:11 Per il momento il re, il cui affetto per quelli che aveva generato era ben più forte di tutti i sospetti e le calunnie, li onorava come era giusto, e quando raggiunsero l'età, provvide loro le mogli: sposò Aristobulo con Berenice, figlia di Salome, e Alessandro con Glafira, figlia di Archelao, re della Cappadocia.
Marco Agrippa in Giudea
Libro XVI:12 - II, I. - Dopo di questo venne a conoscenza che Marco Agrippa era giunto in Asia dall'Italia, e subito si affrettò a incontrarlo e lo invitò a venire nel suo regno a ricevere il benvenuto che poteva aspettarsi dal suo ospite e migliore amico.
Libro XVI:13 Ed egli si arrese alle sue fervide insistenza e venne in Giudea. Erode non omise nulla di quanto poteva essergli gradito: lo accolse nelle sue città di nuova fondazione e, mentre gli mostrava i suoi nuovi edifici, svagava sia lui che i suoi amici con gradevoli cibi e con fasto; questo avvenne sia in Sebaste, sia
in Cesarea, al porto da lui costruito, e alle fortezze edificate con grandi spese: Alessandreion, Herodion e Ircania.
Libro XVI:14 Lo condusse anche nella città di Gerusalemme, ove tutto il popolo incontrò Agrippa in abbigliamento festivo e gli diede il benvenuto con acclamazioni. In seguito Agrippa sacrificò a Dio una ecatombe e fece festa col popolo il cui numero non era inferiore a quello delle più grandi (città).
Libro XVI:15 Sebbene per lui personalmente, per quanto riguardava il suo gradimento, avrebbe voluto restare ancora molti giorni, era tuttavia incalzato dal tempo: pensava che l'approssimarsi dell'inverno non gli avrebbe reso sicuro il viaggio di ritorno nella Ionia che era obbligato a intraprendere.
Erode va nel Ponto per salutare M. Agrippa
Libro XVI:16 - 2. Egli perciò si mise in mare dopo che Erode aveva onorato sia lui che le più distinte personalità del suo seguito con molti doni. Il re passò l'inverno a casa e, giunta la primavera, si affrettò a incontrare Agrippa, sapendo che era in procinto di guidare una spedizione al Bosforo.
Libro XVI:17 Navigando tra Rodi e Coos approdò nelle vicinanze di Lesbo, pensava che qui avrebbe incontrato Agrippa. Ma qui fu colto dal vento del Nord che impedì alle sue navi di salpare,
Libro XVI:18 e dovette attendere molti giorni a Chio, e quivi accolse amichevolmente le molte persone che lo visitavano e le conquistò con doni regali. E quando vide che il portico della città giaceva distrutto, era stato abbattuto nella guerra di Mitridate, e, a differenza di altre strutture, non era facile erigerlo nuovamente a motivo della sua grande dimensione e bellezza,
Libro XVI:19 egli diede una somma di denaro sufficiente (non solo per quello), ma più ancora per coprire la spesa di tutta la struttura e ingiunse di non trascurare quel lavoro, ma di esigerlo sollecitamente restituendo alla città la sua bellezza.
Libro XVI:20 Calmatosi, intanto il vento, egli navigò per Mitilene e di qui a Bisanzio e, saputo che Agrippa s'era già inoltrato al di là degli Scogli Cianei, si affrettò con tutta la possibile velocità al suo seguito;
Libro XVI:21 lo raggiunse presso Sinope nel Ponto e quando inaspettatamente avvistò l'approssimarsi del suo naviglio, la sua apparizione ebbe il benvenuto, e ci fu uno scambio di calorosi saluti specie da parte di Agrippa per la grandissima prova di benevolenza e di affetto che gli parve di ricevere da parte del re che per lui aveva compiuto un così lungo viaggio, tralasciando per lui qualsiasi altro ufficio, e considerando questo il più importante tra i suoi doveri personali, compresa l'amministrazione del suo regno.
Libro XVI:22 Erode, infatti, in quella spedizione, fu per lui ogni cosa: collega nel disbrigo degli affari di Stato e consigliere in varie occasioni, sollievo nei momenti di riposo, e il solo partecipe di tutte le esperienze a motivo della sua lealtà in tempi difficili e del comportamento rispettoso nelle occasioni di svago.
Libro XVI:23 Compiuta la missione nel Ponto, per la quale Agrippa era stato mandato, decisero di non ritornare per via mare, ma per via terra attraverso la Paflagonia e la Cappadocia e di là, attraverso la Grande Frigia, raggiungere Efeso, e da Efeso navigare a Samos.
Libro XVI:24 Molti furono i benefici concessi dal re in ogni città secondo i bisogni di quanti a lui ricorrevano. Egli, da parte sua, non si ritraeva da nulla per quanto riguardava denaro e ospitalità, pagando di propria tasca tutte le spese. Anzi, intercedeva per certuni che chiedevano favori ad Agrippa e faceva in modo affinché non restasse mai inesaudita ogni richiesta dei postulanti.
Libro XVI:25 Sebbene Agrippa fosse gentile e generoso nell'andare incontro a quanti chiedevano qualsiasi favore a vantaggio del richiedente e non dannoso ad altri, l'incitamento del re fu un grandissimo stimolo nel guidare Agrippa a compiere buone azioni, benché egli non fosse restio a compierle di propria iniziativa.
Libro XVI:26 Lo riconciliò con il popolo di Ilio, pagò i debiti che quelli di Chio avevano con i procuratori di Cesare, li liberò dai loro tributi e assistette ognuno che a lui ricorreva.
Libro XVI:27 - 3. Quando giunsero nella Ionia, una notevole moltitudine di Giudei, abitanti in quelle città, si avvalse di quella opportunità per parlare con loro liberamente; andarono da loro ed esposero i maltrattamenti ai quali erano soggetti in quanto non era concesso reggersi conforme alle loro leggi e per soperchieria erano obbligati a comparire in giudizio nei giorni festivi;
Libro XVI:28 dissero loro come fossero stati spogliati del denaro che avevano messo da parte per inviare a Gerusalemme e ancora come fossero costretti a partecipare al servizio militare, ai servizi civici e a spendere il loro denaro sacro per queste cose, sebbene fossero sempre stati esentati da questi doveri e fosse stato loro concesso di vivere conforme alle proprie leggi.
Libro XVI:29 Mentre essi protestavano in tal modo, il re indusse Agrippa ad ascoltarli allorché peroravano la loro causa, ed egli diede il compito a Nicola, uno dei suoi amici, di parlare in favore della loro causa.
Libro XVI:30 E allorché Agrippa prese come consiglieri gli ufficiali romani i re e principi che erano presenti, Nicola si alzò e prese a dire quanto segue in favore dei Giudei.
Discorso di Nicola di Damasco
Libro XVI:31 - 4. “Tutti i bisognosi, potentissimo Agrippa, sentono il bisogno di cercare la protezione di uomini che possano porre fine ai maltrattamenti cui sono soggetti.
Libro XVI:32 I presenti imploranti, compiono questo liberamente, avendo più volte trovato che voi siete accoglienti come essi speravano e ora non chiedono di essere privati di quei favori che voi stessi avete concesso, specialmente avendoli essi ricevuti da coloro che sono i soli che hanno il potere di concederà, poiché ora ne vengono privati, non già da persone superiori, ma da uomini che riconoscono uguali a loro, giacché soggetti a voi come anche loro lo sono.
Libro XVI:33 E in verità se essi furono giudicati degni di grandi favori, sia lode a chi li ha ricevuti essendosi mostrato degno di meritarli; e se i favori concessi sono piccoli, è una vergogna che i donatori non sappiano più confermarli.
Libro XVI:34 Perciò quanti si oppongono ai Giudei e li trattano male, è chiaro che fanno torto ad ambedue le parti: ai beneficati, non giudicando degno il popolo al quale i propri governanti hanno reso testimonianza concedendo loro tali favori; e d'altra parte a coloro che concessero i favori industriandosi (poi) affinché questi siano inefficaci.
Libro XVI:35 Che se qualcuno domandasse a costoro, quale tra le due (cose) preferirebbe che gli fosse tolta, la vita o gli usi e costumi della patria, comprese le solennità, i sacrifici e le feste che osservano in onore degli dèi ai quali credono,
so molto bene che sopporterebbero ogni genere di mali piuttosto che violare uno qualsiasi degli usi e costumi della loro patria.
Libro XVI:36 E invero, è per amore di questi che la maggior parte degli uomini intraprende guerre a difesa e integrità dei propri usi e costumi; e la felicità che, grazie a voi, di cui presentemente gode tutto il genere umano per il fatto che a ciascuno, in qualsiasi paese viva, è possibile prosperare pur rispettando le proprie usanze.
Libro XVI:37 E ciò che i nostri antagonisti non vorrebbero compiere personalmente, tentano di farlo compiere agli altri, quasi che non fosse una pari empietà violare le sacre tradizioni degli altri, o trascurare i propri sacri doveri che si hanno verso i propri dèi.
Libro XVI:38 Ed ora passiamo a considerare un altro punto. Vi è mai un popolo, una città, una comunità umana che non ponga il suo maggior bene nel vivere soggetto al vostro comando o a quello dell’impero romano? Vorrebbe mai qualcuno che i favori che vengono da voi siano revocati?
Libro XVI:39 Nessuno, neppure un pazzo. Poiché non è alcuno che non ne senta il vantaggio sia privatamente sia pubblicamente. Eppure quanti tolgono ad altri ciò che voi avete dato, costoro spogliano anche se stessi di ciò che ottennero da voi, benché non sia possibile misurare questi favori.
Libro XVI:40 Poiché se ponessero insieme a confronto gli antichi regni, sotto cui vissero, coll'impero presente, tra i molti beni che si sono aggiunti alla loro felicità, penso che questo solo crederebbero bastare, cioè il non essere servi e l'apparire liberi davanti a tutti.
Libro XVI:41 I nostri vantaggi poi, quantunque siano grandi, pure non sono degni d'invidia poiché è per voi, che insieme a tutti gli uomini, noi prosperiamo. La sola cosa alla quale abbiamo chiesto di partecipare è il diritto di mantenere, senza interferenze, la nostra religione ancestrale: cosa che in sé non è soggetta a invidia, ed è di giovamento a quanti concedono tale diritto.
Libro XVI:42 La divinità si compiace di essere onorata, e si compiace altresì di quanti permettono che si onori. Nelle nostre usanze non vi è nulla di ostile all'umanità, tutte sono pie e rivolte alla salvezza della giustizia.
Libro XVI:43 Né noi facciamo un segreto dei precetti che seguiamo nella religione e nelle relazioni umane: ogni settimo giorno lo dedichiamo allo studio
delle nostre usanze e della nostra legge, perché stimiamo necessario occuparci di noi stessi e di ogni altro studio, ed è per mezzo di questo che evitiamo di commettere mancanze.
Libro XVI:44 Ora le nostre usanze sono, in se stesse, eccellenti, se uno le esamina attentamente e sono pure antiche anche se vi è chi non lo crede, sicché per coloro che le hanno ricevute come tradizioni sacre e le conserva, non è facile disimparare ciò che è stato consacrato dal tempo.
Libro XVI:45 E’ di queste usanze che costoro vorrebbero privarci in maniera oltraggiosa ponendo le mani sul denaro che noi consacriamo in nome di Dio distogliendolo apertamente per il nostro tempio, imponendoci tasse, e ci traggono in tribunale e in altri luoghi pubblici persino nei giorni festivi, non perché obbligati da necessità sociali, ma in spregio della nostra religione, verso la quale sentono un odio immeritato e non ammesso, ed essi lo sanno come noi.
Libro XVI:46 Perciò il vostro governo che dappertutto è uno solo, come vuole che viva la benevolenza, così vuole che sia morto l'odio di coloro che antepongono il secondo al primo.
Libro XVI:47 Perciò domandiamo, grande Agrippa, di non essere soggetti a questi maltrattamenti, di non essere oppressi, né impediti di osservare le nostre usanze, né spogliati dei nostri presenti diritti, né venire costretti da costoro a fare ciò che noi non facciamo contro di essi. Queste cose, non solo sono giuste, ma di fatto furono a noi concesse da voi.
Libro XVI:48 Noi perciò ti potremmo leggere molti decreti del senato e le tavole custodite nel Campidoglio. Sono privilegi che, sia chiaro, solo voi ci avete concesso, seppure dopo molte prove di fedeltà che noi vi abbiamo dato, e sarebbero valide anche se voi ce le aveste concesse prescindendo da qualsiasi condizione.
Libro XVI:49 Giacché non solo per noi, ma per tutti gli uomini, siete stati benefattori nel vostro governo e avete conservato i diritti presenti e avete ancora aggiunto più di quanto sperassero; e il discorso sarebbe senza fine se uno volesse menzionare ogni beneficio che essi da voi hanno ricevuto.
Libro XVI:50 Ma per mostrare che noi li abbiamo ottenuti a buon diritto, ci basta parlare liberamente, lasciando le cose passate, additare il nostro presente re e colui che gli sta a fianco.
Libro XVI:51 Quali segni di benevolenza non ha egli compiuto per voi? Quale genere di onore non ha egli pensato per voi? In quale emergenza non si è egli dimostrato preveggente? Chi, dunque, vieta di porre i vostri favori nel numero di tanti altri benefici?
Libro XVI:52 Forse, tuttavia è bene non passare sotto silenzio il valore di suo padre Antipatro, il quale, allorché Cesare invase l'Egitto, gli portò l'aiuto di oltre duemila soldati con armi pesanti, dimostrandosi secondo a nessuno, ovunque era necessario, combattendo per terra e per mare.
Libro XVI:53 Non giova ora riferire quale sia stato il vantaggio in quella circonstanza, e con quanti e quali doni furono singolarmente ricompensati da Cesare, ma è il caso di ricordare la lettera scritta da Cesare al Senato, e come Antipatro ricevette pubblici onori e la cittadinanza (romana)?
Libro XVI:54 Queste prove bastano per mostrare che abbiamo titoli per ricevere questi favori e per domandare che essi siano confermati da te, dal quale possiamo aspettarli anche se non li avessimo già avuti prima, vista la benevola disposizione del re verso di te e la tua verso di lui.
Libro XVI:55 Dai Giudei di colà ci fu riferito che, allorché tu cortesemente sei andato al loro paese, hai fatto ricchissimi sacrifici a Dio e Lo hai onorato con preghiere rituali, hai dato al popolo grandi feste e hai da esso ricevuto doni ospitali.
Libro XVI:56 Tutto ciò fu fatto per la città e per la nazione da un personaggio in carica con compiti pubblici così grandi e deve essere considerato segno e garanzia di amicizia che tu offri alla nazione giudaica dopo che te l'ha raccomandato la casa di Erode.
Libro XVI:57 Ricordandoti queste cose e (i servizi) del nostro re qui presente seduto di fianco a te, non ti chiediamo nulla di speciale, ma soltanto che tu non permetta che gli altri ci privino dei diritti che tu stesso ci hai dato”.
Conclusione del viaggio
Libro XVI:58 - 5. A queste parole di Nicola, non si sollevò, dai Greci, nessuna contrapposizione, poiché i Giudei non disputavano di alcun punto specifico controverso, come se fossero in tribunale, ma chiedevano soltanto di essere liberati dall'altrui violenza.
Libro XVI:59 E i loro oppositori non si difendevano negando di avere commesso tali cose, ma adducevano la scusa che i Giudei adesso spargevano per la loro regione ogni genere di mali; essi però si mostravano cittadini dabbene e onorando le loro usanze, non disturbavano gli altri.
Libro XVI:60 Compreso che essi erano stati oppressi violentemente, Agrippa rispose che non solo per la benevolenza e l'amicizia che Erode aveva per lui, era pronto ad accondiscendere a tutto quanto domandavano i Giudei, ma, poiché gli sembravano giuste in se stesse le loro domande, non avrebbe esitato a concedere ancora più, perché ciò non recasse danno al governo di Roma. E poiché essi domandavano che non fossero annullati i diritti che già avevano ricevuti, egli avrebbe confermato i loro diritti a seguitare l'osservanza delle proprie usanze senza subire maltrattamento.
Libro XVI:61 Ciò detto, licenziò l'assemblea; perciò Erode s'alzò, andò da lui e l'abbracciò, grato per la sua buona disposizione verso di lui. Agrippa, a tali parole, si mostrò riconoscente e rispose in eguale modo, gettò le braccia a Erode e, a sua volta, l'abbracciò.
