mercoledì 19 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro XVII° (17/20)

Libro XVII°


Intrighi di Antipatro
Libro XVII:1 - I, I. - Benché Antipatro si fosse liberato dei suoi fratelli coinvolgendo suo padre nel più empio dei crimini ed esponendolo alla vendetta divina, le sue speranze per il proprio futuro non corrispondevano ancora ai suoi disegni. Poiché, sebbene fosse libero dal timore di avere da dividere il potere con i fratelli, trovò più difficile e meno sicura l'impresa di ottenere il trono, a motivo dell’ampiezza raggiunta dall'odio popolare verso di lui.
Libro XVII:2 A questa difficoltà che gli dava una non piccola noia, gli si aggiunse una inquietudine ancora maggiore, cioè l'ostile attitudine delle forze armate, poiché tutta la sicurezza di un re è nelle loro mani, ogni qual volta la sua nazione aspira a novità. A così grande pericolo lo condusse la morte dei suoi fratelli. Ciò nonostante egli era almeno co-regnante con suo padre, non diversamente dal re.
Libro XVII:3 Egli inoltre aveva la confidenza di Erode in misura ancora più grande, avendo trovato il modo di ottenere la sua benevolenza, ma in una maniera che sarebbe stata causa della sua caduta, poiché dava a vedere di essere stato lui ad accusare i suoi fratelli per mettere al sicuro la salvezza di Erode e non per inimicizia verso di loro e prima di loro verso suo padre.
Libro XVII:4 Tali erano le pazzie che lo invasavano. Tutto ciò serviva ad Antipatro come una via tortuosa per attaccare Erode, giacché vedeva se stesso libero da chi poteva scoprire le sue intenzioni, ed Erode privo di chi potesse aiutarlo, quando Antipatro gli si fosse dichiarato apertamente nemico.
Libro XVII:5 Era dunque per odio verso il padre che tese insidie ai suoi fratelli. Allora si sentì più che mai animato a non abbandonare l'impresa, poiché se moriva Erode, il regno sarebbe stato suo senza contrasti; ma se a Erode fosse capitato di prolungare la vita, sarebbe stato continuamente a confronto col pericolo della rivelazione del crimine da lui ideato, obbligando perciò suo padre a diventare suo nemico.
Libro XVII:6 Per questo motivo era generoso di favori per i seguaci di suo padre, cercando, con grandi ricompense di distogliere da sé l'odio che ognuno gli portava, e specialmente di guadagnarsi la benevolenza degli amici (di Erode) romani, inviando loro sontuosi regali, in particolare a Saturnino, legato di Sirio.
Libro XVII:7 Sperava pure di conquistare il fratello di Saturnino con i grandi doni che gli stava facendo e usava lo stesso metodo con la sorella del re, che era sposata a uno dei principali seguaci di Erode.
Libro XVII:8 Era molto scaltro nel fingere leale amicizia e riusciva a ottenere fiducia da tutti e, con sottile artifizio, sapeva nascondere l'odio che provava verso tutti; non giunse, però, a ingannare la zia che da molto tempo conosceva le sue intenzioni e non era tale da essere raggirata perché aveva preso ogni possibile precauzione contro i cattivi artifizi;
Libro XVII:9 nonostante ciò, lo zio materno di Antipatro aveva sposato la figlia di lei, ed era stato un progetto e un maneggio di Antipatro se aveva preso la giovane donna che prima era stata sposa di Aristobulo. L'altra figlia di Salome fu data in matrimonio al figlio del suo (primo) marito Callea; ma quest'unione matrimoniale non fu una barriera per il cattivo carattere di lei, non meno di quanto lo fosse stata la prima relazione per il suo odio.
Libro XVII:10 Quantunque Salome fosse desiderosa di sposare l'arabo Silleo, per il quale aveva una passione, Erode la obbligò a diventare moglie di Alessa: a questa situazione cooperò anche Giulia, che persuase Salome a non rifiutare il matrimonio altrimenti sarebbe esplosa tra loro una inimicizia, perché Erode aveva giurato che non sarebbe stato in armonia con Salome, se lei non avesse accettato di sposare Alessa; lei accolse il consiglio di Giulia, sia perché era moglie di Cesare sia perché in altre occasioni le avrebbe dato suggerimenti molto vantaggiosi.
Libro XVII:11 In questo tempo anche Erode rimandò a suo padre la figlia del re Archelao che era stata moglie di Alessandro, con la dote sborsata dal proprio denaro per evitare che insorgessero motivi di contrasto.
Combinazioni matrimoniali
Libro XVII:12 - 2. Lo stesso Erode allevò presso di sé i nipotini (figli dei suoi figli) con molta cura: Alessandro ebbe due maschi, da Glafira; e Aristobulo tre maschi e due femmine, da Berenice, figlia di Salome.
Libro XVII:13 Un giorno presentò i ragazzi a un raduno di suoi amici e, dopo avere pianto la sventura dei suoi figli, pregò che non dovesse mai accadere una sventura del genere ai loro figli, che anzi, cresciuti in valore e giustizia, lo ripagassero dell’educazione che dava loro.
Libro XVII:14 Egli destinò pure loro in matrimonio, quando avessero raggiunto l'età, la figlia di Ferora per il primo figlio di Alessandro, la figlia di Antipatro per il figlio di Aristobulo, assegnò una figlia di Aristobulo come sposa del figlio
di Antipatro; un'altra figlia di Aristobulo la assegnò al proprio figlio Erode che gli era nato dalla figlia del sommo sacerdote; da noi, infatti, è usanza avita avere più mogli contemporaneamente.
Libro XVII:15 A concludere questi matrimoni il re fu indotto dalla pietà che sentiva per quegli orfani e indusse Antipatro ad avere sentimenti benevoli verso di loro a motivo del vincolo matrimoniale.
Libro XVII:16 Ma Antipatro non mutò i propri sentimenti verso i figli dei suoi fratelli, come verso i loro padri; e la cura di suo padre per loro, gli diede da pensare prevedendo che sarebbero venuti più potenti dei suoi fratelli, specialmente quando fossero diventati uomini con Archelao, personalità regia che avrebbe sostenuto i suoi nipoti e Ferora, ora anche tetrarca, che avrebbe sostenuto (il figlio di Alessandro) in procinto di sposare sua figlia.
Libro XVII:17 Gli dava da pensare, infine, il fatto che tutta la gente aveva compassione degli orfani e aveva in odio lui che non aveva esitato ad andare alle estreme conseguenze contro i suoi fratelli. Perciò cercava il modo di sconvolgere i disegni decisi da suo padre, pensando che in seguito, per lui, sarebbe stato pericoloso averli così vicini nella partecipazione a un così grande potere.
Libro XVII:18 Erode, perciò, cambiando il suo disegno, si piegò alle istanze di Antipatro, e così Antipatro doveva sposare la figlia di Aristobulo e suo figlio, la figlia di Ferora. In tal guisa si stravolsero le convenzioni matrimoniali contro i desideri del re.
Le mogli di Erode
Libro XVII:19 - 3. A questo tempo il re Erode aveva nove mogli: la madre di Antipatro e la figlia del sommo sacerdote dalla quale gli era nata una figlia dello stesso nome; poi c'era la figlia di suo fratello, sposata a lui, e una cugina, dalla quale non ebbe prole;
Libro XVII:20 tra le sue mogli vi era pure una samaritana di nascita: fu madre di Antipa, di Archelao e della figlia Olimpia, che in seguito sposò Giuseppe, nipote del re; Archelao e Antipa furono allevati a Roma da un certo giudeo;
Libro XVII:21 un'altra moglie era Cleopatra, nativa di Gerusalemme, dalla quale ebbe due figli, Erode e Filippo, pure allevati a Roma; tra queste sue mogli
vi era pure Pallade che gli diede un figlio di nome Fasaele; poi ancora Fedra ed Elpide, dalle quali ebbe due figlie, Rossana e Salome.
Libro XVII:22 Le sue figlie maggiori, che ebbero la stessa madre di Alessandro e Aristobulo, che Ferora aveva rifiutato di sposare, le diede in matrimonio, una ad Antipatro, figlio della sorella del re, e l'altra a Fasaele che era figlio di un fratello di Erode. Questa era, dunque, la famiglia di Erode.
La banda di Babilonia
Libro XVII:23 - II, I. - Era, circa, questo il tempo nel quale Erode volendo assicurarsi da attacchi dei Traconiti, decise di edificare, tra loro e i Giudei, un villaggio non inferiore, in grandezza, a una città, per rendere difficile l'invasione del suo territorio, e anche per disporre di un luogo dal quale fare sortite contro il nemico vicino e colpirlo con improvvise incursioni.
Libro XVII:24 Quando seppe che un Giudeo dalla Babilonia aveva passato l'Eufrate con cinquecento arcieri a cavallo e un gruppo di congiunti che raggiungeva il centinaio, si erano sistemati ad Antiochia vicino a Dafne in Siria, perché Saturnino, allora governatore della Siria, aveva dato loro un luogo ove abitare di nome Ulatha,
Libro XVII:25 mandò da lui e da tutta la banda che lo seguiva con la promessa di dargli terra nella toparchia chiamata Batanea ai confini della Traconitide perché voleva porre un argine all'irruenza dei vicini; e promise che questa terra sarebbe stata esente da tasse, ed essi esenti da qualsiasi forma di tributi, perché egli avrebbe permesso loro di abitare nella terra senza alcun obbligo.
Libro XVII:26 - 2. Persuaso da questa offerta il Babilonese venne a prendere possesso della terra e vi edificò delle fortezze e un villaggio al quale diede il nome Bathira. Quest'uomo fu uno scudo sia per gli abitanti esposti ai Traconiti, sia per i Giudei che da Babilonia venivano a sacrificare in Gerusalemme: costoro li custodivano affinché non venissero assassinati dal brigantaggio dei Traconiti. Vennero da lui, da ogni parte, anche molti uomini che erano devoti alle ancestrali usanze dei Giudei.
Libro XVII:27 Questa terra divenne molto popolata, a motivo della sua immunità da ogni tassazione; questo stato di cose durò finché visse Erode; quando nel comando gli succedette suo figlio Filippo li assoggettò alla tassazione, tuttavia non grave e per breve tempo.
Libro XVII:28 Ma Agrippa il Grande e il figlio che portava lo stesso nome li oppressero pesantemente; non vollero però togliere loro la libertà. E i Romani che succedettero nel comando a questi re, mantennero loro lo stato di uomini liberi, ma con l'imposizione del tributo li schiacciarono completamente. Di questa materia tuttavia, tratterò più compiutamente nel corso della narrazione.
Libro XVII:29 - 3. Quando Zamari, il Babilonese, che da Erode aveva ottenuto questa terra, dopo una vita virtuosa morì, lasciò dei figli virtuosi. Uno di essi, Jacimo, di gran valore, organizzò i Babilonesi a lui soggetti in un corpo di cavalieri; una truppa di questi uomini serviva i re come guardia del corpo.
Libro XVII:30 E quando Jacimo, ormai vecchio, morì, lasciò un figlio di nome Filippo che era uomo di grande forza e dotato di altre virtù, tanto da poter reggere assai bene il confronto con qualsiasi altro.
Libro XVII:31 Per questo tra lui e il re Agrippa ci fu sempre fedele amicizia e costante benevolenza, e fu sempre lui il maestro delle truppe che il re poteva mantenere e le guidava ovunque se ne presentava bisogno.
Ad Antipatro la direzione dagli affari
Libro XVII:32 - 4. Trovandosi Erode nella situazione descritta, tutti gli affari venivano sbrigati da Antipatro. Egli non rifiutava di usare la sua autorità per ratificare tutto quanto voleva, perché suo padre aveva lasciato ogni cosa a lui, a motivo della fiducia che aveva nella lealtà e fedeltà di Antipatro. Ed era diventato ancora più audace nella ricerca di far valere la sua autorità sugli altri, perché i suoi cattivi disegni erano celati al padre che aveva la più grande fiducia in tutto ciò che diceva Antipatro;
Libro XVII:33 era temuto da tutti, non tanto per la sua autorità quanto a motivo della sua lungimirante malizia. Ferora, in particolare, lo corteggiava e a sua volta era corteggiato perché Antipatro, molto abilmente, lo aveva irretito, e aveva formato le donne sul modo di comportarsi con lui.
Libro XVII:34 In verità Ferora era diventato uno schiavo di sua moglie e di sua madre e sorella, anche se egli odiava queste creature per la loro arroganza verso le sue figlie vergini. Ciononostante egli era paziente con loro e non sapeva fare nulla senza queste donne che avevano circondato il pover uomo e in ogni cosa concordavano agendo lealmente in reciproca armonia,
Libro XVII:35 sicché Antipatro le aveva sotto il suo completo controllo, sia grazie alla propria azione, sia grazie all'azione di sua madre, tanto che queste quattro donne erano l'espressione di un unico pensiero. Le divergenze tra Ferora e Antipatro sorsero da cose di nessun rilievo;
Libro XVII:36 ma il freno alla loro azione comune fu opera della sorella del re che da tempo stava osservando ogni cosa e, avvenutasi, che la loro amicizia mirava alla rovina di Erode, non ebbe difficoltà a informarlo contro di esse.
Libro XVII:37 Saputo che questa loro amicizia era odiosa per il re, in quanto macchinava la sua rovina, si accordarono di non fare più conoscere i loro incontri e, qualora si presentasse l'occasione di trovarsi, si accordarono di dirsi villanie e dimostrarsi nemiche l'una dell'altra, specialmente in presenza del re o di chi potesse riferirlo a lui; ma segretamente strinsero ancora più fortemente la loro intesa. E questo è quanto fecero.
Attività di Salome
Libro XVII:38 Ma Salome ignorava tutte queste cose, né all'inizio quando formarono il progetto, né in seguito quando non erano lontane dal mandare ad effetto il loro disegno; lei frugava dappertutto e in fine rivelò ogni cosa a suo fratello, cioè che si tenevano adunanze segrete, cene, riunioni tenebrose e oscure che, lei diceva, non sarebbero state sottratte alla pubblica conoscenza, se non avessero avuto un motivo contro di lui.
Libro XVII:39 Ora queste (donne) che in pubblico si dimostravano l'un l'altra discordi e usavano tra loro parole ingiuriose in ogni occasione, costoro, lei diceva, in realtà nascondevano la loro amicizia dalla vista del pubblico e ogni qualvolta erano insieme da sole si trovavano concordi a combattere contro coloro dai quali ebbero a soffrire per nascondere la benevolenza che sentivano l'una per l'altra.
Libro XVII:40 Salome, dunque, frugava su tali cose e andava a riferirlo dettagliatamente a suo fratello, il quale pur avendone già trovate da solo, non osava fare nulla perché gli era venuto il sospetto che le accuse della sorella fossero false.
Predizioni su Erode
Libro XVII:41 C'era anche un gruppo di Giudei che si vantava di una consuetudine ereditaria e di una scrupolosa osservanza delle leggi approvate dalla Divinità, e da questi uomini, chiamati Farisei, erano dirette le donne (di corte); costoro erano molto adatti per aiutare il re a motivo della loro preveggenza, e tuttavia erano ovviamente diretti a combatterlo e ingiuriarlo.
Libro XVII:42 Almeno dopo che il popolo giudaico si era obbligato, con giuramento, a essere leale verso Cesare e verso il governo del re; più di seimila di costoro si rifiutarono di giurare, e quando il re li punì con una multa, la moglie di Ferora pagò la multa in loro vece.
Libro XVII:43 In cambio della sua amicizia, essi predissero - avevano fama di prevedere il futuro grazie ad apparizioni di Dio - che per decreto divino a Erode sarebbe stato tolto il trono sia da lui stesso che dai suoi discendenti, e il potere regio sarebbe andato a lei e a Ferora e a ogni figlio avuto da loro.
Libro XVII:44 Queste cose non rimasero ignote a Salome: furono riferite al re e così la notizia che i Farisei avevano corrotto alcuni dei suoi cortigiani. Il re, dunque, mise a morte i Farisei più biasimati, l'eunuco Bagoa e un certo Caro che era il più preminente dei suoi contemporanei per la sua insuperabile bellezza ed era amato dal re; uccise anche tutti quei suoi domestici che approvavano quanto detto dai Farisei.
Libro XVII:45 Per colpa loro Bagoa era stato elevato a grandi speranze con l'assicurazione da parte loro che sarebbe stato chiamato padre e benefattore di colui che un giorno sarebbe posto sopra il popolo col titolo di re, perché tutto il potere sarebbe andato a lui ed egli avrebbe dato a Bagoa la facoltà di sposarsi e generare figli veramente suoi.
