sabato 15 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro II° (2/20)

Libro II°

Esaù e la sua discendenza
Libro II:1 - I, I. - Dopo la morte di Isacco, i suoi figli si divisero tra loro il territorio, non trattennero quello ereditato dal padre. Esaù lasciò a suo fratello la città di Ebron, e prese dimora in Saeira comandò l'Idumea, chiamando la regione così dal proprio nome, poiché era soprannominato
Libro II:2 Adom, soprannome avuto per le seguenti motivazioni. Un giorno, era ancora in giovane età, tornando da caccia affaticato e affamato, si incontrò col fratello che per il proprio pranzo aveva preparato un piatto di lenticchie di un colore biondo denso che stuzzicavano ancora il suo appetito, e gli disse di dargliele da mangiare.
Libro II:3 Giacobbe, approfittando della sua fame, gli domandò di vendergli, in cambio del cibo, i suoi diritti di primogenitura; ed egli, spinto dalla fame, gli cedette, sotto giuramento, i propri diritti. Di qui, dal colore biondo del cibo, dai suoi giovani compagni, per scherzo, fu soprannominato “Adom”: adoma è infatti la parola ebraica per “rosso”: e questo è il nome che diede alla regione; e i Greci, per darle più lustro, la chiamarono Idumea.
Libro II:4 - 2. Egli divenne padre di cinque figli: di questi Iaus, Iolam e Kore nacquero da una sola donna di nome Alibame; degli altri Elifaz nacque da Adasa, e Rauel da Basamath.
Libro II:5 Questi furono i figli di Esaù. Ad Elifaz nacquero cinque figli legittimi: Teman, Omer, Ofous, Jotham, Kanaz; Amalec era illegittimo, essendo nato dalla concubina Tamne.
Libro II:6 Costoro popolarono la regione dell'Idumea che è detta Gobolite e anche quella che, da Amalec, chiamarono Amalecite. L'Idumea era allora molto estesa e tutta la regione conservava lo stesso nome, le singole parti, però, mantennero i nomi dati dai fondatori.
I sogni di Giuseppe
Libro II:7 II, I. Giacobbe intanto giunse a un tale grado di prosperità difficilmente raggiungibile da altri. In ricchezza sorpassava gli abitanti della regione e le virtù dei figli lo fecero oggetto di invidia e ammirazione. Non
mancavano di alcuna qualità: avevano coraggio nelle imprese manuali, sopportazione nelle fatiche e acuto senso di intendimento.
Libro II:8 Il pensiero e la cura che Dio aveva per la sua felicità era tale che Giacobbe traeva vantaggio anche dagli eventi che sembravano svantaggioso e divennero fonti di sublime felicità, come la partenza dei nostri dall'Egitto per opera di Giacobbe e dei suoi discendenti, nelle circostanze che sto per riferire.
Libro II:9 Giacobbe aveva avuto Giuseppe da Rachele e lo amava più degli altri suoi figli, sia per la bellezza del corpo ereditata da quella che gli diede i natali, sia per le doti spirituali di cui era fornito, essendo dotato di un'intelligenza eccezionale.
Libro II:10 Questo tenero affetto del padre suscitò contro di lui l'invidia e l'odio dei fratelli, come fecero i sogni che vedeva e predicevano la buona fortuna (per lui), il padre e i fratelli: così gli uomini sono gelosi anche dei successi dei propri consanguinei. Le visioni che Giuseppe vedeva erano queste.
Libro II:11 - 2. Inviato dal padre con i suoi fratelli alla raccolta del grano di mezza estate, ebbe una visione molto differente dai sogni che di solito ci visitano nel sonno, e al risveglio la raccontò ai fratelli affinché gliene dessero il significato. Disse di aver visto, nella notte passata, il suo covone di grano diritto, immobile sul luogo ove l'aveva collocato, mentre i loro covoni si alzavano e chinavano davanti a lui come servi davanti ai loro padroni.
Libro II:12 Sebbene avessero capito che la visione preannunciava per lui potenza, maestà e un destino di supremazia su di loro, non manifestarono nulla di questo a Giuseppe, quasi che il sogno non fosse comprensibile per essi; intanto, però, pronunciavano preghiere che nulla potesse mai accadere di quanto arguivano, e seguitarono ad odiarlo ancor di più.
Libro II:13 - 3. Ma a confusione della loro gelosia, la Divinità inviò a Giuseppe una seconda visione molto più meravigliosa delle prime: gli parve di vedere il sole, la luna e le altre stelle discendere sulla terra e fargli riverenza.
Libro II:14 Questa visione la raccontò a suo padre alla presenza dei fratelli, non sospettando alcuna malizia da parte loro, e lo pregò di spiegargliene il significato.
Libro II:15 Giacobbe si compiaceva del sogno: afferrando con la sua mente ciò che predicevano e, saggiamente e senza errori, ne indovinava il contenuto: gioiva
per le grandi cose che presagivano promettendo prosperità a suo figlio, per grazia divina, tempo verrà nel quale sarà onorato e giudicato degno di venerazione dai genitori e dai fratelli:
Libro II:16 la luna e il sole raffiguravano la madre e il padre, poiché l'una nutre e fa crescere ogni cosa, l'altro infonde riserve di forza, e le stelle raffiguravano i suoi fratelli e, come essi, erano undici e traevano vigore dal sole e dalla luna.
Libro II:17 - 4. Tale fu l'interpretazione che, saggiamente, Giacobbe dava della visione. Ma per i fratelli di Giuseppe le predizioni erano fortemente preoccupanti; e agirono come se si trattasse di un estraneo al quale dovessero spettare i beni indicati dai sogni, e non di un fratello dei cui vantaggi, così com'è giusto, avrebbero goduto insieme a lui: avendo in comune la nascita, avrebbero in comune anche la fortuna. Ed erano impazienti di uccidere il ragazzo.
Libro II:18 Presero questa deliberazione allorché finiti i lavori della raccolta del frumento si recarono a Sikima, paese di abbondanti pascoli e adatto per i greggi; quivi si recarono pascolando il gregge qua e là senza farlo sapere al padre.
Libro II:19 Egli ignorava i loro movimenti perché nessuno dal gregge era andato a dargli qualche notizia; triste e pieno di presentimenti a loro riguardo, mandò Giuseppe dai greggi affinché si informasse sui fratelli e glielo facesse sapere.
Giuseppe venduto
Libro II:20 - III, I. Essi appena videro il fratello diretto verso di loro ne furono lieti, non come di un congiunto e di un inviato del padre, bensì come di un nemico che per volere divino veniva consegnato nelle loro mani; e senza perdere tempo, si accordarono subito di ucciderlo, senza lasciarsi sfuggire l'opportunità che si era offerta.
Libro II:21 Ruben, il più anziano di loro, vedendoli tutti d'accordo in tale deliberazione, si adoperava per trattenerli da quell'azione illustrando l'atrocità e l'abominevole natura del misfatto,
Libro II:22 poiché l'uccisione di una persona è un grave delitto verso Dio e verso gli uomini, anche se non è un consanguineo, e molto più odioso è tramare la morte di un fratello, oltraggiando così il padre e condannando la madre a piangere vedendosi privata di un figlio non dalle comuni leggi della natura.
Libro II:23 Avendo riguardo a questi motivi e riflettendo sulle sofferenze alle quali avrebbero esposto i genitori, uccidendo un figlio così buono e così giovane, li esortava a ritrarsi da un tale audace misfatto, temendo Dio che è spettatore e testimone del disegno concepito contro il fratello; e se si asterranno dal misfatto, Egli li amerà perché tornati a penitenza e sano consiglio;
Libro II:24 se invece procederanno a eseguirlo, non ci sarà pena che essi non abbiano ad incontrare per il fratricidio commesso, perché oltraggeranno la Sua provvidenza, presente ovunque, alla quale nulla sfugge nel deserto come nelle città. Ovunque, infatti, c'è un uomo si ha da ritenere che ci sia anche Dio.
Libro II:25 Egli diceva, ancora, che essi avranno dentro di sé un nemico per il loro attentato, cioè la propria coscienza, alla quale nessuno può sfuggire, nessuno può mantenere pura dopo l'uccisione del fratello.
Libro II:26 Aggiungeva ancora che dare la morte a un fratello, anche se cattivo, è una cosa empia; mentre è bene non vendicarsi degli amici dai quali si crede di essere stati offesi. Quanto a Giuseppe, che non ha fatto loro male alcuno, “la cui età è ancora tenera e supplica piuttosto da noi attenzione e cura” perché mai ucciderlo.
Libro II:27 Il motivo che hanno di ucciderlo rende il fatto ancora più odioso, poiché hanno deciso di togliergli la vita, per invidia della sua futura fortuna, bene del quale essi pure godranno, partecipi della sua fortuna, poiché non sono degli estranei a lui, ma consanguinei.
Libro II:28 Perciò si convincano che quanto Dio concederà a Giuseppe, sarà altresì loro; e la Sua collera graverà su di essi tanto più severamente, se tolgono la vita a colui che fu da Lui giudicato degno della speranza di tante benedizioni: sottraggono a Dio colui che di esse doveva essere il ricevitore.
Libro II:29 - 2. Con questi e molti altri richiami e suppliche, Ruben si sforzava di distoglierli dal fratricidio, ma quando vide che le sue parole non li rendevano più ragionevoli, ma più si accanivano per la sua eliminazione, allora li consigliò di scegliere un male minore, e il modo col quale eseguire l'eliminazione.
Libro II:30 Il miglior modo, disse, sarebbe seguire il suo primo giudizio, ma visto che prevaleva l'accanimento di uccidere il fratello, sarebbero stati rei in modo minore se ascoltassero quanto ora consigliava: questo implica certamente un avvicinamento a quanto voi volete, ma in un modo diverso: trattandosi della scelta tra due mali, era la scelta meno odiosa.
Libro II:31 Li supplicò di non alzare le mani contro il fratello, ma di metterlo dentro un pozzo vicino e lasciarlo morire; avrebbero almeno il vantaggio di non avere le mani macchiate del suo sangue. A questo i giovani acconsentirono; Ruben prese il ragazzo, lo legò con una fune e lo calò dolcemente in un pozzo buono e asciutto. Ciò fatto si mise alla ricerca di luoghi adatti per i pascoli.
Libro II:32 - 3. Intanto Giuda, anch'egli figlio di Giacobbe, dopo la partenza di Ruben, vide dei commercianti Arabi della stirpe degli Ismaeliti che trasportavano aromi e merci siriane da Galadene in Egitto, e consigliò ai fratelli di tirare su Giuseppe, e venderlo a questi Arabi.
Libro II:33 In tal modo sarebbe stato bandito a un lontanissimo esilio, sarebbe morto tra gli stranieri, ed essi non si sarebbero macchiati del suo sangue. Questo piacque. Estrassero Giuseppe dal pozzo e lo vendettero ai mercanti per venti mine aveva diciassette anni d'età.
Libro II:34 Nottetempo, Ruben andò al pozzo per mettere in salvo Giuseppe, di nascosto dai fratelli: lo chiamò, ma non ricevendo risposta, temette che dopo la sua partenza fosse stato ucciso, e prese a sgridare i fratelli. Ruben si calmò quando gli dissero ciò che era avvenuto.
Libro II:35 - 4. Dopo che i fratelli avevano trattato Giuseppe in questo modo, cercarono di eludere ogni sospetto del padre. La tunica, dunque, che Giuseppe indossava quando giunse da loro e che essi gli avevano tolto di dosso allorché lo calarono nel pozzo, decisero di farla a pezzi, imbrattarla di sangue di caprone e portarla al padre per fargli credere che le fiere gli avevano sbranato il figlio.
Libro II:36 E così fecero. Si presentarono al vecchio che sapeva già qualcosa sulla sventura del figlio; gli dissero che non sapevano e non avevano sentito nulla di quanto era capitato a Giuseppe, di avere però trovato quella tunica lacera e lorda di sangue, donde sospettarono che una fiera l'avesse ucciso, se però si era recato dai fratelli con quell'abito.
Libro II:37 Giacobbe che aveva ancora la speranza che il figlio fosse stato fatto schiavo, abbandonò anche quel pensiero: la tunica era un chiaro segno della sua morte. Sapeva bene di averlo mandato a cercare i fratelli con quella addosso. Da allora in avanti lo ritenne morto, come tale lo pianse.
Libro II:38 Di fronte al male era come se fosse stato il padre di uno solo, e non aveva dagli altri alcun conforto. Credeva che le fiere gli avessero eliminato
Giuseppe prima dell'incontro con i fratelli. Sedeva coperto di sacco e immerso in un lutto così profondo che ciò che facevano i figli per consolarlo non allontanava la tristezza, e la stanchezza che gli veniva dal dolore gli faceva dimenticare le pene.
Giuseppe in Egitto
Libro II:39 - IV, I. - Giuseppe venduto dai mercanti, fu comprato da Pentefre uomo egizio, sovraintendente alla cucina del re Faraothe; quest'uomo ebbe un grande amore per lui e lo fece educare in ogni disciplina liberale, gli usava un trattamento migliore di quello che aveva per gli altri schiavi e lo creò suo maggiordomo.
Libro II:40 Pur godendo di questi privilegi, anche in questo mutare della fortuna, non abbandonò la virtù che lo avvolgeva e mostrò anzi che un animo virtuoso ha forze sufficienti per superare, allorché si incontra, quanto vi è di più difficile nella vita, ed essere moderato e composto non soltanto negli eventi felici.
Libro II:41 - 2. L'avvenenza della sua persona e la destrezza che dimostrava nel trattare gli affari, portò la moglie del padrone a innamorarsi di lui. Lei pensava che quando gli avesse svelato la sua passione, facilmente lo avrebbe persuaso ad intrattenere rapporti con lei, stimandosi fortunato di venire sollecitato dalla sua padrona.
Libro II:42 Lei aveva presente più la sua attuale condizione di servo che il suo carattere che non cambia col mutare della fortuna; e allorché lei gli dichiarò la sua passione e gli propose una illecita unione, egli respinse le sue offerte giudicando delittuoso concederle un favore offensivo e oltraggioso verso colui che lo aveva comprato e colmato di tanto onore.
Libro II:43 La esortò, piuttosto, a domare la passione, dicendole chiaramente che la soddisfazione delle sue voglie non aveva in lui alcuna speranza; da parte sua, aggiungeva, era pronto a sopportare qualsiasi cosa piuttosto che assecondare alla sua domanda; poiché anche se un servo ha il dovere di assecondare ai voleri della padrona, la sua opposizione a ordini del genere era abbondantemente giustificata.
Libro II:44 Le resistenze di Giuseppe, che lei non si aspettava, accesero ancor più la sua passione e, spinta da voglia insana, decise di piegarlo con un nuovo assalto.
Libro II:45 - 3. Era prossima una festa popolare nella quale anche alle donne era lecito apparire in pubblico, e lei accusò al marito una infermità per avere così occasione, rimasta sola, di scongiurare Giuseppe. Ottenuto quanto desiderava, si rivolse a lui con parole assai più lusinghiere delle prime.
