Libro III°
Inizio del cammino nel deserto: acqua,
manna, quaglie
Libro III:1 - I, I. - Gli Ebrei, salvati in maniera così strepitosa, si trovarono nuovamente nel bisogno allorché erano guidati al Monte Sinai. La regione, completamente deserta, non aveva il necessario per vivere e in essa vi era un'estrema scarsità di acqua; il nudo suolo non produceva nulla per l'uomo, ma era anche inadatto a sostenere qualsiasi specie di animali, essendo completamente arido e privo dell'umidità bastevole per la crescita di qualsiasi vegetazione. Tale era la regione nella quale erano costretti a camminare, nessun'altra strada era loro aperta.
Libro III:2 Dalla regione che avevano attraversato, avevano portato con loro un po' di acqua, per ordine del loro capo, e quando questa fu esaurita cercarono di trarne un po' dai pozzi, ma era un lavoro di grande fatica a motivo della durezza del suolo, e quella che si trovava era amara, imbevibile e scarsa.
Libro III:3 Procedendo in questo modo, verso sera giunsero a Mar: luogo da essi chiamato così per il cattivo sapore dell'acqua; mar significa “amarezza”. Quivi, spossati dal continuo viaggiare e dalla scarsità del cibo, allora finito del tutto, si fermarono.
Libro III:4 C'era infatti un pozzo, ulteriore motivo per fermarsi, ma era insufficiente per il numero di quella moltitudine; fu un breve sollievo per essi che si trovavano in quelle regioni. Dai loro esploratori avevano, infatti, udito che procedendo avanti non ce n'era più. Quell'acqua, amara com'era e imbevibile non solo dagli uomini, ma anche dalle bestie, la trovarono intollerabile.
Libro III:5 - 2. Vedendo l'abbattimento in cui si trovano e l'indiscutibile difficoltà dell'impresa - non si trattava, infatti, di un esercito che avrebbe potuto contrapporre il valore alla forza della necessità, ma di una folla di donne e di fanciulli troppo deboli per rispondere soltanto a parole di incoraggiamento - Mosè venne a trovarsi in una condizione ancora più dolorosa, in quanto egli faceva proprie le disavventure degli altri.
Libro III:6 Poiché non si ricorreva ad altri che a lui: le donne imploravano a favore dei fanciulli, i mariti perché non si trascurassero le loro mogli, ma si provvedesse a qualche mezzo di salvezza. Egli dunque si volse a pregare Dio affinché facesse mutare la proprietà di quell'acqua, presentemente cattiva, rendendola potabile.
Libro III:7 Dio acconsentì a concedere questo favore; allora egli afferrò per la punta un bastone che, occasionalmente, scorse ai suoi piedi, lo spezzò, e disse agli Ebrei che Dio aveva esaudito le sue preghiere, e aveva promesso di rendere l'acqua come essi desideravano, purché fossero pronti a eseguire i Suoi ordini alacremente e senza recriminazioni.
Libro III:8 Alla loro domanda su che cosa dovessero compiere perché l'acqua diventasse migliore, rispose ordinando che i più vigorosi per l'età e per la forza attingessero acqua, aggiungendo che quella che sarebbe rimasta, dopo che essi ne avevano eliminato la parte maggiore, sarebbe stata potabile. Essi si accinsero all'opera: e purificata dalla continua agitazione l'acqua divenne, poco alla volta, potabile.
Libro III:9 - 3. Levate di là le tende, giunsero a Elim, un posto che da lontano era bello da vedere, perché vi erano delle palme; ma da vicino si rivelò cattivo: le palme, non più di una settantina, erano cresciute stentate, meschine di statura per la scarsità dell'acqua, e tutta la regione era secca;
Libro III:10 dalle fonti presenti, dodici di numero, non fluiva liquido sufficiente per annaffiarle poiché non potevano zampillare e venire alla superficie essendo provviste soltanto di poche gocce, e scavando il terreno sabbioso, non si otteneva nulla, e se qualcuno ne raccoglieva in mano le gocce, non ne aveva alcun vantaggio, tanto erano limacciose.
Libro III:11 Gli alberi non avevano la forza di fruttificare perché la scarsità dell'acqua non dava loro il necessario stimolo e conforto. Fu così che essi (gli Ebrei) trassero motivo per incolpare e denunziare il loro condottiero affermando che per causa sua erano giunti nelle miserie e sofferenze che stavano
sperimentando: in lui additarono la causa dei mali che soffrivano. Era quello il trentesimo giorno di viaggio, avevano finito quanto avevano portato con sé ed erano tutti esausti; non trovando più nulla, disperavano di tutto.