Accuse di Erode contro la moglie
di Ferora
Libro XVII:46 - III, I. Puniti i Farisei che erano stati considerati colpevoli con tali accuse, Erode raccolse un consiglio di suoi amici e fece accuse contro la moglie di Ferora; all'audacia di questa donna ascrisse l'oltraggioso trattamento delle vergini e ascrivendo come colpa del marito il motivo della lagnanza,
Libro XVII:47 accusandola di aver, come un promotore di gare, suscitato una lotta tra lui e suo fratello e di avere pure fatto, con la parola e con i fatti quanto era in suo potere per proseguire questa lotta innaturale. L'ammenda poi, da lui
imposta (ai Farisei) era stata evasa grazie ai pagamenti fatti da lei, e che al presente non si faceva niente senza di lei.
Libro XVII:48 “Onde, se agissi saggiamente, o Ferora, senza una mia richiesta, senza che io esprima il mio pensiero, spontaneamente dovresti ripudiare questa donna, essendo l'unica fomentatrice di discordie tra te e me; ora se ci tieni alla mia parentela, manda via tua moglie, poiché in tal modo resterai mio fratello e non muterai il tuo amore verso di me”.
Libro XVII:49 Ma, Ferora, pur profondamente commosso da queste parole, disse che per lui non era giusto offendere né l'attaccamento a suo fratello né la devozione a sua moglie, e che avrebbe preferito la morte piuttosto che vivere senza la moglie a lui tanto cara.
Libro XVII:50 Erode, benché trattenesse la collera che a quelle parole gli sorse spontanea contro Ferora, sebbene avesse volentieri risposto con una ritorsione, proibì ad Antipatro e a sua madre di associarsi a Ferora e che in avvenire si guardassero dall'incontrarsi con le donne.
Libro XVII:51 Promisero, certo, di ubbidire; ma ovunque se ne presentava l'opportunità, Ferora e Antipatro si incontravano e gozzovigliavano insieme; e correva voce che la moglie di Ferora fosse in intimità con Antipatro e la madre di Antipatro si prestasse a tenerli insieme.
Intrighi di Antipatro, Silleo e Ferora
Libro XVII:52 - 2. Ora (Antipatro) guardava suo padre con sospetto e temeva che il suo odio andasse aumentando; scrisse perciò agli amici in Roma sollecitandoli a scrivere quanto prima ad Erode di inviare Antipatro da Cesare al più presto possibile;
Libro XVII:53 e questo fu fatto. Erode inviò Antipatro e con lui preziosissimi doni e anche un testamento nel quale designava Antipatro suo successore al trono; in caso che egli morisse prima di lui (del padre) sarebbe diventato re Erode, il figlio natogli dalla figlia del sommo sacerdote.
Libro XVII:54 Ora Silleo, l'Arabo, che non aveva eseguito alcuno degli ordini di Cesare, navigò nello stesso tempo di Antipatro. E Antipatro lo accusò davanti a Cesare degli stessi crimini dei quali prima lo aveva accusato Nicola. Silleo era anche accusato da Areta di avere ucciso, contro la sua volontà, molti uomini
notabili di Petra, in special modo Soemo, uomo molto stimato per la sua grande virtù, e di aver fatto fuori Fabato, servo di Cesare.
Libro XVII:55 A Silleo venivano fatte anche le seguenti accuse. Erode aveva una guardia del corpo di nome Corinto che godeva di tutto il credito del re. Con ingenti somme di denaro, Silleo cercò di persuadere quest'uomo a uccidere Erode, ed egli si accordò di farlo. Ora, quando Fabato venne a conoscenza di questo dalla bocca stessa di Silleo, lo riferì al re.
Libro XVII:56 Erode perciò arrestò Corinto, lo sottopose alla tortura e così gli si svelò (tutto); arrestò anche due arabi denunziati da Corinto: uno era capotribù, l'altro amico di Silleo.
Libro XVII:57 Anche costoro confessarono, il re infatti li aveva messi alla tortura, che erano venuti per incitare Corinto a non mostrarsi debole, affermando che qualora fosse necessario avrebbero dato una mano all'uccisione. Quando Saturnino fu informato di tutto da Erode, li spedì a Roma.
Fine di Ferora
Libro XVII:58 - 3. Siccome Ferora perseverava più che mai nell'amore della moglie, Erode gli ordinò di ritirarsi nel suo territorio. Così, di buon grado, si ritirò nella sua tetrarchia, con giuramento solenne di non ritornare più indietro finché non avesse udito la morte di Erode. Così anche quando il re divenne malato e fu chiesto a Ferora di ritornare per ricevere certe istruzioni confidenziali, dato che si riteneva che il re stesse per morire, egli rifiutò nonostante il giuramento.
Libro XVII:59 Ma Erode, in questo, non seguì il suo esempio e prese anticipatamente la sua decisione; quando, più tardi, si ammalò suo fratello Ferora, egli andò a trovarlo anche se non era stato chiamato. E quando Ferora morì egli lo preparò per il funerale e lo fece trasferire a Gerusalemme dove provvide un luogo per la sepoltura e decretò un lutto solenne.
Libro XVII:60 Di qui trassero origine le sventure di Antipatro, benché fosse già andato a Roma; Dio, infatti, lo puniva per l'assassinio dei suoi fratelli. Ne esporrò qui tutta la storia affinché sia esempio e avvertimento al genere umano a praticare la virtù in ogni circostanza.
Altri intrighi di Antipatro
Libro XVII:61 - IV, I. - Allorché Ferora morì e fu sepolto, due liberti, che erano stati molto stimati da lui andarono da Erode e lo pregarono di non lasciare invendicata la morte di suo fratello, ma di esaminare la sua inesplicabile e infelice morte.
Libro XVII:62 Allorché Erode dimostrò interesse alle loro asserzioni che gli parevano credibili, proseguirono dicendo che il giorno prima di cadere malato Ferora aveva cenato con sua moglie e aveva mangiato una sostanza servitagli in una specie di cibo al quale non era abituato e per questo morì. Perciò quella sostanza, portata da una donna dell'Arabia, apparentemente per stimolare le sue sensazioni erotiche, era chiamata filtro erotico, in realtà era per ucciderlo.
Libro XVII:63 Ora le donne dell’Arabia sono le più abili di tutte nell'uso di droghe e la donna da loro accusata di questo atto era conosciuta come innamorata di Silleo. Per indurla a vendere la droga erano andate in quella regione la madre e la sorella della moglie di Ferora e con essa erano ritornate il giorno avanti la cena.
Libro XVII:64 Acceso di sdegno da questa notizia, il re sottopose alla tortura le serve delle donne e alcune liberte, ma l'affare restava oscuro perché nessuno voleva parlare. Alla fine una delle donne, sopraffatta dal dolore, parlò: null'altro disse se non un'invocazione a Dio affinché mandasse uguali tormenti alla madre di Antipatro che era stata, disse, la causa del male che opprimeva tutte loro.
Libro XVII:65 Queste parole spinsero Erode a una disamina più accurata; con torture fece in modo che dalle donne fosse portata alla luce l'intera storia. Esse parlarono di bagordi, di incontri segreti e, quello che è più, della rivelazione, fatta da Ferora, alle donne di cose che egli (Erode) aveva detto soltanto a suo figlio, poiché Erode aveva incaricato Antipatro di nascondere il regalo di cento talenti fatto sotto la condizione che non ne parlasse a Ferora.
Libro XVII:66 Esse parlarono pure dell’odio di Antipatro verso suo padre, delle lamentele che faceva con sua madre della vita troppo lunga del padre, e come anche lui si era ormai accostato alla vecchiaia, onde neppure il regno, quando fosse giunto ad averlo, gli avrebbe dato molta consolazione; tanto più si lagnava che si allevassero alla successione un gran numero di fratelli e figli che non gli lasciavano più la sicura speranza di ottenere il trono.
Libro XVII:67 E anche ora, diceva, se gli fosse capitata una disgrazia, Erode piuttosto che a suo figlio, avrebbe lasciato il regno a suo fratello; accusava il re di eccessiva crudeltà e dell’uccisione dei suoi figli; e aggiungeva che per timore di disavventura Erode e Ferora astutamente avevano fatto un piano secondo il quale lui sarebbe andato a Roma e Ferora nella sua tetrarchia.
Libro XVII:68 - 2. Queste asserzioni concordavano con quelle di sua sorella, e contribuirono largamente a eliminare le esitazioni di Erode sulla loro credibilità. E, convinto che Doris, madre di Antipatro, fosse coinvolta nella sua malvagità, il re le tolse tutti i suoi abiti vistosi che avevano il valore di molti talenti, poi la mandò via e fece pace con le donne di Ferora.
Libro XVII:69 Quello però che più fece salire lo sdegno del re contro il figlio fu un samaritano di nome Antipatro, agente del figlio del re, Antipatro; tra le cose che costui rivelò sotto tortura, ci fu che aveva preparato un veleno fatale e lo aveva dato con l'avvertenza di darlo a suo padre durante l'assenza di Antipatro dal paese, in modo che restasse il più a lungo possibile esente da ogni sospetto sull'affare.
Libro XVII:70 E il veleno era stato portato dall'Egitto da Antifilo, uno degli amici di Antipatro, ed era stato inviato a Ferora per mezzo di Teudione, zio materno di Antipatro, figlio del re; in tale modo il veleno era venuto nelle mani della moglie di Ferora, perché il marito glielo aveva dato da custodire.
Libro XVII:71 Quando il re la interrogò la moglie confessò ogni cosa e corse come per portarlo (il veleno) e si gettò dal tetto; ma non morì perché cadde in piedi.
Libro XVII:72 Quando (Erode) la rivide promise l'immunità a lei e ai suoi, qualora avesse scritto accuratamente la verità; ma qualora lei si rifiutasse, lui l'avrebbe fatta passare tra i più terribili tormenti; lei così giurò che avrebbe rivelato ogni cosa come era avvenuta e la maggioranza afferma che disse veramente ogni cosa:
Libro XVII:73 “Il veleno fu portato dall'Egitto da Antifilo, al quale era stato dato da suo fratello, che è un medico, e Teudione lo portò da noi. Dopo fu preparato da Antipatro per usarlo contro di te; io lo ricevetti da Ferora, e io stesso l'ho custodito.
Libro XVII:74 Quando Ferora si ammalò, tu avesti premura verso di lui e ti curasti di lui; egli vide la tua gentilezza, il suo spirito ne fu scosso, mi mandò a
chiamare e mi disse: “Mia cara moglie, Antipatro ha fatto di me uno stupido a proposito di suo padre, che è anche mio fratello, architettando piani per la sua uccisione e provvedendo, per questo scopo, il veleno da somministrargli.
Libro XVII:75 Ma ora che mio fratello ha dimostrato verso di me una bontà non inferiore a quella del passato e io non penso di prolungare oltre i miei giorni, deh, provvedi tu che io non discenda ai miei antenati con la vendetta di un fratricidio, disonorandoli, ma porta il veleno e brucialo sotto i miei occhi”. Senza indugio lei lo portò ed eseguì così gli ordini del marito.
Libro XVII:76 Lei diede alle fiamme la parte maggiore del veleno, conservandone però un tantino affinché, dopo la morte di Ferora, qualora il re l'avesse trattata male, con esso avrebbe posto fine alla propria vita evitando così la tortura.
Libro XVII:77 Detto tutto questo, trasse un bossolo che conteneva il veleno; e un fratello di Antifilo e sua madre, sotto crudeli tormenti e torture, dissero le stesse cose e identificarono il bossolo.
Libro XVII:78 In queste accuse venne coinvolta anche la figlia del sommo sacerdote, che era moglie del re, perché, consapevole di ogni cosa, non aveva voluto dire nulla. Per questo motivo Erode divorziò da lei e cancellò la parte del testamento nella quale suo figlio era nominato suo successore al trono; depose inoltre il sommo sacerdote Simone, suo suocero, figlio di Boeto, e al suo posto designò Mattia, figlio di Teofilo, nativo di Gerusalemme.
Libro XVII:79 Nel mentre giunse da Roma Batillo, liberto di Antipatro, e, sottoposto a tortura, si scoprì che aveva portato un veleno da consegnare alla madre di Antipatro e a Ferora affinché, qualora il primo veleno non avesse sortito sul re l'effetto voluto, lo si potesse uccidere con quest'altro.
Libro XVII:80 Dagli amici di Roma giunsero lettere a Erode, scritte per suggestione di Antipatro, nelle quali non si faceva altro che accusare Archelao e Filippo perché di continuo sparlavano del loro padre, come assassino di Aristobulo e di Alessandro, e perché sembrava avessero pietà per se stessi, poiché erano stati richiamati dal padre e tale chiamata, a quanto si diceva, non aveva altro motivo che la condanna a morte.
Libro XVII:81 Con queste lettere gli amici aiutavano Antipatro a ottenere grandi somme di denaro. Anche Antipatro scrisse a suo padre dei più gravi crimini dei giovani e attribuiva loro altre affermazioni, scusandoli per la giovane
età. Egli poi era intento a portare avanti la sua relazione con Silleo, era tutto preso ad accattivarsi la benevolenza delle persone influenti, e si era assicurato, con duecento talenti, un immobile sontuoso.
Libro XVII:82 Ci si può stupire come mai non avesse sentore dei gravi torbidi che già da sette mesi si erano levati in Giudea contro di lui. La ragione di questo era, in parte, la grande diligenza con cui si guardavano le strade e in parte l'odio che tutti avevano per Antipatro, onde non v'era alcuno che si mettesse in pericolo per la salvezza di Antipatro.
Libro XVII:83 - V, I. - Allorché Antipatro gli scrisse informandolo che aveva concluso ogni cosa che aveva da fare e avrebbe compiuto il ritorno quanto prima, Erode dissimulò il suo sdegno e rispose ordinandogli di non ritardare il suo rientro, affinché durante la sua lontananza non avesse a capitare qualcosa di sinistro a suo padre; faceva qualche lagnanza di poco conto su sua madre, promettendogli che avrebbe analizzato queste lagnanze all'arrivo di Antipatro.
Libro XVII:84 Gli dava tutte le prove possibili della sua benevolenza, per timore che avesse avuto qualche sospetto e, invece di rientrare a casa, differisse la sua permanenza a Roma e organizzasse qualche complotto contro il trono di Erode, e nel fare questo riuscisse eventualmente a fare qualche danno.
Libro XVII:85 Questa lettera la ricevette nella Cilicia; prima, a Taranto, aveva ricevuto la lettera che gli annunziava la morte di Ferora. Rimase molto colpito da questa notizia, non per amore di Ferora, ma perché era morto senza avere condotto a conclusione le promesse che gli aveva fatto, cioè di mettere a morte suo padre.
Libro XVII:86 Quando giunse a Celenderi in Cilicia, cominciò a dubitare se avesse da proseguire la navigazione verso casa, oltremodo dolente che (Erode) avesse mandato via sua madre. E alcuni suoi amici gli dissero di fermarsi in qualche luogo vicino e aspettare di vedere ciò che poteva accadere, altri invece lo consigliavano di non rinviare il viaggio di ritorno a casa, poiché con il suo ritorno avrebbe dissolto ogni accusa contro di sé; come stavano adesso gli affari, l'unica forza di cui disponevano i suoi accusatori, era la sua assenza.
Libro XVII:87 Persuaso da questi argomenti, Antipatro proseguì la navigazione e attraccò al porto di Sebaste fabbricato da Erode con grandi spese e nominato Sebaste in onore di Cesare.
Libro XVII:88 Allora finalmente Antipatro aprì gli occhi e riconobbe le disgrazie che gli si preparavano: poiché nessuno gli si avvicinò, nessuno gli rivolse buone parole di saluto, e gentili espressioni di augurio, come era avvenuto alla sua partenza; al contrario vi era chi non si astenne dall'accoglierlo con maledizioni, pensando che egli era là per scontare le pene che gli spettavano per i crimini contro i suoi fratelli.
Ritorno di Antipatro e giudizio
Libro XVII:89 - 2. In quel tempo si trovava a Gerusalemme Quintilio Varo che era stato mandato in Siria per succedere a Saturnino come governatore della Siria, giunto da Erode, a sua richiesta, perché lo consigliasse sulla presente situazione.
Libro XVII:90 Mentre sedevano entrambi a consulta, sopraggiunse Antipatro che non era stato informato di nulla ed era entrato nel palazzo indossando l'abito di porpora. L'usciere lo ammise, ma trattenne fuori i suoi amici.