Libro II:46 “Sarebbe stato meglio per lui, disse, muoversi alle preghiere che gli aveva fatto prima, e non resisterle sia in considerazione del rispetto dovuto alla supplicante sia in considerazione della passione che costringeva lei, che è la padrona, ad abbassarsi più di quanto fosse conveniente: dunque faccia senno, si intenerisca e ripari all'ingratitudine commessa.
Libro II:47 Se egli aspettava una nuova supplica, eccola, fatta con un ardore ancora più grande; per questo lei aveva finto di essere indisposta, e all'allegria popolare aveva anteposto il conversare con lui. Se per diffidenza si era opposto alle sue prime parole, ha ora il contrassegno che nessun inganno si nasconde nella sua ferma volontà.
Libro II:48 Oltre ai beni presenti, dei quali già partecipa, se accondiscende al suo amore, si aspetti il piacere di altri ancora, purché voglia ascoltare; ma vendetta e odio da parte sua qualora disdegni le sue suppliche: se per lui conta di più il significato della castità che l'accondiscendenza alla sua padrona.
Libro II:49 Questa non gli gioverà, se lei diventa sua accusatrice e falsamente lo accuserà al marito di averla assalita. Pentefre presterebbe più fede alle sue parole, che a quelle di lui, ben più veritiere”.
Libro II:50 - 4. Così parlava e piangeva: né la compassione l'indusse a recedere dalla castità, né lo poté costringere con la paura. Pur temendone le ingiuste persecuzioni, si oppose alle suppliche, e non si diede vinto dalle minacce. Scelse di soffrire ingiustamente e di sopportare anche le pene più severe, piuttosto che godere sul momento per una azione la quale, era conscio, gli avrebbe portato la morte.
Libro II:51 Le richiamò il suo matrimonio e la vita coniugale col marito, l'esortò a tenere più conto di questi che del piacere di una passione passeggera della quale avrebbe provato un doloroso pentimento per le sue mancanze, ma inutile per la correzione, oltre alla paura di essere sorpresa;
Libro II:52 mentre l'unione col marito dà gioia senza paura, poiché una fiducia tranquilla davanti a Dio e agli uomini viene dalla buona coscienza. Egli aggiunse
che lei serbandosi casta avrebbe avuto più autorità su di lui ed esercitare la sua autorità come padrona, senza avere alcun motivo di arrossire sentendo di avere in lui un complice in misfatti; ed era molto meglio porre la propria fiducia in una buona reputazione per una vita ben spesa, che in un delitto nascosto.
Libro II:53 - 5. Ragionava con queste e simili argomentazioni per frenare la passione della donna e condurre le sue voglie entro i limiti della ragione; ma lei fece mostra di un fuoco ancora più violento e gli gettò le braccia addosso perché disperando di averlo con la persuasione, avrebbe voluto averlo con la forza.
Libro II:54 Giuseppe, indignato, fuggì da lei lasciandole il mantello dal quale lei lo aveva afferrato e che lui abbandonò balzando fuori dalla camera. In seguito, spaventata che egli riferisse la cosa al marito, e profondamente umiliata per l'affronto, risolse di prevenirlo calunniandolo presso Pentefre, vendicandosi in tal modo di tanto spregio.
Libro II:55 Si sedette confusa, con gli occhi bassi, fingendo che quella sua collera - che derivava dal disappunto della sua passione - fosse dovuta a un assalto alla sua pudicizia. Quando il marito giunse a casa, a quella vista si turbò e ne domandò la causa; lei iniziò con la sua accusa contro Giuseppe: “Uomo, disse, possa tu morire o castigare quello schiavo maligno che ha tentato di macchiare il tuo letto.
Libro II:56 Poiché né il ricordo di ciò che era quando entrò in casa nostra, né il ricordo dei benefici ricevuti dalla tua bontà, valse a frenarlo, e mentre per tutto questo avrebbe dovuto dimostrarsi riconoscente, ingrato, ha tentato insidie contro di noi, architettò di abusare del nostro matrimonio, proprio in un giorno di festa cogliendo il periodo della tua assenza, così quell'apparente modestia era effetto della paura che aveva di te, non una buona disposizione virtuosa.
Libro II:57 L'essere salito a un grado così alto, al di là del merito e delle sue aspettative di avanzamento, lo portarono ad avere la consegna e l'amministrazione di tutto il tuo e lo posero al di sopra dei più anziani di lui nella servitù, credette di avere anche il diritto di mettere, persino, le mani su tua moglie”.
Libro II:58 Terminate le sue parole, gli mostrò il mantello, quasi glielo avesse lasciato tra le mani allorché tentò di farle violenza: Pentefre non poteva rifiutarsi di credere al pianto della moglie e neppure a ciò che lei aveva detto, e quanto vedeva fu considerato come una sovrabbondante prova dell'amore che nutriva per lei; e non si preoccupò di appurarne la verità.
Libro II:59 Fece credito all'onestà della moglie, e cacciò il maligno Giuseppe nel carcere dei malfattori, mentre della moglie fu più orgoglioso di prima vantandone la modestia e la sobrietà.
Giuseppe interprete di sogni
Libro II:60 - V, I. Giuseppe pose tutto quanto lo riguardava sulla mano di Dio, non pensò alla propria difesa, né a una esatta ricostruzione di quanto avvenuto; sopportò in silenzio le catene e le violenze, convinto che Dio è più potente di colui che l'aveva imprigionato, Lui che conosceva la causa della sua sfortuna e la verità. E presto ebbe la prova della Sua provvidenza.
Libro II:61 Il custode del carcere, infatti, constatò la sua diligenza e la sua lealtà in tutto quanto gli comandava, e ancora l'arrendevolezza del suo comportamento, e gli allentò le catene, lo agevolò e raddolcì le asprezze, e gli concesse un cibo migliore di quello degli altri carcerati.
Libro II:62 Ora coloro che si trovavano nella stessa condizione allorché cessavano un poco dai loro lavori, solevano conversare e intrattenersi come sogliono fare quanti si trovano nelle stesse sciagure, domandandosi l'un l'altro la causa che li aveva condotti là e condannati.
Libro II:63 Il coppiere del re e a lui sommamente caro, era stato imprigionato per un impeto di collera: compagno di Giuseppe nei ceppi, di giorno in giorno accrebbe la sua familiarità e gli pareva che la sua saggezza oltrepassasse quella degli altri. Fu così che gli manifestò un sogno che aveva visto, pregandolo di interpretarglielo, lamentandosi che alle sciagure venutegli dal re, la Divinità aggiungesse l'inquietudine dei sogni.
Libro II:64 - 2. Diceva, dunque, di avere visto in sogno tre sarmenti di vite da ognuno dei quali pendevano tre grappoli maturi pronti per la vendemmia: egli li spremette in una caraffa del re; disceso il mosto, lo offrì a lui che cortesemente accettò.
Libro II:65 Questo dichiarò di avere visto; e pregava Giuseppe, se era dotato del dono di interpretazione, di manifestargli quanto vi era di intelligibile nella visione. Giuseppe lo pregò di farsi coraggio e di aspettare: fra tre giorni sarebbe stato liberato dalle catene, poiché il re abbisognava del suo servizio, e nuovamente l'avrebbe posto nel suo servizio;
Libro II:66 poiché, spiegò, Dio diede all'uomo il frutto della vite come una benedizione, visto che è offerto in libazione a Lui ed è per gli uomini un pegno di lealtà e amicizia, e spegne le sofferenze e le tristezze di quanti lo portano alle labbra, trasformandole in piacere.
Libro II:67 Questo succo, inoltre, che tu hai spremuto con le tue mani dai tre grappoli, fu gradito al re. Sappi, dunque, che questa è per te una buona visione, che ti annunzia la liberazione dalla presente calamità entro il termine di tanti giorni quanti erano i sarmenti dai quali hai colto il frutto quando dormivi.
Libro II:68 Quando queste cose ti accadranno, ricordati di colui che ti ha predetto la tua felicità e la libertà, non dimenticare la condizione in cui mi lasci appassire allorché te ne andrai a godere la sorte che ti ho predetto.
Libro II:69 Poiché un crimine mi menò in queste catene, ma è a motivo di virtù e di saggezza ch'io fui condannato a sopportare le pene dei malfattori, non avendo voluto, neppure con mio proprio vantaggio, disonorare quello che mi ha trattato così. Il coppiere, come ben si può immaginare, aveva un giusto motivo di rallegrarsi per l'udita interpretazione del sogno, e di attendere il compimento delle cose che gli erano state annunziate.
Libro II:70 - 3. Un altro servo, già capo dei panettieri del re e incarcerato insieme al coppiere, dopo che Giuseppe aveva spiegato la visione dell'altro, ebbe buone speranze perché anch'egli aveva avuto un sogno, e pregò Giuseppe di poterglielo raccontare e vedere se poteva dire anche a lui quale fosse il significato delle visioni avute la notte scorsa.
Libro II:71 Le visioni erano così: “Mi parve, disse, ch'io avessi sul capo tre canestri, due pieni di pane, il terzo di companatico e gran varietà di quei cibi che di solito sono sulle mense dei re; ma volarono sopra degli uccelli e li divorarono tutti, nonostante io mi adoperassi per scacciarli”.
Libro II:72 Si aspettava un presagio simile a quello del coppiere. Giuseppe però, comprese con la sua mente il sogno che gli aveva detto: avrebbe desiderato essere un interprete di cose buone e non di quelle cose che la sua mente gli rivelava; rispose che gli restavano ancora “due giorni da vivere”: questo è il significato dei canestri;
Libro II:73 nel terzo giorno sarà impalato e diverrà cibo degli uccelli e non se ne potrà difendere. Ambedue queste cose terminarono come aveva predetto
Giuseppe. Nel giorno che aveva predetto, festeggiando il re il proprio genetliaco, impalò il capo dei panettieri, mentre assolse il coppiere dalle catene e lo richiamò al suo servizio.
Libro II:74 - 4. Giuseppe intanto languì in catene per ben due anni, e dal coppiere non trasse alcun vantaggio a ricordo delle predizioni che gli erano state fatte, fino a quando piacque a Dio di liberarlo dal carcere, offrendogli questa via alla libertà.
Giuseppe interpreta il sogno di Faraothe
Libro II:75 Faraothe, il re, in una stessa notte ebbe un sogno e due visioni con l'interpretazione di ambedue; ma di queste si scordò e ritenne a mente soltanto i sogni. Rattristato per quello che aveva visto - gli parevano, infatti, cose tristi -, fattosi giorno, convocò i sapienti dell'Egitto volendo riavere conoscenza dell'interpretazione dei sogni.
Libro II:76 Trovando discordanti le loro conclusioni, il re restò ancora più turbato; e visto il turbamento del re, il coppiere si ricordò di Giuseppe e della sua perspicacia (nella interpretazione) dei sogni.
Libro II:77 Si presentò al re e gli parlò di Giuseppe, della visione che aveva avuto in carcere e del puntuale avveramento secondo la sua interpretazione; così gli parlò ancora del capo dei panettieri al quale aveva predetto che sarebbe stato impalato: tutto si avverò conforme all'interpretazione del sogno data da Giuseppe;
Libro II:78 gli disse pure che era in carcere condannato da Pentefre, capo dei cuochi, del quale era servo; tuttavia, al suo dire, per nascita e per nobiltà del padre, era di una nobilissima famiglia ebraica: “mandalo a chiamare, proseguì, non disdegnare il suo miserabile stato presente, e allora comprenderai il significato dei tuoi sogni”.
Libro II:79 Così il re comandò che Giuseppe fosse liberato e condotto alla sua presenza; coloro che ebbero il compito di condurlo, gli prestarono tutte le attenzione in conformità degli ordini del re.
Libro II:80 - 5. Il re gli prese la mano e disse: “Giovanotto, io ho la testimonianza di un mio servo attestante che sei un'eccellente persona di acutissima intelligenza; fai anche me partecipe dei beni con i quali hai allietato
lui, rivelandomi quanto preannunciano le visioni ch'io ebbi. E’ mio volere che tu non ti senta irretito da paura sentendoti costretto a proferire adulazioni gradevoli e menzoniere, anche se la verità fosse triste e dolorosa.
Libro II:81 Passeggiando lungo il fiume mi parve di vedere sette vacche ben pasciute e molto grandi muoversi dalla corrente verso le paludi; ad esse andavano incontro altre, di uguale numero, ma scarne e bruttissime da vedere: erano così consunte che divorarono le altre ben pasciute e grandi, senza trarne alcun giovamento.
Libro II:82 Dopo tale visione mi svegliai sbigottito e pensoso per l'incertezza che provavo sul significato della visione; quando fui preso nuovamente dal sonno e vidi un secondo sogno, mirabile più del primo: più che turbamento, mi incuteva paura.
Libro II:83 Vidi sette spighe spuntare da un unico stelo che per l'abbondanza del frutto maturo si chinava verso terra, per la vicina stagione della mietitura; accanto a queste ne vidi altre sette, meschine e flosce dall'arsura, intente a divorare e distruggere quelle belle: ne restai molto stupito”.
Libro II:84 - 6. A questo, Giuseppe rispose: “Questo sogno, o re, ti è apparso sotto due aspetti, ma riguarda un unico e medesimo evento futuro. L'avere visto animali noti per le loro fatiche sotto l'aratro, come le vacche, divorate da quelle deboli,
Libro II:85 e spighe distrutte da altre inferiori, preannunciano all'Egitto fame e sterilità per altrettanti anni: quanti saranno gli anni di abbondanza, tanto che l'abbondanza dei primi anni sarà assorbita dalla carestia degli altri di uguale durata.
Libro II:86 Questa mancanza del necessario costituirà un problema difficile da risolvere, e ne è prova il fatto che le vacche non si sazieranno anche dopo avere divorato quelle grasse. Ma Dio non presagisce agli uomini l'avvenire perché da esso ne traggano scontentezza, ma affinché conoscendolo prima, provvedano, sicché la prova risulti più leggera. Tu, dunque, fai mettere da parte i prodotti che verranno nel primo periodo, farai così in modo che gli Egiziani non avvertano la carestia”.
Libro II:87 - 7. Il re, stupito per la sagacità e la saggezza di Giuseppe, gli domandò quale provvedimento dovrebbe prendere nel periodo dell'abbondanza, per rendere più tollerabile il periodo di carestia.
Libro II:88 Ed egli nella sua risposta suggerì e consigliò di tenere ben conto dei frutti della terra, e di non permettere che gli Egiziani sperperino il superfluo, lo conservino, invece, per il periodo di carestia; esortò ancora a custodire il frumento riscosso dagli agricoltori e concedere loro soltanto quanto è sufficiente per vivere.
Libro II:89 Faraothe ammirò doppiamente Giuseppe, sia per l'interpretazione del sogno, sia per il consiglio dato: e affidò a lui stesso l'amministrazione di tale compito, in modo che facesse pure quanto giudicava più vantaggioso per gli Egiziani e per il re, ritenendo che colui che aveva trovato la via da percorrere fosse anche la migliore guida.