Libro III:12 La loro mente sovrastata dal male presente, era lungi dal ricordare le benedizioni ricevute da Dio, e le doti e la sagacia di Mosè. Indignati contro la guida, erano sul punto di lapidarlo come l'unico responsabile del presente malessere.
Libro III:13 4. Egli, tuttavia, in mezzo a una moltitudine tanto surriscaldata e inasprita ferocemente contro di lui, fiducioso in Dio e nella propria coscienza, consapevole della cura avuta verso i suoi connazionali, andò in mezzo a loro nonostante schiamazzassero e afferrassero anche i sassi; e con la grazia che fioriva sul suo volto, e quella eloquenza che sapeva muovere una moltitudine, iniziò a temperare la loro collera.
Libro III:14 Li esortò affinché le presenti angustie non facessero loro dimenticare i benefici del passato, e le tristezze presenti non facessero perdere la memoria dei favori e dei grandi e straordinari doni avuti da Lui, e attendere che anche da questa ristrettezza li avrebbe liberati la generosa grazia di Dio.
Libro III:15 Poiché si trattava, probabilmente, di una prova della sollecitudine di Dio per constatare se avessero la necessaria sopportazione, se avessero memoria del passato, e per vedere se la loro mente, a motivo delle calamità presenti, con le quali li esercitava, avesse dimenticato i benefici passati.
Libro III:16 Ma si convinsero di non essere buoni né quanto alla sopportazione, né quanto al ricordo dei benefici passati, dimostrando noncuranza di Dio non meno che del Suo scopo in conformità del quale avevano lasciato l'Egitto, dimostrando così misconoscenza verso di lui, Suo ministro, che mai li aveva ingannati in quanto aveva detto e comandato in nome di Dio.
Libro III:17 Ed elencò ogni cosa: come gli Egiziani fossero stati distrutti, mentre tentavano di trattenere contro il volere di Dio; in che modo, per loro, la stessa acqua del fiume si trasformò in sangue imbevibile, mentre per loro rimase potabile e dolce;
Libro III:18 come erano passati attraverso le acque del mare, ritiratesi davanti a loro aprendo una nuova strada nella quale trovarono la salvezza, mentre avevano visto perire i loro nemici; allorché, non avendo essi armi, Dio li provvide in abbondanza anche di esse; in fine ricordò tutte le altre occasioni
nelle quali pareva che stessero per perdersi, e Dio inaspettatamente li aveva salvati, come è in Suo potere.
Libro III:19 Anche al presente, non disperino, dunque, della Sua provvidenza, e attendano con pazienza; pensino che il Suo aiuto non tarda e ha lasciato che prima sperimentassero lo sconforto: non è per negligenza che Dio tarda, ma per provare il loro valore e il loro piacere della libertà,
Libro III:20 “affinché possa vedere se essi sono capaci di sostenere la mancanza di cibo e la scarsità d'acqua, oppure preferiscono la schiavitù, come gli animali che servono padroni che li nutrono in abbondanza per i servizi resi da loro”.
Libro III:21 Egli aggiunse che se aveva paura di qualcosa, non era tanto la propria salvezza, giacché per lui non sarebbe stata una disgrazia l'essere ammazzato ingiustamente, ma erano loro, in quanto lanciando quelle pietre contro di lui, giungessero a pensare di condannare Dio.
Libro III:22 - 5. Così li calmò e li ritrasse dal focoso impulso di lapidarlo che avevano, e li indirizzò a pentirsi dell'azione che erano in procinto di compiere. Giudicando però che le necessità quali si trovavano non erano irragionevoli, ritenne di dovere presentarsi a Dio con suppliche e preghiere; e salito sopra una collina, domandò per il suo popolo aiuto e liberazione dai bisogni:
Libro III:23 in Lui, infatti, e in nessun altro era la salvezza e il perdono del popolo per quello che aveva fatto proprio ora, spinto dal bisogno; sapeva bene che la natura dell'uomo è bizzarra e incontentabile nella sfortuna. E Dio lo rassicurò che avrebbe provveduto dando ciò che bramavano.
Libro III:24 Ottenuto da Dio tale responso, Mosè scese alla moltitudine; ed essi vedendolo tutto raggiante per le promesse ricevute da Dio, passarono dall'abbattimento alla gioia. Giunto in mezzo a loro disse che era venuto da parte di Dio ad annunziare la liberazione dai mali che al presente li opprimevano.