Libro XVI:62 Dopo partì per Lesbo, mentre il re decise di navigare verso casa, da Samos; così, dopo essersi congedato da Agrippa, si mise in mare e, incontrati i venti favorevoli, approdò a Cesarea non molti giorni dopo. Di qui partì per Gerusalemme e convocò un'assemblea di tutto il popolo della città, ed era anche convenuta una grande folla da tutta la regione.
Libro XVI:63 Presentatosi davanti a loro, diede un resoconto dell'intero suo viaggio ed espose la situazione dei Giudei dell’Asia, affermando che, grazie a lui, in futuro non avrebbero più subito molestie.
Libro XVI:64 Poi, dando un quadro generale della sua buona fortuna e del suo buon governo del regno nel quale, disse, non aveva trascurato nulla che potesse essere vantaggioso per essi e con fare allegro condonò loro un quarto dei tributi dell’anno passato.
Libro XVI:65 Conquistati dal discorso e dalla gentilezza, se ne andarono colmi di gioia, augurando al re ogni bene.
Discordie familiari sempre più vaste
e profonde
Libro XVI:66 - III, I. - Ma la discordia cresceva nella famiglia di Erode, e andava peggiorando sempre più: Salome aveva rivolto il suo odio contro i giovani, quasi fosse un'eredità e cercava ogni trama contro la loro madre in modo così arrogante e ardito quasi non volesse lasciare vivo alcuno della sua stirpe che potesse vendicare la morte della donna che era stata eliminata da lei.
Libro XVI:67 Da parte loro i giovani erano ambedue temerari e ostili al loro padre sia per il ricordo della morte immeritata della loro madre, sia per la voglia di dominare.
Libro XVI:68 D'onde la situazione divenne pessima così com'era prima, e i giovani lanciavano un linguaggio ingiurioso contro Salome e Ferora, e questi due mostravano malizia verso i giovani, e intessevano contro di essi trame insidiose.
Libro XVI:69 Da una parte e dall'altra vi era uguale quantità di odio, diversa era la forma del loro odio. Infatti, gli uni, i giovani, inesperti quali erano, giudicavano che la forza dell’ira consistesse nel dire apertamente villanie e fare rimproveri: e così agivano in maniera precipitosa. Gli altri, invece, non si adeguavano a questo modo di agire, ma si comportavano in modo accorto, e fraudolentemente seminavano calunnie, facevano di continuo presente ai giovani che la loro audacia contro il padre avrebbe condotto alla violenza.
Libro XVI:70 Il fatto che essi non provavano alcuna vergogna per le mancanze della loro madre, e ritenevano che lei avesse sofferto ingiustamente, indicava che essi non potevano essere lontani dal vendicarsi, con le proprie mani, contro colui che credevano colpevole.
Libro XVI:71 In fine tutta la città fu piena di tali discorsi e - come avviene in contese del genere - da una parte si compativa l'inesperienza dei giovani, dall'altra i piani di accusa intessuti da Salome prevalsero e nelle loro stesse azioni, lei trovò un'opportunità per evitare di parlare falsamente a proposito di loro.
Libro XVI:72 Essi erano talmente tristi per la morte della loro madre che, allorché Salome parlò male di lei e di loro, fecero ogni sforzo per mostrare quanto fosse degna di compassione la fine violenta della loro madre, come di
fatto lo era, e quanto degni di compassione fossero loro stessi, costretti a vivere con gli assassini di lei e sperimentare lo stesso destino.
Libro XVI:73 - 2. Questa situazione si inasprì perché l'assenza del re fu occasione di [ulteriore] discordia. Allorché Erode fece ritorno e si rivolse al popolo, come abbiamo detto sopra, fu subito avvicinato da Ferora e da Salome con la notizia che lo sovrastava un grande pericolo da parte dei giovani, che apertamente lo minacciavano affermando che non avrebbero lasciato impunito l'assassino della loro madre.
Libro XVI:74 Ed essi aggiunsero che i giovani fondavano le loro speranze su Archelao, re della Cappadocia, con l'aiuto del quale potevano raggiungere Cesare e accusare il padre.
Libro XVI:75 Udite queste cose, Erode rimase subito sconvolto, e più ancora accrebbe la sua agitazione allorché udì le stesse cose riferite da altri; e da questa sfortuna il suo pensiero corse a quelle avute in precedenza, riflettendo come anche dalle persone a lui più care non gli era giunto alcun conforto, neppure dall'amata moglie, a motivo delle noie venute sulla sua famiglia. E credendo che l'imminente sfortuna avrebbe avuto effetto più pesante e più grave di quella che gli era già piombata addosso, restava in uno stato mentale confuso.
Libro XVI:76 Poiché, a dire la verità, una potenza divina gli aveva dato, negli affari esterni, molti esempi di buona fortuna, anche più grandi di quanto sperava, in casa sua, invece, contro ogni aspettativa, gli andava pressoché tutto al peggio, da ambo le parti ogni cosa avveniva diversamente da quanto altri avrebbero pensato, lasciando il dubbio
Libro XVI:77 se tanta felicità al di fuori fosse da scontare con le disgrazie domestiche, o se a tante tragedie in casa si dovesse sfuggire, a condizione di non possedere la invidiata potenza del re.
Ulteriori sfortune di Erode
Libro XVI:78 - 3. Mentre il suo animo era infelicemente sconvolto e attento a tenere a freno i giovani, fece venire presso di sé l'altro figlio natogli quando egli [Erode] era un semplice cittadino e decise di onorarlo, il suo nome era Antipatro, non per esserne vittima come avverrà di lì a poco allorché gli mise in mano ogni cosa,
Libro XVI:79 ma semplicemente pensando di umiliare l'arroganza dei figli di Mariamme e ammonirli più severamente servendosi di lui.
Libro XVI:80 Poiché pensava che la loro temerarietà sarebbe cessata quando vedessero che non soltanto a loro e non per necessità spettava il regno.
Libro XVI:81 Introdusse, perciò, Antipatro come per mettere al loro fianco un uguale, credendo con ciò di operare saggiamente e di potere di lì in poi calmare i giovani; e sarebbe stato possibile, al tempo giusto, trovarli in una condizione migliore per trattare. Ma la cosa non andò così come aveva pensato, perché i giovani ritennero trattarsi di un affronto fatto a loro, e anche perché Antipatro, dal carattere molto forte, assunse un'audacia che prima, quando non aveva alcuna speranza, non possedeva, e aveva solo la mira di maltrattare i propri fratelli e non cedeva loro il primo posto, ma stava sempre di fianco al padre già inasprito dalle calunnie e disposto a lasciarsi menare dove Antipatro voleva, a renderlo continuamente più duro verso i giovani, che già erano stati vittime di calunnie.
Libro XVI:82 Queste non venivano soltanto da Antipatro, poiché questi curava di non apparire maldicente e si serviva di collaboratori che passavano come persone non sospette e all'apparenza agivano con lealtà verso il re.
Libro XVI:83 E intanto c'erano molte altre persone del genere che corteggiavano Antipatro per le sue aspettative e trascinavano Erode con l'apparenza di fare tali rapporti per lealtà verso di lui. Mentre questi altri facevano lealmente la loro parte, i giovani fornivano loro sempre nuove e numerose opportunità di proseguire.
Libro XVI:84 Spesso versavano lacrime sul triste trattamento e sul disonore a cui erano sottoposti, invocavano il nome della loro madre e apertamente, davanti agli amici, cercavano di convincerli dell'ingiustizia del loro padre. Tutte queste cose erano maliziosamente annotate per i loro scopi, per Antipatro e i suoi amici, e riferite a Erode in una forma esagerata; giunse così il tempo di accrescere la sedizione domestica perché non erano cose di poco conto.
Libro XVI:85 Il re irritato da queste calunnie, e volendo umiliare i figli di Mariamme, parve concedere continuamente maggiore onore ad Antipatro. In fine fu così fortemente dominato da lui tanto da introdurre sua madre nella famiglia. Spesso scrisse anche a Cesare su di lui e, in privato, lo raccomandò con grande calore.
Libro XVI:86 E quando Agrippa se ne tornò a Roma dopo avere governato l'Asia per dieci anni, Erode navigò dalla Giudea per raggiungerlo portando seco soltanto Antipatro e l'affidò ad Agrippa affinché lo conducesse a Roma, scortato da molti regali, e lo facesse entrare nella cerchia degli amici di Cesare. Così parve che adesso tutta l'autorità fosse nelle sue mani, e i giovani restassero totalmente esclusi dal potere.
Intrighi di Antipatro a Roma
Libro XVI:87 - IV, I. - Mentre Antipatro era lontano, avanzava in onore e nella sua posizione di preminenza, a Roma, infatti, era molto noto, Erode aveva scritto su di lui a tutti i suoi amici.
Libro XVI:88 Ma gli pesava non trovarsi in famiglia con le continue opportunità di gravare di calunnie i fratelli, ma assai più temeva che il padre potesse cambiare idea a suo riguardo e, lasciato solo, potesse trovare qualche motivo per sentimenti più teneri verso i figli di Mariamme.
Libro XVI:89 Riflettendo su tali pensieri, non abbandonò il suo proposito ma, sperando di angosciare il padre e mantenere alta la sua collera verso i fratelli, gli scriveva continuamente, con il pretesto della premura per la sua salute, ma in realtà per fomentare con la propria naturale malizia le grandi speranze che nutriva.
Libro XVI:90 E condusse Erode a tanta collera e ostilità contro i giovani, che gli erano diventati odiosi, tuttavia esitava ancora a cedere completamente a un sentimento così forte.
Erode ricorre all'imperatore
E affinché avversione e negligenza non lo inducessero in qualche errore, credette meglio recarsi a Roma e quivi accusare i figli davanti a Cesare, piuttosto che autorizzarsi a compiere un'azione che poteva venire guardata con sospetto in quanto ledeva grandemente la lealtà di una famiglia.
Libro XVI:91 Giunto a Roma, avendo premura di incontrare Cesare, si affrettò a proseguire verso Aquileia. Avuta occasione di parlare con lui, gli domandò di concedergli l'opportunità di esporgli le grandi disavventure a cui gli pareva sottostare; e dopo avergli presentato i figli, li accusò di insolenza e cospirazione;
Libro XVI:92 spiegò quanto gli fossero ostili e come escogitassero ogni mezzo per fare vedere il loro odio verso il proprio padre al punto (di fare piani) di ammazzarlo e impadronirsi del trono nella maniera più barbara, sebbene egli avesse avuto da Cesare l'autorità di lasciare il trono, alla sua morte, non in modo obbligatorio, ma liberamente a quello che a suo giudizio era il più degno.
Libro XVI:93 Costoro non bramavano soprattutto il regno, ma solo l'uccisione del padre, incuranti di perdere e il regno e la vita, tanto era implacabile l'odio che bruciava nel loro petto. Questo stato infelice, egli lo aveva tollerato a lungo, ora si trovava costretto a renderlo noto a Cesare, imbrattandogli le orecchie con simili discorsi.
Libro XVI:94 Eppure che male avevano sofferto da lui? In che modo lo possono rimproverare di troppa severità? Come può essere possibile e giusto che egli, padrone di un regno conquistato con molti sacrifici e pericoli non possa o possederlo o lasciarlo a uno che ne sia degno?
Libro XVI:95 Giacché è soprattutto questo il premio, tra gli altri, che offrirà per la devozione che il figlio dimostrerà a suo padre per meritare una ricompensa così grande.
Libro XVI:96 E’ chiaro che non è rispettoso da parte loro disporre liberamente di questo argomento, poiché bramare di continuo diventare re, equivale a pensare sempre alla morte del padre, poiché non è possibile che gli succeda in maniera diversa.
Libro XVI:97 Quanto a sé, fino al presente, non ha mancato di dare loro doni convenienti a sudditi e figli di un re, sia per ornamento, sia per servizio, sia per lusso; perciò li ha sistemati con matrimoni assai brillanti: a un figlio aveva dato la figlia di sua sorella, e ad Alessandro la figlia di re Archelao.
Libro XVI:98 E ancora, quel che è più, dopo tali attentati, senza fare uso a loro danno di quell'autorità che aveva, li ha condotti davanti a Cesare, loro comune benefattore, rinunziando a tutti i diritti che poteva pretendere un padre offeso o un re insidiato, mettendoli in mano a un giudice neutrale.
Libro XVI:99 Pertanto pregava di non essere lasciato del tutto invendicato, né essere obbligato a una vita sempre tra i pericoli, poiché neppure ai suoi figli, dopo tali disegni, sarebbe stato utile vedere la luce del sole qualora adesso fossero sfuggiti al castigo, dato che, in verità, avevano commesso il crimine più grave conosciuto dall'umanità e ne avrebbero subito le conseguenze.
Libro XVI:100 - 2. Mentre Erode, con profonda emozione, esponeva queste accuse contro i suoi figli di fronte a Cesare, i giovani erano in lacrime e pieni di confusione; furono ancor più agitati allorché Erode finì di parlare, quantunque fossero convinti di essere innocenti di simile empietà filiale,
Libro XVI:101 tuttavia sapevano che per essi sarebbe stato difficile, come fu poi in realtà, difendersi contro le calunnie addotte dal loro padre, poiché non era il momento opportuno di parlare francamente se volevano convincerlo di essere in errore nel suo abituale e affrettato uso della forza.
Libro XVI:102 Così, incapaci di decidere su che cosa dire, versarono lacrime e proruppero in dolorosi sospiri; da una parte temevano che, restando in silenzio, potevano apparire abbattuti per la cattiva coscienza, dall'altra non si offriva loro una via agevole di difesa, sia per l'inesperienza dell'età sia per il turbamento nel quale si trovavano.
Libro XVI:103 Cesare però, vedendo il loro stato di confusione, non mancò di comprendere come la loro esitazione non fosse dovuta alla coscienza di avere commesso crimini mostruosi, bensì alla loro inesperienza e diffidenza. Essi erano così oggetto di pietà per gli astanti, ma anche il loro padre fu toccato da una genuina emozione.
Libro XVI:104 - 3. Allorché ebbero coscienza di un certo grado di gentilezza sia in lui sia in Cesare e videro che tra gli astanti vi era chi piangeva con essi dimostrando compassione per loro, i giovani cercarono di dissipare le accuse. Alessandro iniziò rivolgendosi a suo padre.
Libro XVI:105 - Disse: “Padre, la tua benevolenza per noi è evidente anche in questo tribunale. Poiché se tu avessi in animo di intraprendere un'azione severa contro di noi, non ci avresti condotti qui davanti al salvatore di tutti.
Libro XVI:106 Poiché, avendo tu l'autorità di un re, e l'autorità di un padre, tu potevi punire il colpevole; ma avendoci portati a Roma e facendo Cesare da testimone, hai compiuto un atto che indica che ci vuoi salvare: chi intende uccidere un altro non lo porta a un santuario o a un tempio.
Libro XVI:107 E la nostra situazione è ancora peggiore, poiché non potevamo seguitare a vivere, quando si fosse creduto che noi avevamo offeso un cotal padre; forse, anziché morire innocenti, sarebbe stato peggio vivere sotto il sospetto di essere colpevoli.
Libro XVI:108 Perciò se il nostro parlare franco sarà accolto come veritiero saremo felici perché avremo persuaso te, e noi saremo sfuggiti al pericolo; ma se prevale la calunnia, la luce del sole di oggi è più di quanto possiamo desiderare; in verità che giova vivere, quando si è sotto il sospetto?
Libro XVI:109 Ora, affermare che essi aspirano al regno, è una accusa plausibile, addotta contro dei giovani, ma aggiungere l'accusa riguardante la nostra infelice madre, è sufficiente per fare della nostra sfortuna presente un prolungamento della prima.
Libro XVI:110 Considera tuttavia se queste [accuse] non sono ordinarie e tali che si possono addurre ugualmente contro tutti i giovani. Infatti, se un re ha dei figli la cui madre è stata uccisa, nulla lo può trattenere dal sospettare che essi complottino contro il loro padre. Ma il sospetto non basta per provare una così grave empietà.
Libro XVI:111 Dica chiaramente se noi abbiamo mai tentato di compiere una tale cosa da rendere credibile un'azione che comunemente è considerata incredibile. Chi può provare che noi abbiamo preparato il veleno o congiurato con i nostri coetanei o con servi corrotti o lettere scritte contro di te?