Libro II:90 Ricevuta dal re questa autorità, con il potere di avvalersi del suo stesso sigillo e di indossare la porpora, Giuseppe percorreva in cocchio tutta la regione, esigeva il frumento dagli agricoltori, lasciava a ognuno quanto era sufficiente alla semina e per vivere. Ma la ragione del suo agire non la manifestava ad alcuno.
Giuseppe e Asenneth
Libro II:91 - VI, I. Giuseppe aveva allora passato il suo trentesimo anno d'età e godeva di tutta la stima del re che, tenendo gli occhi sulla sua straordinaria intelligenza, gli impose il nome Psonthonfanech, che significa “scopritore di cose occulte”. In seguito contrasse nozze molto distinte sposando la figlia di Pentefre uno dei sacerdoti di Eliopoli, aiutante del re, ancora vergine, di nome Asenneth.
Libro II:92 Da lei ebbe dei figli prima della sterilità: il primo chiamato Manasse, che significa “motivo di oblio”, avendo suo padre, nella presente prosperità, trovato l'oblio delle passate sciagure; il secondo Efraim, che significa “restauratore”, perché gli era stata restituita la sua nativa libertà.
Libro II:93 Conforme all'interpretazione che Giuseppe aveva dato dei sogni, passarono felicemente sette anni; e nell'ottavo anno in Egitto scoppiò la carestia. Siccome non era stata prevista da quelli sui quali si abbatteva, costoro la sentivano pesantemente, e tutti corsero alle porte del re.
Libro II:94 Egli chiamò Giuseppe, e questi iniziò a dare loro il grano, e divenne così un salvatore riconosciuto dalle folle. E non aprì il mercato soltanto ai nativi, ma permise di comprare anche agli stranieri, perché Giuseppe riteneva che in
virtù della loro parentela, tutti gli uomini fossero soccorsi da coloro che erano nell'abbondanza.
Primo viaggio in Egitto
Libro II:95 - 2. Anche Canaan fu tristemente devastata dalla carestia, e il flagello investiva tutta la regione. Avendo udito che il mercato era aperto anche ai forestieri, Giacobbe inviò tutti i figli in Egitto a comprare pane; trattenne soltanto Beniamino, natogli da Rachele, madre anche di Giuseppe.
Libro II:96 Giunti in Egitto si presentarono a Giuseppe chiedendo il permesso di comprare, poiché nulla si faceva senza il suo permesso: l'onore reso al re sarebbe stato vantaggioso soltanto allorché questi avessero prestato l'omaggio anche a Giuseppe.
Libro II:97 Egli riconobbe i fratelli, ma essi non pensarono affatto a lui, era infatti partito da loro quando non era che un ragazzo e ora, a un'età avanzata, aveva cambiato i lineamenti del volto e non era possibile riconoscerlo, tanto più che l'altissima carica lo impediva. Agiva così per mettere a prova i loro sentimenti sugli affari in generale.
Libro II:98 Negò loro il grano accusandoli di essere venuti per spiare gli affari del re, di essersi radunati da diverse regioni, che la loro parentela era una finzione parendogli che una sola persona non avesse figli così diversi e di così insolite fisionomia che non si trovano neppure tra i figli allevati nelle regge.
Libro II:99 Si comportava così perché voleva sentire notizie del padre e conoscere ciò che gli era accaduto dopo la sua partenza, desiderava sapere quale fosse il destino del fratello Beniamino: temeva che con un inganno simile a quello del quale fu vittima lui avessero liberato la famiglia della sua presenza.
Libro II:100 - 3. Essi restarono sgomenti e pieni di timore pensando di trovarsi in un grandissimo pericolo; non pensarono al fratello in alcun modo, e si accinsero a discolparsi di quanto era stato detto loro; a nome di tutti parlò Ruben.
Libro II:101 “Noi, disse, non siamo venuti qui con mal animo per fare torto a qualcuno o indagare gli affari del re, ma in cerca di salvezza e per avere nella vostra umanità un rifugio alle sciagure che straziano il nostro paese. Abbiamo udito, infatti, che avete aperto il mercato del frumento non solo ai vostri
cittadini, ma anche ai forestieri, avendo deciso di provvedere i mezzi di sussistenza ai bisognosi.
Libro II:102 Noi siamo fratelli, comune è il nostro sangue come appare dall'aspetto di ognuno di noi e dal modesto numero delle nostre differenze: nostro padre è Giacobbe, un Ebreo che da quattro donne ebbe dodici figli, eravamo felici quando eravamo tutti in vita,
Libro II:103 ma da quando perì il nostro fratello Giuseppe, le cose nostre andarono peggiorando: il nostro padre sostenne una lunga pena e noi siamo in tormento per la disgrazia del nostro fratello morto e per l'affanno del vecchio padre.
Libro II:104 Ora siamo venuti a comprare il grano dopo avere affidato la cura del padre e l'amministrazione della famiglia a Beniamino, il più giovane dei fratelli. Puoi informarti mandando alla nostra casa, se vi è menzogna in quanto detto da me”.
Libro II:105 4. Così Ruben cercava di persuadere Giuseppe a pensare meglio a loro riguardo. Ma egli saputo che Giacobbe viveva e che il fratello non era morto, per ora li fece chiudere in carcere, prendendo tempo per esaminare la cosa. Nel terzo giorno li trasse fuori, e disse:
Libro II:106 “Siccome affermate di non essere venuti dal re con disegni malvagi, e siete fratelli nati dal padre di cui avete parlato, mi convincerete che le cose stanno così, se lascerete qui con me uno di voi, sicuri che non ne avrà alcun male, e dopo avere compiuto il carico per il vostro padre, ritornerete da me portando con voi il fratello che dite essere rimasto là: questa sarà la garanzia della verità”.
Libro II:107 Costretti in condizioni ancora peggiori, essi cominciarono a piangere e deplorare lo sfortunato destino di Giuseppe dicendo che si trattava di un castigo di Dio per le trame ordite contro di lui, e per questo erano giunti a quel punto. Ruben però prese a rimproverarli per quei pentimenti che non recavano alcun vantaggio a Giuseppe, a insistere decisamente per portarli a sopportare tutto quanto avevano da soffrire perché era un'afflizione che veniva da Dio che vendicava lui (Giuseppe).
Libro II:108 L'un l'altro dicevano cose del genere non immaginando che Giuseppe capiva la loro lingua. Alle parole di Ruben tutti furono presi da vergogna e rimorso per le azioni compiute e perché mai avevano riflettuto sul fatto per il quale Dio giustamente li puniva.
Libro II:109 Giuseppe, commosso, vedendoli in tale affanno, scoppiò in lacrime e non volendo lasciarsi vedere dai fratelli si ritirò; e dopo un poco ritornò da loro.
Libro II:110 Trattenne Simeone come ostaggio per assicurarsi del loro ritorno, e ordinò di prelevare il grano dal mercato e di andarsene; ma prima aveva avvertito, segretamente, l'ufficiale di mettere nei loro sacchi il denaro portato per comprare il grano, e di lasciarli andare anche con quello: quest'ordine egli lo eseguì puntualmente.
Secondo viaggio in Egitto
Libro II:111 - 5. Giunti in Canaan i figli di Giacobbe narrarono al padre quanto era accaduto in Egitto, come fossero caduti in sospetto di spie contro il re, come non fossero creduti allorché dissero di essere fratelli e di avere lasciato a casa col padre l'undicesimo, e come avessero lasciato Simeone all’amministratore supremo fino al loro ritorno con Beniamino, a testimonianza della verità di quanto avevano detto; e pregavano il padre a non avere alcun timore di inviare il giovane con loro.
Libro II:112 Ma a Giacobbe non piacque l'operato dei figli e, dolente oltre ogni dire per la trattenuta del figlio, gli parve cosa assolutamente sconsigliata esporre anche Beniamino.
Libro II:113 Inutili furono le suppliche di Ruben che gli offerse i propri figli affinché, qualora lungo il viaggio fosse capitato qualcosa a Beniamino, il nonno avesse il potere di ucciderli: ma anche a queste parole restò irremovibile. Ed essi, perplessi tra tanti mali, rimasero ancora più turbati allorché scoprirono il denaro del grano nascosto nei loro sacchi.
Libro II:114 Quando però venne a mancare il grano che avevano comprato, e la carestia riprese a infierire, stretto dalla necessità, Giacobbe si decise a inviare Beniamino con i suoi fratelli;
Libro II:115 per essi era impossibile ritornare in Egitto senza avere adempiuto le promesse: la carestia infieriva sempre più, mentre i figli insistevano nelle suppliche al padre; a lui non restava altra via da prendere.
Libro II:116 Giuda, uomo coraggioso, si rivolse a lui con molta franchezza dicendogli che non aveva motivo di allarmarsi per il figlio e fantasticare disgrazie che non esistevano, poiché nulla poteva capitargli che non fosse mandato da Dio, ed era soggetto alla stessa eventualità anche se fosse rimasto con lui;
Libro II:117 non volesse, dunque, abbandonarli a una manifesta rovina, né - a motivo di un irragionevole timore per il figlio - privarli delle abbondanti provvigioni che Faraothe poteva fornire; doveva inoltre prendersi qualche pensiero anche per la salvezza di Simeone: la sua esitazione a lasciare partire Beniamino poteva essere causa della rovina dell'altro; in fine, l'esortò ad avere fiducia in Dio e in lui poiché o gli avrebbe riportato il figlio sano e salvo oppure avrebbe perso la vita con lui.
Libro II:118 Così persuase Giacobbe ad affidare loro Beniamino con il doppio prezzo del grano e con prodotti di Canaan, balsamo, mirra, terebinto, miele, da offrire a Giuseppe.
Libro II:119 Molte furono le lacrime versate dal padre e dai figli: egli pensava se mai sarebbero ritornati sani e salvi da quel viaggio, ed essi se mai avrebbero rivisto il loro padre in buona salute e non prostrato dall'angoscia per loro. Passarono in questo affanno un'intera giornata; poi il vecchio rimase col cuore infranto, ed essi si misero in cammino verso l'Egitto, curando il dolore presente con le più liete speranze per l'avvenire.
Libro II:120 - 6. Quando giunsero in Egitto furono condotti alla presenza di Giuseppe. Ma erano agitati dal profondo timore di venire accusati di frode per il denaro del grano: profusero le loro scuse all'amministratore di Giuseppe, dissero che appena giunti a casa avevano trovato il denaro nei sacchi, e ora erano venuti a restituirlo;
Libro II:121 ma si ripresero dalla paura allorché egli rispose che non capiva di che cosa parlassero; poi liberò Simeone e lo rese presentabile per unirsi ai fratelli. Nel mentre giunse Giuseppe, che era stato a corte dal re, ed essi gli offrirono i doni; alla domanda sul loro padre risposero di averlo trovato in buona salute.
Libro II:122 Saputo che era ancora vivo, li interrogò su Beniamino - lo aveva, infatti, spiato, - se era questo il loro fratello più giovane; quando risposero che era così, egli esclamò: “che Dio lo assista in ogni cosa”.
Libro II:123 In seguito, preso da un impeto di commozione, pianse e si ritirò in disparte per non essere visto dai fratelli. Li invitò poi a cena, e i posti a sedere erano nello stesso ordine che si usava alla mensa del padre; e pur trattandoli tutti cordialmente onorò Beniamino con porzioni doppie rispetto a quelle dei vicini.
Libro II:124 - 7. Dopo cena, quando essi si ritirarono per il riposo, ordinò all'amministratore di dare loro le misure di grano richieste e di nascondere nuovamente il denaro nei loro sacchi e di lasciare tra la merce di Beniamino anche la coppa d'argento da lui (Giuseppe) preferita per bere.
Libro II:125 Fece questo per mettere alla prova i suoi fratelli e vedere se avrebbero soccorso Beniamino allorché fosse stato arrestato per ladrocinio e quindi in evidente pericolo, oppure se l'avessero abbandonato e ritornati dal loro padre, pur essendo sicuri della sua innocenza.
Libro II:126 Il domestico fece quanto gli era stato ordinato. Fattosi giorno, i figli di Giacobbe, all'oscuro di tutto, presero con loro Simeone e partirono doppiamente soddisfatti sia per averlo riavuto sia perché riconducevano Beniamino al padre, come avevano promesso. Ma improvvisamente furono circondati da uomini a cavallo insieme al domestico che aveva nascosto la coppa tra la merce di Beniamino.
Libro II:127 Confusi per l'imprevisto attacco a cavallo, domandarono il motivo per cui assalivano uomini che proprio ora avevano goduto dell'onore e dell'ospitalità del loro padrone.
Libro II:128 Gli inseguitori risposero chiamandoli malfattori, dimentichi dell'ospitalità e della benevolenza di Giuseppe, e di non avere avuto riguardo verso di lui comportandosi malamente, anzi gli avevano rubato la coppa da lui preferita, dalla quale li aveva invitati a bere, stimando più un iniquo guadagno e il loro stesso pericolo, qualora fossero stati scoperti, che l'amicizia dovuta a Giuseppe;
Libro II:129 e minacciavano un immediato castigo, perché nonostante la loro fuga col furto, non erano sfuggiti agli occhi di Dio, sebbene avessero eluso l'occhio dell'uomo che li serviva. E aggiunsero: “Adesso domandate perché noi siamo qui, quasi che voi non lo sappiate; presto ve lo insegnerà bene il castigo”. Con questi e altri sarcasmi li attaccava anche il domestico.
Libro II:130 Tuttavia, ignari di qualsiasi colpa, ridevano a quelle parole e si stupivano della leggerezza del domestico che osava mettere sotto accusa persone che non si erano trattenuto il denaro trovato nei sacchi, ma lo avevano restituito, sebbene nessuno ne fosse a conoscenza; tanto erano lontani dal macchiarsi di una qualsiasi frode.
Libro II:131 Persuasi che un esame fosse più efficace di qualsiasi negazione, ordinassero pure: “se uno sarà trovato reo di furto, siano puniti tutti”; consapevoli della propria innocenza, si comportavano in maniera sicura, senza sospettare alcun pericolo. Gli Egiziani ordinarono l'esame, a condizione che la pena sarebbe stata soltanto per colui che sarebbe risultato colpevole del furto.
Libro II:132 Procedettero alla ricerca, esaminando per ordine tutti gli altri fino a che giunsero all'ultimo, che era di Beniamino: sapevano bene che proprio nel suo sacco avevano nascosto la coppa, ma volevano dimostrare l'accuratezza della ricerca.
Libro II:133 Gli altri, liberi ormai da preoccupazioni per se stessi, erano intenti unicamente a Beniamino, fiduciosi tuttavia che anch'egli non sarebbe stato trovato in colpa; intanto si lamentavano che fosse stata impedita la prosecuzione del viaggio, perché adesso avrebbero potuto essere più avanti.
Libro II:134 Ma non appena fu esaminata la merce di Beniamino e trovata la coppa, iniziarono a elevare grida e lamentazioni, stracciandosi gli abiti e piangendo per il fratello e per l'imminente castigo, a motivo del furto, ma anche per se stessi avendo ingannato il padre a proposito della incolumità di Beniamino.