Libro III:25 Poco dopo una nuvola di quaglie, si tratta di una specie di uccelli che abbonda soprattutto nel Golfo Arabico, valicò il tratto di lingua di mare e sia per la stanchezza del lungo volo sia per la tendenza alla terra che questo volatile ha più di ogni altro, venne a posarsi sull'accampamento degli Ebrei; questi le raccolsero come un cibo offerto da Dio come ristoro alla loro fame. Mosè innalzò subito ringraziamenti a Dio per il sollecito soccorso, e per la mantenuta promessa.
Libro III:26 - 6. Subito dopo questa prima provvista di cibo, Dio ne mandò loro una seconda. Mentre Mosè alzava le mani in preghiera, discese dal cielo una rugiada e, siccome si attaccava alle sue mani, Mosè si accorse che anche questo era un nutrimento mandato loro da Dio: la assaggiò, era delizioso.
Libro III:27 La moltitudine, non conoscendola, la prese per neve e attribuì il fenomeno alla stagione dell'anno, ma egli insegnò loro che la rugiada che discendeva dal cielo non era ciò che pensavano, ma era per la loro salvezza e nutrimento e, assaggiatala, ordinò di fare la stessa cosa per convincersi.
Libro III:28 Imitando la loro guida, essi assaggiarono il cibo. In dolcezza e delizia aveva il sapore del miele, e assomigliava all'odore della pianta chiamata bdellio e per grandezza era come i semi di coriandolo, e tutti si adoperavano a raccoglierla con gran cura.
Libro III:29 Ma fu ordinato che ne raccogliessero tutti in uguale misura, un assaron (questo è il nome di una misura) ogni giorno, dato che essa non sarebbe mancata mai, affinché non avvenisse che ai più deboli non rimanesse nulla perché i loro fratelli forti li avevano sopraffatti accumulandone una quantità maggiore in ragione della loro forza.
Libro III:30 Chi, ciononostante, ne raccolse una quantità maggiore della prescritta, non ne aveva più dell'altro se non la sola fatica, poiché si trovava con un assaron, né più né meno; se qualcosa si lasciava per il giorno dopo, non serviva a nulla, perché veniva guastato dai vermi e diveniva amaro: così divino e miracoloso era questo cibo.
Libro III:31 A chi lo prendeva, eliminava il bisogno di ogni altro cibo; e ancora oggi tutta quella regione è annaffiata da una pioggia simile a quella che allora, in favore di Mosè, fu mandata giù dalla Divinità a nutrimento degli uomini.
Libro III:32 Gli Ebrei chiamarono questo cibo “manna”; nella nostra lingua, man è una particella interrogativa corrispondente a “che cos'è questo?”. Essi seguitarono a godere del cibo disceso loro dal cielo: e vissero di questo cibo per quarant'anni, per tutto il periodo che stettero nel deserto.
Libro III:33 - 7. Quando partirono di qui raggiunsero Rafidin, e si trovavano stremati per la sete. Nei giorni precedenti avevano incontrato scarse sorgenti, ma allora si trovavano in una terra assolutamente senz'acqua: erano a mal partito, e indirizzarono nuovamente la loro rabbia contro Mosè.
Libro III:34 Egli per un poco si sottrasse alla furia della folla, poi si mise a pregare Dio, supplicando che come aveva fatto prima, quando diede loro da mangiare, così ora desse anche da bere, poiché la gratitudine per il vitto sarebbe svanita, se fosse venuta meno la bevanda.
Libro III:35 Egli non rinviò di molto l'esaudimento, promettendo a Mosè che gli avrebbe dato un'abbondante sorgente d'acqua da dove non si aspettavano. Gli diede ordine di colpire, col bastone, la roccia che era là davanti ai loro occhi, e trarre da essa la provvista di cui abbisognavano: Egli avrebbe predisposto che l'acqua sgorgasse senza alcuna opera o fatica da parte loro.
Libro III:36 Ricevuta da Dio tale risposta, Mosè si avvicinò al popolo che aspettava con gli occhi fissi su di lui che avevano visto affrettarsi dalla collina. Quando giunse, disse loro che Dio li avrebbe liberati dalla presente necessità e gratificati della salvezza in un modo inaspettato, dicendo: “Dalla roccia sarebbe sgorgata per loro una quantità di acqua”.
Libro III:37 Stanchi, com'erano, per il viaggio e per la sete, restarono atterriti pensando di dovere tagliare la roccia; ma Mosè la colpì col bastone e, apertasi, ne sgorgò molta e limpidissima acqua.