Libro XVII:91 Chiaramente iniziò ad accorgersi a qual punto erano giunti gli affari, e rimase sgomento; specialmente allorché, avvicinatosi per abbracciare suo padre, questi lo respinse denunciandolo come parricida e come orditore di un complotto per eliminare il padre dalla vita, aggiungendo che il giorno appresso Varo avrebbe sentito tutta la storia e lo avrebbe giudicato.
Libro XVII:92 Il colpo di questa grande disgrazia capitatagli così all'improvviso, lo stordì. Fu allora incontrato da sua madre e dalla moglie, la quale era figlia di Antigono, che era stato re dei Giudei prima di Erode: da esse venne a conoscenza di tutta la storia, e si preparò per la lotta giudiziaria.
Libro XVII:93 - 3. Il giorno appresso si riunirono a consiglio Varo ed Erode, e furono introdotti gli amici di ambo le parti, i congiunti del re e la sorella Salome, e tutti gli altri che dovevano denunziare le trame segrete, quanti erano stati torturati, anche alcuni schiavi della madre di Antipatro, arrestati poco prima del suo arrivo: essi, infatti, recavano una lettera, il cui contenuto era, in sintesi, questo: egli non doveva ritornare a casa poiché suo padre era al corrente di tutte le trame e l'unico suo rifugio per riuscire a non cadere nelle mani di suo padre era Cesare.
Libro XVII:94 Antipatro si prostrò ai piedi del padre supplicandolo di non volere decidere la causa prima della conoscenza dei fatti e di volere ascoltarlo
perché poteva sostenere la propria innocenza rispetto a suo padre. Erode però diede ordine che fosse introdotto, ed egli iniziò a commiserare se stesso per avere avuto figli che gli addossavano tali disgrazie: giacché prima di riprendersi dall'infelicità causatagli dagli ultimi figli, ora, nella sua tarda età, era precipitato nell'infelicità a causa di Antipatro; e proseguì parlando dell'educazione e degli ammaestramenti che aveva dato loro, delle abbondanti ricchezze spese in ogni tempo per qualsiasi cosa desiderassero.
Libro XVII:95 Nessuno di tali benefici era valso ad assicurargli la vita allorché complottarono contro di lui per togliergli empiamente il potere regio prima che il loro padre lo lasciasse per legge naturale e lo consentisse il suo volere e la giustizia.
Libro XVII:96 A proposito di Antipatro, disse che non riusciva a capire quale speranza l'avesse gonfiato tanto da renderlo così audace al punto da spingerlo così lontano; infatti lo aveva designato per iscritto a succedergli sul trono in pubbliche scritture; anzi persino vivente suo padre, Antipatro non era in alcun modo inferiore a lui né per l'altezza del posto, né per l'ampiezza di autorità; gli aveva assegnato una rendita di cinquanta talenti e per il suo viaggio a Roma aveva ricevuto la somma di trecento talenti.
Libro XVII:97 Gli rimproverò di avere addotto accuse contro i suoi fratelli, dicendo che se essi erano realmente colpevoli, egli ne aveva seguito l'esempio e se no, egli aveva innalzato simili calunnie a parenti così stretti senza alcuno scopo.
Libro XVII:98 Perché, seguitò (Erode), era soltanto da lui (Antipatro) che gli erano venute le informazioni, da nessun altro, all'infuori di lui e ogni cosa fatta ai suoi figli fu compiuta per consiglio di lui. Adesso, divenuto erede del loro parricidio, li assolveva da ogni malvagità.
Libro XVII:99 - 4. Così dicendo, (Erode) scoppiò in lacrime e fu incapace di proseguire. A Nicola, amico del re e suo quotidiano compagno, familiare alla sua maniera di regolare gli affari, il re domandò di proseguire il discorso; egli perciò espose tutto quanto era necessario dall'evidenza (dei fatti) e dalle prove.
Libro XVII:100 Antipatro si volse a suo padre per giustificare se stesso, ricordò tutti gli esempi di benevolenza che Erode gli aveva dimostrato e addusse gli onori che gli erano venuti. Questi, disse, mai gli sarebbero stati dati, se egli non li avesse meritati con la sua virtuosa condotta verso suo padre.
Libro XVII:101 Poiché tutto quanto era stato necessario provvedere, Antipatro l'aveva progettato con saggezza, e quanto aveva richiesto l'uso delle sue mani, l'aveva portato a termine con le sue fatiche. Non era verosimile che dopo avere salvato suo padre dai complotti orditi da altri, egli stesso diventasse un cospiratore contro di lui e distruggesse (la reputazione per) la virtù dimostrata con questi atti, per opera della villania che gli sarebbe stata attribuita per un'azione del genere.
Libro XVII:102 Inoltre, quale futuro successore del re, non gli fu impedito di godere degli onori che al presente da ciò gli provenivano. E ancora, non era verosimile che colui che possiede metà del regno senza alcun rischio personale e la coscienza pulita, impugnasse tutto con infamia e rischio personale nell'incertezza se avesse o meno successo, dopo essere stato testimone della punizione dei suoi fratelli, dopo esserne stato denunziatore e accusatore quando avevano ancora la possibilità di sfuggire alla detenzione, e punitore allorché apparvero malvagi cospiratori contro il loro padre.
Libro XVII:103 E le lotte sostenute contro di loro erano indice dell'affetto sincero col quale agiva verso suo padre. Quanto alla sua condotta a Roma, Cesare ne era testimone, ed era proprio difficile ingannarlo come (è difficile ingannare) Dio.
Libro XVII:104 Prova di questo è la lettera inviata loro da Cesare che giustamente non doveva avere meno valore delle diffamazioni di quanti seminano discordie, essendo la maggior parte di queste diffamazioni composte durante la sua assenza che fornì ai suoi nemici una opportunità che non avrebbero avuto se egli fosse stato presente.
Libro XVII:105 Egli denunziò pure le torture (inflitte prima) come guide a false dichiarazioni perché le estreme sofferenze, per loro natura, portano le vittime a dire molte cose che piacciono a quelli che su esse hanno potere. Allora si offrì spontaneamente alla tortura.
Libro XVII:106 - 5. Queste parole introdussero nel consiglio un movimento di simpatia; sentivano grande pietà per Antipatro vedendolo piangere e scorgendo le contorsioni del viso, tanto che si mossero a compassione anche i suoi nemici, e persino Erode mostrava segni di un certo cambiamento dei suoi propositi pur trattenendosi per non essere visto, e Nicola iniziò con le stesse parole usate dal re, ma riassumendo ripeteva le stesse cose e concluse con l'evidenza delle accuse risultanti dalle torture e dalle deposizione dei testimoni.
Libro XVII:107 In particolare si diffuse lungamente sulle benemerenze del re per l'educazione e l'allevamento dei figli e nel sottolineare come da tutto ciò non ne avesse tratto alcun giovamento perché fu avvolto in intrighi a catena.
Libro XVII:108 Non si meravigliava, disse per la sconsideratezza dei primi, in quanto erano molto giovani e corrotti da malvagi consiglieri che tolsero dall'animo loro ogni giusta esigenza della natura, con il voglioso desiderio di giungere quanto prima al trono,
Libro XVII:109 ma giustamente stupiva l'orribile crimine di Antipatro, poiché il suo spirito non risultava raddolcito dai benefici ricevuti dal padre, e anzi, si era comportato come uno dei serpenti più velenosi, sebbene questi possano venire calmati in maniera che non nuocciano ai loro benefattori, ma egli, neppure dopo avere avuto davanti agli occhi l'infelice destino dei suoi fratelli, si trattenne dall'imitare la loro crudeltà.
Libro XVII:110 “Eppure, soggiunse, tu, o Antipatro, fosti tra coloro che denunziarono i tuoi fratelli per la loro condotta temeraria, tu hai indagato sulle prove, tu li hai puniti quando furono trovate. Noi qui non condanniamo lo sdegno col quale tu non lasciasti impuniti i loro delitti, ma ci stupisce la temerarietà con la quale hai imitato la loro condotta. Giacché noi troviamo le tue azioni non dirette a trarre dal pericolo tuo padre, ma a rovinare i tuoi fratelli, e dimostrando odio per la loro malvagità e attestandoti come figlio affettuoso essere così nella posizione di elevarti iniquamente contro di lui con la più grande impunità. Questo è quanto tu hai dimostrato con le tue azioni.
Libro XVII:111 Sicché, mentre tu dimostrasti la colpevolezza dei tuoi fratelli adducendone le prove, allo stesso tempo tu non hai indicato i loro complici dando così a vedere a tutti di esserti fatto l'accusatore dei tuoi fratelli dopo avere stretto un patto con i complici contro tuo padre,
Libro XVII:112 perché avevi bisogno del loro complotto parricida per essere il solo ad approfittarne, e da due tentativi diversi ne provenisse un vantaggio degno di te: il primo diretto apertamente contro i tuoi fratelli e questo ti sei rallegrato come se fosse una tua grandissima impresa, e sarebbe stato giusto, se tu non fossi stato peggiore (di essi); l'altro tentativo che tu progettavi contro tuo padre, era segreto.
Libro XVII:113 Se tu odiavi i tuoi fratelli, non era necessario complottare contro tuo padre: non saresti caduto in un simile delitto, ma lo hai fatto perché essi avevano un diritto maggiore del tuo alla successione al trono.
Libro XVII:114 E tu, dopo i tuoi fratelli, volevi uccidere tuo padre, affinché non venissero troppo presto in luce le tue calunniose menzogne contro di loro, e l'infelice tuo padre andasse soggetto a quella pena della quale eri degno tu. E il parricidio che tu progettavi non era un parricidio comune, ma un parricidio d'un genere mai menzionato nella storia.
Libro XVII:115 Poiché pur essendo suo figlio, non solo tu hai complottato contro tuo padre, ma contro un padre amoroso e benefico, e facevi questo mentre tu eri suo socio effettivo nel regno e designato suo successore, e non eri in alcun modo inferiore e anticipatamente godevi del piacere dell'autorità e da tuo padre avevi avuto assicurazione scritta che in futuro la tua speranza sarebbe stata una realtà.
Libro XVII:116 Tu non procedevi in maniera conforme alla virtù di Erode, ma procedevi conforme alla tua cupidigia spogliando tuo padre, che ti compiacque in ogni tuo desiderio facendoti anche partecipe del potere che aveva, della parte che gli restava cercando di togliere la vita a colui che con le parole pretendeva di volere salvare;
Libro XVII:117 e non solo agivi come un furfante, ma hai invasato tua madre con i tuoi disegni, hai intorpidito con contrasti l'amore filiale dei tuoi fratelli, hai osato chiamare tuo padre col nome di bestia, tu che covavi uno spirito più crudele di qualsiasi serpente contro il tuo più stretto congiunto e più grande benefattore, tu con l'assistenza di guardie e trucchi, di uomini e donne ti sei protetto contro un vecchio quasi che tu stesso non fossi abbastanza forte per sfogare quell'odio che covavi in cuor tuo.
Libro XVII:118 E ora, dopo le torture di uomini liberi e di domestici, e le denunzie di uomini e donne tuoi compagni nella cospirazione, vieni qui in fretta a contraddire la verità. Tu sei pienamente preparato a eliminare tuo padre da questo mondo ma anche ad annullare la legge scritta contro di te, la rettitudine di Varo e la stessa natura della giustizia.
Libro XVII:119 Veramente nella tua sfacciataggine osi chiedere di essere sottoposto alla tortura e asserire che sono false le confessioni tratte da quelli già torturati, di modo che le confessioni di coloro che hanno salvato tuo padre, siano respinte da te come non veritiere, mentre le parole pronunciate da te sotto la tortura possano essere accolte come veritiere?
Libro XVII:120 Quando mai, o Varo, libererai il re dagli eccessi dei suoi congiunti? Non distruggerai questa bestia selvaggia, la cui pretesa di affetto per suo padre era diretta alla eliminazione dei suoi fratelli e allorché fu sicuro di ottenere, in breve tempo, il trono per sé, si rivelò, più di tutti gli altri, una minaccia mortale per suo padre? Tu sai che il parricida è un malfattore contro la natura e contro l'umanità e che non appena è scoperto non meno di quando congiura, colui che non lo punisce, offende anch'egli la natura”.
Libro XVII:121 - 6. Dopo tutte queste cose (Nicola) aggiunse altre osservazioni che la madre di Antipatro si era lasciata sfuggire come pettegolezzi femminili: azioni divinatorie e sacrifici rivolti contro il re, azioni licenziose di Antipatro con le donne di Ferora sotto forma di libagioni ed eccessi erotici, interrogatori sotto tortura e testimonianze date. Cose numerose e di ogni genere, in parte preparate e in parte inventate lì per lì per dare informazioni e per confermare quanto era stato detto.
Libro XVII:122 Poiché molti si erano interessati dei fatti di Antipatro, ma per timore di lui se ne stavano in silenzio; ma ora che lo vedevano accusato da perso-nalità di primo piano e che la grande Fortuna che palesemente lo aveva favorito, ora lo gettava in mano dei nemici, questi potevano sfogare il loro implacabile odio contro di lui.
Libro XVII:123 A sospingerlo nel precipizio non fu tanto l'inimicizia di quanti avevano incominciato ad accusarlo, quanto invece enormi audacie di malvagità da lui escogitate e il suo malanimo contro il padre e contro i fratelli, poiché aveva riempito la casa di reciproci dissensi e mutue distruzioni; nel suo odio non agiva con giustizia, né con lealtà nell'amicizia, ma si comportava in un modo che giovava soltanto a lui.
Libro XVII:124 Molti già da gran tempo avevano osservato questo, specialmente coloro che nel giudizio sugli affari sono per natura inclini ad attenersi a una misura morale, poiché decidono le questioni non mossi dalla collera. All'inizio queste persone non erano mosse da lamentele, ma alla prima occasione che si prestò di potere agire impunemente, misero in luce quanto sapevano;
Libro XVII:125 e vennero fuori ogni sorta di prove dei suoi crimini che non potevano in alcun modo essere attaccate come menzogne; perché la maggior parte non parlava per benevolenza verso Erode né per timore dei pericoli che il loro silenzio sulle cose che avrebbero potuto rilevare potesse essere biasimato, ma perché consideravano malvagi gli atti di Antipatro e lo ritenevano meritevole
di punizione non a motivo della protezione di Erode, ma per la sua stessa malvagità.
Libro XVII:126 Da molte parti venivano accuse contro di lui, anche se non se ne faceva ricerca, al punto che Antipatro, anche se espertissimo nell'architettare menzogne, non ebbe il coraggio di alzare la voce negando.
Ultima fase del processo
Libro XVII:127 Quando Nicola terminò di parlare e concluse la sua argomen-tazione, Varo ordinò ad Antipatro di procedere a difendersi dalle accuse addotte contro di lui, se era preparato a dimostrare di non essere colpevole; perché, disse Varo, “egli sperava, e sapeva per certo che anche suo padre sperava, che Antipatro non sarebbe stato dichiarato colpevole di alcuna infrazione.
Libro XVII:128 Antipatro intanto giaceva bocconi in uno stato di collasso, scongiurò Dio e gli astanti che gli fossero testimoni che lui non aveva fatto nulla di male, e di mostrare con chiari segni che egli non aveva complottato contro suo padre.
Libro XVII:129 Coloro, infatti, che non hanno coraggio, quando commettono qualche scelleratezza, sogliono agire seguendo i loro capricci, come se la Divinità non fosse ovunque presente; ma quando sono colti sul fatto e si vedono nel pericolo di essere puniti, cercano di demolire ogni testimonianza contro di loro e invocano il Suo aiuto.
Libro XVII:130 Tale era, appunto, il caso di Antipatro. Aveva portato avanti i suoi disegni come se non esistesse alcuna autorità divina; quando però si sentì stretto da ogni parte dalla giustizia e abbandonato da ogni altro mezzo di giustificazione atto a dileguare le accuse, ancora una volta insultò la virtù divina scongiurandola di attestare che egli era stato respinto quando rivelava quanto aveva fatto con coraggio per poter esporre a tutti ciò che aveva coraggiosamente affrontato per la salvezza di suo padre.
Libro XVII:131 - 7. Quando Varo, dopo ripetute domande fatte ad Antipatro, non ricavava altro che invocazioni a Dio, e vedendo che la pratica non avrebbe avuto più fine, ordinò che alla presenza di tutti fosse portato il veleno per vedere quale coraggio avesse ancora.