Libro II:135 Proprio quando credevano ormai di avere passato il più difficile, incapparono nella disgrazia del fratello, nella condizione di essere causa della tristezza paterna in quanto avevano fatto violenza sul padre affinché lo lasciasse partire con essi.
Libro II:136 8. Quelli che erano sui cavalli arrestarono Beniamino e lo menarono a Giuseppe; e i fratelli li seguivano. Alla vista di uno in catene e degli altri che piangevano, Giuseppe disse: “Miserabili, osate trattare così la mia generosità e l'occhio vigile di Dio; vi comportate così verso un benefattore e ospite?”.
Libro II:137 Quelli offrirono se stessi per salvare Beniamino e, richiamando gli eccessi da loro commessi verso Giuseppe, pensarono che lui era più felice di loro
perché, se morto, è sfuggito alle angustie di questa vita, e se vivo è perché ha trovato un Dio che adesso lo ha vendicato sui peccatori; proclamandosi peccatori verso il padre, per lo strazio da lui sofferto fino al presente, essi ora aggiungevano la tristezza per Beniamino. Intanto Ruben, apertamente, li rimproverava.
Giuseppe si manifesta
Libro II:138 Giuseppe intanto li mandò tutti liberi, perché innocenti, dichiarando di accontentarsi di punire esclusivamente il ragazzo, non essendo giusto liberarlo di fronte ai compagni innocenti, né renderli partecipi del castigo dovuto al ladro. Essi potevano andarsene; promise loro un salvacondotto.
Libro II:139 Tutti rimasero storditi e ammutoliti dal dolore, a eccezione di Giuda; era stato lui a convincere il padre a lasciar andare il ragazzo; era uomo energico e risoluto, deciso a correre il rischio pur di salvare il fratello.
Libro II:140 “Grande invero, amministratore supremo, disse, è il crimine da noi perpetrato contro di te e degno di punizione per noi tutti, anche se la colpa grava soltanto su uno, il più giovane di noi. Ora, sebbene noi disperiamo della sua salvezza, per colpa sua, ci resta tuttavia una speranza nella tua generosità, speranza che ci permette di sfuggire al pericolo.
Libro II:141 Non guardare alla nostra posizione né al nostro misfatto, ma guardando la tua stessa natura esercita la virtù, non la collera che tutti gli altri - i piccoli - prendono per forza e ad essa ricorrono nei grandi casi ed anche nei casi di ogni giorno; mostrati magnanimo, non lasciarti vincere da tanta collera da uccidere coloro che non sono riusciti a ottenere la propria salvezza, ma l'attendono dalle tue mani.
Libro II:142 Non è la prima volta che tu ce la dai: già quando giungemmo la prima volta a comprare il grano, tu ce ne hai dato in abbondanza e ci hai offerto la possibilità di portarne ai nostri familiari quanto bastava per trarli dal pericolo di morire di fame.
Libro II:143 Non v'è differenza tra il non permettere che altri muoia di inedia e il non punire persone in apparenza colpevoli che da te furono gratificate con la splendida munificenza che tu hai dimostrata loro: è la stessa grazia manifestata in maniera diversa.
Libro II:144 Salverai, infatti, coloro che tu stesso hai nutrito e con la stessa liberalità conserverai persone che non hai voluto venissero meno per fame. Cosa mirabile e grande è donarci la vita, così offrirci i mezzi di conservarla in questa nostra necessità.
Libro II:145 Penso proprio che la benvolenza di Dio abbia preparato l'occasione per una dimostrazione di virtù in forma straordinaria, e per questo ci ha indotti nella disavventura presente, ma affinché si potesse constatare che tu perdoni le offese e anche le ingiurie che ti sono fatte, e non si possa pensare che tu mantieni la tua umanità solo a quanti sono bisognosi per altri motivi.
Libro II:146 Quantunque sia una grande cosa fare del bene a chi si trova nel bisogno, è opera più degna di un principe salvare coloro che a lui devono pagare i castighi dei torti a lui fatti. Poiché se per molti è motivo di elogio non dare peso a piccole offese, trattenere la collera nei casi di crimini che mettono in pericolo la vita del reo, ha qualcosa della stessa natura di Dio.
Libro II:147 Per quanto mi riguarda, se non avessimo un padre che alla morte di Giuseppe ci mostrò quanta fosse l'angoscia sentita per la perdita dei figli, non avrei mai fatto parola della nostra salvezza, se non fosse per compiere una cosa gradita alla tua natura incline a salvare, non avendo alcuno che ci piangesse, ci saremmo arresi a qualsiasi pena conforme alla tua volontà;
Libro II:148 non abbiamo pietà di noi stessi, benché siamo tuttora giovani e, per ora, non abbiamo ancora gustato quanto la vita ha da offrirci, è soltanto in considerazione di nostro padre e della sua vecchiaia che porgiamo a te questa supplica, e intercediamo per la nostra vita che il nostro misfatto ha consegnato nelle tue mani.
Libro II:149 Senza dubbio, egli non è malvagio né ci ha generati perché lo fossimo noi; è un uomo onesto e non è meritevole di prove di questo genere; in quest'ora sente la nostra assenza ed è torturato dall'ansietà che ha per noi; se viene a sapere che siamo morti e il motivo di questo, non potrà più vivere;
Libro II:150 e la stessa infamia della nostra catastrofe precipiterà la sua fine e renderà più miserabile la sua uscita da questa vita, prima che sia divulgata la nostra storia si affretterà la sua fine.
Libro II:151 Anche se la nostra malizia ti inasprisce, davanti a queste considerazioni, concedi al nostro padre la ricompensa che domanda la giustizia, facendo in modo che la compassione verso di lui sia superiore al peso della
nostra malizia: in nome della paternità, concedi generosamente il regalo di liberarci, rispettando così la vecchiaia di una persona altrimenti condannata a vivere e morire in solitudine.
Libro II:152 In tal modo onorerai colui che ti ha dato la vita e onorerai te stesso, visto che già godi di tale titolo, e quel Dio che è padre di tutti ti custodirà da ogni male; tu pure ti mostrerai riverente verso di Lui allorché avrai pietà di nostro padre e dell'angoscia che lo stringe, privo dei figli.
Libro II:153 Avendo tu autorità di togliere quel che Dio ci ha dato, se, nella tua bontà, ce lo doni, non ti discosti da Lui. E, infatti, colui che ha il potere di compiere sia l'uno che l'altro è meglio che lo dimostri nel bene e, pur potendo condurre alla rovina l'altro, non se ne curi, come se non ne avesse la capacità, ma ritenga di essere provvisto soltanto del potere di procurare agli altri la salvezza, e non si impegni in altro; tanto più grande sarà la gloria che ne trarrà.
Libro II:154 Tu sei il salvatore di noi tutti perdonando al fratello l'infelice errore. Se lui fosse punito, la nostra vita diventerebbe insopportabile, poiché non possiamo ritornare impunemente dal nostro padre, ma dobbiamo restare qui a subire la stessa sorte.
Libro II:155 Ti supplichiamo, amministratore supremo, qualora tu abbia deciso di condannare a morte il nostro fratello, tu punisca anche noi come complici del delitto, giacché per noi è meglio morire con il fratello come colpevoli al pari di lui, piuttosto che lasciarci vivere da soli nel dolore, dopo la sua morte.
Libro II:156 Che il colpevole sia giovane e il suo giudizio non ancora maturo, e che sia umano essere indulgenti in casi del genere, sono cose che lascio al tuo giudizio e non parlo più; di modo che qualora tu ci condanni apparirà che tale severa condanna l'hai pronunciata per quello che io non ho detto,
Libro II:157 e qualora tu ci assolva appaia dovuto alla tua bontà e al potere illuminato di altri argomenti; poiché non solo tu vuoi salvarci, ma presentarci come persone dabbene e giuste per le quali ti sei preoccupato della nostra salvezza più di noi.
Libro II:158 Se tu lo vuoi uccidere, punisci me in vece sua, e manda lui da suo padre, oppure, se preferisci, trattienilo come schiavo: ma il più adatto per i tuoi servizi sono io; come tu vedi sono il più adatto per ambedue i compiti”.
Libro II:159 Giuda, dunque, pronto a sopportare qualsiasi cosa per salvare il fratello, si gettò ai piedi di Giuseppe, cercando di mitigare e addolcire la sua collera; con lui si prostrarono, piangendo, anche tutti i suoi fratelli e si offrirono di morire per la vita di Beniamino.
Libro II:160 - 9. Giuseppe, in preda all'emozione, non potendo trattenere le lacrime oltre alla simulazione della collera, ordinò ai presenti di ritirarsi, in modo da potersi manifestare soltanto ai fratelli. Appartatisi, dunque, gli altri, egli si manifestò ai fratelli, e disse:
Libro II:161 “Vi lodo per la virtù e la benevolenza che avete per il nostro comune fratello, e vi trovo migliori di quanto promettevano le insidie che tramavate contro di me; tutto questo l'ho compiuto per avere una prova del vostro amore fraterno. Penso che il male fatto contro di me venne non dalla vostra natura, ma dal volere di Dio che ci ha procurato la gioia che ora godiamo e quella che verrà in futuro, se continuerà a esserci favorevole.
Libro II:162 Avendo saputo che al di là di ogni speranza, mio padre vive, e visto che siete devoti verso il fratello, io non ricordo più le mancanze che avete fatto verso di me e delle quali vi ritenete colpevoli; per esse, io non avrò più alcun risentimento, divenuto conscio di essere cooperatore dei consigli di Dio confesso di esservene grato.
Libro II:163 Voglio che anche voi dimentichiate il passato e vi rallegriate che la vostra imprudenza passata abbia avuto un simile risultato, piuttosto che affliggervi per la vergognosa azione commessa. Non fatevi vedere addolorati per il tristo partito preso verso di me e per il pentimento che ne sentite, constatando l'insuccesso dei vostri disegni.
Libro II:164 Lieti, invece, per quanto Dio ne ha tratto, andate e manifestate queste cose al nostro padre affinché, malandato per le sollecitudini che ha avuto per voi, non mi tolga la più grande delle felicità morendo prima ch'io lo veda e lo faccia partecipe dei beni presenti.
Libro II:165 Voi prendete lui, le vostre donne, i figli e tutta la vostra parentela ed emigrate qui; poiché non è giusto che persone che ci sono oltremodo care restino lontane dalla nostra prosperità, soprattutto perché la carestia continuerà ancora per cinque anni”.
Giacobbe e figli in Egitto
Libro II:166 Detto questo, Giuseppe abbracciò i fratelli. Essi piangevano ed erano tristi per quei disegni contro di lui e la buona volontà del fratello pareva loro un supplizio. In seguito fu festa per tutti.
Libro II:167 Saputo da Giuseppe che erano giunti i suoi fratelli, il re se ne rallegrò molto, come se si fosse trattato di un bene proprio: offrì loro carri pieni di grano, oro e argento da portare al loro padre. Ricevuti ancora altri regali dal loro fratello, alcuni per il padre, altri per ognuno di loro, il più favorito fu Beniamino, partirono.
Libro II:168 - VII, I. All'arrivo dei figli, Giacobbe seppe la storia di Giuseppe: non solo era scampato alla morte per la quale egli aveva pianto così a lungo, ma era vivo e godeva di una splendida fortuna, partecipava col re al governo dell'Egitto e aveva nelle sue mani l'incarico di pressoché tutta la sua amministrazione;
Libro II:169 di tutto questo egli non giudicò nulla di impossibile, ma pensava all'onnipotenza di Dio, alla Sua benevolenza verso di lui, anche se, per un breve intervallo di tempo, aveva dubitato. E subito si accinse a partire per rivedere Giuseppe.
Libro II:170 - 2. Quando giunse al Pozzo del Giuramento offrì sacrifici a Dio: temeva che a motivo della prosperità dell'Egitto i suoi figli ne restassero affascinati stabilissero quivi la loro dimora e i loro discendenti non ritornassero più in Canaan per prenderne possesso, come Dio aveva promesso;
Libro II:171 (temeva) ancora che avendo iniziato questa partenza per l'Egitto senza il consiglio di Dio, fosse annichilita la sua stirpe; (temeva) infine fortemente di non avere più vita sufficiente per potere vedere Giuseppe. Questi erano i timori che giravano per la sua mente allorché fu colto dal sonno.
Libro II:172 - 3. Gli apparve Dio e lo chiamò due volte per nome; e quando Giacobbe domandò chi fosse, Egli rispose: “Non era giusto che Giacobbe ignorasse Dio che è sempre stato il protettore e l'aiuto dei tuoi padri, e dopo di essi il tuo.
Libro II:173 Quando tuo padre voleva privarti del diritto di primogenitura, fui io che lo diedi a te; quando fosti mandato tutto solo in Mesopotamia, fu proprio
da me che tu fosti benedetto, e quivi hai contratto nozze felici e al tuo ritorno hai portato una moltitudine di figli e di averi;
Libro II:174 è stata la provvidenza a custodire la tua discendenza e quella dei tuoi figli che tu pensavi di avere perso; sì, proprio Giuseppe, io l'avevo condotto a godere di beni molto più grandi, e lo feci signore dell'Egitto, poco diverso dal re.
Libro II:175 E adesso vengo per essere la tua guida in questo cammino e a rivelarti che la tua vita avrà fine tra le braccia di Giuseppe, per annunziarti un lungo periodo di dominio e di gloria della tua posterità, che io stabilirò sulla terra che promisi loro”.
Libro II:176 - 4. Incoraggiato da questo sogno, Giacobbe proseguì più volentieri il viaggio verso l'Egitto con i suoi figli e tutti i suoi nipotini. In tutti erano settanta. Ero propenso a non dare qui i loro nomi, soprattutto a motivo della loro difficoltà.
Libro II:177 Tuttavia per confutare quelli che pensano che noi non siamo di origine mesopotamica, ma egiziana, ho ritenuto necessario fare menzione dei nomi. Giacobbe, dunque, ebbe dodici figli: Giuseppe, uno di questi, era già andato prima; proseguiamo così menzionando quelli che lo seguirono e i loro discendenti.
Libro II:178 Ruben ebbe quattro figli: Anoch, Falu, Essaron, Charmis; Simeone ebbe sei figli: Jumel, Jamin, Potod, Soar, Saar; Levi ebbe tre figli: Golgom, Caath, Marair; Giuda ebbe tre figli: Salas, Fares, Ezele e due nipoti nati da Fares: Esron e Amar;
Libro II:179 Issachar ebbe quattro figli: Toula, Froura, Job, Samaron; Zabulon portò con sé tre figli: Sarad, Elon, Janelale era la discendenza da Lia, con la quale passò in Egitto anche sua figlia Dina. In tutti trentatré.
Libro II:180 I figli di Rachele erano due: a uno, Giuseppe, erano nati due figli, Manasse ed Efraim; all'altro, Beniamino, nacquero dieci figli: Bol, Bacchar, Asabel, Gelas, Neeman, Jes, Aros, Nomftes, Oppais, Arod. Questi quattordici aggiunti ai precedenti salgono a un totale di quaranta sette.