Libro III:38 Storditi da questa meraviglia, la cui semplice vista fece scordare la sete, bevettero e trovarono la corrente dolce e deliziosa, tanto che appariva proprio un dono di Dio. Ammiravano, poi, Mosè che godeva di una stima così alta davanti a Dio; e contraccambiarono offrendo sacrifici per la provvidenza che Dio dimostrava per il loro benessere. Una iscrizione nel tempio attesta che Dio aveva preannunziato a Mosè che l'acqua sarebbe sgorgata dalla roccia.
Guerra contro gli Amaleciti
Libro III:39 - II, I. - La fama degli Ebrei era ormai diffusa ovunque e si parlava di loro dappertutto. Gli abitanti della regione ne restavano non poco intimoriti, si scambiavano ambasciate, si incitavano reciprocamente a resistere a questa gente e distruggerla.
Libro III:40 Istigatori di tale movimento erano gli abitanti di Gobolite e di Petra che si chiamavano Amaleciti, il popolo più bellicoso dei dintorni. Erano i loro re che si scambiavano ambascerie e incitavano i popoli vicini a fare guerra agli
Ebrei. “Un esercito di stranieri, dicevano, è fuggito dalla schiavitù egiziana ed è in attesa di attaccarci; non è conveniente sottovalutarli,
Libro III:41 prima che si rinforzino, si procurino nuove risorse e aprano per primi le ostilità contro di noi; è più prudente e sicuro disfarsene punendoli di essere venuti nel deserto e di quanto hanno fatto in esso, piuttosto che aspettare fìno a quando alzeranno le mani sulle nostre città e sui nostri beni.
Libro III:42 Coloro che si adoperano per schiacciare una potenza nemica nel suo nascere si dimostrano più prudenti di coloro che vorrebbero impedirne gli sviluppi allorché si è già messa in moto; poiché appaiono inorgogliti della sovrabbondante forza degli altri, sebbene per ora non diano alcun pretesto”. Suggerivano tali cose con ambasciate ai distretti vicini e reciprocamente decisero di uscire in guerra contro gli Ebrei.
Libro III:43 - 2. Mosè non s'aspettava alcuna ostilità, ma l'insurrezione dei nativi generò dubbi e perplessità. Quelli erano già avanti nella preparazione alla lotta, e occorreva ormai affrontare il pericolo; nella folla degli Ebrei sorse una grave agitazione: sprovvisti di ogni cosa, dovevano confrontarsi con uomini equipaggiati di tutto punto.
Libro III:44 Mosè, dunque, iniziò a infondere coraggio; li esortò a confidare nel favore di Dio dal quale avevano ottenuto la libertà e nel quale avrebbero trionfato ponendosi in lotta contro quelli per difenderla;
Libro III:45 dovevano persuadersi che il loro esercito era grande e provvisto di tutto - armi, denaro, provvigioni, e quanto è necessario a uomini che si apprestano alla guerra - e tenere presente che avendo Dio come loro alleato, erano in possesso di tutto. Mentre l'esercito dei nemici doveva apparire meschino, inerme, debole, poiché Dio sa bene come stanno le cose, e non vuole che abbiano il sopravvento su di loro.
Libro III:46 Da molte esperienze di ben più terribili guerre, sapevano quale protettore avessero in Lui; questa si fa contro uomini, ma quando si erano trovati in situazioni disperate come la fame, la sete, le montagne e il mare, non avevano alcuna via d'uscita e tuttavia ne uscirono vittoriosi grazie al favore di Dio. Ora li esortava a dimostrare un coraggio ardente col pensiero che l'abbondanza di ogni cosa sarebbe stata, in fine, la ricompensa della disfatta dei nemici.
Libro III:47 - 3. Con tali parole Mosè animava la moltitudine: chiamò i capi delle tribù e individualmente gli altri ufficiali e tutti insieme; esortò i giovani a obbedire agli anziani, e questi ad ascoltare a loro generale.
Libro III:48 Quelli, col cuore gonfio per il pericolo, erano pronti ad affrontare l'asprezza dello scontro sperando di venire presto liberati da quelle avversità, e incitavano Mosè affinché li guidasse subito ad affrontare i nemici, poiché il loro indugio avrebbe potuto raffreddare il loro ardore.
Libro III:49 Tutti quelli atti alle armi, egli li separò dalla moltitudine e mise a capo di loro Gesù, figlio di Nauecos, della tribù di Efraim, uomo di grande coraggio, abituato alla fatica, largamente dotato di intelligenza, abile a parlare, e timorato di Dio con una pietà singolare imparata da Mosè, (uomo) che godeva della stima degli Ebrei.