Libro XVII:132 Allorché fu introdotto, un prigioniero, condannato a morte per ordine di Varo, ne bevette e cadde morto all'istante. Varo allora si alzò dal consiglio e il giorno appresso partì per Antiochia, ove aveva residenza ordinaria, perché era la capitale della Siria.
Libro XVII:133 Erode allora mise subito suo figlio in catene, ma i più non sapevano che cosa Varo gli avesse detto sul caso, né che cosa avesse detto sulla sua partenza. La maggioranza del popolo, tuttavia, supponeva che quanto Erode aveva fatto ad Antipatro, era per suggerimento di Varo. Dopo averlo messo in catene, Erode mandò su di lui una lettera a Cesare, a Roma, e inviò anche alcuni uomini per informarlo a viva voce della malvagità di Antipatro.
Lettere di Antifilo e di Salome
Libro XVII:134 Durante questi stessi giorni venne intercettata una lettera diretta ad Antipatro scritta da Antifilo (che era in Egitto); quando il re l'aprì, trovò che conteneva quanto segue: “Ti ho mandato la lettera da Acme, senza pensare al rischio della mia vita; poiché tu ben sai che se fossi scoperto, sarei nuovamente in pericolo da due famiglie.
Libro XVII:135 La Fortuna, intanto, ti sia favorevole in questo affare”. Tale era il tenore della lettera. Il re allora si diede alla ricerca dell'altra lettera, ma non si trovava; e il servo di Antifilo, latore della lettera appena letta protestava di non averne ricevuta un'altra.
Libro XVII:136 Il re rimase dubbioso, non sapendo che fare: ma uno dei suoi amici osservò che sulla parte interna della tunica del servo vi era una toppa cucita, egli indossava due tuniche, e suppose che in quella piega fosse nascosta una lettera.
Libro XVII:137 E così, infatti, era. Presero dunque la lettera, nella quale era scritto quanto segue: “Acme ad Antipatro. Ho scritto a tuo padre la lettera che bramavi; e fatta una copia della lettera di Salome alla mia padrona, da me composta. E so che lui, appena l'avrà letta punirà Salome come cospiratrice contro di lui”.
Libro XVII:138 Ora questa lettera scritta sotto il nome di Salome, a giudicare dal contenuto, era scritta sulla base di suggerimenti di Antipatro, ma era composta nello stile di Salome;
Libro XVII:139 il contenuto era come segue: “Acme al re Erode. Mi sta a cuore moltissimo che tu sia al corrente delle cose che si stanno facendo contro di te. Venutami, dunque, nelle mani una lettera spedita da Salome alla mia padrona, io la copiai e te la inviai. Per me, questo è pericoloso, ma è per il tuo bene. Questa lettera fu scritta da Salome perché voleva sposare Silleo. Ora straccia questa lettera affinché anch'io non sia in pericolo di perdere la vita”.
Libro XVII:140 Ad Antipatro aveva già scritto informandolo che, seguendo le sue istruzioni, aveva scritto a Erode per fargli credere che Salome stesse accanitamente intessendo ogni genere di congiure contro di lui; lei gli aveva mandato anche copia della lettera che fingeva scritta da Salome alla sua padrona.
Libro XVII:141 Questa Acme era una giudea di nascita, ma serva di Giulia moglie di Cesare, e faceva tutte queste cose per amicizia verso Antipatro, perché corrotta da lui con una grossa somma di denaro datale affinché lo assistesse nei suoi piani contro suo padre e sua zia.
Libro XVII:142 - 8. Stordito per l'enormità della scelleratezza di Antipatro, Erode ebbe l'impulso di liberarsi subito di lui, sia come fomentatore di pericolosi torbidi, sia per avere complottato non solo contro di lui, ma anche contro sua sorella e corrotto la stessa casa di Cesare. A fare questo lo stimolava pure Salome, battendosi il petto e pregandolo, che qualora fosse trovata così gravemente colpevole da rendere credibili le accuse, la condannasse a morte.
Libro XVII:143 Ora Erode, chiamato a sé il figlio, gli disse che, se aveva qualcosa da contrapporre in sua discolpa, parlasse liberamente; siccome Antipatro rimase muto, Erode gli disse che, visto che si trovava assediato da ogni parte, almeno non fosse restio a svelare i nomi dei complici.
Libro XVII:144 Egli allora rovesciò tutta la colpa su Antifilo, e non denunziò alcun altro.
Ambasciata a Roma, il re malato;
il testamento
Perciò Erode, colpito acerbamente, era pronto a inviare suo figlio da Cesare, a Roma, affinché rendesse conto di queste macchinazioni;
Libro XVII:145 ma in seguito, temendo che con l'aiuto degli amici Antipatro trovasse la via per sfuggire al pericolo, lo trattenne in prigione come prima, e inviò (a Roma) un'ambasciata con le lettere che accusavano suo figlio e affinché dicesse tutto quanto aveva fatto Acme come sua complice nel crimine; diede agli ambasciatori anche le copie delle lettere (che erano state intercettate).
Libro XVII:146 VI, I. Gli ambasciatori si affrettarono verso Roma con le lettere e ben informati sulle risposte che avevano da dare alle domande. Intanto il re cadde infermo e fece testamento dando il regno al figlio più giovane a causa dell'odio che aveva per Archelao e Filippo, sorto dalle calunnie di Antipatro. A Cesare lasciò una somma di mille talenti e a Giulia, moglie di Cesare, ai figli, amici e liberti di Cesare lasciò cinquecento talenti.
Libro XVII:147 Ripartì tra i suoi figli e nipoti i denari, le rendite e le terre; arricchì notevolmente Salome, sua sorella, che gli era rimasta sempre leale in ogni circostanza e mai si era avventurata a fargli del male.
Libro XVII:148 Ma avendo perso la speranza di guarire, toccava allora l'età di settanta anni, divenne selvaggiamente imbestialito e trattava tutti in maniera incontrollata con rabbia e durezza. E motivo di tale comportamento era la convinzione di essere abbandonato e che la nazione fosse lieta delle sue sfortune, in special modo quando certe figure popolari si alzarono contro di lui per i seguenti motivi.
Sommosse giovanili, l'aquila d'oro
Libro XVII:149 - 2. Giuda, figlio di Sarifeo, e Mattia, figlio di Margaloto, erano i più istruiti dei Giudei, e gli impareggiabili interpreti delle leggi ancestrali e uomini specialmente cari al popolo perché educavano la gioventù, poiché tutti coloro che bramavano acquistare la virtù passavano con essi un giorno dopo l'altro.
Libro XVII:150 Quando questi vennero a conoscenza che la malattia del re non poteva essere guarita, sollevarono la gioventù affermando di poter distruggere tutte le opere che il re aveva edificato contro le leggi dei loro padri e ottenere così dalla Legge la ricompensa delle loro pie opere. Poiché, dicevano, era proprio a queste cose audaci fatte in spregio della Legge, che si devono attribuire tutte le sfortune capitategli e con le quali aveva raggiunto una familiarità veramente non comune per un essere umano, specialmente con questa malattia.
Libro XVII:151 Si diffondeva la voce che Erode, avendo compiuto certe cose contrarie alla Legge, era per questo rimproverato da Giuda, da Mattia e dai loro seguaci. Il re, infatti, sulla porta maggiore del tempio aveva innalzato una grande aquila d'oro di notevole pregio, nonostante che la Legge, a quanti vogliono vivere in conformità di essa, proibisca di innalzare immagini e di fare (immagini) viventi di qualsiasi creatura.
Libro XVII:152 Così quei maestri ordinarono (ai loro discepoli) di gettare giù l'aquila, anche se, così facendo, avrebbero messo gli altri in pericolo di morte poiché la preservazione e la salvaguardia del modo di vita dei loro padri, conquistato da loro con la morte, sembrava molto più vantaggioso del piacere di vivere perché guadagnerebbero fama e gloria per sé, sarebbero lodati dai viventi e lascerebbero un ricordo perenne della loro vita alle generazioni future.
Libro XVII:153 Perciò, dicevano, come coloro che vivono lontano dai pericoli non possono scansare la sfortuna (della morte), così quanti lottano per la virtù fan bene ad accettare il loro destino con lode e onore quando lasciano questa vita.
Libro XVII:154 La morte è molto più facile quando corriamo dietro ai pericoli per una causa nobile, e nello stesso tempo otteniamo per i nostri figli e parenti, uomini e donne, il beneficio della gloria da noi conquistata.
Libro XVII:155 - 3. Con queste parole agitavano la gioventù, e quando giunse una voce che il re era morto, diventarono ancora più palesi le parole dei maestri. Perciò a mezzogiorno i giovani salirono (sul tetto del tempio), gettarono giù l'aquila e la frantumarono con asce davanti a una folla che si era radunata nel tempio.
Libro XVII:156 Ma l'ufficiale del re, al quale fu presto riferito l'attentato, pensando che ci fosse implicato qualcosa di più serio di quanto era stato fatto, salì con una forza sufficiente per affrontare la folla di persone intente ad abbattere l'immagine che era stata innalzata. Improvvisamente si gettò su di loro, poiché, contrariamente al metodo che si suole seguire con la folla, considerarono questo gesto audace come un folle capriccio, senza prendere prima delle precauzioni erano dunque in disordine, non avevano guardato prima a una via di salvezza personale.
Libro XVII:157 Afferrò non meno di quaranta giovani che, con coraggio, avevano aspettato il suo attacco, mentre il resto della moltitudine fuggiva;
catturò anche Giuda e Mattia istigatori dell'impresa temeraria che insegnavano che fuggire in tale incontro fosse un'azione ingloriosa, e li portò dal re.
Libro XVII:158 Giunti alla presenza del re, egli domandò se avevano avuto la temerarietà di gettare giù il dono votivo eretto da lui, essi risposero: “Si, ma i pensieri da noi avuti e le imprese da noi compiute hanno il più alto grado di eccellente virilità. Perché siamo venuti ad aiutare una causa affidataci da Dio perché Egli ci ha insegnato che per noi è sacro e degno di profondo rispetto obbedire alla Legge.
Libro XVII:159 Non desta affatto sorpresa che noi crediamo che sia meno importante l'osservanza dei tuoi decreti che le leggi che Mosè ci ha lascito scritte da lui come Dio gli dettò e gli insegnò. E con gioia noi sosterremo la morte e qualsiasi altra pena tu ci potrai infliggere, perché saremo coscienti che la morte cammina con noi non a motivo di qualche nostro misfatto, ma a motivo della nostra devota pietà”.
Libro XVII:160 Parlarono così tutti d'accordo, mostrando di avere avuto non meno ardimento nelle parole di quanto ne ebbero nel mandarle a effetto. Il re perciò li fece legare e li mandò a Gerico, ove convocò gli ufficiali giudei (al completo);
Libro XVII:161 quando giunsero li radunò nell'anfiteatro e stando su di un giaciglio, giacché non poteva reggersi, iniziò a narrare tutti gli sforzi compiuti a favore di loro
Libro XVII:162 e parlò delle grandi spese sostenute per la costruzione del tempio, mentre gli Asmonei erano stati incapaci di costruire qualcosa di così grande per l'onore di Dio nei centoventicinque anni del loro regno;
Libro XVII:163 disse pure di avere ornato (il tempio) di offerte di grande pregio, e per tali motivi nutriva la speranza che anche dopo morto avrebbe lasciato una buona memoria di sé e un nome illustre. A questo punto esclamò che neppure mentre era ancora vivo, alcuni non si erano trattenuti dall'oltraggiarlo e in pieno giorno davanti alla folla avevano messo le mani oltraggiando le offerte sacre, fino a gettarle giù; con l'intenzione di insultare lui, mentre, esaminata con diligenza, la loro azione era sacrilega.
Libro XVII:164 - 4. Essi allora temendo la sua crudeltà e per paura che la sua collera si inasprisse contro le loro persone punendole, protestarono che queste cose erano avvenute senza la loro approvazione e anzi ritenevano che gli
esecutori non dovevano essere lasciati impuniti. Erode si raddolcì alquanto con costoro, tuttavia allontanò il sommo sacerdote Mattia dal suo ufficio sacerdotale, in quanto parzialmente responsabile di quanto era accaduto, e in sua vece designò al sommo sacerdozio il fratello di sua moglie Joazar.
Libro XVII:165 Il sommo sacerdote era Mattia, ma durante il suo pontificato avvenne che fu nominato un altro sacerdote per un solo giorno, quello nel quale i Giudei osservavano il digiuno; ed ecco il motivo.
Libro XVII:166 Nella notte precedente quel giorno, Mattia sognò di avere un contatto intimo con una donna; perciò, a motivo di questa esperienza, non era più adatto a compiere il servizio sacerdotale e al suo posto il servizio lo eseguì Giuseppe, un suo parente, figlio di Ellem.
Libro XVII:167 Erode, dunque, depose Mattia dal sommo pontificato. Quanto all'altro Mattia, quello che sollevò la sedizione, lo bruciò vivo assieme ad alcuni suoi aderenti. E quella stessa notte ci fu un eclisse di luna.
Malattia di Erode e morte di Antipatro
Libro XVII:168 - 5. Intanto la malattia di Erode divenne sempre più acuta, Dio, infatti, gli infliggeva questa punizione come castigo per la sua empietà. La febbre che aveva era leggera e al tocco non rivelava i sintomi dell'infiammazione prodotta dal male interno.
Libro XVII:169 Aveva anche un fortissimo desiderio di grattarsi e per questo era impossibile non assecondarlo; aveva un'ulcerazione delle viscere e pene intestinali che erano particolarmente acute e le suppurazioni ai piedi erano visibili. Soffriva pure di disturbi addominali; le sue parti intime generavano vermi; aveva grande difficoltà di respiro per il dolore nell'esalazione sgradevole del fiato e per il continuo affanno della sua cospicua palpitazione. Aveva inoltre spasimi in ogni parte che erano di una gravità insopportabile.
Libro XVII:170 Da uomini di Dio e da coloro la cui saggezza portava a pronunciarsi in questa materia, si diceva che si trattava del castigo con il quale Dio ripagava il re per la sua grande empietà.
Libro XVII:171 Benché straziato da forti e insopportabili dolori, si lusingava nella speranza di guarirne fidando nei medici che chiamava, e nei rimedi che suggerivano e che lui mai ricusava. Quindi, passato il Giordano, si bagnò nelle
sorgenti calde di Calliroe, che, oltre alle virtù di cui sono fornite contro ogni male, sono anche buone da bere. Queste acque sfociano nel cosiddetto lago asfaltoforo.
Libro XVII:172 Allorché i suoi medici decisero di riscaldare quivi il suo corpo e lo fecero sedere in una tinozza piena d'olio (caldo), a tutti pareva che morisse; ma le alte grida funebri della sua servitù lo fecero ritornare in se stesso; e persa orinai ogni speranza di sopravvivere e riprendere salute, ordinò che a ogni soldato fossero distribuite cinquanta dracme.
Libro XVII:173 Diede pure somme considerevoli ai loro ufficiali e ai suoi amici. Poi si recò nuovamente a Gerico; quivi lo colpì una nera malinconia, che lo inasprì contro tutti, tanto che sul punto di morire decise il seguente piano.
Libro XVII:174 Ai Giudei notabili era stato ordinato di recarsi da lui da ogni parte della nazione: vi si recarono molti poiché era stata convocata tutta la nazione, e tutti avevano obbedito a questo ordine, poiché ne sarebbe andata la vita in caso di inadempienza di questo ordine scritto; e il re era furioso in egual modo con tutti, sia verso gli innocenti quanto verso coloro che erano considerati colpevoli;
Libro XVII:175 rinchiuse tutti nell'ippodromo, mandò a chiamare sua sorella Salome e il marito di lei Alessa e disse loro che in breve sarebbe morto poiché pene e dolore lo affliggevano in ogni parte del corpo; la morte, in sé, è sopportabile e sperimentabile da tutti gli uomini, ma che egli se ne andasse senza le lamentazioni e senza il cordoglio usuali alla morte di un re, era una cosa che riteneva estremamente penosa.
Libro XVII:176 Non era cieco verso i sentimenti dei Giudei e ben conosceva le loro preghiere per la sua morte e quanto fosse il piacere che essa porterebbe loro, poiché durante la sua vita anelavano la ribellione e mostravano disprezzo per i suoi progetti.
Libro XVII:177 In questa situazione era loro responsabilità l'adozione di qualche piano che alleviasse la tristezza dei suoi sentimenti; se essi ricusavano di accettare il suo piano, egli lo considerava comunque un grande funerale quale non ebbe mai nessun re: vi sarebbe cordoglio per tutta la nazione, cordoglio corrispondente al lamento che veramente si sprigionava dall'animo, non una presa in giro, non un contegno ridicolo verso di lui.