Libro II:181 Tale era la discendenza legittima di Giacobbe. Da Balla, ancella di Rachele, ebbe ancora Dan e Neftali; l'ultimo era accompagnato da quattro figli: Eliel, Gounis, Sares e Sellim;
Libro II:182 Dan aveva un solo figlio, Ousis. Questi aggiunti ai precedenti fanno un totale di cinquantaquattro; Gad e Aser erano figli di Zelfa, ancella di Lia; Gad portò con sé sette figli i cui nomi erano: Zofonia, Oughi, Souni, Zabron, Irene, Eroide, Arele.
Libro II:183 Aser aveva una figlia e sei figli i cui nomi erano: Jomne, Jsousi, Eioube, Bare, Abar e Melchiel. Addizionando questi sedici ai cinquantaquattro abbiamo il summenzionato totale, non includendo Giacobbe.
Libro II:184 - 5. Avuta la notizia dell'avvicinarsi del padre - il fratello Giuda era andato ad annunziargli l'arrivo - Giuseppe uscì a incontrarlo. Si incontrarono a Eroopoli. All'inattesa e grande gioia, poco mancò che svenisse, ma Giuseppe lo rincuorò; anche lui era sopraffatto completamente dalla gioiosa emozione, ma non ne era dominato come il padre.
Libro II:185 In seguito diede ordine affinché il viaggio del padre procedesse lentamente; prese con sé cinque dei suoi fratelli e si affrettò ad avvertire il re dell'arrivo di Giacobbe con la sua famiglia. Saputo questo, ordinò a Giuseppe che gli spiegasse che genere di vita erano abituati a condurre, di modo che potesse dare loro la licenza di seguitare nella stessa vita.
Libro II:186 Egli rispose che erano buoni pastori e che null'altro si auguravano tranne (che fare) quello; si preoccupavano di non essere separati, ma di vivere insieme, per avere cura del padre, e anche perché fossero ben visti dagli Egiziani, non mescolandosi con loro in attività di qualche interesse per gli Egiziani ai quali era vietato occuparsi di pastorizia.
Libro II:187 - 6. Quando Giacobbe fu in presenza del re lo salutò e gli presentò le felicitazioni per il suo regno; Faraothe lo interrogò da quanto tempo viveva,
Libro II:188 ed egli rispose che aveva centotrenta anni: il re si meravigliò di quell'età così avanzata; al che Giacobbe aggiunse che i suoi anni erano inferiori a quelli dei suoi antenati. Il re gli concesse di vivere, con i suoi figli in Eliopoli: in essa, infatti, avevano pascoli anche i suoi pastori.
Politica agraria di Giuseppe
Libro II:189 - 7. Intanto cresceva la carestia tra gli Egiziani, e il male divenne sempre più preoccupante: il fiume non portava più acqua alla terra perché non
gonfiava più, né Dio mandava la pioggia, ed essi, nella loro ignoranza, non avevano preso alcun provvedimento. Giuseppe seguitava a provvederli di grano in cambio del denaro, e allorché venne a mancare il denaro, compravano il grano con i loro greggi e i loro servi.
Libro II:190 Chiunque, dunque, aveva un pezzo di terreno lo vendeva per comprarsi il vitto. In questo modo il re divenne signore di ogni loro proprietà ed essi eran trasferiti da un luogo all'altro per assicurare al re la proprietà delle loro terre; solo i sacerdoti mantenevano la proprietà dei terreni.
Libro II:191 Questo flagello, inoltre rese schiavi non solo i loro corpi, ma anche la loro mente e li spinse poi a procacciarsi i mezzi di sussistenza in modo degradante. Quando il flagello si arrestò il fiume inondò la terra ed essa diede frutti in abbondanza,
Libro II:192 Giuseppe si recò in ogni città e radunò gli abitanti delle terre che erano state cedute al re, che questi aveva il potere di tenersi riservandole unicamente a suo beneficio, e li esortava a considerarle come loro proprietà, a coltivare di buona voglia pagando al re la quinta parte del prodotto, dato che in realtà erano sue ed egli le aveva ridate a essi.
Libro II:193 Diventati inaspettatamente proprietari della terra, ne provarono grande gioia e si sottomisero alle ingiunzioni. In questo modo Giuseppe accrebbe la propria reputazione presso gli Egiziani e la loro lealtà verso il re. La legge che stabiliva il pagamento di un quinto della produzione rimase in vigore fino agli ultimi re.
Giacobbe adotta i due figli di Giuseppe
Libro II:194 - VIII, I. Trascorsi diciassette anni in Egitto, Giacobbe si ammalò e morì. I suoi figli erano presenti alla sua morte, ed egli augurò loro ogni bene preannunciando, in parole profetiche, che ognuno di loro, nei suoi discendenti, era destinato a trovare un’abitazione in Canaan: il che si verificò molto tempo appresso.
Libro II:195 (Giacobbe) prese poi a colmare di lodi Giuseppe che non solo aveva dimenticato il malvagio trattamento ricevuto dai fratelli, ma usò loro benevolenza fornendoli di tanti beni quanti altri avrebbe dato a un vero benefattore; e impose ai propri figli di annoverare nel loro numero i figli di
Giuseppe, Efraim e Manasse, e dividere con essi la terra di Canaan. Di questo tratteremo dopo.
Libro II:196 Espresse inoltre il desiderio di essere sepolto in Nebron Egli morì quando gli mancavano soltanto tre anni al compimento di centocinquanta anni: nella pietà verso Dio non fu minore ad alcuno dei suoi antenati, ed ebbe la ricompensa che spetta a persone così buone. Col permesso del re, Giuseppe portò il cadavere in Nebron e quivi gli diede sepoltura.
Libro II:197 I suoi fratelli non volevano ritornare con lui temendo che ora che il padre era morto, egli si vendicasse delle insidie che gli avevano teso, dato che non c'era più alcuno da accontentare per comportarsi in modo così moderato verso di loro; ma egli li persuase a non temere e a non sospettare di lui; li prese con sé, diede loro vasti possedimenti, e non cessò mai di trattarli con la più alta considerazione.
Libro II:198 - 2. Anch'egli poi morì all'età di centodieci anni. Fu un uomo di mirabile virtù, diresse tutti gli affari con i dettami della ragione e si servì con parsimonia della sua autorità; e a questo era dovuto il grande rispetto di cui godeva presso gli Egiziani nonostante fosse forestiero e (fosse giunto) nelle circostanze pietose che in precedenza abbiamo descritto.
Libro II:199 Anche i suoi fratelli morirono dopo avere vissuto felicemente in Egitto, e i loro corpi, col tempo, furono trasportati dai loro discendenti e furono sepolti in Nebron.
Libro II:200 Per le ossa di Giuseppe questo avvenne soltanto dopo; quando gli Ebrei emigrarono dall'Egitto, le portarono con loro nella terra di Canaan, conforme al giuramento al quale li aveva legati Giuseppe.
Come siano andate le vicende di ognuno di loro, con quali sforzi abbiano conquistato Canaan lo narrerò, dopo che avrò parlato del motivo per cui lasciarono l'Egitto.
Premesse all'esodo dall'Egitto
Libro II:201 - IX, I. In generale, gli Egiziani sono gente voluttuosa, svogliati nelle fatiche, schiavi dei piaceri e singolarmente avidi di guadagni: mal sopportavano la vita degli Ebrei felici e ne invidiavano la prosperità.
Libro II:202 Vedevano fiorire la stirpe degli Ebrei, vedevano che per la loro virtù e attitudine a sopportare fatiche si conquistavano un ragguardevole benessere, e sospettavano che la crescita del loro potere andasse a loro detrimento; i benefici che avevano ricevuto da Giuseppe erano dimenticati a motivo del grande lasso di tempo, il regno era passato a un'altra dinastia, ed essi presero a maltrattare brutalmente gli Israeliti e tramavano per affidare a loro ogni genere di duri lavori.
Libro II:203 Li costringevano a dividere il fiume in tanti canali, a innalzare contrafforti per le città e argini per trattenere l'acqua del fiume, per prevenire la formazione di stagni, allorché nelle inondazioni, l'acqua sorpassava gli argini; ed ancora a innalzare le piramidi: e malmenavano la nostra stirpe sicché si abituò a ogni genere di fatiche e diventò assuefatta al duro lavoro.
Libro II:204 Per quattrocento anni sopportarono questi penosi lavori. Tra di loro sorse un'autentica competizione: gli Egiziani volevano uccidere gli Israeliti con penosi lavori, e questi, gli Israeliti, si volevano dimostrare sempre superiori ai loro compiti.
Libro II:205 - 2. Stando così le cose, la causa che stimolò ancor più gli Egiziani ad adoperarsi allo sterminio della nostra stirpe, fu la seguente. Uno degli scribi che aveva cura dei libri sacri, persona di grande abilità nella predizione del futuro, annunziò al re che intorno a quel tempo sarebbe nata tra gli Israeliti una persona che avrebbe ridotto la egemonia degli Egiziani, e innalzato gli Israeliti, la virtù dei quali sorpassa tutti, e acquisterà una gloria eterna.
Libro II:206 Allarmato da questo avvertimento del saggio, il re ordinò che tutti i maschi nati agli Israeliti fossero eliminati gettandoli nel fiume, che si tenesse conto delle donne ebree incinte, e che al parto fossero assistite da levatrice egiziane;
Libro II:207 i suoi ordini furono che questo compito fosse affidato a donne compatriote del re in quanto non era verosimile che trasgredissero la sua volontà; quelle poi che, nonostante gli ordini si avventurassero a salvare di nascosto il loro parto, ordinò che fossero messe a morte con il generato da esse.
Libro II:208 Per le partorienti, l'impressione fu terribile, non solo perché venivano private dei figli, e a volte gli stessi genitori erano, per i figli, strumenti di morte, ma per l'angoscia che venisse meno la loro stirpe, dovendo uccidere quelli che nascevano, loro stesse si avvicinavano alla fine con una sorte crudele e inconsolabile.
Libro II:209 Tale era la loro miserabile situazione. Ma nessun uomo può sfidare la decisione di Dio, qualunque sia l'astuzia che mette in opera per questo fine. Il fanciullo la cui nascita era stata predetta da uno di coloro che hanno cura dei libri sacri, fu allevato eludendo la vigilanza del re; e le parole del profeta, riguardanti tutto ciò, stavano per compiersi, e per mezzo suo si dimostrarono veritiere. E fu così che ciò avvenne.
Libro II:210 - 3. Amaram, un Ebreo di nobile famiglia, temendo che si potesse estinguere l'intera stirpe, visto che non si poteva più tenere in vita tutta la gioventù e ansioso per se stesso perché la moglie era incinta, se ne stava seriamente perplesso;
Libro II:211 si rivolse a Dio con la preghiera, supplicandolo di avere compassione di tutti coloro che piamente praticavano il Suo culto e di liberarli dai mali che li opprimevano e dalla speranza (che altri avevano) di sterminare la loro stirpe.
Libro II:212 Dio ebbe pietà di lui e, mosso dalla sua supplica, gli apparve nel sonno esortandolo a non disperare del futuro; gli disse ancora che Egli aveva ben presente la loro pietà e li avrebbe sempre ricompensati, come aveva favorito i loro progenitori moltiplicandoli da pochi che erano fino alla presente moltitudine.
Libro II:213 Abramo, infatti, partì solo dalla Mesopotamia, si trasferì nella Cananea, fu reso felice in tutto e sua moglie, una volta sterile, grazie al Suo volere, in seguito poté concepire e avere figli; a Ismaele e ai suoi discendenti assegnò la regione dall'Arabia, e ai suoi figli da Catura la Troglodite, e a Isacco Canaan.
Libro II:214 Le lotte “disse” che Egli coraggiosamente sostenne sotto i miei auspici, sareste ingrati ed empi se non le ricordaste. Anche Giacobbe divenne famoso tra i popoli stranieri per la stragrande prosperità di cui godette in vita e lasciò in eredità ai suoi figli, tanto che da settanta persone, in tutto, con le quali arrivò in Egitto, voi avete raggiunto il numero di seicentomila.
Libro II:215 E ora sappiate che Io tengo presente il vostro benessere e il tuo onore. Il bambino la cui nascita è così temuta dagli Egiziani, tanto da condannare allo sterminio tutti i bambini degli Israeliti, sarà il tuo: egli sfuggirà a coloro che mirano al suo sterminio,
Libro II:216 sarà allevato in una maniera meravigliosa, libererà la stirpe degli Ebrei dalla soggezione agli Egiziani e di lui rimarrà un ricordo che durerà fino a quando durerà l'universo, non solo presso gli Ebrei, ma anche tra gli stranieri. Questo è un favore che Io faccio a te e a quanti nasceranno da te. Inoltre egli avrà un fratello di così alto prestigio che lui e i suoi discendenti avranno il mio sacerdozio per tutti i secoli”.
Nascita ed educazione di Mosè
Libro II:217 - 4. Queste cose furono manifestate in visione, e Amaram, destatosi le rivelò a Jochabel, sua moglie; a causa della predizione fatta nel sonno, i timori si fecero più intensi, poiché la loro ansietà non era soltanto per il bambino, ma per quella sublime felicità cui era predestinato.
Libro II:218 Le cose dette da Dio, ebbero conferma allorquando la donna partorì, poiché sfuggi la vigilanza delle guardie, grazie alla delicatezza delle doglie che le risparmiarono gli spasimi violenti. Per tre mesi allevarono il bambino di nascosto;
Libro II:219 poi Amaram, temendo di venire scoperto e di incorrere nella collera del re, di perire egli stesso insieme al figlio e vanificare la promessa di Dio, ritenne che era meglio affidare a Lui la salvezza e la protezione del bambino piuttosto che avere fiducia nell'incerta sorte dell'occultamento, donde poteva correre pericolo non solo il piccolo, ma anche egli stesso.
Libro II:220 Fiducioso che Dio avrebbe provveduto alla sua completa incolumità affinché non fallissero le cose da Lui predette, prese questa delibera: intrecciarono una cesta di canne di papiro dalla forma simile a una culla tanto grande da potere contenere comodamente il bambino;
Libro II:221 poi la spalmarono di pece, una sostanza che serve a prevenire l'ingresso dell'acqua attraverso le fessure dell'intreccio, vi misero dentro il bimbo e lo portarono al fiume, lasciando a Dio il pensiero della sua salvezza.
Il fiume accolse il carico e lo portava, mentre Mariame, sorella del bimbo, per ordine della madre, andava su e giù passeggiando lungo l'argine del fiume a osservare dove andava la cesta.
Libro II:222 Anche qui Dio manifestò come l'intelligenza umana non possa nulla, e si compie fino in fondo quello che Egli vuole, e come sbagliavano coloro
che per salvare se stessi condannavano gli altri alla distruzione, per quanto studio ci mettano,
Libro II:223 quelli sono salvati per miracolo, rischiando molto, e hanno successo in mezzo a disastrosi pericoli, perché, fiduciosi, sono condotti dal decreto divino. Tale fu il destino che ebbe questo bambino, destino che enfatizza la potenza di Dio.