Libro III:50 Collocò un numero ridotto di uomini armati come custodia attorno all'acqua, per i ragazzi, le donne e per tutto l'accampamento; tutta quella notte fu spesa nella preparazione: riparando le armi, o, e ce n'era bisogno, per essere pronti a scagliarsi nella mischia non appena Mosè avesse dato l'ordine; anche Mosè vegliò per ammaestrare Gesù su come ordinare il campo.
Libro III:51 All'apparire del giorno, prima fece nuovamente coraggio a Gesù affinché dimostrasse con i fatti (la bontà) delle speranze che erano state riposte su di lui, e a guadagnarsi, col comando, la stima delle truppe con i suoi successi; incoraggiò uno per uno i più notabili degli Ebrei; e infine infiammò tutta la moltitudine armata.
Libro III:52 Animato così l'esercito con le parole e con tutte le opere preparatorie, si ritirò sulla montagna, lasciando la truppa a Dio e a Gesù.
Libro III:53 - 4. I combattenti si scontrarono dando inizio alla mischia. Si venne all'attacco con slancio e grande coraggio da ambo le parti. Fino a quando Mosè teneva le braccia alzate "gli Amaleciti erano battuti dagli Ebrei, ma non potendo più sopportare le braccia elevate, e vedendo che ogni volta che le abbassava i suoi erano battuti,
Libro III:54 ordinò a suo fratello Aaronne e al marito di sua sorella Mariamme, di nome Ur, di mettersi ai suoi fianchi per sorreggergli le braccia di modo che, col loro aiuto, non cadessero. Fatto questo, gli Ebrei ottennero una vittoria completa sugli Amaleciti, che sarebbero periti tutti quanti, se non fosse sopraggiunta la notte ad arrestare la strage.
Libro III:55 Molto famosa e opportuna fu la vittoria dei nostri progenitori, perché, superando i loro avversari, gettarono lo spavento tra i vicini, si procacciarono ricchezze e sostanze in abbondanza che ricompensarono la loro fatica. Conquistato il campo nemico, ne ebbero grandi ricchezze sia in comune sia privatamente; ai nemici, invece, non era rimasto neppure il necessario per vivere.
Libro III:56 Né fu soltanto per il presente, ma anche per l'avvenire che il successo in questa battaglia si dimostrò generoso in benedizioni; giacché essi catturarono non solo il corpo dei combattenti, ma anche gli animi, e dopo di loro divennero una fonte di terrore per tutti i nemici vicini, mentre essi diventarono padroni di grandi ricchezze.
Libro III:57 Poiché nell'accampamento fu catturato argento e oro in abbondanza, e ancora vasellame di bronzo, del quale si servivano per mangiare, una quantità di monete di tutti e due questi metallo; e ancora vesti intessute, ornamenti che accompagnavano le armature, il restante loro servizio e apparato, la preda di ogni sorta di bestiame e tutto ciò che suole accompagnare un esercito che esce in campo.
Libro III:58 Gli Ebrei incominciarono a vantarsi del proprio valore ed avere alte aspirazioni all'eroismo, divennero solleciti alla fatica, convinti che per mezzo di essa potevano ottenere ogni cosa. Tale fu il risultato di questa battaglia.
Libro III:59 - 5. Il giorno dopo, Mosè spogliò i cadaveri dei nemici e raccolse le armi abbandonate dai fuggitivi; premiò i più valorosi e elogiò il generale Gesù, delle cui gesta era stato testimone tutto l'esercito. Degli Ebrei non era morto nessuno; e il numero dei nemici uccisi non era possibile contarlo.
Libro III:60 Offrì un sacrificio di ringraziamento ed eresse un altare invocando Dio col nome “Datore della vittoria”, e predisse che gli Amaleciti sarebbero stati completamente distrutti, non ne doveva sopravvivere neppure uno, perché avevano attaccato gli Ebrei mentre si trovavano in una terra desolata e sprovvisti di ogni cosa; e congedò le truppe con gioia.
Libro III:61 Questo fu il risultato della battaglia, la prima che essi hanno combattuto contro nemici che avevano osato affrontarli dopo l'uscita dall'Egitto. Celebrata la festa della vittoria, per pochi giorni dopo la battaglia, Mosè lasciò riposare gli Ebrei, in seguito li fece avanzare ordinatamente.
Libro III:62 Ora un numero considerevole era armato, avanzando poco alla volta, in capo a tre mesi dalla partenza dall'Egitto giunsero al Monte Sinai, dove egli si era incontrato con il cespuglio e aveva avuto altre apparizioni già riferite.