Libro XVII:178 Allorché, dunque, si accorsero del suo ultimo spregio, circon-darono l'ippodromo di soldati ancora ignari della sua morte, poiché non si doveva rendere pubblica prima che eseguissero i passi seguenti: ordinarono di abbattere tutti quanti vi erano dentro, poiché abbattendoli in questa maniera, non avrebbero mancato di farlo felice per due motivi: cioè eseguire le sue istruzioni date in punto di morte e onorarlo con un cordoglio pubblico.
Libro XVII:179 In lacrime egli li aveva implorati di agire, appellandosi all'amore delle loro famiglie e alla loro fede in Dio, e incaricandoli di non lasciarlo privo di onore. Essi, allora, promisero di non lasciare inattesi i suoi voleri.
Libro XVII:180 - 6. Anche se uno inizialmente approva il comportamento di Erode e dei suoi congiunti come dettati dall'amore alla vita; ma poi, se guarda le sue ultime istruzioni, vede che il carattere dell'uomo non aveva nulla di umano che lo raccomandasse;
Libro XVII:181 e questa conclusione è inevitabile se, quando egli stava per lasciare questo mondo, ebbe cura di abbandonare la nazione, tutta intera, in uno stato di completo cordoglio per la perdita dei propri cari, dando ordine di eliminare un membro per ogni famiglia, sebbene non avessero fatto nulla di male, non l'avessero offeso in alcun modo, non fossero accusati di alcun crimine; e sebbene, come è usuale per ogni uomo che non ha alcun amore per la virtù, in tale momento dimentica gli odii anche se sono diretti contro coloro che egli, giustamente considera come nemico.
Libro XVII:182 - VII, I. - Mentre dava queste istruzioni ai suoi congiunti, gli giunse una lettera dagli ambasciatore inviati a Roma da Cesare; e mentre leggeva, la sostanza del contenuto era come segue: Acme era stata messa a morte dalla collera di Cesare perché aveva aiutato Antipatro nelle sue azioni criminali; quanto ad Antipatro, Cesare lo lasciava al giudizio di Erode, suo padre e suo re, sia che lo volesse mandare in esilio, sia che preferisse ucciderlo.
Libro XVII:183 Sentendo queste notizie, lo spirito di Erode in breve si riprese per la gioia che gli dava il contenuto della lettera: esultava per la morte di Acme e per l'autorità che gli era data di punire il figlio. Ma allorché si acutizzarono i dolori, si sentì totalmente infelice e rifiutò qualsiasi cibo, chiese una mela e un coltello, da tempo aveva l'abitudine di pelare personalmente la frutta e tagliarla in piccoli pezzi per mangiarla;
Libro XVII:184 quando gli si diede il coltello si guardò attorno con l'intenzione di uccidersi, e l'avrebbe fatto se suo cugino Achiab non gli avesse trattenuto la mano destra prima che potesse fare così; Achiab elevò un grido il cui suono di lamento riempì il palazzo, e ci fu una costernazione grande come se il re fosse morto.
Libro XVII:185 E Antipatro, credendo che la vita di suo padre fosse realmente alla fine, iniziò ad assumere un tono imperioso e sicuro, quasi che ora fosse libero da qualsiasi legame e potesse prendere il trono senza contrasto; e prese a trattare la questione della sua liberazione promettendo ricche ricompense per il presente come per l'avvenire, come se, per lui, ormai fosse giunto il tempo di interessarsi di questi problemi.
Libro XVII:186 Ma il carceriere non solo rifiutò di assecondare Antipatro, ma manifestò le sue intenzioni al re aggiungendo molti particolari di sua iniziativa.
Libro XVII:187 Erode, che prima di ora era stato lungi dall'essere sopraffatto dall'affezione verso suo figlio, sentite le nuove dal carceriere, alzò un grido e picchiò la testa, sebbene fosse sul punto di morte, e, alzandosi sulle braccia, chiamò una delle sue guardie del corpo e gli ordinò di andare senza alcun indugio a uccidere Antipatro, e subito seppellirlo nell'Ircania, senza alcuna cerimonia.
Ultime volontà e morte di Erode
Libro XVII:188 - VIII, I. - Verificatosi il cambiamento, egli mutò subito nuovamente il testamento: Antipa, designato suo successore nel trono, lo creò tetrarca della Galilea e Perea; ad Archelao concesse il regno;
Libro XVII:189 Gaulanitide, Traconitide, Batonea e Panea, sotto il titolo di “tetrarchia”, le lasciò a Filippo, suo figlio e fratello di Archelao; Jamnia, Azoto e Fasaele furono da lui assegnate alla sorella Salome con cinquecentomila dramme d'argento coniato.
Libro XVII:190 Pensò a tutti gli altri suoi congiunti e lasciò loro una ricchezza con doni in denaro e assegnando loro rendite. A Cesare lasciò dieci milioni di dramme d'argento coniato, vasi d'oro e d'argento, e vesti preziosissime, mentre alla moglie di Cesare, Giulia, e ad alcuni altri, lasciò cinque milioni.
Libro XVII:191 Fatto questo, morì cinque giorni dopo avere fatto uccidere il figlio Antipatro. Regnò per trentaquattro anni dal tempo in cui mise a morte Antigono e per trentasette anni dal tempo in cui era stato dichiarato re dai Romani. Fu uomo ugualmente crudele verso tutti, facile all'ira, incurante della giustizia.
Libro XVII:192 Favorito quant'altri mai dalla fortuna: da uomo comune quale era, fu fatto re, passò attraverso pericoli innumerevoli, si ingegnò per superarli tutti, e visse fino a un'età molto avanzata. Negli affari domestici e nelle relazioni con i figli, almeno a suo modo di vedere godette una grande fortuna in quanto non andò bene per quelli che egli considerò suoi nemici: ma a mio modo di vedere fu totalmente sventurato.
Libro XVII:193 - 2. Prima che si divulgasse la notizia della morte del re, Salome e Alessa liberarono quelli che erano stati radunati nell'ippodromo: li mandarono a casa loro dicendo che il re aveva ordinato che andassero ai loro villaggi e badassero ai propri interessi; da questo atto derivò il più grande beneficio per la nazione.
Libro XVII:194 Da allora la morte del re diventò di pubblica conoscenza, Salome e Alessa, convocato l'esercito nell'anfiteatro di Gerico, prima lessero ad alta voce la lettera scritta da Erode ai soldati per ringraziarli della loro fedeltà e benevolenza verso di lui, e chiedendo loro di offrire lo stesso aiuto a suo figlio Archelao che aveva designato loro re.
Libro XVII:195 In secondo luogo Tolomeo, nelle cui mani era affidato il sigillo reale, lesse ad alta voce le sue volontà, che tuttavia diventarono effettive solo dopo l'esame di Cesare; subito dopo s'alzò un grido dagli uomini che acclamarono Archelao loro re, avanzarono le compagnie dei soldati e dei loro ufficiali, promettendogli benevolenza e sollecitudine e invocarono l'aiuto di Dio.
Libro XVII:196 - 3. Si accinsero, in seguito, per la preparazione dei funerali del re. Archelao provvide affinché il funerale di suo padre fosse il più splendido possibile e portò fuori tutti i suoi ornamenti per accompagnare la processione del defunto.
Libro XVII:197 Egli (Erode) fu posto su di una lettiga d'oro tempestata di perle preziose e molteplici gemme di diversi colori e una coperta di porpora; anche il morto era vestito con un abito di porpora, portava un diadema sul quale era sistemata una corona d'oro, sul lato destro giaceva il suo scettro.
Libro XVII:198 Attorno alla lettiga erano disposti i figli e una quantità di suoi congiunti, dopo di essi veniva l'esercito disposto secondo le varie nazionalità e denominazioni; erano sistemati nell'ordine seguente: prima le sue guardie del corpo, poi i Traci, seguivano i Germani, poi venivano i Galli: tutti questi uomini erano in assetto di guerra.
Libro XVII:199 Dietro costoro veniva tutto l'esercito che marciava come in guerra al comando dei capitani e degli ufficiali subalterni; dietro costoro vi erano cinquecento servi portanti aromi. Essi percorsero otto stadi fino all'Herodion (fortezza eretta da Erode): questo infatti era il luogo ove avvenne, per sua disposizione, la sepoltura. Questa, dunque, fu la maniera in cui avvenne la morte di Erode.
Inizio del regno di Archelao
Libro XVII:200 - 4. Archelao seguitò il cordoglio per suo padre per sette giorni: questo è il numero di giorni prescritto secondo la consuetudine del paese; poi, con una festa popolare, mise fine al cordoglio. Salì al tempio e al suo passaggio vi erano acclamazioni ed espressioni di lode per lui, tutto il popolo gareggiava per acclamarlo nel modo più originale.
Libro XVII:201 Salito su, si recò su una piattaforma che era stata preparata, si sedette su un trono d'oro mostrando di gradire le loro acclamazioni e godere della loro benevolenza; espresse anche la sua gratitudine perché non gli serbavano malanimo per le ingiurie subite da parte di suo padre, dicendo che si sarebbe studiato di ripagarli e di ricambiare la loro devozione.
Libro XVII:202 Per ora non voleva il titolo di re, perché non sarebbe valido essere onorato con tale titolo fino a quando Cesare non avrebbe confermato la volontà di suo padre. E per tale motivo, quando a Gerico tutto l'esercito era pronto a porgergli il diadema sul capo, egli non volle il grande onore perché, disse, non era ancora chiaro se colui, al quale propriamente spetta, glielo avesse concesso;
Libro XVII:203 ma quando il potere supremo gli verrà, non mancherà in lui la virtù di ricompensarli della loro benevolenza e farà ogni sforzo per dimostrarsi gentile verso di loro più di quanto sia stato suo padre.
Libro XVII:204 Il popolo credette: è usuale con la folla, che le intenzioni dei nuovi regnanti si manifestano nei primi giorni; e più Archelao parlava con
mansuetudine e dolcezza, tanto più erano straordinarie le lodi che gli davano. Si rivolgevano a lui con richieste di favori; alcuni gridavano di alleggerire i tributi che annualmente pagavano, altri domandavano il rilascio dei prigionieri incarcerati da Erode: molti di questi erano in prigione da molto tempo.
Libro XVII:205 Altri ancora domandavano l'esenzione dalle tasse che erano state poste sullo stesso livello delle vendite pubbliche, estorte in maniera spietata. A queste domande Archelao non fece alcuna opposizione, perché voleva accattivarsi il favore del popolo, credendo che la benevolenza dello stesso avrebbe grandemente giovato a mantenere il suo potere. Perciò, fatti i sacrifici a Dio, se ne andò a mangiare con i suoi amici.
Richieste del popolo
Libro XVII:206 - IX, I. - Intanto alcuni Giudei si unirono col desiderio di iniziare un'azione rivoluzionaria per esprimere le lamentazioni in favore di Mattia e i suoi seguaci messi a morte da Erode, ma per la paura di lui erano stati privati dell'onore di essere pianti. Costoro erano stati condannati per avere gettato giù l'aquila d'oro; ora il popolo fece grande scalpore e gemiti fino a lanciare villanie all'indirizzo del re come se ciò fosse di conforto al morto.
Libro XVII:207 Poi si unirono e chiesero ad Archelao che fossero vendicati con la punizione di alcune persone che erano state onorate da Erode e, prima di tutti, con molta pubblicità fosse allontanato il sommo sacerdote designato da Erode e si scegliesse un'altra persona che servisse come sommo sacerdote in una maniera più conforme alla legge e alla purità rituale.
Libro XVII:208 Archelao che a malincuore sopportava la loro arroganza, pur essendo in procinto di compiere il viaggio a Roma per considerare la decisione di Cesare, concesse loro udienza.
Libro XVII:209 Inviò un ufficiale con l'incarico di calmarli, di dire loro di abbandonare domande ridicole e considerare la situazione; la condanna a morte dei loro amici era stata conforme alle leggi e le loro richieste erano giunte fino all'ingiuria. Il tempo non permetteva comportamenti del genere ma piuttosto l'unione fino al suo ritorno, dopo avere consolidato il trono con il consenso di Cesare. Allora, disse, avrà tempo di consultarsi con essi in merito alle loro domande; per il presente devono avere pazienza per non dare l'apparenza di una sedizione.
Archelao non riesce a sedare
i malcontenti
Libro XVII:210 - 2. Con queste istruzioni e suggerimenti all'ufficiale, Archelao lo mandò dal popolo. Ma questo alzò clamori e non lo lasciava parlare, e lo condusse in pericolo di vita e quanti davano segni di osare mettere una parola per portarli al buon senso o dissuaderli e distoglierli dalle attuali pretese, erano più sottomessi alla propria volontà che all'autorità dei loro comandanti.
Libro XVII:211 Erano sdegnati dal fatto che, vivente Erode, erano stati privati dei loro amici più cari, e che, morto lui, fossero impediti di vendicarsi, mentre erano in uno stato di grande rabbia; giudicavano legittima e corretta qualsiasi cosa fosse di loro gradimento ed erano lontani dal prevedere il pericolo che da ciò ne poteva derivare; se qualcuno ne sospettava l'esistenza, era superato dall'immediato compiacimento che si aspettavano vendicandosi su quelli tanto odiati.
Libro XVII:212 Molte persone furono inviate da Archelao a trattare con loro; alcune erano là per sua sollecitazione, altre sembravano giunte di propria volontà per indurli a più miti consigli, ma il popolo a nessuno di loro permetteva di parlare. Arrabbiati com'erano tra essi vi era un movimento (propenso) a lapidare (gli inviati), ed era evidente che avrebbero causato l'avvio di una rivolta molto più seria dato che una grande folla spingeva per raggiungerli.
Disordini nel tempio durante
la Pasqua
Libro XVII:213 - 3. In questo periodo ebbe luogo la festa durante la quale, secondo l'antica consuetudine i Giudei si servono di pane azzimo: si chiama Pasqua essendo la commemorazione della loro partenza dall'Egitto; la celebrano con gioia, e si usa offrire un grande numero di sacrifici, un numero maggiore di ogni altra festività;
Libro XVII:214 viene un innumerevole quantità di gente dal paese e anche da fuori a onorare Dio. I fomentatori di disordini che piangevano per Giuda e per Mattia, interpreti delle leggi, se ne stavano assieme nel tempio e provvedevano ai dissidenti grandi quantità di cibo; non si vergognavano di procacciarne mendicando.
Libro XVII:215 Temendo che dal loro fanatismo potesse venire qualcosa di pericoloso, Archelao mandò una coorte di legionari agli ordini di un tribuno per reprimere l'insolenza dei ribelli prima che contagiassero tutta la folla con la loro pazzia; disse che qualora ci fosse qualcuno che si mostrasse più ardito degli altri ribellandosi, fosse portato da lui.
Libro XVII:216 Ma i ribelli seguaci degli interpreti (delle leggi) e la folla erano infuriati, e con grida e schiamazzi si scagliavano contro i soldati, li circondarono e molti furono lapidati a morte; una minoranza e il tribuno se ne fuggirono feriti. Fatto questo, i ribelli ripresero a occuparsi nuovamente dei loro sacrifici.
Libro XVII:217 Archelao giudicò impossibile salvare la situazione senza frenare l'impetuosità dello stato presente della folla, e così mandò tutto il suo esercito, compresa la cavalleria, per prevenire che il popolo, accampato di fuori, andasse ad aiutare quelli che si trovavano nel tempio e catturare chiunque, sottrattosi alla fanteria, intendesse recarsi colà credendolo un luogo sicuro.
Libro XVII:218 La cavalleria uccise intorno a tremila persone e il resto si rifugiò nelle vicine colline. Allora Archelao emanò il proclama che ognuno si ritrasse in casa propria. Fu così che tutti lasciarono la scena celebrativa e se ne andarono per timore di un male più grande, anche se avevano l'indole temeraria dovuta a mancanza di disciplina.
Archelao parte per Roma
Libro XVII:219 Allora Archelao discese alla costa marina con sua madre, prendendo con sé, tra i suoi amici, Nicola, Tolomeo e Tolla, lasciando a suo fratello Filippo l'incarico di tutti gli affari della famiglia e del regno;
Libro XVII:220 andò con lui anche Salome, sorella di Erode, portando con sé la sua famiglia e molti congiunti, in apparenza per aiutare Archelao a ottenere il trono, ma in realtà per schierarsi contro di lui, in particolare per protestare contro quanto aveva fatto nel tempio.