Libro II:224 - 5. Termuti, figlia del re, si trastullava lungo i margini del fiume e sobbalzò alla vista della cesta portata dalla corrente; mandò dei nuotatori con l'ordine di portarle la culla; e allorché giunsero a riva con la culla, alla vista del bambino lei rimase incantata dalla sua corporatura e dalla sua bellezza:
Libro II:225 tanta era la cura che Dio aveva dimostrato per Mosè che quelle persone che, a motivo della sua nascita, avevano decretato l'eliminazione di tutti i bambini ebrei, concordarono nel giudicarlo meritevole di cibo e di cura. Così Termuti ordinò che si trovasse una donna per allattare il bimbo.
Libro II:226 Ma invece di attaccarsi alla poppa, si voltava altrove; e fece così con molte donne. Mariame, apparsa sulla scena apparentemente senza alcuna premeditazione e per pura curiosità, disse: “Invano, o regina, per nutrire questo bambino chiami donne che non hanno alcun vincolo di parentela con lui. Se farai venire qualche donna ebrea, può essere che prenda la poppa della sua stirpe”.
Libro II:227 Il suo dire parve saggio e le ordinò di provvedere lei stessa a qualche donna che avesse il latte. Avvalendosi di tale facoltà, ritornò con la madre, che nessuno conosceva; e il bambino allegramente si attaccò alla poppa e, a richiesta della regina, rimase permanentemente incaricata del nutrimento del bambino.
Libro II:228 - 6. E proprio in questa occasione, la principessa gli diede il nome che richiama l'immersione nel fiume, giacché gli Egiziani chiamano l'acqua “mou ed eses” coloro che (dall'acqua) sono salvati: essi dunque gli imposero questo nome composto da due parole.
Libro II:229 Come tutti concordano, conforme alla predizione di Dio, per altezza di spirito e disprezzo delle fatiche, fu di gran lunga il più nobile degli Ebrei; era il settimo da Abramo, essendo figlio di Amaram che era figlio di Caath, il cui padre era Levi figlio di Giacobbe, figlio di Isacco il figlio di Abramo.
Libro II:230 Il suo sviluppo mentale era maggiore della crescita della sua statura e ben oltre il numero dei suoi anni. Fino dall'infanzia apparve l'eccellenza della sua educazione, e i suoi atti già allora anticipavano la grandezza delle gesta che avrebbe compiuto al raggiungimento dell'età virile. All'età di tre anni Dio diede alla sua statura una crescita meravigliosa;
Libro II:231 così nessuno restava indifferente alla sua avvenenza, e vedendo Mosè si stupiva del fascino che aveva; capitava che molte persone incontrandolo lungo la strada, attratti dal suo aspetto, si voltassero a contemplare il fanciullo, e trascurassero i loro affari fermandosi ad ammirarlo, in lui si trovava l'incanto della fanciullezza in una maniera così perfetta e pura che ammaliava quanti lo guardavano.
Libro II:232 - 7. Tale era, dunque, il fanciullo adottato da Termuti, dato che non era benedetta da alcun suo figlio. Un giorno condusse Mosè da suo padre, glielo mostrò e gli manifestò il proprio pensiero di fare di lui l’erede, qualora a Dio piacesse di non darle un figlio, allevare un fanciullo di divina bellezza e nobili sentimenti, avuto in dono dalla liberalità del fiume in modo mirabile, “a me pare, aggiunse lei, che sia bene che faccia di lui mio figlio ed erede del tuo trono”.
Libro II:233 Così dicendo diede il fanciullo nelle braccia di suo padre; ricevutolo, lo strinse al petto per amore della figlia e gli pose sul capo il proprio diadema. Mosè, però, lo gettò a terra facendolo rotolare al suolo come un giocattolo di ragazzi e con i piedi lo calpestò: questo parve un cattivo presagio per il regno.
Libro II:234 Lo scriba sacro, quello che aveva preconizzato che la nascita di questo fanciullo avrebbe recato umiliazione all'impero degli Egiziani, alla vista di ciò, si fece avanti per ucciderlo, e lanciando grida spaventose, disse:
Libro II:235 “questo, o re, è il fanciullo che Dio ci disse di uccidere per prevenire ogni nostro timore; predizione confermata dall'ingiuria verso il tuo regno e dal diadema calpestato. Uccidendo costui, sollevi gli Egiziani dalla paura che hanno di lui ed elimini dagli Ebrei le ardite speranze che suscita”.
Libro II:236 Termuti intervenne sollecita in suo favore e lo tolse di mezzo. Il re non sapeva decidersi a ucciderlo; esitazione indotta da Dio, la cui provvidenza vegliava su Mosè. Egli venne educato con somma cura: gli Ebrei ponevano su di lui grandi speranze,
Libro II:237 mentre gli Egiziani guardavano con sospetto la sua ascesa; ma qualora il re l'avesse ucciso, non c'era alcuno in vista che gli fosse imparentato, grazie all'adozione o in altro modo, sul quale riporre maggiore fiducia per le attività negli interessi degli Egiziani e per le previsioni nel futuro: perciò si astenne dall'ucciderlo.
Libro II:238 - X, I. - Mosè, dunque, nacque e fu allevato nel modo fin qui detto, e con il passare degli anni diede agli Egiziani chiare prove dei suoi meriti, e di essere nato per umiliare questi e promuovere gli Ebrei. Ed ecco come gli si presentò l'occasione.
Campagna di Mosè contro gli Etiopi
Libro II:239 Gli Etiopi, vicini degli Egiziani, invasero il loro territorio e depredarono le proprietà degli Egiziani; questi, indignati, fecero una campagna contro di essi per vendicare l'affronto, ma furono battuti: una parte morì e un'altra fuggì ignominiosamente ritirandosi nella propria terra;
Libro II:240 ma gli Etiopi li inseguirono incalzandoli alle spalle, e si giudicavano di poco coraggio se non avessero occupato tutto l'Egitto: attraversarono da un capo all'altro tutta la regione e, gustatane la bontà, non sapevano più distaccarsene; constatarono che nelle contrade vicine nessuno ardiva affrontarli, si inoltrarono fino a Memfis e al mare, ma non ci fu città capace di resistere.
Libro II:241 Abbattuti dalla sciagura, gli Egiziani fecero ricorso agli oracoli e agli indovini; e allorché da Dio giunse loro il consiglio di avvalersi di un Ebreo come alleato, il re ordinò alla figlia di acconsentire che Mosè fosse fatto generale.
Libro II:242 Avuto il giuramento che non gli sarebbe stato fatto alcun male, lei lo cedette pensando che con questa alleanza sarebbe derivato loro un grande beneficio, maledicendo i sacerdoti che prima lo avevano giudicato un nemico degno di morte e ora non si vergognavano di ricorrere al suo aiuto.
Libro II:243 - 2. Mosè, esortato sia da Termuti che dal re, di buon grado accettò il compito. Ne godettero i sacri scribi di ambedue le nazioni: gli Egiziani speravano che col suo valore avrebbero superato i nemici e nello stesso tempo, con qualche inganno, si sarebbero liberati di Mosè, mentre gli Ebrei intravedevano la possibilità di fuggire dagli Egiziani sotto la guida di Mosè.
Libro II:244 Egli sorprese il nemico prima che avessero sentore della sua uscita dal campo, si mise alla testa del suo esercito, e non prese la via lungo il fiume, ma si avviò verso l'interno, e quivi diede un mirabile saggio della sua avvedutezza.
Libro II:245 Il cammino all’interno del territorio era molto difficile a motivo della quantità di serpenti di ogni specie che infestavano la regione: qui se ne trovano alcuni che altrove non esistono, notevoli per la forza, per la malignità e singolarmente strani alla vista; ce ne sono anche di alati che possono sia attaccare al suolo, nascosti, sia offendere all'improvviso alzandosi per aria. Per rendere praticabile il cammino al suo esercito (Mosè) inventò un mirabile stratagemma.
Libro II:246 Aveva delle gabbie a forma di ceste fatte con steli di papiro e le aveva portate con sé piene di ibis, animale che è nemico mortale dei serpenti, e, incontrandoli questi fuggono e nella fuga vengono assaliti proprio con la velocità dei cervi, e vengono ingoiati. Gli ibis sono animali domestici, ed è soltanto con i serpenti che non fanno pace. Di essi non scrivo oltre, poiché ai Greci è ben nota la natura degli ibis.
Libro II:247 Allorché entrò nella regione infestata dai serpenti, li liberò contro di essi facendo guerra a tutta quella genia di serpenti; si servì degli ibis quasi come di un'avanguardia. Proseguendo il cammino in questa maniera, gli Egiziani raggiunsero, inattesi, gli Etiopi,
Libro II:248 li affrontarono e dalla battaglia, uscirono vittoriosi: così tolse loro la speranza di vittoria che nutrivano contro gli Egiziani. In seguito entrò nelle loro città assoggettandole, e fece una grande strage di Etiopi; dopo avere gustato, sotto Mosè, questi gloriosi eventi, l'esercito degli Egiziani non si ritraeva più da quelle fatiche, al punto che gli Etiopi corsero il rischio di restare schiavi e venire interamente distrutti.
Libro II:249 Infine essi si ritirarono tutti nella città di Saba, capitale del regno dell'Etiopia, alla quale Cambise cambiò il nome in Meroe, dal nome di sua sorella, e furono assediati. Ma il luogo presentava molte difficoltà per un assedio, perché il Nilo lo cingeva e abbracciava tutt'intorno, e traghettarlo era malagevole a chiunque vi si provava a motivo di altri due fiumi, l'Astapu e l'Astabara, che ne impedivano l'impresa.
Libro II:250 La città, situata all'interno, sembra un'isola: la circondano forti mura, ha come trincea i due grandi fiumi che le fanno da argini tra le mura e le
acque che la difendono dagli allagainenti, quando le onde delle correnti sono insolitamente violente. E tutto questo che rende tanto difficile la presa della città, anche a coloro che riescono a valicare i fiumi.
Libro II:251 Mosè mal sopportava l'inattività dell'esercito, poiché il nemico non si sarebbe avventurato a uno scontro, quando avvenne quanto segue.
Libro II:252 Tharbi, figlia del re degli Etiopi, vedendo Mosè che faceva avvicinare l'esercito ai contrafforti e combatteva con grande valore, ammirava l'ingegnosità delle sue manovre e scorgeva in lui l'autore di felici eventi per gli Egiziani, disperando della propria indipendenza e del sommo pericolo al quale aveva condotto gli Etiopi, prima superbi dei successi riportati sui nemici, fu presa da grande amore per lui; e sotto l'impeto della passione mandò alcuni dei suoi servi più fidati a fargli l'offerta di matrimonio.
Libro II:253 Egli accolse la proposta a condizione che lei gli portasse la resa della città, obbligandosi con giuramento che senza dubbio avrebbe sposato la donna e, una volta padrone della città, non avrebbe rotto i patti. Alle parole seguirono subito i fatti. Dopo la vittoria sugli Etiopi, Mosè rese grazie a Dio, celebrò le nozze e ricondusse gli Egiziani alla loro terra.
Libro II:254 - XI, I. - Costoro però che furono salvati da Mosè, gli risposero con l'odio e con uno studio accanito si adoperarono contro di lui col sospetto che approfittasse del suo successo per introdurre novità in Egitto, e suggerivano al re di ucciderlo;
Libro II:255 egli era già arrivato alla stessa conclusione da solo, sollecitato dall'invidia del comando generale di Mosè e dal timore di venire considerato inferiore a lui. Fu così che allorquando fu istigato dai suoi scribi, era già preparato a stendere la mano contro Mosè.
Fuga di Mosè nel deserto, la sua chiamata
e la missione
Libro II:256 Scoperta in tempo la trama, Mosè se ne sottrasse. Ma le strade erano custodite: egli allora diresse la sua fuga verso il deserto, dove non aveva timore di essere catturato dai suoi nemici. Partì senza provviste e orgogliosamente fiducioso delle proprie forze di sopportazione.
Libro II:257 Giunto alla città di Madian, luogo presso il Mar Rosso, che prende nome da un figlio di Abramo nato da Catura, si sedette presso un pozzo riposandosi dalla fatica e dalle difficoltà: era mezzogiorno e la città non distava molto. Quivi ebbe un incontro che da una parte si inquadra con le abitudini di quella popolazione, e dall'altra manifestò la sua virtù e gli aprì la via a una migliore fortuna.
Libro II:258 2. Siccome quelle regioni sono scarse di acqua, i pastori fanno a gara per occupare i primi posti ai pozzi, nel timore che l'acqua venga consumata dagli altri, e non resti più nulla per le loro greggi. Ora vennero al pozzo sette sorelle, figlie vergini di Raguele, un sacerdote tenuto in alta considerazione dal popolo della regione;
Libro II:259 custodivano le greggi del padre, compito eseguito abitualmente dalle donne anche presso i Trogloditi; giunte per prime, attinsero dal pozzo l'acqua sufficiente per le loro greggi e ne riempirono le conche costruite per questo.
Libro II:260 Ma sopraggiunsero dei pastori e scacciavano le vergini per impadronirsi dell'acqua; Mosè giudicò sconveniente che si facesse alle vergini un tale oltraggio e che uomini violenti usurpassero il diritto delle vergini; e così calmò la loro insolenza e diede ad esse l'aiuto opportuno.
Libro II:261 Dopo questa azione benevola, esse tornarono dal padre, e gli raccontarono l'insolenza dei pastori e l'aiuto prestato loro dallo straniero, pregandolo che non restasse vana quella buona azione e non la lasciasse senza ricompensa. Egli approvò l'interesse delle figlie per il loro benefattore, e ordinò che conducessero in sua presenza Mosè per dimostragli un giusto ringraziamento.
Libro II:262 Quando giunse, gli parlò della testimonianza delle figlie per l'aiuto da lui dato, e, stupito per la sua gentilezza, aggiunse che il suo aiuto non era stato dato a persone insensibili alla riconoscenza, ma a persone capaci di meritarselo, e di superare con la grandezza della ricompensa, la misura del beneficio.
Libro II:263 Lo adottò poi come figlio, gli diede in sposa una delle figlie, lo costituì custode e sovrintendente delle sue greggi, che nei tempi antichi erano, per i Barbari, la sola ricchezza.
Libro II:264 - XII, I. Mosè, dunque, avuti questi benefici da Ietegleo, tale era il soprannome di Raguel, restò a pascolare le greggi.
Libro II:265 Passato alcun tempo, condusse le greggi al pascolo sul monte chiamato Sinai; si tratta della montagna più alta della regione, la migliore per il pascolo, per la bontà dell'erba che vi cresce, e anche a motivo della credenza che qui abiti Dio, (perciò) prima di lui era lasciato inviolato da tutti, i pastori non si arrischiavano a salire.
Libro II:266 Egli fu qui testimone di un meraviglioso prodigio: un fuoco serpeggiava intorno a un cespuglio di rovo senza fare alcun danno, né alle foglie né ai fiori, né consumava i frutti dei suoi rami: ciononostante la fiamma era grande e il suo calore intenso.