Libro XVI:112 Eppure la calunnia a volte suole inventare queste cose, anche se non commesse. Poiché è una cosa terribile per il regno, quando la famiglia [reale] è in discordia; e il trono che tu hai detto essere premio della pietà filiale, spesso avviene che sia invece un incentivo per persone malvage che ne fanno oggetto delle loro speranze e non hanno alcun freno in azioni perverse.
Libro XVI:113 Or dunque, nessuno proverà infrazioni dalla nostra parte. Quanto alle calunnie, come potranno dissiparsi se egli non vuole neppure ascoltarci? Abbiamo parlato con eccessiva franchezza? Non fu di certo contro di te, sarebbe stato ingiusto, ma contro coloro che non sanno tacere, anche quando non c'è nulla da dire.
Libro XVI:114 Qualcuno di noi pianse nostra madre? (Se così è) non fu perché fu messa a morte, ma perché anche dopo morta il suo nome fu vilipeso da persone indegne. Agognamo il trono, che sappiamo è posseduto da nostro padre? Se abbiamo onori regali, come veramente abbiamo, mostriamo - forse - uno zelo fuori posto [desiderandoli]? Se non li abbiamo, non li dobbiamo sperare?
Libro XVI:115 Ci aspettavamo di ottenere il trono uccidendoti se dopo un tale misfatto, la terra non ci avrebbe retto, il mare non ci avrebbe concesso di navigarlo? La pietà dei tuoi sudditi e il sentimento religioso dell'intera nazione avrebbe sopportato che dei parricidi diventassero capi dello Stato ed entrassero nel tempio sacro eretto da te?
Libro XVI:116 E supponendo che avessimo preso alla leggera anche altri misfatti, può forse un assassino sfuggire per tanto tempo al castigo, quando Cesare è vivo? I figli che hai generato non sono così empi, né così stolti, ma forse più sventurati di quanto ti conviene.
Libro XVI:117 Dunque, se tu non hai nulla da opporci, né in noi trovi insidie contro di te, qual ragione ti muove a crederci in uno stato di così grave empietà? La nostra madre fu uccisa. Il suo destino, sicuramente, fu per noi piuttosto una lezione che una occasione di collera.
Libro XVI:118 Avremmo altre cose da dire a nostra difesa: ma per delitti non commessi, sono superflue. Pertanto, adesso in presenza di Cesare, signore di tutti e nostro mediatore, in questo momento proponiamo questo accordo.
Libro XVI:119 Se tu, padre, ritornerai a una attitudine veramente libera da sospetti nei nostri riguardi, noi vivremo, sebbene non in una maniera felice, perché l'accusa di gravi crimini è una cosa terribile, anche quando è falsa.
Libro XVI:120 Se ti rimane ancora qualche timore da parte tua, continua a essere irreprensibile, noi sapremo punirci da soli, poiché per noi la vita non è così preziosa da desiderare di godercela con danno di chi ce la diede”.
Conclusione del processo
Libro XVI:121 - 4. Mentre Alessandro parlava in questo modo, Cesare che anche prima non aveva prestato fede alla grave accusa, fu mosso ancora più dalla parte dei giovani e teneva di continuo gli occhi fermi su Erode, che pure si trovava parzialmente confuso. Anche gli astanti erano avvinti da grande apprensione perché le voci sparse per la corte rendevano il re odioso.
Libro XVI:122 Infatti le incredibili accuse e la compassione che ispiravano i giovani nel fiore della virilità e nell'avvenenza corporea attraevano la simpatia di ogni padre; tanto più che Alessandro aveva risposto alle parole (di suo padre)
con destrezza e prudenza. Neppure i giovani ora avevano la stessa aria di prima, seppure piangevano e avevano lo sguardo mesto rivolto a terra,
Libro XVI:123 la situazione parve più promettente e lo stesso re scorgeva che gli argomenti da lui prodotti li accusavano ingiustamente, e si trovò in condizione di doversi difendere, in quanto incapace di provare qualcuna delle accuse addotte contro di loro.
Libro XVI:124 Dopo una breve pausa, Cesare disse ai giovani che l'accusa prodotta contro di loro risultava chiarificato, ciononostante almeno un errore l'avevano commesso, cioè verso il loro padre non si erano comportati in modo tale da eliminare il motivo di queste chiacchiere.
Libro XVI:125 Esortò Erode a mettere da parte tutti i sospetti, e riconciliarsi con i suoi figli: poiché, aggiunse, non era giusto che egli prestasse fede a tali calunnie contro i suoi discendenti; e, continuò, un tale cambiamento di cuore non solo può guarire il male fatto da ambo le parti, ma anche stimolare la loro reciproca benevolenza e riparare i precipitosi sospetti e risolvere dimostrando una maggiore comprensione reciproca.
Libro XVI:126 Dopo avere dato questo avvertimento, fece un cenno ai giovani, ma, mentre essi erano in procinto di gettarsi ai piedi del loro padre supplichevoli e piangenti, egli li prevenne con un braccio e li abbracciò l'uno dopo l'altro, tanto che nessuno dei presenti, libero o servo, rimase insensibile.
Il viaggio di ritorno
Libro XVI:127 - 5. Essi, dunque, espressero a Cesare la loro gratitudine e partirono insieme. Con loro andò anche Antipatro il quale fingeva di essere lieto della loro riconciliazione.
Libro XVI:128 Nei giorni seguenti Erode donò trecento talenti a Cesare, che proprio allora offriva spettacoli e donazioni al popolo di Roma e Cesare gli cedette la metà delle rendite che traeva dalle miniere di bronzo di Cipro e gli affidò la gestione dell'altra metà; inoltre l'onorò con l'ospitalità e l'alloggio.
Libro XVI:129 E rimise al suo arbitrio la designazione del successore nel suo regno: (designasse) il figlio a lui più gradito oppure ne lasciasse una parte a ognuno affinché a ciascuno andasse parte dell'onore. E sebbene Erode volesse
fare questo subito, Cesare si rifiutò di permettere che cedesse il controllo sia del regno sia dei suoi figli vita natural durante.
Libro XVI:130 - 6. Sistemate queste cose, Erode ritornò in Giudea. Ora, mentre lui era fuori, il popolo della Traconitide - una non trascurabile parte del suo regno - si ribellò; ma i generali da lui lasciati la conquistarono e la costrinsero a sottomettersi nuovamente.
Libro XVI:131 E così Erode navigò con i suoi figli e andò a Eleusa nella Cilicia che oggi, con il cambiamento di nome, si chiama Sebaste; quivi incontrò Archelao, re della Cappadocia, che lo accolse cortesemente ed era lieto che egli si fosse riconciliato con i suoi figli e che Alessandro, il quale ne aveva sposato la figlia, fosse stato assolto da ogni accusa; e si scambiarono doni, come sono soliti fare i re.
Libro XVI:132 Di qui Erode si recò nella Giudea, e quando giunse nel tempio tenne un discorso in merito alle cose che aveva compiuto durante la permanenza all'estero: parlò della gentilezza di Cesare verso di lui e di varie altre cose che aveva fatto e alla cui conoscenza riteneva fossero interessati gli altri.
Libro XVI:133 Sulla fine rivolse parole ammonitrici ai suoi figli, esortò i cortigiani e il resto del popolo alla concordia e designò i figli che gli sarebbero succeduti nel regno: prima Antipatro e dopo di lui i figli avuti da Mariamme, Alessandro e Aristobulo.
Libro XVI:134 Intanto si aspettava che tutti tenessero gli occhi rivolti a lui come re e signore assoluto di tutti, perché, diceva, che non era impedito dalla vecchiaia ed anzi aveva giusto l'età in cui uno è dotato di maggiore esperienza per regnare, e non è privo di altre doti dalle quali si trae vigore per governare un regno e tenere soggetti i figli. Ai suoi ufficiali e soldati disse che guardando soltanto a lui, passeranno giorni tranquilli, e concorreranno a una perfetta e reciproca felicità.
Libro XVI:135 Così dicendo licenziò l'adunanza, dopo avere detto quanto era gradito alla maggioranza, non però ad alcuni. Giacché l'emulazione e le speranze da lui accese nel cuore dei figli, avevano già stravolto molte cose, e quelli che speravano un cambiamento ... .
L'inaugurazione di Cesarea
Libro XVI:136 - V, I. Intanto in questo periodo fu terminata la costruzione di Cesarea Sebaste voluta da Erode. L'intera costruzione ebbe termine nel decimo anno, essendo stato prolungato il periodo pattuito fino all'anno ventottesimo del suo regno che cadeva nell'Olimpiade centonovantesimaseconda.
Libro XVI:137 E così ebbe inizio una festa molto grande per la sua dedicazione e sontuose apparecchiatura. Aveva annunziato competizioni di musica e di esercizi atletici, aveva preparato un gran numero di gladiatori e di fiere, di cavalli da corsa e quanto di più magnifico si può vedere a Roma e in varie altre località.
Libro XVI:138 Queste competizioni erano dedicate a Cesare, e si dovevano celebrare ogni cinque anni. E Cesare aggiunse lustro al suo amore per la munificenza e provvide a sue spese a tutto l'apprestamento necessario per le gare.
Libro XVI:139 Anche Giulia, moglie di Cesare da Roma mandò molti dei suoi preziosissimi tesori, sicché l'intera somma raggiunse una cifra non inferiore a cinquecento talenti.
Libro XVI:140 Nella città accorse pertanto un grande numero di forestieri per amore dello spettacolo, con le ambasciate giunte da diverse nazioni, per le facilitazioni che erano state accordate: Erode, infatti, li accolse tutti e offrì loro alloggio, vitto e divertimenti continui. Durante il giorno la festa offriva la distrazione degli spettacoli, durante la notte essi provvidero divertimenti che costarono grandi somme di denaro, e così resero famosa la sua generosità;
Libro XVI:141 poiché in ogni cosa che intraprendeva, la sua ambizione sorpassava quanto aveva fatto prima. E correva voce che lo stesso Cesare e Agrippa più volte dicessero che la grandezza del regno di Erode non uguagliava la sua magnanimità, poiché egli avrebbe meritato di essere re di tutta la Siria e dell'Egitto.
Costruzione di nuove città
Libro XVI:142 - 2. Dopo queste celebrazioni e festività, Erode eresse un'altra città nella piana detta di Cafarsaba, ove scelse un sito provvisto di acqua e una regione eccellente per piantagioni. C'era anche un fiume che scorreva attorno alla città, e il boschetto che la circondava era assai grazioso per la grandezza delle sue piante.
Libro XVI:143 Alla città diede nome Antipatre dal nome di suo padre Antipatro. E al di sopra di Gerico edificò un luogo notevole per la sua sicurezza e amenissimo come abitazione; e, dal nome della madre, lo chiamò Cipro.
Libro XVI:144 Per l'affetto che aveva verso suo fratello Fasaele, gli dedicò un monumento molto bello, erigendo nella stessa città una torre non inferiore al Faro e la chiamò Fasaele. Questa costituiva sia una parte della difesa della città, sia un memoriale per il morto, perciò fu chiamata col suo nome.
Libro XVI:145 Edificò anche una città con lo stesso nome, nella valle di Gerico, a settentrione; e la regione circostante, prima deserta, divenne perciò produttiva per la diligente industriosità degli abitanti: chiamò questa città Fasaele.
Attività edilizia fuori dal suo regno
Libro XVI:146 - 3. Sarebbe impossibile menzionare tutti i suoi altri benefici, come, ad esempio, quelli compiuti per città della Siria, della Grecia e in tutte le regioni che ebbe la ventura di visitare. E infatti, si pensa che abbia contribuito a molti servizi civili, a molte costruzioni pubbliche e abbia sovvenzionato il completamente di opere già iniziate e rimaste in seguito senza sovvenzione.
Libro XVI:147 Ma le più grandi e le più illustri delle sue imprese sono le seguenti. Per il popolo di Rodi eresse il tempio della Pizia a sue spese, e provvide anche molti talenti d'argento per la fabbricazione delle navi. Per il popolo di Nicopoli, fondata da Cesare nelle vicinanze di Azio, prestò il suo aiuto per la costruzione della maggior parte degli edifici pubblici.
Libro XVI:148 In quanto ad Antiochia, la più grande città della Siria che era tagliata da una strada per tutta la sua lunghezza, egli l'ornò con colonnati da ambo le parti, lastricò la parte scoperta della strada con pietre levigate, contribuendo così grandemente al lustro della città e al bene dei cittadini.
Libro XVI:149 Quanto ai giochi olimpici, che per scarsità di denaro erano caduti in uno stato molto al di sotto della reputazione di una volta, egli li riportò a nuovo lustro con le rendite annue che assegnò loro e diede alla festa maggiore dignità per quanto riguarda i sacrifici e altre cerimonie. Dalla sua munificenza in questa materia derivò che dal popolo di Elis il suo nome fu posto come presidente perpetuo delle competizioni.
Aspetti della personalità di Erode
Libro XVI:150 - 4. Avvenne che altri si stupirono davanti alla incoerenza delle tendenze naturali di Erode. Infatti, considerando, da una parte, il suo largheggiare e beneficare tutti gli uomini, anche coloro che avevano per lui ben poca simpatia, pareva impossibile che non riconoscesse di avere una natura molto benefica.
Libro XVI:151 Ma, d'altra parte, se si considerano i supplizi e le soperchieria con cui maltrattò i sudditi e le persone a lui più vicine, e quando si osserva quanto era rude e inesorabile il suo carattere, non si può fare a meno di crederlo uomo bestiale e privo di ogni senso di moderazione.
Libro XVI:152 Per questa ragione pensano che in lui ci fossero tendenze divergenti e contrastanti. Io però non penso così; credo che ambedue queste tendenze avevano la stessa causa.
Libro XVI:153 Poiché Erode amava gli onori, ed era fortemente dominato da tale passione ogni volta che gli si offriva qualche speranza di una futura rimembranza da parte dei posteri o di una considerazione da parte dei presenti, si mostrava generoso;
Libro XVI:154 ma allorché era impegnato in spese superiori ai suoi mezzi, si vedeva costretto a essere aspro esattore di quanto gli era dovuto da parte dei sudditi, per la grande quantità di cose nelle quali prodigava il denaro come in regali, e diventava causa di mali per coloro ai quali lo sottraeva;
Libro XVI:155 e benché fosse consapevole dell'odio che gli portavano a motivo dei torti fatti ai sudditi decise che non sarebbe stato facile correggere il suo cattivo comportamento - non ne avrebbe ricavato alcuna utilità per i suoi interessi - e così il malanimo degli altri lo volgeva a suo vantaggio.
Libro XVI:156 In realtà, se qualcuno del suo popolo non era ossequioso verso di lui e, parlando, non si professava suo servo, se giudicava che gli ponessero domande sul suo modo di governare, Erode non era capace di controllarsi, poneva sotto inchiesta i suoi congiunti e ugualmente i suoi amici e li puniva severamente come nemici. Compiva questi eccessi perché voleva onori e stima solo per se stesso.
Libro XVI:157 Per evidenziare che questa era la più grande delle sue passioni, posso indicare quanto faceva in onore di Cesare, di Agrippa e degli altri suoi amici: poiché le stesse attenzioni che prestava ai suoi superiori, aspettava che fossero rese a lui dai suoi sudditi, e con il regalo più eccellente che egli poteva offrire a un altro, mostrava il desiderio di ottenerne uno simile per sé.
Libro XVI:158 Ma la nazione giudaica è, per legge, contraria a tali cose, ed è abituata ad ammirare più la giustizia che la gloria. Perciò non era nelle sue grazie, perché trovava impossibile adulare l'ambizione del re con statue, templi ed emblemi del genere.
Libro XVI:159 E mi pare che questa sia stata la ragione del cattivo comportamento di Erode verso il suo popolo, i suoi consiglieri e della beneficienza fatta agli stranieri e a quanti non avevano relazione con lui.
Giudei dell'Asia e di Cirene e decreti delle
autorità romane
Libro XVI:160 - VI, I. - Intanto i Giudei dell'Asia e quelli che si trovavano nella Libia Cirenaica erano molestati dai popoli di quelle città, sebbene, prima, i re avessero garantito loro l'uguaglianza di statuti civici (isonomia); in questo particolare momento i Greci li molestavano al punto da portar via loro le monete sacre e ingiuriandoli nei loro rapporti privati.