Libro XVII:221 A Cesarea Archelao si incontrò con Sabino, procuratore di Cesare per la Siria, il quale si era avviato verso la Giudea per prendersi cura della proprietà di Erode. Ma Varo, raggiuntolo, lo trattenne perché era venuto in risposta alla chiamata fatta da Archelao per mezzo di Tolomeo.
Libro XVII:222 Sabino per fare piacere a Varo, si era astenuto dall'occupare tutte le fortezze che vi erano nella Giudea e dal sigillare i loro tesori, ma permise ad Archelao di tenerle fintanto che Cesare decidesse che cosa se ne doveva fare; con questa promessa, se ne restò a Cesarea. Ma dopo che Archelao aveva alzato le vele per Roma e Varo fatto ritorno ad Antiochia, Sabino salì a Gerusalemme e prese possesso del palazzo.
Libro XVII:223 In seguito radunò i comandanti delle fortezze, i vari ufficiali del tesoro, ed espose con chiarezza che voleva da essi un acconto; incominciò pure a disporre delle fortezze come voleva. Ma i custodi non dimenticarono le istruzioni ricevute da Archelao di seguitare a custodire ogni cosa come era stato loro ordinato, col pretesto che essi custodivano ogni cosa per Cesare.
Anche Antipa va a Roma
Libro XVII:224 - 4. Nello stesso tempo salpò per Roma anche Antipa, figlio di Erode, per chiedere il trono perché, assecondato dalle promesse di Salome, era stato incoraggiato a credere che avrebbe avuto il potere e pensava che gli sarebbe spettato il governo con maggiore diritto di Archelao perché designato come re dal primo testamento di Erode, testamento che egli sosteneva fosse più autorevole di quello posteriore.
Libro XVII:225 Perciò aveva preso con sé la madre e Tolomeo, fratello di Nicola che era uno degli amici più onorati di Erode e devoto ad Antipa.
Libro XVII:226 Quello però che più di ogni altro insisteva caldamente affinché volesse rivendicare il trono era Ireneo, un retore ed era per la valentia della sua fama, che Antipa aveva (fiducia) nel trono. Alle istanze che molti gli facevano di cedere il regno ad Archelao, suo fratello maggiore, e nel secondo testamento indicato come successore del padre, non volle mai cedere.
Libro XVII:227 Tuttavia quando giunse a Roma, tutti i suoi congiunti andarono dalla sua parte, non per benevolenza verso di lui, ma perché odiavano Archelao; quanto essi volevano era godere della libertà ed essere sotto un governatore romano; e siccome avevano calcolato che qualora, a tutto questo, sorgesse qualche difficoltà, Antipa avrebbe servito ai loro interessi meglio di Archelao, si ingegnarono per ottenere il trono ad Antipa. Perciò, in una lettera a Cesare, Sabino porse accuse contro Archelao.
Contesa tra fratelli.
Antipatro accusa Archelao
Libro XVII:228 - 5. Allora Archelao mandò lettere a Cesare nelle quali espose le proprie rivendicazioni e il testamento del padre; inviò anche Tolomeo a portare l'enumerazione delle proprietà di Erode assieme al suo sigillo, e seguitò ad aspettare gli sviluppi.
Libro XVII:229 Quando Cesare lesse queste lettere e i rapporti di Varo e Sabino riguardanti l'ammontare delle proprietà e la misura del reddito annuo, e dopo avere guardato le varie lettere inviate da Antipa allo scopo di ottenere la regalità, chiamò i suoi amici affinché gli dessero le loro opinioni; tra costoro diede il primo posto a Gaio, figlio di Agrippa e di sua figlia Giulia, da lui adottata e a chi voleva diede facoltà di trattare dell’argomento davanti a loro.
Libro XVII:230 Il primo fu Antipatro, figlio di Salome, abilissimo parlatore e molto ostile ad Archelao. Disse che il discorso sul potere di Archelao era un discorso puerile, in quanto egli aveva esercitato la regalità prima che Cesare gliela offrisse; gli rimproverò anche la crudeltà verso quanti erano rimasti feriti durante la festività,
Libro XVII:231 in quanto anche se quelli avevano agito malamente, la punizione era da rimettere in mano a coloro che ne avevano autorità e non doveva essere presa da uno che, se era re, offendeva Cesare che ancora stava deliberando la sua richiesta; se d'altra parte agiva come privato cittadino, compiva qualcosa ancora molto peggiore in quanto non era bene concedere anche solo una frazione di potere a uno che accampava diritti al trono dopo che già aveva privato Cesare della sua autorità sopra costoro.
Libro XVII:232 Lo assalì anche con rimproveri per le accuse che aveva fatto agli ufficiali dell’esercito, sedendosi pubblicamente sul trono reale, per decidere un processo, come se fosse un re, per ascoltare le richieste di quanti pubblicamente lo interrogavano e per ogni suo adempimento che non poteva essere più ambizioso se fosse stato nominato governatore da Cesare.
Libro XVII:233 Aggiunse ancora l'accusa di avere liberato i prigionieri dall'ippodromo e molte altre cose, alcune fatte personalmente da lui, altre delle quali era credibilmente accusato, altre cose facenti parte del genere di cose che sogliono compiere i giovani che nella loro ambizione di comandare si appropriano dell'autorità anzi tempo.
Libro XVII:234 Oltre a questo, gli rinfacciava ancora la trascuratezza nel lutto per suo padre e le gozzoviglie nella notte stessa nella quale Erode morì; di qui, disse, ebbero origine anche i primi segni della sedizione popolare, guardando il modo in cui egli ricompensava il padre morto che così generosamente lo aveva coperto di benefici e giudicato degno di così grandi onori; di giorno indossava la maschera di un attore che piange, ma ogni notte indulgeva nei piaceri di un re.
Libro XVII:235 Continuò, dicendo, Archelao, qualora gli si acconsentisse di regnare, avrebbe verso Cesare lo stesso contegno che ebbe verso suo padre: egli danzava e cantava quasi fosse caduto un nemico, non morta una persona a lui tanto congiunta, uno che da tanto l'aveva beneficato.
Libro XVII:236 Ma indicò come il fatto peggiore di tutti che Archelao ora fosse venuto da Cesare per ottenere il suo assenso per la regalità dopo avere già compiuto proprio le stesse cose che avrebbe fatto se l'imperatore gli avesse confermato il potere di farle;
Libro XVII:237 era specialmente la strage commessa nel tempio e l'empietà di Archelao che nel suo discorso egli presentò così terribili, perché ebbero luogo durante la festa, e il popolo era stato sbranato proprio come le vittime sacrificali, sebbene alcuni fossero forestieri e altri nativi; il tempio era colmo di cadaveri non per opera di stranieri, ma di uno che cercava di iniziare, con titolo legittimo, l'attività di re per soddisfare la sua natura tirannica con un atto ingiusto aborrito da tutti gli uomini.
Libro XVII:238 Perciò nessuno ha mai sognato che sarebbe succeduto al trono in virtù di suo padre; Erode ben conosceva il suo carattere, e nel suo testamento riconobbe il diritto più forte del suo avversario Antipa, quest'ultimo, infatti, fu nominato re da suo padre quando Erode non era ancora ammalato nel corpo e nella mente, ma era in possesso di un impareggiabile potere di ragionamento e, con salute robusta, reggeva gli affari dello stato.
Libro XVII:239 Anche se il padre avesse avuto verso di lui gli stessi sentimenti, Archelao ha fatto conoscere che tipo di re fosse, sia privando Cesare del potere che spetta soltanto a lui, di dargli la regalità, sia perché come privato cittadino non esitò a squartare nel tempio i suoi concittadini.
Libro XVII:240 - 6. Dopo queste parole produsse molti congiunti come testimoni di supporto delle sue parole e Antipatro pose fine al suo discorso.
Nicola difenda Archelao a Roma
Sorse allora Nicola in difesa di Archelao. Disse che quanto era avvenuto nel tempio era da attribuire all'intenzione delle vittime più che all'autorità di Archelao. In quanto coloro che avevano iniziato ad agire in quel modo (illegale) erano persone faziose, non soltanto perché uomini violenti, ma perché avevano costretto uomini di spirito conciliante a difendersi combattendo.
Libro XVII:241 E, disse, era chiaro che le ostilità commesse, in apparenza, contro Archelao, erano in realtà contro Cesare, poiché, allorché essi attaccarono e uccisero gli uomini inviati da Archelao, il quale era intervenuto per prevenire i loro eccessi, dimostrarono spregio sia verso Dio sia verso la legge della festività.
Libro XVII:242 Erano uomini di questo genere, continuò, quelli di cui Antipatro non si vergognò di sostenere le ragioni o per indulgere alla sua inimicizia verso Archelao o per odio verso ciò che è giusto e verso la virtù. Poiché coloro che per primi commisero atti ingiusti contro persone insospettabili, sono proprio quelli che obbligano anche le persone che non vogliono a ricorrere alle armi per difesa personale.
Libro XVII:243 Attribuì poi tutte le accuse (delle quali si faceva carico ad Archelao) a coloro che nel consiglio erano per gli accusatori, perché nessun singolo atto, portato a carico di un malfattore, fu commesso senza il consenso degli accusatori. Né, disse, le cose fatte per loro propria natura erano cattive, ma furono compiute così affinché apparissero dannose per Archelao, tanto era grande il loro desiderio di oltraggiare un uomo che era proprio un loro parente e benefattore del loro padre, uno, perciò, che era stato un loro familiare e aveva avuto sempre un retto comportamento verso di loro.
Libro XVII:244 Quanto al testamento (di Erode) fu scritto dal re quando era sano di mente, ed era più robusto che quando scrisse il primo testamento che lasciò Cesare despota di ogni cosa e del giudizio su quanto scritto in esso.
Libro XVII:245 Né Cesare imita, in nessun modo, l'insolenza di quella gente che dopo avere tratto numerosi vantaggi dal potere di Erode allorché era vivo, ora si affretta a invalidarne la volontà, né è simile a quegli uomini che in tal modo hanno trattato i loro congiunti.
Libro XVII:246 A ogni modo, è certo che Cesare non annullerà mai il testamento di un uomo che ha lasciato ogni cosa alla sua decisione, che è stato
suo amico e alleato, e che, facendo il testamento ha posto la sua fiducia in lui; né la virtù e la fede di Cesare, nota in tutta l'ecumene,
Libro XVII:247 giungerà a imitare la malvagità di questi uomini fino a condannare un personaggio di stirpe reale, che ha lasciato la successione al suo meritevole figlio e si è rifugiato nella lealtà di Cesare sotto il pretesto della pazzia e perdita di ragione. Né Erode si è sbagliato nella scelta del successore quando dimostrò tanta prudenza lasciando ogni cosa al giudizio di Cesare.
Libro XVII:248 - 7. E ragionando in questo modo Nicola terminò il suo discorso. Cesare allora innalzò cortesemente Archelao che si era gettato ai suoi piedi e gli disse che era degnissimo di essere re, mostrando così la sua forte disposizione a non compiere nulla al di là di quanto suggeriva il testamento di Erode e di quanto non fosse il vantaggio per Archelao.
Libro XVII:249 Tuttavia non prese alcuna decisione, se togliere ad Archelao ogni dubbio dandogli un'indicazione o meno (della sua decisione). Ma quando il consiglio fu sciolto, Cesare esaminò da solo se Archelao doveva essere confermato capo (unico) del regno oppure se questo doveva essere suddiviso tra tutta la famiglia di Erode, specialmente per il fatto che tutti avevano bisogno di grande aiuto.
Varo non riesce a sopraffare
la rivolta giudaica
Libro XVII:250 - X, I. - Ma prima che si decidesse, la madre di Archelao, Maltace, si ammalò e morì; giunse una lettera da Varo, governatore della Siria, con l'annunzio di una rivolta dei Giudei, poiché dopo la partenza di Archelao, la nazione era divenuta ingovernabile.
Libro XVII:251 Varo stesso venne di persona, punì i responsabili della rivolta, smorzò la parte più grande della rivolta, che era una cosa seria e se ne andò ad Antiochia, lasciando in Gerusalemme una legione del suo esercito per contenere l'attività rivoluzionaria dei Giudei.
Libro XVII:252 Questo però non riuscì ad arrestare le loro turbolenze. Perciò, dopo la partenza di Varo, il procuratore di Cesare, Sabino, che era rimasto là, ripetutamente attaccò i ribelli, convinto che li avrebbe sopraffatti con l'esercito che gli era rimasto e con un buon numero di suoi schiavi;
Libro XVII:253 aveva armato molte guardie del corpo e se ne serviva per importunare e stimolare i Giudei fino alla rivolta; cercava di impossessarsi delle cittadelle con la forza e di impadronirsi della (regia) tesoreria. Era avido di guadagno, ingorde le sue brame.
Lotta della Pentecoste tra
Romani e Giudei
Libro XVII:254 - 2. Giunta la Pentecoste, così si chiama una delle nostre ancestrali festività, molte decine di migliaia di persone si radunarono (in Gerusalemme) non solo per le osservanze religiose, ma anche perché irritati per le insolenze temerarie di Sabino; vi erano Galilei e Idumei, una moltitudine proveniente da Gerico e quanti vivevano in Transgiordania, e vi era una moltitudine della stessa Giudea che si unì a tutte queste ed erano più focosi degli altri nel loro desiderio di punire Sabino.
Libro XVII:255 Essendo divisi in tre gruppi, presero posizione in tre luoghi diversi. Il primo gruppo occupò l'ippodromo; degli altri due gruppi uno andò al quartiere settentrionale del tempio volto verso il meridione; il terzo gruppo era attestato sulla parte occidentale, dove era il palazzo. Tutto questo era stato fatto dai ribelli per riuscire ad assediare i Romani dopo che essi li avevano chiusi da ogni parte.
Libro XVII:256 Sabino, temendo il loro numero e l'ardire ostentato da uomini incuranti della morte con l'anelito di non subire disfatte in una battaglia dalla quale pensavano di uscire vittoriosi, prese subito a mandare lettere a Varo, come è consuetudine in tali circostanze, insistendo nel dirgli di venire subito in aiuto perché l'esercito da lui lasciato qui era sotto la minaccia di un grave pericolo, perché si aspettavano di venire in breve catturati e fatti a pezzi.
Libro XVII:257 Egli intanto occupò le torri più alte della fortezza Fasaele, costruita in onore di Fasaele fratello di Erode, aveva avuto questo nome allorché morì nella battaglia contro i Parti, e diede ai Romani il segnale di attaccare i Giudei, perché non osava andare giù personalmente dai suoi amici, ma pensava che fosse perfettamente giusto che gli altri si esponessero alla morte per la sua preminenza.
Libro XVII:258 Quando i Romani coraggiosamente attaccarono una ostinata battaglia nella quale avevano la superiorità, i Giudei non si persero d'animo alla vista delle terribili perdite di uomini;
Libro XVII:259 anzi, fecero un cammino tortuoso e montarono sui portici che circondano il cortile esterno del tempio e mentre si accendeva una mischia, essi scagliavano una tempesta di sassi, parte con le mani e parte con le fionde e diedero prova di essere allenati a questo genere di lotta.
Libro XVII:260 Tutti gli arcieri disposti al loro lato inflissero gravi perdite ai Romani poiché si trovavano a un piano più elevato e non facile da attaccare perché fuori dal tiro dei loro giavellotti, avendo il nemico in posizione dalla quale era facile difendersi. E così la battaglia si protrasse per parecchio tempo.
Libro XVII:261 Avvenne così che i Romani, trovandosi in una situazione disperata, diedero fuoco ai portici senza essere visti dai Giudei, saliti sopra, e il fuoco nutrito da molte mani e da materiale molto combustibile, presto raggiunse il tetto.
Libro XVII:262 Questo conteneva legname saturo di pece, di cera, e macchiato d'oro e subito si arrese (alle fiamme); e quell'opera grandiosa e magnifica fu completamente distrutta. E quelli che erano sui portici furono presi in modo inaspettato da tale distruzione, poiché quando precipitò il tetto furono coinvolti nella sua rovina, altri, invece, chiusi da ogni parte dal nemico, crollarono.
Libro XVII:263 Molti disperati e senza scampo di fronte al terribile destino che li colpiva, o si gettavano nelle fiamme o le fuggivano volgendo le spade contro se stessi. E tutti coloro che rifacevano il cammino dal quale erano saliti, cercando di porsi in salvo, tutti sbigottiti e affannati, venivano uccisi dai Romani perché non erano armati e nemmeno la disperazione, per l'assenza delle armi, non era d'aiuto.