Libro II:267 Mosè rimase atterrito da quello strano spettacolo, ma quale fu lo stupore allorché questo fuoco emise una voce che lo chiamò per nome: iniziò avvertendolo della sua audacia che gli aveva permesso di salire lassù dove nessun uomo era mai salito perché è un luogo divino; l'avvertì di tenersi lontano il più possibile da quelle fiamme e di accontentarsi, egli uomo virtuoso e discendente da illustri antenati, di ciò che vedeva, senza indagare oltre.
Libro II:268 Gli predisse inoltre la gloria e l'onore a cui, col Suo favore sarebbe pervenuto, tra gli uomini, e gli comandò di ritornare con coraggio in Egitto e di operare come comandante e guida della moltitudine degli Ebrei, liberando i suoi parenti dalle malversazioni cui erano sottoposti.
Libro II:269 “Poiché, seguitò, abiteranno una terra ubertosa nella quale abitò Abramo, progenitore della vostra stirpe, e godranno di tutte le benedizioni: tu con la tua sagacia li condurrai a essa”. Comandò, poi, che quando avesse tratto gli Ebrei dall'Egitto, venisse in questo luogo, e quivi offrisse sacrifici di ringraziamento. Questi furono gli oracoli divini che Dio diede dal fuoco.
Libro II:270 - 2. Stordito da ciò che aveva visto e più ancora da ciò che aveva udito, replicò: “Dubito, Padrone, della Tua potenza, che venero e so che si è manifestata ai miei progenitore, ritengo però che sia una follia tale che non ha adito nell'animo mio;
Libro II:271 tuttavia uomo comune e senza alcun potere, come sono io, ignoro come potrò, con le parole, persuadere i miei a lasciare la terra ove si trovano ora, per seguirmi a quella nella quale io li guiderei; e seppure riuscissi a
persuaderli, con quale mezzo potrò costringere il Faraothe a permettere l'esodo dei suoi sudditi le cui fatiche e lavori accrescono la sua prosperità”.
Libro II:272 3. Allora Dio lo esortò ad avere piena fiducia, promettendo di assisterlo Egli stesso sia quanto alle parole necessarie per persuadere, sia quanto all'azione necessaria gli avrebbe dato la forza. Gli ordinò di gettare a terra il vincastro e di avere fede nelle sue promesse; Mosè fece così, ed ecco strisciare un serpente e avvolgersi a spirale vibrando la testa quasi a difendersi da assalitori; poi diventò nuovamente un bastone.
Libro II:273 Poi, Egli gli ingiunse di porre la mano destra nel suo seno: egli obbedì, e la ritrasse bianca, del colore del gesso; poi ritornò al suo colore naturale. Ricevette ancora un ulteriore comando: di attingere, cioè, un po' d'acqua da una fonte vicina e versarla al suolo: e la vide cambiarsi prendendo il colore del sangue.
Libro II:274 Mentre si stupiva per tali cose, si sentì incoraggiato, si fece animo; trovò la certezza che col Suo valido aiuto sarebbe stato sempre con Lui, e servendosi di quei segni avrebbe convinto tutti, poiché (Egli disse) “tu sei inviato da me ed eseguirai ogni cosa conforme ai Miei ordini. Ti ordino ancora di non frapporre indugi e affrettarti in Egitto, senza arresti né di giorno né di notte; indugiando, prolungheresti il tempo per gli Ebrei che ora soffrono in servitù”.
Libro II:275 - 4. Non dubitando delle promesse divine, dopo avere visto e udito simili conferme, Mosè pregò e supplicò che gli fosse garantito questo potere in Egitto; supplicò ancora di non negargli la conoscenza del Suo nome: siccome lo aveva favorito della Sua voce e della Sua visione, gli dicesse ancora come doveva rivolgersi a Lui, di modo che durante i sacrifici potesse invocare il Suo nome affinché fosse presente ai sacri riti.
Libro II:276 Dio allora gli rivelò il proprio nome, che fino allora non era mai venuto a orecchie umane, e che non mi è lecito pronunziare. Dio allora permise a Mosè di compiere quei segni, non solo allora, ma sempre e ovunque ce ne fosse bisogno. Persuaso della verità da tutti questi avvenimenti, molto più dall'oracolo che dal fuoco del rovo, credette che Dio sarebbe stato il suo benevolo protettore, sperò di salvare il suo popolo e di dirottare i mali sugli Egiziani.
Ritorno in Egitto
Libro II:277 - XIII, I. - Udito che era morto il re dell'Egitto, il Faraothe sotto il quale era fuggito, chiese a Raguele il permesso di andare in Egitto per il bene dei suoi congiunti; prese con sé Saffora, sua moglie, figlia di Raguele, e i figli avuti da lei, Gherson ed Eleazaro, e si affrettò in Egitto.
Libro II:278 A proposito di questi due nomi: Gherson nella lingua degli Ebrei significa che “egli venne in terra straniera”, Eleazaro, significa che “è con l'assistenza del Dio dei suoi padri che egli fuggì dagli Egiziani”.
Libro II:279 Giunto presso i confini, per ordine di Dio, gli andò incontro suo fratello Aaronne al quale raccontò quanto gli era accaduto sulla montagna, e gli ordini ricevuti da Dio. Lungo il loro cammino incontrarono le più distinte personalità degli Ebrei, che erano venuti a conoscenza del loro arrivo.
Libro II:280 Mosè non riuscendo a convincerli con la semplice descrizione dei segni, li compì davanti ai loro occhi, essi, attoniti davanti al glorioso spettacolo, si fecero coraggio e cominciarono a sperare che tutto sarebbe andato bene, visto che Dio si curava della loro sicurezza.
Libro II:281 - 2. Assicurato della resa degli Ebrei, della loro obbedienza ai suoi ordini e del loro amore per la libertà, Mosè si recò dal re che aveva ricevuto il trono di recente
Libro II:282 e gli fece presente i servizi resi agli Egiziani allorché erano stati umiliati e il loro paese devastato dagli Etiopi, lo mise a conoscenza di come avesse preso il comando e si fosse addossato le fatiche e i pericoli dell'esercito come se si fosse trattato del suo popolo, e come per tutti questi servizi non avesse ricevuto alcuna giusta ricompensa;
Libro II:283 fece ancora presente quanto gli era accaduto al Monte Sinai, le voci di Dio, i segni che gli aveva mostrato per ispirare fiducia alle Sue ingiunzioni, provando tutto nei particolari, e lo esortò a non frapporre ostacoli al volere di Dio con l'incredulità.
Libro II:284 - 3. Visto che il re si beffava, Mosè passò ai fatti facendogli vedere con i propri occhi i segni avvenuti sul Monte Sinai. Ma il re, indignato, lo chiamò uomo iniquo che prima era sfuggito dalla servitù agli Egiziani ed ora, ritornato, tentava di sedurlo con inganni, meraviglie e magie.
Libro II:285 Così dicendo, ordinò ai sacerdoti di esibire gli stessi spettacoli in sua presenza per fare vedere come anche gli Egiziani erano abili in tali arti, e
che egli non poteva considerarsi unico esperto con la pretesa di dovere a Dio i suoi doni meravigliosi, aspettandosi che essi credano come semplicioni. I sacerdoti gettarono i loro bastoni e diventarono pitoni.
Libro II:286 Mosè non si impressionò. “Io non disdegno, disse, la sapienza degli Egiziani. Affermo soltanto che le azioni compiute da me sorpassano la loro magia e la loro abilità di quanto le cose divine sono lontane da ciò che è umano, e io mostrerò che non è con prestigi e inganni che si può distogliere dai veri giudizi, e che i miei segni avvengono per mezzo della provvidenza e potenza di Dio”.
Libro II:287 Così dicendo, lasciò cadere al suolo il suo bastone e gli comandò di tramutarsi in serpente; esso obbedì: fece il giro dei bastoni degli Egiziani, che avevano sembianze di draghi, fino a quando li divorò tutti; poi riprese la sua forma primitiva a lato di Mosè.
Libro II:288 - 4. Ma il re non si stupì per questo spettacolo, anzi, ne fu indignato e protestò che a nulla sarebbe valso il suo ingegno e la sua abilità esercitata contro gli Egiziani; e diede ordine al sovrintendente degli Ebrei che non si concedesse loro anche solo un momento di requie dalle fatiche, ma si assogettassero ai lavori più di prima.
Libro II:289 E l'ufficiale che prima forniva loro la paglia per fare i mattoni, non la fornì più, costringendoli a proseguire i loro lavori di giorno e a raccogliere la paglia di notte. Ed essi incolpavano Mosè per il lavoro raddoppiato, essendo lui la causa dell'accresciuta severità sul lavoro, e delle loro fatiche.
Libro II:290 Egli, tuttavia, né si stancò delle minacce del re, né si abbatté per le recriminazioni degli Ebrei; anzi, rinfrancato di fronte ad ambedue, si dispose a sopportare qualsiasi sforzo pur di procurare al suo popolo la libertà.
Libro II:291 Andò alla presenza del re per spingerlo a lasciare andare gli Ebrei al Monte Sinai per sacrificare a Dio perché Egli così aveva comandato, e a non seguitare a opporsi al Suo volere. Anzi di anteporre tutto il Suo volere e concedere loro di uscire; qualora egli lo impedisse, non abbia poi da accusare altri, fuorché se stesso, per i castighi ai quali, giustamente, sarebbe andato incontro, come chiunque si oppone agli ordini di Dio;
Libro II:292 coloro, infatti, che provocano la collera divina sono avvolti da calamità da ogni lato: ad essi non è amica la terra né l'aria, non avranno discendenza secondo il corso delle leggi naturali, bensì ogni cosa sarà loro ostile
e contraria; e aggiunse che ben l'avrebbero provato, a loro spese, gli Egiziani allorché vedranno il popolo degli Ebrei partire dal loro paese a dispetto della loro volontà.
Le piaghe d'Egitto
Libro II:293 - XIV, I. Il re derise le parole di Mosè, non lo degnò di attenzione, e spaventosi flagelli discesero sugli Egiziani. Io li esporrò: in primo luogo affinché ciò che colpì gli Egiziani non sopravvenga più su di un altro popolo, poi perché desidero mostrare come Mosè non si sbagliò in alcuna delle sue predizioni, infine, perché l'uomo impari a compiere quello che è gradito a Dio, affinché Egli, sdegnato, non lo punisca per le sue iniquità.
Libro II:294 A un comando di Dio, il loro fiume cominciò a scorrere con una corrente di colore rosso-sangue, e non fu possibile berne. Non vi erano altre fonti di acqua, né era soltanto il colore a renderla ripugnante, ma chi provava a berla era colpito da tormenti e dolori crudeli.
Libro II:295 Questi erano effetti per gli Egiziani, mentre per gli Ebrei l'acqua seguitava a essere dolce, potabile, in nulla diversa dal naturale. Perplesso davanti a tale prodigio, e ansioso per gli Egiziani, il re permise agli Ebrei di andarsene; ma appena il male cessò, cambiò parere negando loro di partire.
Libro II:296 - 2. Per l'incoscienza del re che dopo la liberazione dalla disgrazia non volle ravvedersi, Dio mandò sugli Egiziani un'altra piaga. Un'immensa moltitudine di rane infestò la loro terra: ne brulicava anche il fiume cosicché erano costretti a servirsi di un'acqua ripugnante per la puzza di quelli animali che vi morivano dentro e la putrefacevano.
Libro II:297 Tutta la regione era piena di quell'orribile male: rane che si moltiplicavano, morivano e imputridivano; penetravano e scompigliavano anche le case, si trovavano nelle vivande, nel vino, saltavano sui letti; ovunque si sentiva odore insopportabile di rane vive, morte, putrefatte.
Libro II:298 Quando gli Egiziani erano scossi da questi mali, il re ordinò a Mosè di prendere gli Ebrei e partire: non appena disse questo, la moltitudine di rane spari: terra e fiume ritornarono al loro stato naturale.
Libro II:299 Ma non appena (la terra) fu liberata dal malanno, il Faraothe ne dimenticò la causa, e trattenne gli Ebrei; e quasi avido di imparare la natura dei
futuri malanni, revocò il permesso di partire dato a Mosè e ai suoi seguaci, permesso estorto più dalla paura che dalla saggezza.
Libro II:300 - 3. Nuovamente la Divinità punì con un altro malanno a motivo dell'inganno. Un'ampia distesa di pidocchi invase gli Egiziani spuntando dai loro corpi; i miserabili perivano miseramente: né lozioni, né unguenti, né medicamenti riuscivano a sterminare la loro natura.
Libro II:301 Confuso da questo flagello, temendo lo sterminio del suo popolo, e riflettendo sulla vergogna di una simile fine, il re degli Egiziani fu costretto ad ascoltare la ragione, seppure, a motivo della sua malvagità, soltanto a metà;
Libro II:302 agli Ebrei diede l'assenso per la partenza, ma svanito il pericolo, pretese che lasciassero donne e bambini in pegno del loro ritorno. E così esasperò ancor più Dio, credendo di opporsi alla Sua provvidenza, quasi che fosse Mosè e non Lui a punire l'Egitto in favore degli Ebrei.
Libro II:303 Egli allora mandò una grande quantità di animali di ogni genere e specie, che nessuno aveva mai visto prima, a infestare la loro regione: onde essi perivano, e la terra restava priva della cura dei suoi agricoltori; se poi qualcuno fuggiva a quella strage, veniva consumato da un morbo che colpiva anche le persone che stavano sul loro suolo.
Libro II:304 - 4. Neppure questo piegò il Faraothe al volere di Dio; poiché permise che le mogli seguissero i mariti, ordinò però che lasciassero i figli. Alla Divinità non mancavano i mezzi per inseguire e punire il peccatore con mali diversi e peggiori di quelli già mandati: la maggior parte degli Egiziani ebbe il corpo coperto da piaghe atroci e gli intestini consunti.
Libro II:305 E poiché questa stangata non fece rinsavire il re, una grandine - fino allora ignota al clima dell'Egitto - che non somigliava neppure a quella che altrove cade nell'inverno, maggiore pure di quella ben nota agli abitanti del settentrione e delle regioni polari, allorché cade a primavera e abbatte le messi,
Libro II:306 e poi uno stormo di cavallette divora le poche biade rimaste dalla grandine, di modo che perirono letteralmente tutte le speranze nutrite dagli Egiziani per i frutti della terra.
Libro II:307 - 5. Fin qui i mali sarebbero bastati a richiamare alla ragione uno sciocco privo di ragione e a renderlo accorto dei propri interessi, ma Faraothe, più per malizia che per sciocchezza, pur al corrente della causa di tutto, non
smetteva far fronte a Dio, e diventò un traditore incosciente del suo bene; e ordinò a Mosè di fare partire gli Ebrei con le mogli e i figli, ma di lasciare le loro sostanze perché le sue erano state distrutte.