Libro XVI:161 Essendo dunque maltrattati e vedendo che la scortesia dei Greci non aveva limiti, inviarono ambasciate a Cesare su questo stato di cose; ed egli garantì loro la stessa tassazione di prima, e scrisse lettere ai governatori delle quali noi alleghiamo una copia per testimoniare la [benevola] disposizione che ebbero verso di noi i potenti.
Libro XVI:162 - 2. “Cesare Augusto, Pontefice Massimo, con il potere tribu-nizio, decreta quanto segue. Siccome la nazione giudaica è stata trovata ben disposta verso il popolo romano, non solo al presente, ma anche nel passato, e specialmente al tempo di mio padre, l'imperatore Cesare, e il loro sommo sacerdote Ircano,
Libro XVI:163 da me con il mio consiglio fu deciso con giuramento, e con l'assenso del popolo romano, che i Giudei possono seguire le loro usanze conforme alla legge dei loro padri, come le seguivano al tempo di Ircano, sommo sacerdote del Dio Altissimo, e che le loro monete sacre siano inviolabili e possano
essere inviate a Gerusalemme e consegnate al tesoro in Gerusalemme, e che essi non possono essere vincolati (ad apparire in giudizio) nel giorno di Sabbato o nel giorno in preparazione ad esso dopo l'ora nona;
Libro XVI:164 se qualcuno sottrae i loro libri sacri o le loro sacre monete da una sinagoga oppure un'arca (della Legge), sia considerato sacrilego e la sua proprietà sia incorporata all'erario pubblico dei Romani.
Libro XVI:165 Quanto alla risoluzione che mi fu presentata da loro in mio onore per quella pietà che io manifesto verso tutti gli uomini col favore di Gaio Marcio Censorino, ordino che esso e il presente editto sia posto nella (parte) più visibile (del tempio) assegnato a me dalla federazione dell'Asia ad Ancira. Chiunque violerà qualcuna delle sopra dette ordinanze, sia severamente punito”. Questo fu iscritto su di una colonna nel tempio di Cesare.
Libro XVI:166 - 3. “Cesare a Norbano Flacco, salute. I Giudei, per numerosi che siano, per antica consuetudine sogliono inviare monete sacre a Gerusalemme: facciano questo senza ostacolo”. Questi erano gli editti di Cesare.
Libro XVI:167 - 4. Lo stesso Agrippa scrisse, nel modo seguente, in favore dei Giudei: “Agrippa ai magistrati, al consiglio e al popolo di Efeso, salute. E’ mio volere che la cura e la custodia delle monete sacre appartenenti alla partita del tempio di Gerusalemme sia data ai Giudei dell’Asia conforme alle loro antiche consuetudine.
Libro XVI:168 E che se qualcuno ruba le monete sacre dei Giudei e si rifugia in luoghi di asilo, voglio che sia tolto con la forza e restituito ai Giudei conforme alla stessa legge secondo la quale i sacrileghi sono strappati dall'asilo. Ho scritto pure al pretore Silano affinché nessun Giudeo sia obbligato (ad apparire in giudizio) di Sabbato”.
Libro XVI:169 - 5. “Marcio Agrippa ai magistrati, al consiglio e al popolo di Cirene, salute. I Giudei di Cirene in favore dei quali Augusto ha scritto al pretore della Libia, che allora era Flavio, e agli altri ufficiali della provincia, affinché le monete sacre possano essere inviate a Gerusalemme senza interferenze, conforme alla loro antica consuetudine;
Libro XVI:170 ora si dolsero con me di essere maltrattati da certe spie che impedivano loro (di inviare queste monete) col pretesto dei loro tributi, in realtà non dovuti. Perciò ordino che tali monete siano restituite ai Giudei, che essi non siano in alcun modo molestati, e che se in qualche città furono spogliati di sacre
monete, le persone incaricate di questo genere di affari, vedrà di fare ammenda a quei Giudei”.
Libro XVI:171 - 6. “Gaio Norbano Flacco, proconsole, ai magistrati e al consiglio di Sardi, salute. Mi ha scritto Cesare, ordinandomi che i Giudei non devono essere impediti di raccogliere somme di denaro, per quanto grandi possano essere, conforme alla loro consuetudine, e di inviarle a Gerusalemme. Perciò vi ho scritto affinché sappiate che Cesare ed io vogliamo che sia fatto così”.
Libro XVI:172 - 7. Non diversamente scrisse il proconsole Giulio Antonio. “Ai magistrati, al consiglio e al popolo di Efeso, salute. Allorché io amministravo la giustizia in Efeso, il tredici di febbraio, i Giudei abitanti in Asia mi informarono che Cesare Augusto e Agrippa permisero loro di seguire le loro leggi e consuetudini; e di portare le offerte, che ognuno di loro fa di spontanea volontà per devozione verso la Divinità, viaggiando insieme, sotto scorta, senza impedimenti di alcun genere.
Libro XVI:173 E mi domandarono di confermare con una mia decisione i diritti concessi da Augusto e da Agrippa. Desidero dunque che sappiate che in accordo con la volontà di Augusto e di Agrippa, io concedo loro che possano vivere e agire conforme alle loro antiche consuetudini, senza alcun impedimento”.
Conclusioni
Libro XVI:174 - 8. Era necessario ch'io riportassi questi decreti, perché il racconto della nostra storia è principalmente rivolto ai Greci per mostrare loro quanto, nei tempi andati, fummo trattati con ogni rispetto e dai nostri sovrani non eravamo ostacolati nella pratica delle nostre antiche usanze, al contrario abbiamo avuto la loro cooperazione per preservare la nostra religione e il nostro modo di onorare Dio.
Libro XVI:175 E se io spesso riferisco questi decreti, è per riconciliare a noi le altre nazioni e per rimuovere le motivazioni di odio che hanno messo radice in persone sconsiderate sia tra noi che tra loro.
Libro XVI:176 Poiché non vi è popolo che abbia sempre seguito le stesse usanze, anzi capita che da una città all'altra vi siano moltissime differenze.
Libro XVI:177 Ma a tutti gli uomini, Greci e barbari, giova la pratica della giustizia, sulla quale sono molto impegnate le nostre leggi: se le osserviamo lealmente, esse ci rendono ben disposti e favorevoli verso tutti gli uomini.
Libro XVI:178 Noi abbiamo perciò il diritto di attendere da loro la stessa attitudine, perché facciano consistere la differenza del merito non nella diversità delle usanze, ma nella corretta attitudine verso la bontà. Questa, infatti, è sufficiente a tutti gli uomini ed è la sola che metta la società in grado di sopportarci. Ma ora debbo riprendere il corso della mia narrazione.
Erode e la profanazione della tomba
di Davide
Libro XVI:179 - VII, I. - Erode, dunque, dopo le molteplici spese che sostenne sia dentro che fuori del regno, saputo che Ircano, uno dei re che l'avevano preceduto, aveva aperto il sepolcro di Davide e preso tremila talenti d'argento e che ve n'era ancora una notevole quantità, bastante per pagare tutti i suoi prodighi regali, per parecchio tempo meditò di mettere le mani su di esso.
Libro XVI:180 Così, una notte, aprì il sepolcro e vi entrò dentro: prese le precauzioni di non essere visto da alcuno della città, portando (con sé) esclusivamente i suoi amici più fidati.
Libro XVI:181 Tuttavia a differenza di Ircano non trovò monete, ma solo una dovizia di oro e depositi preziosi, e portò via tutto. Era intento a farne una ricerca più accurata giungendo fino a rompere e aprire le casse nelle quali si trovavano i corpi di Davide e di Salomone.
Libro XVI:182 Si dice però che due persone della guardia del corpo, nell’entrare, furono consumate da una fiamma e lo stesso re ne fu atterrito; e come espiazione per il suo terrore, innalzò all'ingresso (del sepolcro) un monumento di marmo bianco, con una grande spesa.
Libro XVI:183 Questa costruzione è menzionata anche dal suo contemporaneo, lo storico Nicola, ma non afferma che era entrato (nel sepolcro) anche il re, essendo questa un'azione poco onorevole. Invece Nicola seguita a scrivere altre cose di lui.
Libro XVI:184 Vivendo lui nel regno di Erode ed essendo un suo alleato, scrisse per fargli piacere ed essergli utile, toccava solo quelle cose che tornavano a onor
suo, ovviamente trasformando le sue azioni ingiuste nell'opposto, o cancellandole con la più accurata attenzione.
Libro XVI:185 Così, ad esempio, quando volle dare un colorito di rispettabilità all'uccisione di Mariamme e dei suoi figli, che ebbero una morte così crudele ordinata dal re, Nicola adduce contro di lei false accuse di licenziosità e (accusa) di tradimento i figli di lei. In tutta l'opera insiste eccessivamente nel lodare le azioni giuste del re ed eccessivo zelo nel difendere le sue azioni malvage.
Libro XVI:186 Ma, come dissi, è degno di compatimento in quanto quella a cui lavorava non era una storia; la sua opera aveva lo scopo di aiutare il re.
Libro XVI:187 Noi, però, essendo una famiglia legata da vincoli stretti ai re discendenti dagli Asmonei, investiti del sacerdozio, oltre (che di altri) onori, abbiamo giudicato disdicevole dire, a loro riguardo, qualcosa di falso: per tale motivo riferiamo le loro azioni con sincerità e imparzialità. Perciò, pur avendo rispetto per molti dei suoi discendenti, tuttora regnanti, abbiamo onorato la verità più di loro e in qualche occasione - anche se fatto con discrezione provocò lo sdegno delle stesse persone.
Ulteriore peggioramento familiare di Erode
Libro XVI:188 - 2. Ora pareva che per l'onta compiuta alla tomba (di Davide) le faccende familiari di Erode andassero peggiorando, o fosse l'ira (di Dio) che causava tutti quei malanni, dei quali soffriva già per l'innanzi, peggiorandoli in mali incurabili, o fosse che il Destino, lo afferrò in un momento così corrispondente all'occasione da provocare nettamente il sospetto che queste disavventure fossero venute su di lui a motivo della sua empietà.
Libro XVI:189 Infatti il dissenso crebbe, nel palazzo, come una guerra civile, e l'odio tra le due parti si accese con calunnie.
Libro XVI:190 Antipatro stava sempre manovrando contro i suoi fratelli; era una persona abile nel tessere accuse contro di essi avvalendosi di fonti esterne e frequentemente coglieva l'occasione di difenderli affinché la sua apparente benevolenza lo mettesse al sicuro dagli attentati che egli stesso tramava. Movendosi per queste vie tortuose, aggirava il padre e lo convinse che lui solo faceva tutto il possibile per la sua salvezza.
Libro XVI:191 E così il re giunse a raccomandare ad Antipatro l'amicizia con Tolomeo che era il ministro reale delle finanze e si consultava con la madre di Antipatro per gli affari (di Stato) più rilevanti: queste persone avevano assoluta-mente la più completa libertà di fare ciò che volevano e di condurre il re a odiare quelli che erano esterni e ogni volta che giudicavano fosse a loro vantaggio.
Libro XVI:192 Intanto i figli di Mariamme si trovavano ogni giorno in una posizione sempre più difficile, e la nobiltà dei loro natali non poteva sopportare il disonore di essere messi da parte e di accettare un posto meno onorevole.
Libro XVI:193 Quanto alle donne, la moglie di Alessandro, Glafira, figlia di Archelao, incorse nell'odio di Salome sia per l'amore che ella portava a suo marito, sia per la eccessiva alterigia che dimostrava verso la figlia di lei, che era moglie di Aristobulo e mal sopportava l'uguaglianza di rango con lei.
Libro XVI:194 - 3. Quando sorse questa seconda contesa, Ferora, fratello del re, non era esente da intrighi, ma per proprio conto diede (al re) motivi di sospetto e di odio; si era, infatti, innamorato di una delle sue fantesche ed era vittima della sua passione per questa creatura e così, incantato da lei, disdegnava la figlia del re, che già gli era stata promessa, e volgeva i suoi pensieri unicamente alla fantesca.
Libro XVI:195 Erode si doleva di questo dispetto, vedendo che dopo i molti benefici fatti a suo fratello, e dopo avere diviso con lui l'autorità reale, constatava che per lui non aveva alcuna riconoscenza, gli pareva di avere scelto la persona sbagliata.
Libro XVI:196 Non ricevendo da Ferora un trattamento dignitoso, diede la fanciulla in matrimonio al figlio di Fasaele. Ma, passato qualche tempo, credendo che la passione del fratello avesse ormai raggiunto il massimo, Erode lo prese, lo ammonì per i suoi amoreggiamenti e gli chiese di prendere la sua seconda figlia, di nome Cipro.
Libro XVI:197 Tolomeo consigliò Ferora di finirla di disonorare suo fratello, di rinunziare al suo amore, perché, gli disse, era una cosa indegna perdere la testa per una fantesca e privarsi della benevolenza del re, dargli motivo di inquietudine e provare odio verso di lui.
Libro XVI:198 Ferora comprese che da questo cambiamento di attitudine avrebbe tratto vantaggio in quanto già altre volte era stato accusato e perdonato, perciò licenziò subito la donna sebbene avesse avuto da lei un bambino, e
promise al re che avrebbe sposato la sua seconda figlia, fissando le nozze dopo trenta giorni. In più fece il giuramento che non avrebbe più frequentato la donna ripudiata.
Libro XVI:199 Ma, passati i trenta giorni, era così schiavo della sua passione che non fu capace di mantenere alcuna delle sue promesse e riprese la relazione con la prima donna. Di fronte a questo modo di agire, Erode chiaramente fece conoscere il suo dolore e ne fu adirato;
Libro XVI:200 e di continuo gli uscivano di bocca parole di sdegno e dall'ira del re molti traevano motivo per calunniare Ferora. Non c'era giorno od ora in cui il re potesse stare tranquillo. Sorgevano sempre nuove contese angoscianti tra i suoi congiunti e gli amici più stretti.
Libro XVI:201 Così, Salome era acerbamente ostile ai figli di Mariamme, non permetteva neppure che sua figlia, moglie di Aristobulo – uno dei due giovani - vivesse in pace col marito, e non solo non gli mostrasse alcun segno di affetto femminile, ma la spingeva a riferirle qualunque cosa privatamente egli le dicesse; e ogni volta che c'era tra loro una qualche frizione, come a volte capita, lei seminava in sua figlia gravi sospetti.
Libro XVI:202 In tale maniera veniva a sapere ogni cosa che avveniva tra di loro e così condusse la figlia ad avere un contegno ostile verso il giovane.
Libro XVI:203 Ed essa, per fare piacere a sua madre, spesso confessava che quando erano soli, i giovani parlavano di Mariamme e detestavano il loro padre, che continuamente minacciavano che, qualora avessero il potere, dei figli di Erode avuti da altre mogli ne avrebbero fatto tanti scritturali nei villaggi, dicendo che ben si confaceva a tale posizione il loro stato presente e l'educazione ricevuta.
Libro XVI:204 Se mai vedevano le donne (reali) indossare gli ornamenti che erano stati della loro madre, protestavano che, invece della presente eleganza, avrebbero dovuto indossare dei cenci e venire chiuse in un luogo donde non potessero vedere il sole.
Libro XVI:205 Da Salome questi sentimenti furono subito riferiti al re, il quale li sentì con angoscia e si studiò di porvi rimedio; ma i sospetti lo indisponevano, diventava sempre più tormentato, e giunse a credere tutto contro tutti. Tuttavia, dopo avere sgridato i figli, questi si difesero e per un po' di tempo si raddolcì, ma col tempo lo colsero delle noie peggiori.
Libro XVI:206 - 4. Ferora, infatti, andato a trovare Alessandro, marito di Glafira, come abbiamo detto, figlia del re Archelao, gli disse di avere sentito da Salome che Erode era perdutamente innamorato di Glafira e che la sua passione era ben difficile da mitigare.
Libro XVI:207 A tale notizia, e per gelosia e per ardore giovanile, Alessandro andò sulle furie e le maniere cortesi che Erode aveva verso la giovane - essendo le attenzioni amichevoli frequenti - le interpretò nel peggiore dei modi per i sospetti che gli avevano suscitato quelle parole;
Libro XVI:208 non ebbe la forza di reggere a siffatto dolore: ma si presentò al padre e, piangendo, gli manifestò quanto gli aveva riferito Ferora. Erode, colpito da grande furore e incapace di sopportare la vergogna e la falsa accusa, rimase completamente sconvolto;
Libro XVI:209 spesso si doleva della malvagità della sua famiglia e della maniera con la quale veniva trattato da coloro ai quali aveva fatto del bene. Chiamò intanto Ferora e, dopo averlo sgridato acerbamente, gli disse: “Tu sei il più malvagio di tutti, tu hai raggiunto un grado così smisurato e stragrande di ingratitudine da pensare e affermare simili cose di me?