Incontro di Mosè col suocero
Libro III:63 - III, I. – Raguele, suo suocero, avendo saputo dei suoi successi, andò loro incontro con gioia con un caloroso benvenuto a Mosè, Saffora e ai loro figli. Mosè si rallegrò della visita del suocero, offrì un sacrificio e imbandì un ricco banchetto per il popolo vicino al cespuglio che era sfuggito alle fiamme.
Libro III:64 Tutta la moltitudine prese parte al banchetto ordinato in gruppi familiari, mentre Aaronne e i suoi, unicamente a Raguele, cantavano inni a Dio, autore e dispensatore della loro salvezza e libertà;
Libro III:65 cantarono anche le lodi del loro generale, per merito del quale ogni cosa era avvenuta secondo i loro desideri. E Raguele profuse elogi alla moltitudine per la riconoscenza dimostrata verso Mosè, e ammirò Mosè per la bravura dimostrata nella salvezza dei suoi amici.
Libro III:66 - IV, I. - Il giorno appresso Raguele osservò Mosè immerso in una moltitudine di affari: era, infatti, solito decidere le dispute di quanti accorrevano al suo aiuto; tutti andavano da lui pensando che avrebbero ottenuto giustizia soltanto se fosse stato lui a loro arbitro;
Libro III:67 anche un insuccesso non era cosa grave per loro, perché lui li rassicurava che non era il risultato di una prepotenza, ma della giustizia. Sul momento (Raguele) tacque non volendo togliere, a chi lo desiderava, il vantaggio di avvalersi del talento del loro capo. Ma finito il tumulto, lo prese in disparte e, a quattrocchi, gli suggerì ciò che doveva fare.
Libro III:68 Lo consigliò di affidare ad altri le controversie di poco conto, e riservare alla sua supervisione gli affari più importanti e il buon andamento di tutta la comunità; tra gli Ebrei avrebbe trovato altre persone capaci di rendere giustizia, mentre a provvedere al benessere di così tante migliaia non ci poteva essere altri all'infuori di Mosè.
Libro III:69 “Conscio dei tuoi meriti, disse, e della parte che hai avuto cooperando con Dio per salvare questo popolo, permetti che affidino anche ad altri il compito di arbitrare nelle loro dispute, e tu seguita a occuparti
esclusivamente al servizio di Dio cercando con quali mezzi potrai liberare tutto il popolo dalle angustie presenti.
Libro III:70 Segui i miei consigli negli affari umani: passa in rassegna accuratamente l'esercito, dividilo in gruppi di diecimila sui quali porrai dei capi scelti; poi procederai alla divisione in gruppi di mille sui quali tu porrai dei capi scelti, poi procederai a dividerli in gruppi di cinquecento; e questi ancora in gruppi di cento, e poi ancora di cinquanta. Designerai, in fine, degli ufficiali su di essi disponendoli in sezioni di trenta, di venti e di dieci.
Libro III:71 Ogni gruppo abbia il suo capo e prenda il titolo dal numero degli uomini sotto il suo comando; costoro siano approvati dalla moltitudine come persone oneste e giuste;
Libro III:72 siedano in giudizio per le loro dispute e deferiscano i casi più gravi alla decisione dei capi superiori; se il caso è difficile lo deferiscano a te. Questo ti assicurerà due cose: gli Ebrei otterranno giustizia, e tu col tuo assiduo attendere al servizio di Dio, concilierai sempre più all'esercito la Sua benevolenza”.
Libro III:73 - 2. Così suggerì Raguele, e Mosè volentieri accolse e seguì le sue proposte: non nascose l'autore di tale procedimento, non l'attribuì a se stesso, ma apertamente espose alla moltitudine, a chi risaliva.
Libro III:74 Anche nei libri è scritto che fu Raguele l'inventore dell'anzidetto sistema, persuaso che sia cosa onesta testimoniare la verità a favore di chi ne è degno, qualunque sia la gloria che ne possa andare a colui che ascrivesse a sé le invenzioni altrui. Anche in questo, ognuno può constatare la probità di Mosè; e di questa avremo occasioni abbondanti di parlare in altre parti dell'opera.
Preparazione all'alleanza, manifestazione di Dio,
il decalogo
Libro III:75 - V, I. - Mosè, convocata l'assemblea, disse che si ritirava sul Monte Sinai per comunicare con Dio e dopo avere ricevuto da Lui qualcosa di utile, ritornare da loro; ordinò che da parte loro piantassero l'accampamento vicino alla Montagna dando la preferenza alla vicinanza di Dio.