Libro XVII:264 Così nessuno di coloro che erano saliti sul tetto sfuggì alla morte. I Romani spinsero il loro cammino al di là del fuoco, ovunque per loro c'era uno spazio, e giunsero a impossessarsi del tesoro ove era custodito il denaro sacro: la maggior parte fu rubata dai soldati, mentre Sabino prese apertamente per sé quattrocento talenti.
Libro XVII:265 - 3. Ora i Giudei, addolorati sia per la perdita dei loro amici in questa battaglia, sia per la rapina delle loro offerte sacre, ciò nonostante il loro gruppo più compatto e coraggioso circondò la reggia minacciando di appiccarvi il fuoco e uccidere tutti quanti vi erano, avvertendoli però di uscire il più presto possibile, e promettendo che tutti, compreso Sabino, non avrebbero sofferto male alcuno purché obbedissero a quanto detto.
Libro XVII:266 Perciò la maggioranza delle truppe reali disertò schierandosi assieme a loro. Rufo e Grato e con essi tremila dei più valorosi soldati dell'esercito di Erode, uomini che potevano effettivamente fare uso del loro corpo, si unirono alla forza dei Romani.
Libro XVII:267 Tuttavia per questo i Giudei non tralasciarono l'assedio, anzi proseguirono lo sfondamento delle mura e dissero agli uomini pronti a cambiare lato, di non intromettersi ora poiché finalmente avevano l'opportunità di riavere la libertà della patria.
Libro XVII:268 Sabino non avrebbe voluto nulla di meglio che uscire con le sue truppe, ma non poteva fidarsi (dei Giudei) a motivo di quanto aveva fatto (a essi) e la troppa liberalità del nemico gli parve una ragione per rifiutare la sua offerta; e nello stesso tempo attendeva la venuta di Varo; e così resisteva sotto l'assedio.
Libro XVII:269 - 4. Nello stesso tempo i tumulti seguitavano e ne sorgevano di nuovi nella Giudea e in varie parti molti uomini sorsero in armi sia nella speranza di guadagni personali sia per odio contro i Giudei.
Libro XVII:270 Ad esempio, duemila soldati che una volta avevano combattuto con Erode e ora erano stati sciolti e si trovavano nella Giudea e combattevano contro le truppe del re. Costoro erano organizzati contro di esse da Achiab, cugino di Erode; costui era stato obbligato dal nemico, che aveva maggiore esperienza di guerra, a ritirarsi dalle fiamme sulle montagne riparandosi in una posizione inaccessibile, mettendo in salvo quello che poté.
Capi del banditismo: Giuda, Simone,
Atronge e fratelli
Libro XVII:271 - 5. V'era Giuda, figlio del capo bandito Ezechia, che era stato uomo di grande potere e fu catturato da Erode solo con molta difficoltà. Questo Giuda, a Seffori, in Galilea, mise insieme un numero di uomini disperati e assalì il palazzo reale, prese tutte le armi che vi erano immagazzinate, armò ognuno dei suoi uomini e se ne andò con tutte le proprietà che potè prendere.
Libro XVII:272 Divenuto ormai lo spavento di tutti, depredava quanti incon-trava, aspirava a cose sempre più grandi, la sua ambizione erano ormai gli onori
reali, premio che egli si aspettava di ottenere non con la pratica della virtù, ma con la prepotenza che usava verso tutti.
Libro XVII:273 - 6. Vi era anche Simone, uno schiavo del re Erode, uomo di bell'aspetto, di corporatura eminente dal quale si aspettava che facesse progressi. Dall'attuale sconvolgimento di ogni cosa egli prese coraggio e osò porsi in capo il diadema;
Libro XVII:274 messa assieme una raccolta di persone farneticanti si fece proclamare re, lusingandosi di essere meritevole al pari di ogni altro; dopo, diede fuoco alla reggia di Gerico, saccheggiando e rubando quanto vi era dentro. Distrusse col fuoco molte altre residenze reali sparse in molte parti del paese dopo avere concesso ai suoi compagni ribelli di prendere tutto quanto era stato lasciato come bottino.
Libro XVII:275 Avrebbe fatto anche qualcosa di peggio se l'attenzione non si fosse presto rivolta contro di lui. Poiché Grato, ufficiale delle truppe reali che era passato ai Romani con le forze che aveva, andò contro Simone;
Libro XVII:276 ebbe luogo una battaglia lunga e feroce e gli abitanti della Perea erano disorganizzati e combattendo con più sconsideratezza che conoscenza, furono distrutti. Simone cercò di fuggire per salvarsi tra le vallate, ma Grato lo intercettò e gli tagliò la testa.
Libro XVII:277 Anche il palazzo reale di Ammata presso la sponda del Giordano, fu bruciato da alcuni ribelli simili a quelli di Simone. Fu un periodo di follia che si installò nella nazione perché non aveva un vero e proprio re che con la sua autorità vegliasse e tenesse a freno il popolo e perché gli stranieri che vennero da loro per smorzare le ribellioni erano essi stessi una causa di provocazione con la loro arroganza e la loro superiorità.
Libro XVII:278 - 7. C'era pure un certo Atronge, uomo che non si distingueva né per nobiltà di natali, né per eccellenza di carattere, né per l'abbondanza di beni, ma era semplicemente un pastore completamente sconosciuto a tutti, sebbene fosse notevole per la sua grande statura e per la forza delle sue braccia. Costui ebbe la temerarietà di aspirare alla regalità, pensando che ottenendola avrebbe avuto la libertà di agire con violenza; e incontrando la morte in tali circostanze non avrebbe dato molta importanza alla perdita della vita.
Libro XVII:279 Aveva quattro fratelli, anch'essi erano alti e ben fiduciosi del successo che avrebbero ottenuto per opera della loro agile robustezza corporea,
erano prontissimo ad ardue imprese, ed egli pensava fossero un punto valido per la conquista di un regno; (ognuno) di loro comandava una compagnia di soldati, ogni giorno, infatti, si aggregava a essi una turba di gente.
Libro XVII:280 I comandanti erano ai suoi ordini sebbene ogni volta che uscivano per compiere scorrerie combattessero per loro e, sebbene lo stesso Atronge cingesse la corona e tenesse consiglio per discutere quanto c'era da fare, ogni cosa dipendeva dalla sua decisione.
Libro XVII:281 Quest'uomo tenne il suo potere per lungo tempo, perché aveva il titolo di re e nulla gli impediva di fare ciò che voleva. Egli e i suoi fratelli si diedero, in modo esuberante, a fare strage dei Romani e degli uomini del re, verso entrambi agivano con ugual odio; verso gli ultimi a motivo dell'arroganza che avevano mostrato durante il regno di Erode e verso i Romani per le ingiustizie che tuttora commettevano.
Libro XVII:282 Ma con l'andare del tempo divennero sempre più selvatici (verso tutti); e non v'era persona, in qualunque luogo fosse, che potesse scampare: a volte i ribelli uccidevano per avidità di guadagno, e altre volte per l'abitudine che avevano preso di uccidere. Una volta vicino a Emmaus attaccarono persino una compagnia di Romani che portavano viveri e armi al proprio esercito: circondarono il centurione Ario che comandava il distaccamento e quaranta dei suoi fanti migliori, li trucidarono.
Libro XVII:283 I restanti atterriti dal destino che era riservato ai loro compagni si misero in salvo sotto la protezione offerta loro da Grato e dalle truppe regie che erano con lui, lasciando dietro i loro morti. Questo tipo di lotta seguitò per lungo tempo, causò ai Romani non pochi fastidi e inflisse molti danni alla loro nazione.
Libro XVII:284 I fratelli vennero poi sottomessi: il primo in uno scontro con Grato, l'altro in uno con Tolomeo. E quando Archelao catturò il più vecchio, l'ultimo dei fratelli, rattristato per l'infausto destino degli altri, dopo avere visto che ormai non aveva più via di scampo ed era solo, totalmente sfinito e completamente esausto, si arrese ad Archelao ricevendo una garanzia giurata nella sua fede in Dio che non avrebbe avuto male alcuno. Ma tutto questo avvenne dopo.
Libro XVII:285 - 8. La Giudea era piena di brigantaggio. Ognuno poteva farsi re, come capo di una banda di ribelli tra i quali capitava e in seguito avrebbe esercitato pressione per distruggere la comunità causando torbidi a un piccolo
numero di Romani e, più raramente, ma provocando una grande carneficina al suo popolo.
Intervento di Varo
Libro XVII:286 - 9. Non appena, per mezzo della lettera scrittagli da Sabino, venne a conoscenza di ciò che era accaduto, Varo si interessò della legione (lasciata in Giudea), prese le altre due legioni stanziate in Siria, in tutto erano tre, quattro squadroni di cavalieri e le truppe ausiliari fornite dai re e da alcune tetrarchie, e si affrettò ad assistere gli uomini che erano stati assediati in Giudea.
Libro XVII:287 A tutti quelli che furono inviati fu dato l'ordine di dirigersi a Tolemaide. Quando egli transitò per la loro città il popolo di Beirut l'informò che gli aveva dato millecinquecento ausiliari. Anche Areta di Petra, che dopo l'odio contro Erode era passato all'amicizia con i Romani, mandò una considerevole forza di fanteria e cavalleria.
Libro XVII:288 Quando tutto l'esercito si radunò a Tolemaide, Varo ne trasferì una parte a suo figlio e a uno dei suoi amici e li mandò a combattere i Galilei che abitano nella regione adiacente a Tolemaide.
Libro XVII:289 Suo figlio attaccò tutti quanti si schieravano contro di lui; dopo prese Seffori, ridusse gli abitanti in schiavitù e diede fuoco alla città. Lo stesso Varo si recò in Samaria con tutto l'esercito, risparmiò però la città perché contro di essa non si poteva addurre alcuna accusa di complicità con i rivoltosi e si accampò in un villaggio che apparteneva a Tolomeo, il suo nome era Arous.
Libro XVII:290 Gli Arabi avevano bruciato questo villaggio a motivo del loro odio contro Erode e dell’inimicizia contro i suoi figli. Di là gli Arabi erano andati a saccheggiare un altro villaggio di nome Samfo e lo bruciarono; nonostante fosse molto fortificato, a mano a mano che avanzavano, nulla sfuggiva alle loro mani, ma c'era fuoco e massacri ovunque andassero.
Libro XVII:291 Anche Emmaus, dopo che fu abbandonata dai suoi abitanti, fu bruciata per ordine di Varo, per vendicare coloro che vi erano stati uccisi.
Libro XVII:292 Partiti di là andarono nei dintorni di Gerusalemme. I Giudei quivi accampati nell'assedio della legione, appena scorsero l'esercito avanzare, interruppero l'assedio e si diedero alla fuga.
Libro XVII:293 Quando i Giudei dentro Gerusalemme furono rimproverati aspramente da Varo, respinsero le sue accuse dicendo che la folla era convenuta per la festività e che erano stati coinvolti nella guerra non di loro volontà ma per l'audacia dei forestieri, giacché si trovavano sotto l'assedio con i Romani, non avevano il desiderio di assediare loro.
Libro XVII:294 Intanto erano venuti Giuseppe, cugino del re Erode, Grato e Rufo in testa alle loro truppe, e anche i Romani che erano stati sotto l'assedio; ma Sabino non comparve davanti a Varo, poiché aveva lasciato la città per la costa marina.
Libro XVII:295 - 10. Varo inviò parte delle sue truppe per la regione alla ricerca degli autori della rivolta; una volta scoperti, quelli più colpevoli venivano puniti mentre gli altri erano rilasciati. Il numero di coloro che per questa accusa furono crocifissi fu di duemila.
Libro XVII:296 Dopo licenziò l'esercito [di Areta] in quanto non era più utile ad alcuno scopo, perché più volte si erano dimostrati indisciplinati e avevano disobbedito agli ordini di Varo, e le loro richieste erano sproporzionate per il cattivo contegno che avevano mantenuto.
Libro XVII:297 Avendo poi saputo che diecimila Giudei erano sorti in armi, si affrettò ad arrestare; costoro però non lo scontrarono in battaglia ma seguirono il parere di Achiab e si arresero. Varo perdonò una grande parte di questi colpevoli di rivolta e mandò a Cesare coloro che ne erano stati i capi.
Libro XVII:298 Molti di costoro Cesare li lasciò andare e punì soltanto i parenti di Erode che si erano uniti a loro combattendo, in quanto avevano dimostrato disprezzo per la giustizia combattendo contro i propri parenti.
Ambasciata giudaica a Roma
Libro XVII:299 - X, I. - Ordinati gli affari in tale modo, Varo lasciò come guarnigione in Gerusalemme la legione che c'era prima e se ne ritornò ad Antiochia. Intanto Archelao a Roma vide venirgli incontro nuovi fastidi per le ragioni seguenti.
Libro XVII:300 Giunse a Roma una delegazione di Giudei che Varo aveva permesso alla nazione di inviare allo scopo di chiedere l'autonomia. Il numero di
legati inviati con il consenso della nazione era di cinquanta e a loro si aggiunsero più di ottomila Giudei che erano a Roma.
Libro XVII:301 Quando Cesare radunò il consiglio dei suoi amici e le personalità romane più ragguardevoli nel tempio di Apollo eretto da lui con notevoli spese, si presentarono gli inviati insieme a una folla di Giudei locali, e Archelao con i suoi amici.
Libro XVII:302 Ma tutti i congiunti del re per l'odio che avevano verso di lui non volevano andare dalla sua parte e d'altronde ritenevano reprensibile dare il loro voto contro di lui e favorire gli inviati; credevano, infatti, che agendo in tal modo verso un uomo che era loro congiunto, agli occhi di Cesare sarebbero stati disonorati.
Libro XVII:303 Era presente anche Filippo, giunto dalla Siria per esortazione di Varo, anzitutto perché porgesse aiuto alla causa di Archelao del quale Varo non era molto amico e anche per essere sicuro di avere per sé una parte del potere regio nel cambiamento del regno; Varo, infatti, sospettava che una porzione sarebbe toccata ai molti che desideravano l'autonomia.
Libro XVII:304 - 2. Data la facoltà di parlare ai legati giudei, che attendevano di parlare dello scioglimento del regno, questi iniziarono accusando Erode di attività arbitrarie. Cercarono di dimostrare che quando era stato un re solo di nome, aveva assommato sulla sua persona le crudeltà più spietate di tutte le tirannie, servendosi di ogni espediente per la distruzione dei Giudei e non fu contrario all'introduzione di forme nuove di sua propria invenzione.
Libro XVII:305 In verità molti furono fatti punire da lui con forme di sterminio mai attestate prima, quelli che ancora vivevano erano più disgraziati degli altri perché non solo erano angosciati dagli errori di cui erano testimoni e sui quali tuttora riflettono ricordandoli, ma anche per la perdita delle loro proprietà.
Libro XVII:306 Ridusse alla povertà l'intera nazione per abbellire le città vicine abitate da gente straniera anche se questo portava a lasciare andare in rovina e sparire città del suo regno.
Libro XVII:307 Ridusse a estrema povertà la nazione, mentre l'aveva presa in una condizione florida mai vista prima, aveva ucciso membri della nobiltà con assurdi pretesti e poi si era appropriato delle loro proprietà; e se ad alcuni permise di avere l'incerto piacere di vivere, egli li condannò alla spoliazione dei loro averi.
Libro XVII:308 Aggiungasi, a questo, l'esazione dei tributi imposti ogni anno, i ricchi extra contributi che si dovevano pagare a lui, ai familiari, agli amici e a quei suoi schiavi che presiedevano all'esazione dei tributi, perché non vi era alcuna immunità da oltraggio a meno che si pagassero mance.
Libro XVII:309 Senza parlare della corruzione delle loro figlie vergini e della depravazione delle loro vedove vittime di ubriachi violenti e bestiali, indegnità che erano taciute perché le vittime preferivano non fossero scoperte, come se non avessero avuto luogo. Erode infatti le aveva sottoposte a oltraggi tali che neppure una bestia avrebbe osato se avesse avuto potere sugli uomini.
Libro XVII:310 Nonostante siano molte le espulsioni e le deportazioni forzate che hanno colpito la nazione, mai ebbe luogo una sfortuna simile a quella a cui la assoggettò lo stesso Erode, sfortuna che è un esempio di malvagità.