Libro XVI:210 Veramente tu pensi ch'io non veda quali sono i tuoi piani? Non è solo per oscurare la mia reputazione che tu hai sussurrato all'orecchio di mio figlio una cosa così perversa, ma per avere in lui chi insidiasse alla mia vita, e cercasse la mia rovina con veleni. Chi mai, infatti, - salvo uno guidato da qualche buon demone, come fu questo mio figlio - avrebbe sopportato che il padre, sospettato di tale malvagità, lo sopportasse impunito?
Libro XVI:211 Pensi tu di avergli introdotto nell'animo soltanto un ragionamento e non piuttosto un pugnale nella sua destra da usare contro il suo genitore? E, visto che tu odi sia lui che suo fratello, perché ti sei finto benevolo a suo riguardo, allorché parlavi male di me, e hai detto cose che poteva pensare solo la tua empietà o riferirle calunniosamente ad altri?
Libro XVI:212 Rispondi, tu che hai agito in modo tanto abominevole contro tuo fratello e benefattore, e possa la tua coscienza colpevole vivere con te quale tuo compagno. Per quanto mi riguarda, io posso vincere i miei parenti, non punendoli degnamente come meritano, e beneficandoli più di quanto meritano”.
Libro XVI:213 - 5. Il re parlò in questi termini. E Ferora vistosi colto in flagrante villania, disse che queste erano invenzioni di Salome, accuse che venivano da lei.
Libro XVI:214 Ma non appena Salome udì questo - accadde infatti che lei fosse presente - protestò in modo convincente che da lei non proveniva nulla di tutto questo e che tutti cercavano deliberatamente ogni mezzo per renderla odiosa al re e liberarsi di lei a motivo dell’affezione che lei provava per Erode, al quale prevedeva sempre i pericoli che lo minacciavano.
Libro XVI:215 Al presente, però, lei era vittima di un complotto ancora più serio perché lei sola cercava di convincere suo fratello a cacciare la moglie che aveva, e sposare la figlia del re: naturalmente era oggetto di odio da parte di Ferora.
Libro XVI:216 Così dicendo, a più riprese, si strappava i capelli e si dava ripetuti colpi al petto: e lo spettacolo della sua negazione voleva rendere plausibile il suo diniego, ma la malignità del suo carattere proclamava l'insincerità di quegli atti.
Libro XVI:217 Ferora, intanto, si vedeva stretto tra l'uno e l'altro, perché in sua difesa non aveva nulla di credibile: mentre confessava di avere detto quei sentimenti, non gli si credeva allorché diceva che li avesse uditi da altri. Così nell'altercare di parole dell’uno e dell’altro, lo scompiglio divenne più grande.
Libro XVI:218 Finalmente, insoddisfatto del fratello e della sorella, il re allontanava da sé l'uno e l'altra; e lodò suo figlio per il suo autocontrollo e per avergli riferito i discorsi tenuti, e andò a tarda ora a dare un po' di riposo al suo corpo.
Libro XVI:219 Dopo tale contesa, molte furono le mormorazioni che sorsero a proposito della cattiva reputazione di Salome, pensando che il torbido sorto dalle calunnie fosse stato causato da lei. E anche le mogli del re non la sopportavano perché sapevano che aveva una natura difficile e continuamente mutevole, ora amica ora nemica. Di frequente parlavano a Erode contro di lei, e a questo proposito avvenne anche qualcosa che accrebbe la loro audacia.
Erode, Silleo, Salome, Ferora
Libro XVI:220 - 6. Il re dell'Arabia, Obada, aveva una natura inattiva e dappoco; la maggior parte degli affari li trattava, per lui, Silleo, persona abile, giovane e di buona presenza.
Libro XVI:221 Venuto da Erode per certi affari, mentre cenava con lui, vide Salome e dispose il suo cuore per averla; e quando seppe che era vedova, parlò con lei del suo sentimento.
Libro XVI:222 Salome, che si trovava peggio di prima col proprio fratello, e guardava il giovane in modo tutt'altro che indifferente, era impaziente di maritarsi con lui; nei giorni seguenti, allorché molta gente si era radunata per una cena, apparvero molti e chiari segni di intesa tra questi due.
Libro XVI:223 Altre donne riferirono tutto al re, deridendo la loro mancanza di discrezione. Erode volle ulteriori informazioni da Ferora e gli domandò di osservarli durante la cena per vedere il loro reciproco comportamento. Ferora riferì che gesti e sguardi manifestavano chiaramente la loro passione.
Libro XVI:224 Dopo un po' di tempo l'Arabo partì, ma lasciando un sospetto; dopo due o tre mesi venne di nuovo sullo stesso argomento e fece a Erode la proposta domandando che gli desse in sposa Salome; questa unione, disse, non sarebbe stata inutile a Erode per l'alleanza con il governo dell'Arabia che virtualmente ora era nelle sue (di Silleo) mani, e in futuro sarebbe stato, per diritto ancora meglio.
Libro XVI:225 Erode riferì questi sentimenti alla sorella, domandandole se acconsentiva a tali nozze ed ella subito acconsentì. Ma allorché domandarono a Silleo di assoggettarsi ai costumi dei Giudei prima delle nozze - altrimenti, dicevano, il matrimonio sarebbe stato impossibile - lui non volle assoggettarsi, protestando che qualora si fosse assoggettato, sarebbe stato lapidato a morte dagli Arabi.
Libro XVI:226 Allora Ferora prese ad accusare Salome di comportamento lascivo; e le donne di corte fecero ancora di più affermando che lei era stata in intimità con l'Arabo.
Libro XVI:227 Intanto, allorché Salome chiese che fosse dato il figlio natole da Costobaro, alla giovane che il re aveva promesso a Ferora che - come dissi sopra - egli non volle perché era disperatamente innamorato di un'altra donna, Erode pensava di darla in sposa a questo figlio di Salome.
Libro XVI:228 Ma in seguito cambiò idea all'esempio di Ferora che diceva che il giovane non gli sarebbe stato leale a motivo dell'uccisione di suo padre; ed era meglio che la prendesse proprio suo figlio che gli doveva succedere nella tetrarchia. Così egli ottenne perdono e il re cambiò presto il proposito che aveva. In tale modo furono cambiate le nozze della giovane: lei andò sposa al giovane figlio di Ferora, e il re aggiunse un centinaio di talenti alla dote della giovane.
Eunuchi di Erode, paure e Minacce
Libro XVI:229 - VIII, I. - Le turbolenze nella sua famiglia non si acquietarono, anzi crebbero sempre più. L'incidente che segue, sorse da una causa disgraziata e progredì in dolorose conseguenze.
Libro XVI:230 Il re aveva alcuni eunuchi che gli erano immensamente cari a motivo della loro bellezza; uno di essi aveva il compito di versargli il vino, un secondo di servirlo a tavola, un terzo di porre a letto il re e curare gli affari più importanti del regno.
Libro XVI:231 Ora qualcuno informò il re che questi eunuchi erano stati corrotti da suo figlio Alessandro con ingenti somme di denaro; interrogati se avessero avuto relazioni intime con Alessandro, essi confessarono, ma affermarono di non essere a conoscenza di alcun'altra offesa da parte sua contro il padre.
Libro XVI:232 Ma, sottoposti a ulteriori torture e messi alle strette in maniera più severa, per fare piacere ad Antipatro, dissero che Alessandro era pieno di ostilità e aveva un odio innato contro suo padre
Libro XVI:233 e aveva suggerito loro che Erode aveva già vissuto assai e nella speranza di vivere ancora di più cercava di cancellare i segni della sua senilità, si tingeva di nero i capelli e allontanava furtivamente i segni dell’età, e che se essi gli davano il loro appoggio, quando il regno sarà suo - poiché non sarebbe andato ad altri, anche se suo padre voleva diversamente - essi avrebbero avuto il primo posto;
Libro XVI:234 poiché non solo la nascita ma anche i provvedimenti già presi gli mettevano in mano lo scettro; buona parte, infatti degli uomini più importanti e molti degli amici del re sostenevano lui e non avevano paura di nulla qualunque cosa dovessero fare o sopportare.
Libro XVI:235 - 2. Udendo questo, Erode dolente e impaurito, furioso per le villanie dette contro di lui e realizzando quanto gravi e pericolose fossero le cose che suscitavano i suoi sospetti, ne fu ancora più amareggiato per tutti e due questi motivi. E pieno di amarezza, temeva che veramente si fosse ordita contro di lui una trama alla quale egli fosse incapace col tempo di porre rimedio.
Libro XVI:236 Quindi si mise sulla loro traccia, non in maniera scoperta, ma nascosta. Mandò spie qua e là affinché gli chiarissero i suoi sospetti. Di tutti era sospettoso, odiava tutti e poneva la sua sicurezza in un sospetto continuo, e seguitava a dimostrarlo anche verso persone che non lo meritavano.
Libro XVI:237 In questo non c'era limite: anzi, chi più era solito stargli vicino, gli pareva che fosse da temere più degli altri in quanto più influente, mentre verso coloro che non avevano grande familiarità con lui, al solo nominarli gli pareva che fosse necessario ucciderli come parte della sua salvezza.
Libro XVI:238 In fine, i suoi cortigiani, non avendo fondati motivi per sperare di salvarsi, si levarono gli uni contro gli altri, pensando che il prevenire gli altri con accuse giovasse a salvare se stessi, ma quelli che giungevano nel loro intento diventarono oggetto di invidia, di odio e non ottenevano altra soddisfazione all'infuori di incorrere, giustamente, in quei mali con cui essi avevano oppresso gli altri col solo intento di prevenirli.
Libro XVI:239 Con tale pretesto, alcuni in verità, vendicavano certe inimicizie private, ma erano colti con il medesimo laccio: mentre vedevano nella crisi un facile strumento per accalappiare i loro nemici, essi pure - a loro volta erano presi con la stessa arte con la quale avevano teso insidie ad altri.
Libro XVI:240 Presto nel cuore del re avveniva il pentimento per l'avere messo a morte persone che, chiaramente, non avevano commesso alcuna mancanza; ma la cosa terribile fu che il dolore non lo induceva a sospendere tali esecuzioni, bensì a punire in egual modo anche gli informatori.
Libro XVI:241 - 3. In tal modo la situazione degli affari alla corte era tormentata. A molti suoi vecchi amici Erode intimò che non gli comparissero più davanti né entrassero nel palazzo; questo avviso fu dato o perché aveva con essi minore libertà d'azione oppure perché alla loro presenza si conteneva di più.
Libro XVI:242 Per esempio, Andromaco e Gemello da gran tempo suoi amici che erano stati di grande aiuto alla sua famiglia in ambasciate e concili, e
l'avevano aiutato nell'educazione dei figli, ora li congedò sebbene di recente avessero goduto di maggiore libertà di parola degli altri:
Libro XVI:243 l'uno lo congedò perché il figlio di lui, Demetrio, era stretto amico di Alessandro; mentre di Gemello aveva saputo che era favorevole ad Alessandro, perché era stato cresciuto ed educato con lui, e stava con lui durante la sua visita a Roma. Erode li congedò volentieri e li avrebbe trattati ancor peggio, ma non era libero di usare tanta baldanza, contro uomini così distinti; li privò semplicemente del loro rango e del potere per prevenirli dal commettere misfatti.
Alessandro, Aristobulo, Antipatro
Libro XVI:244 - 4. La causa di tutti questi mali era Antipatro, il quale accortosi del lato debole di suo padre ed essendo, da tanto tempo, uno dei suoi consiglieri, credendo di adempiere meglio il suo compito, prese a spingerlo a togliere la vita a chiunque poteva opporglisi.
Libro XVI:245 Nel periodo, dunque, in cui ad Andromaco e ai suoi amici era stata tolta la libertà di parlargli e di esprimersi liberamente, il re iniziò a esaminare sotto la tortura quanti credeva fossero amici di Alessandro per indagare se fossero a conoscenza di qualche suo complotto; ma costoro andavano alla morte senza avere nulla da dirgli.
Libro XVI:246 Non trovando nulla di quel male che sospettava, insistette sempre più nei suoi esami; ed anche Antipatro, astuto nel calunniare coloro che in tutta evidenza erano innocenti accusandoli di costante fedeltà ad Alessandro, e incitando Erode a cercare informazioni da più persone a proposito dei segreti complotti contro la sua vita.
Libro XVI:247 Tra i molti torturati, ce ne fu uno che disse di sapere che il giovane spesse volte aveva detto, quando lodavano la sua grande corporatura e la sua esperienza di arciere e altre doti nelle quali eccelleva su tutti, egli asseriva che queste doti di natura erano, per lui, più un male che un bene, perché suo padre ne era irritato e lo invidiava.
Libro XVI:248 Disse ancora che ogni volta che passeggiava con suo padre, non si distendeva interamente e si abbassava per non apparire il più alto dei due; e un altra volta, andando a caccia, presente Erode, tirava a bella posta lungi dal
segno, perché era nota l'ambizione del padre di eccellere in tali imprese general-mente lodate.
Libro XVI:249 Mentre queste affermazioni venivano attentamente esaminate e le torture sospese, aggiunse che Alessandro con l'aiuto del fratello Aristobulo, aveva complottato un'imboscata per uccidere suo padre durante una caccia e dopo il fatto sarebbe fuggito a Roma e chiesto il regno.
Libro XVI:250 Si trovò pure una lettera del giovane a suo fratello nella quale biasimava il loro padre di avere assegnato ad Antipatro un territorio che gli rendeva duecento talenti.
Libro XVI:251 Dopo queste scoperte parve, a Erode, di possedere argomenti ben fondati - come pensava - per sospettare dei suoi figli, e così arrestò e imprigionò Alessandro. Ma non pose fine alle sue rigorose ricerche: parte perché non si fidava tanto di quanto aveva udito, e parte perché, ripensandoci, non vide nulla che avesse sufficiente sentore di congiura; (li ritenne colpevoli soltanto) di lamentele e di ambizione giovanile e riteneva improbabile che suo figlio, dopo averlo ucciso, se ne partisse apertamente per Roma.
Libro XVI:252 Perciò giudicò che fosse meglio spendere altro tempo per cercare qualche prova più stringente sulla illegalità di suo figlio; ed era attento di non lasciare trapelare che aveva premura di condannarlo agli arresti. Torturando gli amici di Alessandro che occupavano posti autorevoli ne condannò molti a morte nonostante non avessero detto nulla di quanto Erode si aspettava che dicessero.
Libro XVI:253 Mentre si attendeva a questi affari con grande accanimento, e tutto il palazzo si trovava nella paura e confusione, un giovane sotto una severissima tortura disse che Alessandro aveva spedito messaggi agli amici di Roma domandando di essere chiamato presto da Cesare perché, disse, poteva informarlo su di un'azione ostile contro di lui, cioè che suo padre aveva scelto l'amicizia di Mitridate, re dei Parti, contro i Romani; soggiunse ancora che Alessandro teneva il veleno pronto ad Ascalon.
Libro XVI:254 - 5. Erode prestò fede a queste accuse, e trovò una certa consolazione al suo agire precipitoso in questa cattiva situazione perché veniva adulato mentre le cose si fecero peggiori di quanto si aspettava. Ma, sebbene fosse fatto subito ogni sforzo, del veleno non si trovò traccia alcuna.
Libro XVI:255 Volendo per un perverso puntiglio aggravare la situazione già di estrema gravità, non si accontentò di negare le accuse, ma volle punire il
procedere precipitoso di suo padre con un crimine maggiore, forse perché credeva di svergognare in questa maniera la prontezza di Erode nel dare ascolto alle calunnie, benché pretendesse di avere anche in mente di gettare discredito su di lui e su tutto il regno, qualora gli avessero prestato fede.