Libro II:308 Mosè rispose che questa era una domanda ingiusta, in quanto era dalle loro sostanze che dovevano offrire sacrifici a Dio. Mentre indugiava, passava il tempo e sugli Egiziani si distese una notte profonda senza un raggio di luce: l'oscurità era così densa da accecare i loro occhi e soffocare il loro respiro; avvolti dalla densa oscurità, si trovavano sul punto di correre verso la loro fine o di rimanere con la paura di essere inghiottiti dalla caligine.
Libro II:309 Dopo tre giorni e altrettanti notti, visto che Faraothe, impenitente, non si decideva all'esodo degli Ebrei, gli si presentò Mosè e gli disse: “Fino a quando contrasterai il volere di Dio?” Lui, infatti, che ordina di lasciare andare gli Ebrei, e fino a quando questo non avviene, non è possibile che il tuo popolo trovi il rimedio a questi mali”.
Libro II:310 Il re infuriato a tali parole, gli minacciò la decapitazione qualora avesse seguitato a infastidirlo con questo argomento. Mosè rispose che mai più gli avrebbe fatto parola di questo; sarà lui, con le persone più autorevoli d'Egitto, a pregare gli Ebrei di andarsene. E così dicendo si ritirò.
La prima Pasqua, morte dei primogeniti
Libro II:311 Dopo avere manifestato che ancora una piaga avrebbe obbligato gli Egiziani a lasciare partire gli Ebrei, Dio ingiunse a Mosè di avvertire il popolo di avere pronto un sacrificio dal dieci del mese di Xanthicus fino al quattordicesimo giorno, questo è il mese che gli Egiziani chiamano Farmuthi, gli Ebrei Nisan e i Macedoni Xanthicus, e poi di fare uscire gli Ebrei, ognuno portando con sé i suoi averi.
Libro II:312 Egli preparò gli Ebrei alla partenza: li divise in fratrie (designa una divisione della tribù) e li tenne uniti così. Giunto il quattordicesimo giorno, tutti pronti per partire, sacrificarono, purificarono le case col sangue servendosi di rami di issopo per aspergerle; dopo che ebbero mangiato, bruciarono i resti della carne, come persone sul piede di partenza.
Libro II:313 Questo è il motivo per cui anche oggi, nella festa che chiamiamo Pasqua, che significa “passare oltre” sacrifichiamo secondo questo rito, perché in quel giorno il loro Dio li oltrepassò, mentre colpiva gli Egiziani con una piaga;
in quella stessa notte, infatti, avvenne lo sterminio dei primogeniti egiziani, tanto che molti che abitavano nei dintorni del palazzo, consigliavano a Faraothe di mandare via gli Ebrei.
Libro II:314 Ed egli, chiamato Mosè, gli ordinò di partire, supponendo che una volta lasciata la regione, l'Egitto dopo tanti mali avrebbe respirato; (gli Egiziani) onorarono pure gli Ebrei con doni, alcuni perché se ne andassero presto, altri perché con la vicinanza era sorta una stretta familiarità.
L'esodo dall'Egitto
Libro II:315 - XV, I. - Così essi partirono, mentre gli Egiziani si dolevano e si pentivano di averli trattati così duramente. Presero la via di Letopoli che allora era un luogo deserto, poi Cambise vi fondò il sito di Babilonia, dopo avere sottomesso l'Egitto. Tennero la via più breve, e al terzo giorno giunsero a Beelsefon, località presso il Mar Rosso;
Libro II:316 la località era desertica, la terra non produceva alcun frutto: essi si sostentavano con farine impastate, ma cotte semplicemente con poco calore e, in questo modo, fatte pane. Vissero così per lo spazio di trenta giorni, non bastando per un tempo più lungo quanto avevano portato dall'Egitto: si razionavano il vitto limitando le parti in ragione del bisogno, non mangiando a sazietà.
Libro II:317 E’ per questo, a ricordo di quel periodo di penuria, che noi osserviamo per otto giorni una festa detta del pane non lievitato. La moltitudine degli emigranti, comprese le donne e i fanciulli, non era cosa facile contarla; ma quelli che toccavano l'età militare erano circa seicentomila.
Libro II:318 - 2. Lasciarono l'Egitto nel mese Xanthicus, (Nisan = aprile) nella quindicesima luna, quattrocentotrent'anni dopo che il nostro progenitore Abramo era entrato in Canaan, duecentoquindici dall'immigrazione di Giacobbe in Egitto.
Libro II:319 Mosè aveva ormai raggiunto il suo ottantesimo anno; suo fratello Aaronne era tre anni più anziano. Trasportarono le ossa di Giuseppe, come egli aveva comandato ai suoi figli.
Libro II:320 - 3. Intanto gli Egiziani si erano pentiti di avere lasciato partire gli Ebrei, e il loro re era mortificato al pensiero che la causa fosse la stregoneria di Mosè; decisero allora di inseguirli. Presero le armi e l'equipaggiamento, e
partirono, decisi a farli tornare indietro, non appena li avessero raggiunti; ormai (pensavano) non erano più responsabili verso Dio, ora che questo popolo aveva avuto il suo esodo.
Libro II:321 Giudicavano di avere una facile vittoria su gente disarmata ed esausta dal viaggio. Alla ricerca dei fuggitivi, si interessavano su quale strada avessero preso, e si affrettavano nell'inseguimento, nonostante la difficoltà del cammino, arduo non solo per un esercito, ma anche per un singolo viandante.
Libro II:322 Ora Mosè aveva guidato gli Ebrei fuori da quella strada affinché qualora gli Egiziani avessero cambiato idea e volessero inseguirli, sarebbero rimasti puniti, avendo maliziosamente mancato al patto; inoltre, anche per i Palestinesi, gente a loro avversa per vecchie animosità, ai quali voleva, in ogni maniera possibile, tenere nascosto il suo viaggio, visto che confinavano con gli Egiziani.
Libro II:323 E’ per questo che egli non condusse il suo popolo sulla via diretta per la Palestina, ma scelse di compiere un cammino lungo e faticoso attraverso il deserto per invadere Canaan. Inoltre egli era mosso anche dall'ordine avuto da Dio di guidare il Suo popolo al Monte Sinai, per offrirgli quivi dei sacrifici.
Libro II:324 Tuttavia gli Egiziani sorpresero gli Ebrei, li chiusero in uno spazio esiguo, e si preparavano allo scontro; ma essi erano una moltitudine di seicento carri, cinquantamila uomini a cavallo e duecentomila fanti. Chiusero tutte le strade dalle quali immaginavano che gli Ebrei potessero fuggire, confinandoli così tra balze inaccessibili e il mare; si trattava del mare nel quale termina la montagna, per sua natura scabrosa: si pensava che fosse impossibile trovare in esso una strada per fuggire.
Libro II:325 Attestatisi sul punto ove la montagna si congiunge al mare, bloccavano il transito degli Ebrei accampandosi all'uscita, impedendo loro di fuggire in aperta campagna.
Libro II:326 - 4. Non potendo restare così come gente assediata, sprovvista del necessario senza una praticabile via per fuggire, senza armi, qualora volessero decidere di dare battaglia, agli Ebrei non restava altra prospettiva che lo sterminio totale o la resa al volere degli Egiziani.
Libro II:327 Allora iniziarono ad accusare Mosè, dimentichi dei segni operati da Dio per la loro libertà, tanto più quanto le parole del profeta li confortavano e
promettevano loro la salvezza; vinti dalla incredulità, decidevano di lapidarlo e darsi agli Egiziani.
Libro II:328 Era un continuo piangere e lamentarsi di donne e di fanciulli che si vedevano la morte davanti agli occhi perché si trovavano rinchiusi tra le montagne, il mare, i nemici, e sprovvisti di ogni mezzo per fuggire da soli.
Il transito del mare
Libro II:329 - 5. Nonostante tutto l'inasprimento della folla contro di lui, Mosè non si stancava di pensare a loro, e coraggiosamente confidava in Dio. Avendo egli compiuto tutto quello che aveva promesso per la loro libertà, non avrebbe permesso che andassero in mano dei loro nemici sia in servitù sia in annientamento.
Libro II:330 Ritto in mezzo a loro, disse: “Anche se fossero (soltanto) uomini coloro che finora hanno diretto felicemente le cose vostre, sarebbe ingiusto dubitare che anche in futuro si comporteranno in modo diverso; ma in questo momento è un atto di follia, da parte vostra, disperare della provvidenza di Dio:
Libro II:331 è da Lui, per mezzo mio, che vi è giunta ogni cosa promessa, la salvezza e la liberazione dalla schiavitù, ben al di là delle vostre aspettative. Anzi, a motivo delle angustie nelle quali pensate di trovarvi senza alcuna speranza, è molto meglio sperare nell'aiuto che viene da Dio. E’ Lui l'autore della difficile situazione nella quale ci troviamo.
Libro II:332 Poiché improvvisamente, quando né voi né i nemici pensate alla salvezza, Egli può manifestare sia la Sua potenza sia la cura che ha di voi; non è, infatti, in circostanze da poco che la Divinità presta il Suo aiuto a quelli che vuole favorire, ma quando vede che gli uomini hanno perso ogni speranza di cambiare la propria sorte.
Libro II:333 Abbiate, dunque, fede in un difensore efficace nelle piccole come nelle grandi circostanze, che può ridurre all'impotenza anche queste grandi forze. Non scoraggiatevi davanti ai preparativi degli Egiziani, né per il mare (davanti a voi), né per le montagne alle vostre spalle che non lascian alcuna via alla fuga. Non disperate della salvezza: se Dio lo vuole si appiattiranno come una pianura, o dalle profondità (del mare) emergerà la terra”.
Libro II:334 XVI, I. Ciò detto si allontanò, e li condusse verso il mare sotto gli occhi degli Egiziani: questi guardavano, ma esausti dalla fatica dell'inseguimento, pensavano di rimandare al giorno appresso lo scontro; quando Mosè raggiunse la spiaggia, prese in mano il bastone, invocò Dio affinché gli fosse compagno di lotta e suo aiuto, dicendo:
Libro II:335 “Tu sai che scampare dai presenti pericoli è al di là delle forze e dell'ingegno umano. Se c'è una via di salvezza per questa moltitudine, che per Tuo volere ha lasciato l'Egitto, solo Tu ce la puoi offrire.
Libro II:336 Noi diffidiamo di ogni altra speranza e di ogni rifugio, noi ci rifugiamo unicamente sotto la tua protezione, e stiamo aspettando dalla Tua provvidenza quel mezzo che valga a sottrarci dal furore degli Egiziani: noi guardiamo a Te. Giunga presto questo aiuto che ci manifesti la Tua potenza, solleva il cuore del popolo prostrato dalla disperazione nella quale è immerso, sollevalo alla serenità e alla fiducia nella salvezza.
Libro II:337 Le angustie nelle quali ci troviamo in potere di altri, sono sotto il Tuo dominio. Tuo è il mare e Tua la montagna che ci circonda; aprilo, dunque, al Tuo comando. Il mare diventi terra asciutta, oppure facci sfuggire attraverso l'aria, se la Tua onnipotenza vuole che siamo salvati così.
Libro II:338 - 2. Dopo questa solenne invocazione a Dio, batté il mare col suo bastone. A quel colpo il mare indietreggiò, si ritrasse in se stesso, lasciò la terra nuda offrendo agli Ebrei la via per la fuga.
Libro II:339 Mosè, vedendo la chiara manifestazione di Dio e il mare ritirarsi dal proprio letto per far posto a loro, alzò il piede e per primo lo pose su di esso, e ordinò agli Ebrei di proseguire il viaggio per questa via aperta da Dio, allegri aspettando l'avanzata del loro nemico e ringraziando Dio per la salvezza così miracolosamente manifestata.
Libro II:340 - 3. Sicuri della presenza soccorritrice di Dio, essi non stettero indecisi, ma si avvicinarono con grande entusiasmo. All'inizio gli Egiziani li credettero impazziti, come colui che si getta a occhi aperti, in un precipizio a morte sicura, ma quando videro che proseguivano senza alcun danno, senza incontrare impedimento né difficoltà, subito si alzarono per inseguirli, immaginando che il mare restasse immobile anche per essi, e, mandata avanti la cavalleria, iniziarono la discesa.
Libro II:341 Ma gli Ebrei li precedettero ed emersero indenni sulla riva opposta, mentre i loro nemici, con l'ingombro delle armi, persero tempo; questo tuttavia stimolava l'entusiasmo degli inseguitori che credevano che anch'essi sarebbero passati indenni.
Libro II:342 Gli Egiziani ignoravano che quella era diventata una strada esclusivamente per gli Ebrei, quella sulla quale stavano per mettere i piedi, non era un passaggio comune, ma una strada per la salvezza di chi si trovava in pericolo, non a uso di coloro che erano diretti alla loro distruzione.
Libro II:343 Così, quando l'esercito egiziano fu tutto dentro, il mare si riversò e le onde sospinte in basso dal vento coprirono gli Egiziani, dal cielo cadevano torrenti d'acqua, mentre in alto scoppiavano tuoni con fulmini spaventosi.
Libro II:344 In breve, non mancava alcuna delle forze distruttive che la collera di Dio mette all'opera per distruggere l'umanità: li avvolse ancora una notte tempestosa e oscurissima. Così perirono tutti, non ne scampò neppure uno che al ritorno potesse dare notizia della sciagura ai rimasti a casa.
Libro II:345 - 4. Gli Ebrei erano fuori di sé per l'incontenibile gioia di una salvezza così straordinaria, e per la distruzione dei loro nemici, con piena sicurezza. Ora si credettero in libertà. Poiché erano periti i tiranni che li avevano asserviti, mentre Dio li aveva favoriti in modo così manifesto.
Libro II:346 Essi, dunque, fuggiti dal pericolo in questo modo che non ha esempio nei tempi andati, passarono tutta la notte in canti di gioia; e Mosè compose un inno, in esametri, a lode di Dio, a ringraziamento della Sua benevolenza.
Libro II:347 - 5. Io ho narrato qui tutti i particolari così come li ho trovati nei Libri Sacri. Nessuno si meravigli di un racconto così paradossale, né dubiti che nei tempi antichi, a uomini senza crimini, sia capitato di trovare la via della salvezza attraverso il mare, sia per volere di Dio, sia per un caso,
Libro II:348 come, non è ancora molto tempo, davanti all'esercito di Alessandro, re di Macedonia, il mare di Panfilia si ritrasse allorché non v'era altra strada, e offrì un passaggio, quando a Dio piacque che sconfiggesse l'egemonia dei Persiani; a riferire tale evento concordano quanti narrano le imprese di Alessandro. A proposito di questi eventi, ognuno la pensi a modo suo.
Libro II:349 - 6. All'indomani la direzione delle onde e la forza dei venti portarono le armi degli Egiziani all'accampamento degli Ebrei che si trovava in quella direzione. Mosè suppose che anche questo fosse dovuto alla provvidenza di Dio, affinché non restassero privi di armi: egli le raccolse, e con esse protesse gli Ebrei e li condusse verso il Monte Sinai per innalzare qui sacrifici a Dio e offrire ringraziamenti per la liberazione della moltitudine dal pericolo, come gli era stato ordinato.