Libro III:76 Detto questo si incamminò sul Sinai, il monte più alto di quella regione che per la sua mole smisurata, non meno che per gli scoscesi dirupi, non solo è inaccessibile a qualsiasi uomo, ma non è neppure possibile contemplarlo
senza stancarsi gli occhi; d'altra parte correvano voci che qui soggiornasse Dio, e ciò incuteva paura e lo rendeva inavvicinabile.
Libro III:77 Tuttavia, ottemperando agli ordini di Mosè, gli Ebrei si spostarono verso il monte e lieti ne occuparono le pendici col pensiero che Mosè sarebbe ritornato dall'incontro con Dio con le promesse di benedizioni che aveva fatto sperare.
Libro III:78 In maniera festosa aspettavano il condottiero, mantenendosi in una generale purezza: si astenevano in particolare dall'unione con le loro mogli per tre giorni, come egli aveva ordinato, supplicavano Dio di trattare benevolmente Mosè e di volergli concedere la grazia di promuovere la loro felicità. Poi si diedero a una maniera di vivere più festosa e insieme alle mogli e ai figli indossarono abiti vistosi.
Libro III:79 - 2. Passarono due giorni banchettando. Nel terzo giorno, allo spuntare del sole, una nuvola, di cui finora non avevano visto l'eguale, si distese su tutto l'accampamento degli Ebrei, e abbracciò tutto il tratto occupato dalle loro tende,
Libro III:80 e mentre il resto del cielo rimaneva sereno, qui soffiavano venti impetuosi minaccianti grandi piogge, guizzavano lampi spaventosi ai loro occhi, saette furibonde cadevano dal cielo: erano segni della presenza di Dio mostrantesi benevola verso i desideri di Mosè.
Libro III:81 Su questi eventi ognuno dei miei lettori può pensare come gli aggrada; per quanto mi riguarda, io sono impegnato a riferirli così come si trovano narrati nei libri sacri. Agli Ebrei, intanto, la vista di tali cose e lo strepito che riempiva le loro orecchie suscitava un grande spavento perché non vi erano abituati;
Libro III:82 ma soprattutto le voci che rimbombavano intorno al monte, quasi che Dio stesso fosse disceso su di esso, stordivano notevolmente la loro mente. Essi, dunque, se ne stavano pensierosi dentro le tende; e siccome pensavano che Mosè fosse ucciso dall'ira divina, paventavano per se stessi un'uguale sorte.
Libro III:83 - 3. Tale era la situazione degli animi, quando improvvisamente apparve Mosè raggiante e maestoso. La semplice vista di lui sciolse ogni paura dal loro animo e li confortò a ben sperare per l'avvenire.
Libro III:84 Dopo questo convocò la moltitudine in assemblea ad ascoltare quello che Dio gli aveva detto; e quando si radunarono egli si pose in un luogo elevato per essere udito da tutti: “Ebrei, disse, come altre volte così ora Dio mi accolse benignamente e volendo additarvi una maniera di vivere felice in una società ordinata, Egli stesso viene nell'accampamento.
Libro III:85 Nel Suo nome dunque e nel nome di tutto quanto Egli ha fatto per voi, non prendete alla leggera quanto verrà detto mirando soltanto a me che vi parlo o la lingua umana che a voi si rivolge. Notate, piuttosto, la loro eccellenza e riconoscerete la grandezza di Colui che le ha concepite a vantaggio vostro e non ha disdegnato di dirle a me.
Libro III:86 No, non è Mosè, figlio di Amaram e Jochabed, ma Colui che per voi costrinse il Nilo a scorrere sanguigno e con molteplici flagelli domò la caparbietà degli Egiziani, Colui che aprì per voi una via attraverso il mare, Colui che fece scendere carne dal cielo allorché ne eravate sprovvisti, Colui che fece scaturire acqua dalla roccia quando voi ne avevate bisogno;
Libro III:87 grazie a Lui Adamo ebbe i prodotti della terra e del mare, e Nachos trovò scampo durante il diluvio; grazie a Lui Abramo, nostro progenitore, passò dalla condizione di pellegrino a quella di abitante nella terra di Canaan; grazie a Lui fu generato Isacco da genitori già anziani; grazie a Lui Giacobbe ebbe il vanto di dodici figli, e Giuseppe divenne il signore dell'Egitto: è Lui che per mezzo mio, Suo interprete, vi concede il favore di queste parole.