Libro XVI:256 Egli dunque compose un'opera di quattro libri e la diffuse dicendo che non c'era bisogno di torturare nessuno o di procedere oltre poiché vi era stata realmente una congiura contro Erode e questo era avvenuto con l'aiuto di Ferora e dei più fedeli amici del re e che Salome entrò una notte nella sua camera, giacque con lui contro la sua volontà
Libro XVI:257 e che tutti miravano alla stessa cosa, cioè liberarsi del re il più presto possibile ed essere così sciolti dalla continua ansietà. Tra gli altri accusati vi erano Tolomeo e Sappino, gli amici più fedeli del re.
Libro XVI:258 Che meraviglia che persone, una volta amicissime, siano ora invase, direi, da rabbia furiosa e si levino bestialmente gli uni contro gli altri? Non c'era bisogno di lasciare loro spazio per manifestare la verità con le difese o con l'evidenza dei fatti, poiché tutti erano avvolti indistintamente nella rovina: chi piangeva imprigionato, altri erano morti e altri nel pericolo di incontrare questo o quello: uno stretto silenzio e una triste malinconia intorpidiva l'antica felicità del palazzo.
Libro XVI:259 Tutta la vita di Erode era così sconvolta che gli divenne insopportabile, poiché, non credendo a nessuno, era profondamente tormentato dalla sua ansietà. A volte immaginava suo figlio che gli veniva contro o che gli stava dinanzi col pugnale.
Libro XVI:260 La sua mente era così tesa notte e giorno che prese la forma di chi soffre di pazzia e follia. Tale era lo stato in cui si trovava.
La visita di Archelao
Libro XVI:261 - 6. Quando Archelao, re dei Cappadoci, seppe ciò che accadeva alla corte di Erode, ansioso per sua figlia e il giovane (marito di lei) e mosso da compassione per la sofferenza di un suo amico così profondamente sconvolto, venne (in Giudea) poiché riteneva che le cose fossero molto serie.
Libro XVI:262 Trovato (Erode) in questo stato, ritenne che nelle presenti circostanze fosse fuori di proposito sgridarlo o accusarlo di avere agito
precipitosamente; punto da tali parole, si sarebbe risentito e nel calore della difesa avrebbe moltiplicato la sua collera.
Libro XVI:263 Prese, dunque, un'altra via per riportare nel giusto la sfortunata condizione degli affari: mostrò la sua collera al giovane e disse che il procedere di Erode era stato saggio non avendo proceduto in modo affrettato; disse pure che avrebbe sciolto il matrimonio di sua figlia con Alessandro e, da parte sua, non avrebbe risparmiato neppure lei qualora, consapevole delle intenzioni di lui, non ne avesse informato Erode.
Libro XVI:264 A questo agire di Archelao, molto diverso da quanto Erode si aspettava e per lo sdegno mostrato dalla maggioranza verso Erode, il re perse un po' della sua durezza e, visto che aveva colpito il segno (affermando) che aveva compiuto tali cose per motivi giusti, gradualmente adottò una diversa attitudine, quella di un padre.
Libro XVI:265 Ma da una parte e dall'altra era degno di compassione: se alcuno cercava di sventare le accuse contro il giovane, egli si mostrava in collera; ma se Archelao si univa nell'accusa contro Alessandro, il re prorompeva in lacrime e in uno scoramento commovente; lo pregò di non sciogliere il matrimonio e di non essere così in collera per le ingiustizie commesse dai giovani.
Libro XVI:266 Allora Archelao, vedendolo alquanto raddolcito, prese ad addossare quelle accuse agli amici del re, asserendo che si deve ascrivere a loro il fatto che un giovane esente da malizia sia stato corrotto, e concentrò i sospetti soprattutto sul fratello di Erode.
Libro XVI:267 Siccome Erode era ostile a Ferora, il quale non aveva nessuno che lo riconciliasse (a suo fratello), e vedeva che Archelao aveva grande influsso (su Erode), egli stesso lo cercò e si rivolse a lui vestito di nero e con tutti i segni di un uomo che è nell'attesa di una imminente rovina.
Libro XVI:268 Archelao non disdegnò le sue scuse, disse però che era incapace a indurre il re a cambiare immediatamente il suo atteggiamento in vista della sua disposizione; gli disse che per lui sarebbe stato meglio andare a rivolgersi personalmente al re e confessare di essere responsabile di tutto il disordine; in questa maniera poteva calmare l'eccessiva collera del re; Archelao aggiunse che egli stesso sarebbe stato presente per aiutarlo.
Libro XVI:269 Persuaso Ferora a compiere questo, raggiunse contemporanea-mente due scopi, poiché inaspettatamente furono allontanate dal giovane le
calunnie e Archelao riconciliò Ferora con il re; poi ritornò in Cappadocia dopo essersi reso gradito a Erode come nessun altro avrebbe potuto in quel momento così critico. Quindi lo onorò con ricchissimi doni, lo trattò con grandiosa magni-ficenza come l'amico più caro.
Libro XVI:270 Con lui fece inoltre un accordo per andare a Roma, dato che qualcuno su tali questioni aveva scritto a Cesare; e viaggiarono assieme fino ad Antiochia; quivi Erode riconciliò Archelao con Titio, governatore della Siria, che era rimasto esacerbato con lui dopo una disputa. Dopo se ne ritornò in Giudea.
Erode e gli Arabi
Libro XVI:271 IX, I. Dopo che era stato a Roma e ritornato, scoppiò una guerra tra lui e gli Arabi per il seguente motivo. Gli abitanti della Traconitide, la regione che Cesare aveva sottratto a Zenodoro e annessa al territorio di Erode, ben presto non ebbero più la libertà del brigantaggio, ma furono obbligati a coltivare il suolo e a vivere in modo pacifico. Ma questo appunto era quello che essi volevano e la terra non rendeva molto frutto in compenso del loro lavoro.
Libro XVI:272 Da principio tuttavia si astennero dal molestare i vicini, poiché il re non permetteva; e per questo motivo Erode godeva di una reputazione molto favorevole per la sua vigilanza.
Libro XVI:273 Ma dopo che era partito per Roma portando accuse contro suo figlio Alessandro e per visitare Cesare e presentargli il figlio Antipatro, gli abitanti della Traconitide sparsero la voce che era morto: si ribellarono e tornarono nuovamente al solito modo di vivere con il brigantaggio contro i loro vicini.
Libro XVI:274 Almeno in questa occasione i generali del re, in sua assenza, li sottomisero. Ma una quarantina di capobanditi, atterriti di quanto era stato fatto ai catturati, abbandonarono la regione
Libro XVI:275 e ripararono in Arabia, accolti da Silleo, dopo che era tramontato il matrimonio con Salome, e diede loro un fortilizio per abitarci. Di qui infestavano e saccheggiavano non solo la Giudea, ma anche tutta la Cele-Siria, poiché Silleo prestava a questi malfattori una base sicura per le loro operazioni.
Nuovamente contro gli Arabi
Libro XVI:276 Allorché Erode ritornò da Roma venne a conoscenza che gran parte dei suoi possedimenti era stata danneggiata, ma essendo incapace di afferrare i briganti a motivo della sicurezza di cui godevano per la protezione data loro dagli Arabi, e in collera per i danni provocati da loro, si aggirò per la Traconitide e assassinò i loro congiunti.
Libro XVI:277 Allora i briganti ancor più arrabbiati per questa azione, presso di essi vi è la legge della vendetta ad ogni costo contro gli assassini dei propri congiunti, seguitarono a saccheggiare e derubare tutto il territorio di Erode senza alcuna paura delle conseguenze; egli perciò parlò della cosa con Saturnino e con Volumnio, ufficiali di Cesare, domandando che i briganti fossero consegnati a lui per la punizione.
Libro XVI:278 Aumentò perciò la loro forza, si accrebbe sempre più il loro numero e diffusero la confusione tanto da sconvolgere il regno di Erode; saccheggiarono città e villaggi, assassinarono i loro prigionieri, sicché la loro sommossa era in tutto uguale a una guerra: erano già circa un migliaio.
Libro XVI:279 Indignato per questi atti, Erode chiese la consegna dei briganti e domandò il pagamento del debito di sessanta talenti che aveva imprestato a Obada tramite Silleo, poiché il tempo stabilito era scaduto.
Libro XVI:280 Ma, deposto Obada, a capo di ogni cosa vi era il solo Silleo, il quale decisamente negava che in Arabia ci fossero dei briganti e dilazionava anche il pagamento del denaro. Su di ciò vi fu una discussione davanti a Saturnino e Volumnio, governatori -- della Siria.
Libro XVI:281 Per intervento dei Romani, alla fine s'accordarono che a Erode fosse restituito il suo denaro entro trenta giorni, e che ognuno dei due restituisse all'altro i sudditi che si erano rifugiati nel suo regno; nel territorio di Erode non si trovò un solo Arabo che fosse ricercato per un crimine o per qualsiasi altro motivo, d'onde si provò che nel territorio degli Arabi si erano trattenuti dei briganti.
Libro XVI:282 - 2. Ma quando spirò il termine pattuito, Silleo partì per Roma senza avere eseguito alcuno dei giusti obblighi assunti; perciò Erode cercava di avere il suo denaro ingiustamente trattenuto, e i briganti protetti dagli Arabi;
Libro XVI:283 e quando Saturnino e Volumnio gli concessero di compiere contro di essi un'azione con le armi come contumaci, egli condusse il suo esercito in Arabia compiendo con una marcia di sole tre giornate un percorso di sette giorni. Raggiunta la fortezza ove erano i briganti, li catturò tutti con un assalto e spianò il luogo chiamato Raepta. Tuttavia non molestò alcun altro.
Libro XVI:284 Ma quando il capo arabo Nakebo andò ad assistere i briganti si scatenò una mischia nella quale caddero pochi uomini di Erode mentre dall'altra parte cadde il comandante Nakebo e con lui venti suoi uomini e il resto si diede alla fuga.
Libro XVI:285 Puniti questi Arabi, Erode insediò tremila Idumei nella Traconitide e così mise un freno ai briganti della regione. Scrisse poi su questi fatti ai governatori (Romani) che erano in Fenicia spiegando di non avere fatto nulla di più di quanto esigeva la contumacia degli Arabi. Essi ne fecero ricerca e trovarono che (Erode) non aveva contraffatto la realtà.
Erode e Silleo al giudizio di Cesare
Libro XVI:286 - 3. Intanto i messaggeri spediti in fretta da Silleo a Roma, lo informarono di quanto accaduto e, com'è costume, esagerarono ogni particolare.
Libro XVI:287 Silleo aveva già compiuto il necessario per presentarsi a Cesare, e in quel particolare momento era atteso a corte. Quando udì le notizie cambiò immediatamente l'abito e indossò un abito nero; entrò da Cesare e gli disse che l'Arabia era stata devastata da una guerra e l'intero regno devastato perché Erode l'aveva depredata col suo esercito.
Libro XVI:288 Con le lacrime agli occhi proseguì dicendo che cinquecento capi arabi erano periti e che il comandante Nakebo, suo stretto amico e parente era stato ucciso, che le ricchezze riposte a Raepta erano state prese come bottino e che Obada, la cui debolezza l'aveva sconsigliato di prendere parte alla guerra, era stato trattato in maniera ignobile perché né lui, Silleo, né forze arabe erano presenti.
Libro XVI:289 Dopo avere parlato così Silleo aggiunse maliziosamente che egli non avrebbe lasciato la regione se non fosse stato sicuro che Cesare era interessato a che essi fossero in pace gli uni con gli altri, e che se fosse stato là, la guerra non si sarebbe risolta a vantaggio di Erode. Irritato da queste parole, Cesare, agli amici di Erode che erano presenti e ai suoi uomini giunti dalla Siria
rivolse soltanto la seguente domanda: “Erode aveva condotto il suo esercito fuori della sua regione?”.
Libro XVI:290 Siccome erano costretti a rispondere, a quell'unica domanda e Cesare non ascoltò in quali circostanze e in quale modo Erode aveva agito, montò subito in collera e scrisse a Erode una lettera molto risentita, in particolare nella parte principale il cui contenuto era questo: finora egli l'aveva trattato da amico, ma per l'avvenire lo avrebbe trattato da suddito.
Libro XVI:291 Anche Silleo scrisse agli Arabi e questi, imbaldanziti, rifiutarono sia la consegna dei briganti che si erano rifugiati da loro sia il pagamento del denaro, di cui erano debitori e dei pascoli che avevano avuto in affitto da Erode e che ora tenevano in loro possesso e se ne servivano senza pagare l'affitto; ora che il re dei Giudei era stato umiliato dalla collera di Cesare.
Libro XVI:292 Gli abitanti della Traconitide colsero anch'essi questa occasione per insorgere contro il presidio degli Idumei, si diedero al latrocinio insieme agli Arabi e saccheggiarono la regione degli Idumei non solo per guadagno, ma per soddisfare il loro rancore e ingiuriarli in modo ancora più selvaggio.
Libro XVI:293 - 4. Erode fu obbligato a sopportare tutto questo perché la libertà d'azione datagli da Cesare era sfumata; si perdette molto d'animo allorché Cesare non diede udienza agli ambasciatori che gli aveva inviato per discolparsi e li rimandò a casa a mani vuote.
Libro XVI:294 Per tutti questi motivi (Erode) era in uno stato di preoccupazione e di paura. Silleo accresceva non poco la sua angoscia in quanto godeva della confidenza di Cesare e si trovava a Roma e in quel tempo progettava piani più grandi. Perché Obada era morto e il comando degli Arabi era stato preso da Enea, nome mutato in seguito in Areta.
Libro XVI:295 (Silleo) tramava con calunnie per privare costui del trono e impadronirsene lui: distribuiva molto denaro ai cortigiani e ne prometteva a molti, anche a Cesare, il quale era in collera che Areta fosse salito sul trono prima di domandare il permesso a lui.
Libro XVI:296 Ma anche Areta mandò una lettera a Cesare, con doni e una corona d'oro del valore di molti talenti; la lettera accusava Silleo di essere un cattivo servitore, di avere ucciso Obada col veleno, di avere esercitato potere regale quando Obada era ancora vivo, di sedurre le donne degli Arabi e di farsi imprestare denari per impadronirsi del trono.
Libro XVI:297 Cesare, tuttavia, non prestò alcuna attenzione a queste accuse e rimandò via gli inviati senza accettare doni. Così gli affari della Giudea e dell'Arabia andavano di male in peggio, parte a motivo dei disordini e parte perché non c'era alcuno che se ne interessasse mentre le cose si deterioravano.
Libro XVI:298 Poiché dei due re, uno non era ancora sicuro sul trono, perciò era incapace di tenere a freno i ribelli, ed Erode era incorso nella collera di Cesare perché troppo presto aveva risposto alle rappresaglie e così era costretto a sopportare tutti gli atti illegali commessi contro di lui.
Libro XVI:299 Ma constatando che non avevano mai fine le disavventure che lo circondavano, decise di mandare a Roma un'altra ambasciata, nella speranza che potesse trovare una accoglienza più favorevole tramite i suoi amici, facendo anche appello allo stesso Cesare. E così Nicola di Damasco partì alla volta di Roma.
Alessandro, Antipatro, Archelao ed Euricle
Libro XVI:300 - X, I. - Appunto in quel periodo le vicende familiari di Erode si trovavano in gravi disordini, e le relazioni con i suoi figli si erano inasprite di molto. Veramente anche prima - a un semplice sguardo - era impossibile non scorgere che il regno era minacciato dalla Fortuna con gravissime e pessime infermità umane, aumentate e divenute sempre più gravi per la seguente ragione.
Libro XVI:301 Vi era un certo Euricle dei Lacedemoni uomo di un qualche nome nella sua patria, ma di cattivo carattere, esperto in piaceri raffinati, dispensiere di adulazioni senza lasciar intendere a chi erano dirette; venuto a rendere visita a Erode, gli offrì regali e da lui ne ricevette di maggiori: con sottile abilità e destrezza di tratto fece in modo di divenire uno dei più stretti amici del re.
Libro XVI:302 Albergava in casa di Antipatro, ma aveva anche accesso e familiarità con Alessandro, poiché si vantava di godere della stima di Archelao, re della Cappadocia;
Libro XVI:303 perciò simulava grande onore per Glafira ed era molto attento, in segreto, a osservarli tutti annotando sempre quanto era detto e fatto, per potere fabbricare calunnie a suo vantaggio.
Libro XVI:304 In breve, verso ognuno si comportava come se fosse un amico e nei rapporti con gli altri si comportava come se avesse interesse soltanto al loro vantaggio. Fu così che conquistò il giovane Alessandro e lo persuase di potere parlare con lui apertamente, senza alcun timore, delle sue pene, ma con nessun altro.