Libro XVII:311 Ben a ragione dunque essi gioirono all'avvento di Archelao come loro re; pensavano che chiunque gli sarebbe succeduto sul trono si sarebbe comunque dimostrato più moderato di Erode. Piansero pubblicamente suo padre, assecondando in ciò e in altre cose i suoi voleri nella speranza di ottenere un trattamento più benevolo.
Libro XVII:312 Ma Archelao temendo che potesse essere considerato un legittimo successore di Erode, non indugiò a fare conoscere alla nazione quale fosse la sua reale intenzione, e fece questo prima di avere avuto la completa sua sovranità, che solo Cesare aveva l'autorità di dare o di trattenere.
Libro XVII:313 Archelao aveva dato ai suoi futuri sudditi un esempio di quale tipo di virtù avevano da aspettarsi da lui e quale linea di moderazione e di rispetto della legge; e così si era comportato nel recinto del tempio in uno dei primi atti compiuti davanti ai suoi concittadini e davanti a Dio con la strage da lui eseguita di tremila connazionali. E ora dunque come possono mancare di avere un buon motivo di odiarlo quando, alle sue crudeltà egli poteva aggiungere l'accusa che essi erano ribelli al suo governo e parlavano contro di lui?
Libro XVII:314 In sintesi, la sostanza della loro domanda era di essere liberati dal regno da simili forme di governo, e di essere uniti alla (provincia di) Siria e soggetti ai governatori inviati di là, perché in questo modo apparirebbe chiaramente se erano sediziosi o amanti della rivoluzione o se, invece, la loro vita non era quella di sudditi obbedienti, una volta trovati gli uomini moderati che li governino.
Nicola difende Erode e Archelao
Libro XVII:315 - 3. Quando i Giudei finirono di parlare di questo argomento, si fece avanti Nicola per sciogliere il re dalle accuse. Disse: Erode, finché visse, non fu mai soggetto a simili accuse e chi aveva qualcosa contro di lui poteva farlo davanti a (giudici) equanimi e durante la vita poteva infliggergli la pena, (ma) non si può architettare un'accusa contro di lui ora che è morto.
Libro XVII:316 Delle azioni compiute da Archelao, egli addossò la responsabilità a loro per il comportamento oltraggioso di quegli uomini che avevano tentato di fare ciò che era in violazione della legge e avevano iniziato a uccidere coloro che erano stati incaricati di impedire di commettere tali oltraggi e ora si dolevano che la rappresaglia fosse stata fatta. Egli pure si lamentò del loro comportamento rivoluzionario e del loro piacere per la sedizione dovuto al fatto di non essere soggetti alla giustizia e alla legge, e al loro desiderio di vincere dappertutto. Così parlò Nicola.
La decisione di Cesare
Libro XVII:317 - 4. Udite le ragioni delle due parti, Cesare sciolse il consiglio; e pochi giorni dopo non nominò Archelao “re”, ma “etnarca” di metà del territorio che era stato soggetto a Erode e gli promise che l'avrebbe innalzato al grado di “re” quando ne avesse realmente dimostrato la capacità;
Libro XVII:318 il resto del territorio lo divise in due parti assegnandolo agli altri due figli di Erode, Filippo e Antipa, quest'ultimo è quello che aveva conteso al fratello il diritto su tutto il regno; a questo davano il tributo la Perea e la Galilea, una rendita che ammontava a duecento talenti l'anno.
Libro XVII:319 Batania, Traconitide, Auranitide e una parte di quello che era chiamato “dominio di Zenodoro” rendeva a Filippo una rendita di cento talenti. Ad Archelao erano soggette ambedue, Idumea e Giudea e il distretto dei Samaritani ai quali, per concessione di Cesare, era rimesso un quarto del loro tributo; concesse alleggerimenti poiché nella rivolta non si erano uniti al resto del popolo.
Libro XVII:320 Anche alcune città furono soggette ad Archelao, così la Torre di Stratone, Sebaste, Joppa e Gerusalemme; mentre Gaza, Gadara e Hippo erano tra le città greche che Cesare distaccò (dal territorio) di obbedienza a lui
(Archelao) e le annesse alla Siria. Il denaro che annualmente andava ad Archelao come tributo del territorio datogli da governare ammontava a seicento talenti.
Libro XVII:321 - 5. Questo è quanto andò ai figli di Erode del patrimonio paterno. A Salome oltre a quanto assegnato dal fratello nel testamento, cioè Jamnia, Azoto, Fasaele e cinquecentomila monete d'argento, Cesare le donò il palazzo reale di Ascalon. E le rendite che le provenivano da tutti i suoi beni ammontavano a sessanta talenti all'anno; la residenza di lei era nel territorio governato da Archelao.
Libro XVII:322 Gli altri congiunti del re ebbero quanto era stato loro assegnato nel testamento; a ognuna delle sue due figlie non sposate, oltre a quanto lasciò loro il padre, Cesare aggiunse il dono di duecentocinquantamila monete d'argento e le diede in matrimonio ai due figli di Ferora;
Libro XVII:323 ai ragazzi del re diede la somma di millecinquecento talenti, tratti dall'ammontare lasciatogli, tenne per sé soltanto pochi vasi che gli erano stati regalati. Fece questo non tanto per il loro grande valore, quanto perché li considerava ricordi del re.
Un falso Alessandro
Libro XVII:324 - XII, I. - Disposti in tal modo questi affari da Cesare, apparve un giovane giudeo di nascita, ma educato nella città di Sidone da un liberto romano, che si presentò come parente di Erode per la somiglianza nei lineamenti fisici che aveva con Alessandro, il figlio di Erode che era stato ucciso da lui: si trattava di una somiglianza riconosciuta da coloro che avevano visto Alessandro.
Libro XVII:325 Questo gli valse da stimolo per aprirsi la strada al regno. Come complice prese un compagno giudeo, esperto negli affari di corte e anche furfante disposto naturalmente a provocare grandi disordini: costui divenne maestro di arti inique;
Libro XVII:326 si spacciava per Alessandro, figlio di Erode trafugato da uno degli uomini che erano stati mandati a ucciderlo; costui diceva di avere ucciso un altro (in sua vece) per ingannare coloro che avrebbero visto (i cadaveri), e risparmiato lui e suo fratello Aristobulo.
Libro XVII:327 Era trasportato da simili favole e quanti si imbattevano in lui rimanevano ingannati. Quando sbarcò a Creta si guadagnò la fiducia di tutti i Giudei venuti a contatto con lui e ben provvisto di soldi dalla loro liberalità, navigò fino a Melo; e qui ricevette delle somme di denaro ancora superiori, per la loro credenza che egli fosse della famiglia reale e nella speranza che avrebbe ristabilito il trono di suo padre e ricompensato i suoi benefattori.
Libro XVII:328 Dopo si affrettò ad andare a Roma, scortato dai suoi generosi finanziatosi privati. Quando sbarcò a Dicearchia (è l’attuale Pozzuoli) ebbe la fortuna di conquistare i Giudei che là vivevano, con lo stesso genere di inganno. E come se fosse un re, accorreva da lui gente di ogni classe, compresi quelli che erano stati ospiti o favoriti di Erode.
Libro XVII:329 La ragione è che credevano alle sue storie garantite dalla sua somiglianza fisica, tanto che anche in coloro che avevano conosciuto bene Alessandro, egli ispirava piena fiducia: era la stessa persona, non altri; anche costoro giuravano a quanti lo circondavano che lui era la stessa persona.
Libro XVII:330 Così che quando la fama di lui si divulgò fino a Roma, tutta la folla dei Giudei che abitavano colà, uscì a incontrarlo considerandolo uno straordinario sottratto alla morte, con un'azione divina, e gli dava un gioioso benvenuto a motivo del loro vincolo di discendenza per sua madre, ovunque si inoltrava su di un cocchio lungo vicoli angusti;
Libro XVII:331 e aveva tutta la magnificenza di un re, a loro spese, data da privati finanziatosi. Grandi folle stipate attorno a lui lanciavano voti augurali e nulla veniva omesso di quanto era appropriato per coloro che in modo così inatteso erano scampati alla morte.
Libro XVII:332 - 2. Quando queste notizie si divulgarono fino a Cesare, egli si rifiutò di crederle, sapendo che non era facile ingannare Erode in una materia di così grande importanza per lui. Lasciò uno spazio (di tempo) per la speranza, poi mandò Celado, uno dei suoi liberti, che era stato molto familiare con i giovani, con l'ordine di portare Alessandro alla sua presenza. E così Celado lo portò, senza mostrare di essere, in questa materia, un giudice ben migliore del popolino.
Libro XVII:333 Cesare, tuttavia, non si ingannò: quantunque costui fosse simile al vero Alessandro, non lo era a tal punto per l'osservatore attento; sebbene avesse qualche somiglianza, non bastava per trarre in inganno quanti erano capaci di una ponderata riflessione. Il falso Alessandro, per il continuo lavoro
manuale fatto fino ad allora, portava mani incallite, il vero Alessandro e per l'educazione e per la nobiltà dei natali aveva fattezze delicate, mentre per ragioni opposte il corpo del falso mostrava una corporatura massiccia che degenerava in rozzezza.
Libro XVII:334 Vedendo, dunque, in questa falsità una cospirazione tra maestro e discepolo e l'ordito della loro audace storia, lo interrogò a proposito di Aristobulo; che cosa ne era avvenuto, dato che (aveva asserito) era stato rapito assieme a lui, e per quale motivo non era venuto con lui a rivendicare il grado che (conviene) a persone così titolate.
Libro XVII:335 Rispose che Aristobulo era stato lasciato nell'isola di Cipro per timore di quanto poteva accadere in mare e affinché, qualora a lui stesso accadesse una sfortuna, la posterità di Mariamme non andasse cancellata completamente, ma potesse sopravvivere in Aristobulo e contrapporsi a coloro che li avevano insidiati.
Libro XVII:336 Mentre il giovane proseguiva in questa sua storia, confermata dall'uomo che aveva architettato l'inganno, Cesare lo prese in disparte e disse: “Sappi che una ricompensa ti aspetta, se tu non vuoi ingannare anche me; la ricompensa è che non ti sarà tolta la vita, ma ti sarà risparmiata. Dimmi chi sei veramente e chi fu il temerario che ti spinse in questa macchinazione, poiché l'impostura che hai cercato di portare avanti è tale che a uno che ha i tuoi anni non si può ascrivere una trama così insidiosa e maligna”.
Libro XVII:337 E così, non c'era infatti altro da fare, narrò a Cesare il complotto, come era stato architettato e da chi. Cesare, vedendo che il falso Alessandro era fisicamente atto al lavoro duro, lo mandò a remare con i suoi marinai, poiché non sarebbe tornato indietro dopo l'accordo fatto con lui; ma l'uomo che aveva istigato il giovane (alla frode) lo mise a morte.
Libro XVII:338 I Meliani ebbero una sufficiente punizione con le grandi somme spese per un falso Alessandro, tutto per nulla. Così fu l'inglorioso caso dell'ardita macchinazione del falso Alessandro.
Archelao etnarca in Giudea ed
esiliato in Gallia
Libro XVII:339 - XIII, I. - Quando Archelao andò in Giudea e prese possesso della sua etnarchia, rimosse Joazar, figlio di Boeto, dall'ufficio di sommo
sacerdote, biasimandolo per avere sostenuto i ribelli e al suo posto mise Eleazar, fratello di Joazar.
Libro XVII:340 Riedificò il palazzo reale di Gerico in modo splendido e deviò metà dell’acqua che serviva per irrigare il villaggio di Neara, in una piana nella quale aveva piantato alberi di palme. Creò pure un villaggio al quale diede il nome di Archelaide.
Libro XVII:341 E trasgredì le leggi ancestrali sposando Glafira figlia di Archelao che era stata moglie di suo fratello Alessandro e aveva avuto figli: per i Giudei è incompatibile sposare la moglie di un fratello. Eleazar non restò a lungo nel sommo pontificato, poiché quando era ancora vivo fu sostituito da Gesù, figlio di See.
Libro XVII:342 - 2. Nell'anno decimo del regno di Archelao, i magistrati dei Giudei e dei Samaritani, trovarono insopportabile la sua crudeltà e tirannia e l'accusarono davanti a Cesare, non appena seppero che Archelao aveva disobbedito alle sue (di Cesare) istruzioni di mostrarsi moderato verso di loro.
Libro XVII:343 Quando sentì le accuse, Cesare si indignò e convocò l'uomo, anch'egli si chiamava Archelao, che seguiva gli affari di Archelao a Roma perché giudicò troppo basso scrivere ad Archelao e gli disse di scrivere ad Archelao (l'etnarca) per dirgli: “Vai, salpa subito e portalo qui da noi, senza indugio”.
Libro XVII:344 Così quest'uomo salpò e giunse in Giudea e trovò Archelao che banchettava con gli amici, gli manifestò la volontà di Cesare e affrettò la sua partenza. Quando arrivò Archelao, Cesare stava dando un'udienza ad alcuni dei suoi accusatori e gli concesse di parlare; al termine lo mandò in esilio assegnandogli Vienne, città nella Gallia e gli confiscò le proprietà.
Libro XVII:345 - 3. Prima di essere convocato a Roma, Archelao narrò ai suoi amici il seguente sogno da lui avuto. Gli parve di vedere che dieci spighe di grano mature fossero divorate dai buoi. Allorché si scosse dal sonno, parendogli che la visione volesse significare grandi cose mandò a chiamare indovini abili nell'interpretazione dei sogni.
Libro XVII:346 Ma siccome erano discordi l'uno dall'altro, l'interpretazione non giungeva allo stesso risultato. Perciò domandò la garanzia di Simone, uomo della corrente essena e questo rispose che la visione pronosticava un mutamento di situazione per Archelao, cambiamento non in meglio.
Libro XVII:347 I buoi, infatti, indicano sofferenza, essendo animali soggetti a molte fatiche, indicano cambiamento di situazione, poiché quando la terra viene arata dal loro lavoro non può restare nello stesso stato di prima. Le spighe, che erano dieci, indicano lo stesso numero di anni, poiché nel corso di ogni anno vi è un raccolto e questo significa che il governo di Archelao era giunto alla fine.
Libro XVII:348 Tale fu l'interpretazione del sogno data da Simone. E non più di cinque giorni dopo la visione di Archelao, giunse in Giudea l'altro Archelao inviato da Cesare.
Libro XVII:349 - 4. Un fatto del genere accadde ugualmente a sua moglie Glafira, figlia del re Archelao, della quale parlai sopra, che, quando ancora era vergine aveva sposato Alessandro, figlio di Erode e fratello di Archelao: quando Alessandro fu messo a morte da suo padre, lei andò sposa a Juba, re della Libia;
Libro XVII:350 e dopo la morte del re della Libia si ritirò con suo padre in Cappadocia in stato di vedovanza; Archelao allora divorziò dalla moglie Mariamme e sposò lei, tanto era dominato dall'amore per Glafira. E mentre era moglie di Archelao, ebbe il sogno seguente.
Libro XVII:351 Le parve di vedere Alessandro in piedi davanti a lei, e lei, gioiosa, lo abbracciava con affetto. Ma lui la rimproverò e le disse:
Libro XVII:352 “Glafira, certamente tu confermi il detto che non bisogna prestare fede alle donne. Vergine tu fosti a me promessa e a me sposata; quando ci nacquero i bambini, dimenticasti il mio amore per il tuo desiderio di sposarti di nuovo. Ma non soddisfatta di questo oltraggio, hai avuto la temerarietà di prendere ancora un terzo sposo e in maniera indecente e svergognata, tu, membro della mia famiglia, col matrimonio sei entrata nella famiglia di Archelao, tuo cognato e mio fratello.
Libro XVII:353 Io non dimenticherò mai il mio affetto per te, ma ti libererò da ogni disonore facendoti mia, come tu eri”. Pochi giorni dopo avere riferito questo alle donne sue amiche, lei morì.
Libro XVII:354 Mi è parso bene riferire queste cose perché non estranee alla mia storia, dato che riguardano persone di (famiglia) reale e, inoltre, forniscono esempi di qualcosa che ha da fare con l'immortalità dell’anima e del modo con cui la provvidenza di Dio abbraccia le vicende umane. Perciò ho pensato bene di
parlare di questo. Coloro ai quali simili cose paiono incredibili, si accontentino della propria opinione, ma non interferiscano con chi le evidenze per la virtù.
Libro XVII:355 Ora la regione soggetta ad Archelao fu annessa alla Siria e Quirino, persona consolare, fu mandato da Cesare a compiere una stima delle proprietà in Siria e vendere il patrimonio di Archelao.