Libro XVI:305 Nella sua angoscia, Alessandro gli rivelò quanto suo padre si era allontanato da lui, gli raccontò quanto era accaduto a sua madre, come Antipatro li avesse esclusi dal loro posto di onore ed ora fosse onnipotente.
Libro XVI:306 Nessuna di queste cose, disse, era sopportabile, giacché suo padre era giunto a odiarli così tanto che egli non sopportava parlare con essi a un convito o in altri raduni. Egli parlò delle sue pene in questi termini, così era naturale. Ed Euricle riferì le parole ad Antipatro, affermando che così faceva non tanto per riguardo a lui, ma perché colpito dall'onore dimostratogli da Antipatro e per la gravità della materia. E lo esortò a guardarsi da Alessandro che aveva parlato di tutto questo con una grande emozione, e nelle sue parole traspariva una reale possibilità di assassinio.
Libro XVI:307 In conformità di queste affermazioni, Antipatro credette di trovarsi davanti un buon consigliere al quale in ogni occasione avrebbe dato regali di valore, e finalmente lo persuase a riferire a Erode i discorsi di Alessandro.
Libro XVI:308 Quando Euricle gli fece presente la slealtà di Alessandro, che affermò avere appreso dalle sue stesse parole, non gli fu opposta molta incredulità, ma rese esitante il re con parole tortuose e lo condusse a tal punto da essere pieno di implacabile odio.
Libro XVI:309 E questo lo mostrò subito, poiché senza indugio donò a Euricle un regalo di cinquanta talenti. Ricevuta questa somma, andò da Archelao, re di Cappadocia, e cantò le lodi di Alessandro e si vantava di essergli stato molto utile nella riconciliazione col padre.
Libro XVI:310 Dopo avere ricevuto soldi anche da Archelao se ne andò via prima che venisse scoperto il suo ignobile inganno. E anche a Sparta Euricle esercitò il suo mestiere di mascalzone, e per i suoi numerosi crimini fu bandito dalla sua patria.
Le vicende familiari di Erode si aggravano
Libro XVI:311 - 2. Intanto il re dei Giudei non si comportava più come prima verso Alessandro e Aristobulo quando udiva qualche accusa contro di loro; ora a motivo del suo odio, induceva altri (ad addurre accuse contro di loro), se nessuno lo faceva;
Libro XVI:312 spiava le loro azioni, faceva ricerche ed era sempre pronto ad ascoltare chiunque avesse qualcosa contro di essi ... Euarato di Coo aveva cospirato con Alessandro. Questo diede a Erode il piacere più grande che potesse immaginare.
Libro XVI:313 - 3. Ma una sventura ancora maggiore si abbattè sui giovani: a motivo delle calunnie che continuamente li insidiavano, e si era creato un ambiente nel quale tutti facevano a gara, per così dire, per riportare qualsiasi cosa fosse a loro sfavorevole, e la cui conoscenza paresse vantaggiosa per la salute del re.
Libro XVI:314 Erode aveva due guardie del corpo, Giocondo e Tiranno, molto considerati per la forza e per la statura. Quando questi due, per un bisticcio furono dal re licenziati, iniziarono a cavalcare con Alessandro e i suoi amici, e godevano di molta stima per la loro bravura atletica, e ricevevano oro e altri regali.
Libro XVI:315 Presto il re iniziò a sospettare di loro e li sottopose alla tortura; essi resistettero a lungo con molta costanza e alla fine dissero che Alessandro aveva cercato di convincere a uccidere Erode, allorché durante la caccia inseguiva le bestie, poiché poteva apparire che fosse caduto da cavallo e rimanere ucciso con le sue stesse frecce. Un accidente del genere gli era capitato già prima.
Libro XVI:316 Indicarono anche l'oro che era stato sepolto in una cella e accusarono il capocaccia di avere provvisto di lance regie e di armi i servi di Alessandro per ordine suo.
Libro XVI:317 - 4. Dopo queste persone furono esaminate e il comandante della fortezza Alessandreion fu torturato. Era accusato di avere promesso di accogliere i giovani nella guarnigione e dare loro rifornimenti con il denaro del re conservato in quella fortezza.
Libro XVI:318 Egli personalmente non confessò nulla; si fece però avanti sua figlia e disse che ciò era vero e consegnò una lettera, presumibilmente scritta dalla mano di Alessandro del seguente tenore: “Quando con l'aiuto di Dio, avremo ottenuto tutto quanto abbiamo progettato di fare, verremo da voi. Ma guardate di accoglierci nella fortezza, come avete promesso”.
Libro XVI:319 Letta questa lettera, Erode non ebbe più dubbi sulla congiura che i suoi figli ordivano contro di lui. Alessandro, però, disse che lo scriba Diofanto aveva contraffatto la sua scrittura e che quello scritto era una fraudolenta trovata di Antipatro. Questo Diofanto, a quanto pare, era molto abile in simili cose, e in seguito dichiarato colpevole di simili crimini contro altri e fu messo a morte.
Erode imprigiona i figli Alessandro
e Aristobulo
Libro XVI:320 - 5. Il re, dunque, a Gerico, trasse davanti alla folla, le persone che erano state torturate affinché accusassero i suoi figli; e il popolino le uccise con una tempesta di sassi.
Libro XVI:321 Alessandro e suo fratello avrebbero fatto la stessa fine, ma il re allontanò la folla con l'aiuto di Tolomeo e di Ferora; i giovani però erano sotto buona guardia e sotto custodia: nessuno aveva accesso a loro. Ogni loro azione, ogni loro detto era attentamente esaminato, subivano esattamente la stessa sorte, sentivano la stessa paura che condanna i criminali.
Libro XVI:322 Uno dei due, Aristobulo, per l'abbattimento (che portava) nel cuore, cercò di indurre sua zia e suocera a compiangere le sue disgrazie, e a odiare l'uomo che aveva acconsentito a cose del genere: “Non è in pericolo anche la tua vita, diceva, di fronte all'accusa che ti viene fatta che per la speranza di nozze, riferisci a Silleo tutto quanto qui accade?”.
Libro XVI:323 Salome riportò subito questa affermazione a suo fratello, ed Erode, che più non controllava se stesso, ordinò che i giovani fossero incatenati e separati l'uno dall'altro, e che quando fosse compilata la lista di tutte le ingiurie che avevano fatto contro il loro padre, fosse inviata a Cesare.
Libro XVI:324 I giovani, tuttavia, quando ricevettero quest'ordine, scrissero che non avevano architettato né organizzato alcuna congiura contro il padre, ma
avevano pensato di fuggire e avevano compiuto questo soltanto per necessità, perché le loro vite erano diventate piene di sospetti e angustie.
Libro XVI:325 - 6. All'incirca in quel tempo, venne dalla Cappadocia come ambasciatore di Archelao un certo Mela, uno dei principi di quel re. Erode, volendo dimostrare che Archelao gli era ostile, convocò Alessandro dalla sua prigione e lo interrogò nuovamente a proposito della loro fuga: dove e come avevano deciso di fuggire.
Libro XVI:326 Alessandro rispose che era da Archelao, il quale aveva promesso di mandarli, in seguito, dalla sua corte a Roma, ma che essi non avevano concepito alcun piano oltraggioso o ingiurioso contro il loro padre, e che non v'era nulla di vero nelle accuse inventate dalla malizia dei loro avversari.
Libro XVI:327 Essi avrebbero desiderato che Tiranno e i suoi amici fossero ancora vivi affinché loro potessero essere esaminati meglio, più accuratamente, e non fossero messi a morte così presto per consiglio di Antipatro che aveva messo dei suoi amici tra la folla.
Libro XVI:328 - 7. Allorché Alessandro parlò in tal modo, Erode ordinò che ambedue, Mela e Alessandro, fossero condotti da Glafira, figlia di Archelao, e le fosse domandato se era a conoscenza che fosse stato fatto qualcosa che risultasse parte di un complotto contro Erode.
Libro XVI:329 Non appena giunsero da lei, Glafira, visto Alessandro in catene, si percosse il capo e, fuori di sé, proruppe in un grande e doloroso lamento; versò lacrime anche il giovane; e per i circostanti fu uno spettacolo tanto penoso che per un lungo lasso di tempo non poterono dire o fare nulla di quello per cui erano venuti.
Libro XVI:330 Finalmente, Tolomeo, al quale era stato comandato di condurlo, gli ordinò di domandare se mai sua moglie fosse a conoscenza dei suoi atti, egli rispose: “Come poteva non essere a conoscenza di essi, quando lei mi è cara più della mia vita ed è la madre dei miei figli?”.
Libro XVI:331 A queste parole, sua moglie disse gridando di non essere a conoscenza di nulla di oltraggioso compiuto da lui, ma se per salvare lui era necessario che lei mentisse accusando se stessa, era pronta a confessare ogni cosa. Alessandro, tuttavia, disse: “Nulla di poco filiale, e certamente non quello che essi sospettano, mai io l'ho pensato, né tu hai saputo nulla al di fuori di quanto abbiamo deciso, di andarcene da Archelao, e di lì a Roma”.
Libro XVI:332 Quando anche lei confessò la stessa cosa, Erode, giudicando pienamente provata l'ostilità di Archelao verso di lui, consegnò una lettera a Olimpo e Volumnio ordinando che, approdati nel loro viaggio a Eleusa della Cilicia, consegnassero ad Archelao lettere riguardanti tali cose, rimproverandogli di avere sostenuto il complotto architettato dai suoi figli; e di là poi navigassero a Roma.
Libro XVI:333 E disse ancora, se avessero trovato che Nicola aveva avuto un qualche successo in maniera che Cesare non fosse più sdegnato con lui, dovevano consegnargli la lettera e con essa le prove che Erode aveva preparato contro i giovani e gli aveva mandato.
Libro XVI:334 A propria difesa Archelao disse di avere promesso di accogliere i giovani in quanto sarebbe stato vantaggioso sia a loro sia al padre loro per prevenire che egli, in collera, compisse ulteriori passi contro la loro faziosa opposizione visto che i sospetti cadevano su di loro. Tuttavia egli non li avrebbe inviati a Cesare, disse, e non aveva stretto alcun accordo con i giovani per fare qualcosa di ostile a Erode.
Si conclude il giudizio tra Erode e Silleo
Libro XVI:335 - 8. Quando gli inviati sbarcarono a Roma, ebbero l'opportunità di consegnare la lettera a Cesare che trovarono ormai riconciliato con Erode, perché la missione di Nicola era stata portata avanti nel modo seguente.
Libro XVI:336 Giunto a Roma e visitata la corte, per prima cosa decise di non occuparsi soltanto dell’affare per il quale era giunto, ma anche di accusare Silleo. Vi furono scontri tra loro, prima del suo incontro con essi.
Libro XVI:337 Gli Arabi che avevano abbandonato Silleo ed erano andati da Nicola, l'informarono di tutti i crimini di Silleo e gli fornirono chiare prove dello sterminio di gran parte degli amici di Obada. Vi erano, infatti, delle lettere di lui da essi sottratte allorquando si allontanarono da lui e per mezzo loro lo convinsero.
Libro XVI:338 Nicola vide, in questo, un tratto di buona fortuna che gli si offriva, e se ne servì per i suoi futuri disegni, impaziente com'era di riconciliare Cesare ed Erode; egli sapeva che qualora avesse cercato di scagionare gli atti di Erode non avrebbe avuto abilità sufficiente; se invece si trattava di accusare
Silleo, avrebbe avuto una opportunità di parlare in favore di Erode. Così, quando le due parti erano d'accordo di confrontarsi l'una con l'altra, avrebbero fissato un giorno per l'udienza.
Libro XVI:339 Alla presenza di Areta, Nicola accusò Silleo di un buon numero di delitti, tra gli altri lo accusò della morte del re e di molti altri Arabi,
Libro XVI:340 e di essersi fatto imprestare denaro per scopi scellerati; lo dimostrò reo di adulterio, non solo con donne d'Arabia, ma anche di Roma; e aggiunse l'accusa più grave: Silleo aveva ingannato Cesare raccontandogli null'altro che falsità sulle attività di Erode.
Libro XVI:341 Giunto a questo punto, Cesare lo interruppe domandandogli che a proposito di Erode gli bastava che gli dicesse unicamente se aveva condotto l'esercito in Arabia, se aveva ucciso cento e venticinque persone, preso dei prigionieri e saccheggiato la regione.
Libro XVI:342 A questo, Nicola rispose che certamente egli aveva qualcosa di interessante da dire a proposito di queste accuse: nessuna di esse era vera, “come tu l'hai sentita” o, almeno non tale da meritare molta indignazione.
Libro XVI:343 A tale sorprendente affermazione, Cesare prestò tutta la sua attenzione, e Nicola parlò dei cinquecento talenti e del contratto stipulato in base al quale, giunto il tempo convenuto, Erode aveva il diritto di riavere tutta intera la somma imprestata dall'intero paese di Silleo; la spedizione militare non era in realtà una spedizione militare, disse, ma una giusta riscossione del suo denaro.
Libro XVI:344 E anche allora non procedette subito e in modo affrettato, come il contratto avrebbe permesso, ma più volte andò da Saturnino e Volumnio governatori della Siria; finalmente a Berito, in loro presenza, Silleo giurò per la fortuna di Cesare, che entro trenta giorni avrebbe restituito il denaro e coloro che erano fuggiti dai domini di Erode.
Libro XVI:345 Siccome Silleo non aveva adempiuto alcuna di queste cose, Erode ricorse nuovamente ai governatori, e quando gli dettero il permesso di riavere il denaro a lui dovuto, anche allora fu con riluttanza che uscì con quelli che aveva con sé.
Libro XVI:346 << E così “la guerra”, come costoro teatralmente la chiamano, e la spedizione furono di tale natura. Come poteva essere una guerra, quando i
tuoi governatori l'avevano permessa, quando era prevista dall'accordo e quando tu, il tuo nome, Cesare, fu profanato insieme a quello degli altri dèi?
Libro XVI:347 Dobbiamo parlare ora dei prigionieri. Si trattava di alcuni briganti che abitano nella Traconitide, inizialmente una quarantina, poi aumentati e fuggiti dalle mani di Erode che voleva punirli; (briganti) che avevano fatto in Arabia la base delle loro operazioni. Silleo accolse questi uomini e li manteneva per lo sterminio di tutti gli uomini; a essi diede un territorio ove abitare e lui stesso traeva profitto dai loro latrocini.
Libro XVI:348 Ma con lo stesso giuramento si era convenuto che sarebbero stati consegnati insieme alla restituzione del prestito. Fino a oggi non può mostrare che alcuno, all'infuori di questi briganti, sia stato allontanato dal territorio arabo;
Libro XVI:349 e neppure costoro sono stati presi tutti, ma solo quanti egli non riuscì a nascondere. E’ chiaro che l'affare dei prigionieri non è altro che una maliziosa calunnia. la più grande finzione e falsità messa insieme da lui, o Cesare, per provocare la tua collera.
Libro XVI:350 Io sostengo che solo quando la forza araba ci attaccò e cadde uno o due uomini di Erode, egli (Erode) prese semplicemente a difendere se stesso e cadde Nakebo, loro comandante e circa venticinque di loro in tutto. Silleo lo moltiplicò per cento ognuno di costoro asserendo che i morti furono duemilacinquecento >>.
Libro XVI:351 - 9. Queste affermazioni scossero Cesare ancora di più e pieno d'ira si rivolse a Silleo chiedendogli quanti arabi erano stati uccisi; Silleo esitante rispose che era stato ingannato da altri. Frattanto furono letti i contratti del prestito, le lettere dei governatori e il numero delle città che si lamentavano dei latrocini.
Libro XVI:352 Finalmente la cosa andò tanto oltre che Cesare condannò a morte Silleo e si riconciliò con Erode, e si rammaricò delle aspre maniere usate scrivendogli sotto l'influsso di calunnie; e si lagnò con Silleo che con le sue affermazioni l'aveva indotto ad agire in modo ingiusto con un amico.
Libro XVI:353 In conclusione Silleo fu rinviato in patria a pagare la sua punizione, a soddisfare i suoi creditori e ad essere punito di conseguenza. Areta tuttavia, non ben visto da Cesare perché era salito sul trono da solo, senza alcun
riferimento a lui; aveva perciò deciso di dare l'Arabia a Erode, ma ne fu dissuaso dalle lettere che gli furono mandate da lui.
Libro XVI:354 Quando Olimpo e Volumnio seppero che Cesare era nuovamente ben disposto (verso Erode) subito ritennero che era meglio inviargli le lettere con le accuse contro i suoi figli che Erode aveva incaricato di far proseguire.
Libro XVI:355 Ma quando Cesare le lesse, credette che non era bene aggravare di un nuovo regno un uomo anziano e così tormentato con i figli; invece, ricevuti gli ambasciatori di Areta, lo rimproverò di essere stato troppo sconsiderato nel non avere atteso di ricevere il regno da Cesare: accolse, comunque, i suoi doni e lo confermò sul trono.
Erode, Alessandro, Aristobulo: ultimi atti
Libro XVI:356 - XI, I. - Dopo essersi riconciliato con Erode, Cesare gli scrisse di essere angosciato a motivo dei suoi figli, e se essi erano stati così sconsiderati da attentare un crimine contro natura, egli li doveva punire come parricidi - questo potere, infatti, gli era concesso -, ma se essi progettavano di fuggire, egli doveva semplicemente ammonirli e non infliggere loro un castigo irreparabile.
Libro XVI:357 Inoltre lo avvertì di stabilire e convocare un consiglio a Berito, ove dimoravano i Romani, prendere i governatori (della Siria), Archelao, re della Cappadocia, e molte altre persone che giudicava evidentemente amichevoli o importanti e determinare col loro consiglio ciò che era da fare. Queste furono le istruzioni date da Cesare.
Libro XVI:358 Quando questa lettera fu consegnata, Erode fu subito lieto della riconciliazione avvenuta, felice pure che gli fosse dato pieno potere sui suoi figli.
Libro XVI:359 E come prima - quando i suoi affari non andavano bene - si mostrava severo ma non avventato né precipitoso contro i figli, ora che gli affari andavano meglio e aveva la libertà di azione, ostentava il suo odio e il suo potere.
Libro XVI:360 Inviò, dunque, le lettere invitando al consiglio quanti ritenne idonei, ad eccezione di Archelao. Costui non fu giudicato idoneo a essere presente o perché lo odiava o perché pensava che avrebbe interferito sui suoi piani.
Libro XVI:361 - 2. Quando i governatori (della Siria) e le persone invitate da varie città giunsero a Berito, egli trattenne i suoi figli, perché non ritenne opportuno portarli davanti al consiglio, in un villaggio dei Sidoniani chiamato Platana, vicino alla città di Berito per essere in grado di produrli qualora fossero chiamati.
Libro XVI:362 Si presentò, dunque, tutto solo davanti a centocinquanta persone, si sedette e diede inizio all'accusa, che non fu tanto compassionevole per le inevitabili sciagure, quanto molto inverosimile che un padre parlasse contro i suoi figli. Era, infatti, violento ed emotivo nel presentare le loro colpe e dava chiari segni di furia e ferocia.
Libro XVI:363 Non acconsentì ai membri del consiglio di esaminare le prove (addotte) ma offrì come argomento in difesa di esse il fatto che era una vergogna per un padre servirsene contro i suoi figli. Quando lesse ad alta voce le lettere scritte da loro, non trapelava alcuna congiura né traspariva slealtà, ma si parlava unicamente del loro piano di fuga, e alcuni tratti erano ingiuriosi verso Erode in quanto manifestavano la sua insoddisfazione verso di loro.
Libro XVI:364 Quando giunse a questi tratti gridò ancora più forte esagerando il carattere eccessivo del loro linguaggio in una confessione di congiura formata dai suoi figli contro di lui, giurando che avrebbe preferito perdere la vita piuttosto che sentire parole del genere.
Libro XVI:365 In fine disse che e la natura e la concessione di Cesare gli davano l'autorità di agire; ma aggiunse anche che nella sua patria c'era una legge che ordinava che qualora il genitore di un uomo, dopo averlo accusato, gli ponesse le mani sul capo, gli astanti dovevano lapidarlo e così ucciderlo.
Libro XVI:366 Disse che questo era preparato a farlo nella sua patria e nel suo regno, ma aspettava il loro giudizio. Perciò essi non erano venuti tanto per essere giudici di evidenti crimini dei suoi figli, che egli aveva quasi fatalmente tollerato, ma affinché avessero l'opportunità di essere partecipi del suo sdegno, poiché è conveniente che anche i più lontani non restino indifferenti di fronte a complotti così gravi.
Libro XVI:367 - 3. Dopo che il re aveva parlato così, senza che fossero introdotti i giovani, neppure per il tempo necessario per difendersi, i membri del consiglio si trovavano in una posizione nella quale era impossibile calmarlo od ottenere una riconciliazione, ratificarono la sua autorità.
Libro XVI:368 Per primo parlò Saturnino, uomo consolare di grande autorità, ed espresse un'opinione moderata che teneva conto delle circostanze. Disse, infatti, che mentre condannava i figli di Erode, non riteneva giusto metterli a morte, perché anch'egli aveva dei figli, e una simile condanna era troppo grande anche ammesso che tutte le sue disgrazie fossero dovute soltanto a loro.
Libro XVI:369 Dopo le parole di Saturnino, i suoi figli, ce n'erano tre che lo accompagnavano come legati, espressero la stessa opinione. Volumnio al contrario affermò che si doveva uccidere figli così empi verso il padre, e con gli stessi termini l'uno dopo l'altro si espresse la maggioranza dei presenti, sicché parve che il verdetto non poteva essere altro che la condanna a morte dei giovani.
Libro XVI:370 Di là Erode si recò subito a Tiro, menando loro con sé, e quando Nicola giunse da Roma per incontrarlo, dopo avergli detto quello che era accaduto in Berito, Erode gli domandò che cosa ne pensavano dei suoi figli gli amici di Roma.
Libro XVI:371 Di Nicola rispose che mentre ritenevano che le intenzioni dei suoi figli verso di lui non erano filiali, tuttavia egli doveva semplicemente imprigionarli e mantenere in prigione.
Libro XVI:372 “E se proprio hai risolto di punirli in una diversa maniera, non appaia che tu segua la via della collera piuttosto che quella della ragione. Se, invece, scegli di assolverli, non lasciare che la tua infelice posizione non abbia un rimedio. Questo è il parere della maggior parte dei tuoi amici di Roma”. Erode, allora, dopo un meditato silenzio, ordinò a Nicola di salire sulla nave con lui.
Libro XVI:373 - 4. Allorché giunse a Cesarea, subito tutti iniziarono a parlare dei suoi figli, e il regno era in attesa, aspettando di vedere che cosa ne sarebbe stato di loro.
Libro XVI:374 Una paura terribile colse tutti quanti avevano partecipato alla lunga disputa delle due parti, giunta ormai alla tragica fine; ed erano angosciati per la sofferenza dei giovani. Tuttavia non era possibile dire qualcosa liberamente o udirla detta da altri, senza pericolo: ognuno teneva ben chiusa in se stesso la propria compassione, ed essi portavano così la loro profonda sofferenza con pena, ma allo stesso tempo senza parlarne.
Libro XVI:375 Ma un vecchio soldato, di nome Tiro, aveva un figlio della stessa età di Alessandro, suo amico, parlò liberamente di tutte le cose che gli altri sentivano segretamente ma dissimulavano in silenzio.
Libro XVI:376 Di frequente era costretto a gridare, in presenza della folla, dicendo, senza dissimulazione, che tra gli uomini la verità era abolita, la giustizia spenta, mentre prevalevano menzogna e malizia distese su tutte le cose come una nebbia, tanto che neppure le sofferenze più grandi erano visibili agli uomini traviati.
Libro XVI:377 Questa libertà di parola era guardata da tutti come pericolosa, eppure non c'era uditore che non fosse mosso dalla ragionevolezza dei suoi lamenti e lo considerasse come l'incontro con un vero uomo.
Libro XVI:378 Per tale motivo ognuno era lieto di ascoltarlo dire quelle cose che egli pure avrebbe detto, e mentre tutti se ne stavano in guardia, in silenzio, per propria sicurezza, ciononostante approvavano la sua franchezza, poiché l'attesa tragedia obbligava tutti a parlarne.
Libro XVI:379 - 5. Con il più grande coraggio, Tiro si spinse fino in presenza del re e chiese di parlargli da solo a solo; quando il re glielo concesse, egli disse: “Siccome, o re, io sono incapace di sopportare questo grande affanno, per la mia salvezza, ho preferito questa ardita libertà, libertà di parola necessaria e vantaggiosa per te, se ne farai buon uso.
Libro XVI:380 Dove se ne andò il tuo senno? Dov'è la tua mente sovrana che compì molte e grandi opere? Perché questa completa assenza di amici e congiunti?
Libro XVI:381 Questi che vedo qui presenti non li credo né amici né congiunti, poiché in uno stato una volta così felice, sostengono che alligni tanto disordine, e tu non apri gli occhi per conoscere ciò che fai?
Libro XVI:382 Toglierai la vita a due giovani avuti da una moglie che era regina, e modello di ogni virtù? Nella tua età avanzata ti affiderai a un unico figlio che male ha ripagato la speranza che hai riposto in lui e ai tuoi congiunti che tante volte hai condannato a morte?
Libro XVI:383 E non comprendi che anche se tace, la folla vede il tuo errore e aborre il tragico evento, che tutto l'esercito con i suoi capi ha cominciato a
sentire pietà per gli sfortunati giovani e detestano gli autori di tutte queste cose?”.
Libro XVI:384 Sulle prime il re sentiva tali asserzioni non del tutto malvolen-tieri, ma è appena necessario aggiungere che quando Tiro toccò apertamente i tragici eventi e l'insuccesso della fiducia nella propria famiglia, egli ne fu profondamente commosso.
Libro XVI:385 Quando però Tiro sempre più nella sua mancanza di moderazione e di schiettezza militare, perché la sua assenza di educazione lo portava al di là di quanto richiedeva l'occasione, Erode rimase costernato,
Libro XVI:386 parendogli di venire rimproverato più che sentire espressioni gratificanti; e quando seppe dei soldati scontenti e di comandanti indignati, diede ordine che tutti fossero indicati per nome, fossero messi in catene e tenuti in prigione, compreso lo stesso Tiro.
Libro XVI:387 - 6. Fatto questo, un certo Trifone, uno dei barbieri del re, colse l'occasione per farsi avanti e dire che Tiro aveva spesso tentato di persuaderlo a tagliare la gola al re, mentre col rasoio gli faceva la barba, e gli aveva detto che sarebbe diventato uno dei migliori amici di Alessandro, e ne avrebbe ricevuto una grande quantità di regali.
Libro XVI:388 Dopo questa affermazione, Erode ordinò l'arresto dell'uomo; in seguito presero a torturarli ambedue, Tiro e suo figlio, ed anche il barbiere.
Libro XVI:389 Tiro sopportò il tormento con coraggio, ma il figlio, vedendo ora suo padre in uno stato terribile, senza alcuna speranza di sopravvivere, e prevedendo dalla penosa sofferenza del padre quello che gli sarebbe capitato, disse che avrebbe rivelato al re la verità, perché a sua volta Erode liberasse lui e suo padre dalla tortura e dallo strazio.
Libro XVI:390 Quando il re diede la sua parola che avrebbe fatto così, il giovane disse che c'era stata un'intesa che Tiro avrebbe assassinato il re, perché a lui sarebbe stato facile avvicinarlo quando sarebbero stati soli; e se, compiuta l'impresa, Tiro avesse avuto da soffrirne, com'era da aspettarsi, il servizio reso ad Alessandro, sarebbe stato un nobile servizio.
Libro XVI:391 Con queste dichiarazioni, il giovane liberò suo padre dallo stato disperato in cui si trovava, ma non è chiaro se disse la verità sotto costrizione,
oppure se giudicava che questa confessione avrebbe posto fine alle sofferenze di suo padre e alle proprie.
Libro XVI:392 - 7. Intanto, se Erode aveva prima qualche perplessità a mettere a morte i suoi figli, nell'animo non rimase più spazio per questo; allontanò qualsiasi cosa fosse stata capace a fargli cambiare idea per un migliore consiglio; ormai non si curava d'altro che di eseguire il suo piano.
Libro XVI:393 Portò davanti all'assemblea trecento capi che erano sotto accusa, e Tiro con suo figlio e il barbiere che li avevano denunciati, e addusse le accuse contro di loro.
Libro XVI:394 E la folla uccise questi uomini colpendoli con tutto ciò che veniva loro in mano. Allora Alessandro e Aristobulo furono condotti a Sebaste e per ordine del loro padre, vennero uccisi con strangolamento. Durante la notte i loro corpi furono portati nell'Alessandreion dove erano sepolti il loro nonno materno e la maggioranza dei loro antenati.
Libro XVI:395 - 8. A taluno non paia fosse strano che un odio nutrito da molto tempo sia cresciuto poi così tanto e si sia esteso così profondamente da affogare i sentimenti della natura. Ma si può ragionevolmente esitare se decidere di biasimare i giovani perché avevano fornito esca all'ira paterna e comandare del tempo l'avevano amareggiato in modo così inguaribilmente ostile a se stessi,
Libro XVI:396 oppure se biasimare lui, per la sua insensibilità, per lo smodato desiderio di regnare e di assaporare altre forme di gloria che non doveva lasciare intentate, tanto da apparire invincibile in tutto quello che voleva,
Libro XVI:397 o ancora se lamentare la Fortuna il cui potere è maggiore di qualsiasi prudente riflessione. Per tale motivo, siamo persuasi che le azioni umane sono preordinate ad avere luogo da una assoluta necessità, che noi chiamiamo Fato, perché non v'è nulla che si compia senza di esso.
Libro XVI:398 Ora io penso che basterà confrontare questa dottrina con quella secondo la quale noi attribuiamo a noi stessi una parte della causa, e manteniamo noi stessi non responsabili per le differenze nel nostro comportamento, come è stato discusso filosoficamente prima di noi nella Legge.
Libro XVI:399 Per le altre due cause si possono rimproverare i figli di Erode, perché con giovanile baldanza e la boria regale prestavano orecchio ai calunniatori del padre, erano critici impietosi di quanto fatto durante la sua vita,
erano maligni nei loro sospetti, e intemperante nel parlare: in ambedue questi aspetti caddero facili prede di quanti li stavano osservando per informare il re contro di essi e propiziarsene la benevolenza.
Libro XVI:400 Tuttavia il loro padre non era degno di rispetto a motivo della sua slealtà verso di loro, tutt'altro che paterna, giacché senza avere ottenuto alcuna chiara evidenza della loro slealtà o senza essere riuscito a provare che preparavano un attacco contro di lui, ebbe il coraggio di uccidere persone generate da lui, fisicamente perfette e care agli stranieri, non inesperte negli esercizi di caccia e militari e nel parlare degli affari correnti.
Libro XVI:401 Erano abili in tutto ciò, in particolare modo Alessandro, il più anziano. Poiché per Erode sarebbe stato sufficiente, anche se condannati, tenerli vivi in prigione, o mandarli fuori del regno: egli era abbastanza difeso e sicuro del grande potere di Roma, per cui non era possibile che avesse da subire qualcosa come un attacco o un'azione violenta.
Libro XVI:402 Ucciderli subito, fu, dunque, per lui un assecondare la passione che lo possedeva, fu il segno di uno spirito non religioso che era al di là di ogni scusa, specialmente perché commise un crimine così grande in età avanzata.
Libro XVI:403 Invero il suo ritardo e il suo temporeggiare non gli fornirono alcuna scusante. Poiché colui che disperato e sotto una grave emozione si accinge a compiere qualcosa di atroce è una evenienza comune, anche se è arduo da sopportare; ma fare questo dopo averci pensato a lungo, dopo frequenti e decise partenze e altrettanto frequenti arresti ed esitazioni, e finalmente passare all'azione, questo è l'atto di un omicidio: male dal quale non è più possibile ritrarsi.
Libro XVI:404 Anche nelle sue ultime azioni Erode manifestò gli stessi tratti, non risparmiando neppure i restanti suoi carissimi amici; nel loro caso, tuttavia, la giustizia li fece rimpiangere meno per la loro eliminazione, sebbene egli abbia dimostrato una uguale crudeltà non risparmiandoli. Di questo tratteremo ampiamente al suo luogo nella narrazione seguente.