Libro III:88 Siano da voi venerate; combattete per esse più che per i figli e le mogli. Attenendovi a esse la vostra vita sarà felice, avrete una terra feconda e un mare tranquillo, abbondanza di figli in maniera naturale, sarete temuti dai nemici. Poiché io sono stato ammesso alla presenza di Dio, ho udito una Voce immortale: tanto è l'interesse che Egli ha per la nostra stirpe e per la sua continuità”.
Libro III:89 - 4. Così dicendo, fece avvicinare il popolo con donne e bambini perché udissero Dio parlare loro in merito ai doveri, affinché la lingua umana non fosse impari all'eccellenza di parole trasmesse debolmente alla loro conoscenza.
Libro III:90 Tutti udirono una Voce discendere dall'alto alle orecchie di tutti, in modo che non sfuggisse loro nessuna delle dieci parole che Mosè aveva inciso sulle due tavole, e che a noi non è lecito svelare palesemente alla lettera; ma ne indicheremo il senso.
Libro III:91 - 5. La prima parola ci insegna che Dio è uno, e che solo Lui deve essere venerato. La seconda ordina di non fare alcuna immagine di creatura vivente per adorarla. La terza di non giurare per Dio su di una frivolezza qualsiasi. La quarta di osservare il settimo giorno astenendoci da ogni lavoro.
Libro III:92 La quinta di onorare i genitori. La sesta di astenersi dagli omicidi. La settima di non commettere adulterio. L'ottava di non rubare. La nona di non addurre falsa testimonianza. La decima di non desiderare nulla di quanto appartiene a un'altra persona.
Libro III:93 - 6. La moltitudine gioiva udendo dalla stessa bocca di Dio, quanto esponeva loro Mosè; rallegrandosi per questi comandamenti, l'assemblea si sciolse. Ma nei giorni seguenti si recarono alla tenda della loro guida e lo pregarono affinché fosse lui a comunicare loro le leggi da parte di Dio.
Libro III:94 Egli dunque le stese giù e, a suo tempo, come dovevano comportarsi in ogni circostanza. Di queste leggi parlerò a suo tempo; in quanto la maggior parte delle leggi io le riservo per un altra opera , poiché intendo farne un'esposizione speciale.
I quaranta giorni sul Sinai. - legislazione cultuale
Libro III:95 - 7. Così andando le cose, Mosè salì nuovamente sul Monte Sinai, dopo avere avvertito gli Ebrei davanti agli occhi dei quali fece la salita. In seguito siccome il tempo passava - erano quaranta giorni pieni ch'egli era partito - gli Ebrei furono assaliti dal timore che a Mosè fosse accaduto qualcosa; e di tutte le disavventure loro succedute, nessuna li addolorava così profondamente quanto il pensiero che Mosè fosse perito.
Libro III:96 Sorsero tra gli uomini grandi contese: alcuni dicevano che egli fosse stato vittima di una fiera; e questa era l'opinione di quanti non erano ben disposti nei suoi riguardi;
Libro III:97 i moderati e quanti non erano soddisfatti di alcuno dei sentimenti su esposti, pensavano che l'essere morto sbranato dalle fiere era una eventualità umana, ma che la Divinità lo avesse preso per la sua intrinseca virtù era abbastanza verosimile. Con simili riflessioni si aiutavano a sopportare pazientemente la disgrazia.
Libro III:98 Credendo comunque di essere stati privati di un patrono e di un protettore del quale non avrebbero mai più trovato l'eguale, caddero in un profondo cordoglio. Nella loro ardente attesa di qualche buona notizia del loro eroe, non si permettevano di piangerlo, ma non potevano frenare la tristezza e la malinconia, né potevano sciogliere l'accampamento, dato che Mosè aveva loro ingiunto di aspettarlo là.
Libro III:99 - 8. Finalmente, passati quaranta giorni e quaranta notti, senza prendere alcun cibo di quelli che sono soliti prendere gli uomini, egli venne. La vista di lui riempì l'esercito di gioia; manifestò la provvidenza che Dio aveva per loro affermando che durante quei giorni Egli gli aveva indicato la maniera di governo che avrebbe promosso la loro felicità.
1 Il recinto e la tenda
Libro III:100 Egli desiderava che Gli fosse eretta una tenda, in modo che, disse, “ogni volta che voleva discendere, potesse venire in mezzo a loro sicché ogni volta che andiamo altrove possiamo prendere questa (tenda) con noi senza avere più bisogno di salire al Sinai, ma Egli stesso frequentando la tenda, sarà presente alle nostre preghiere.
Libro III:101 La tenda si edificherà con le misure e nell'ordine che Egli ha indicato; e voi siate diligenti nell'applicarvi al lavoro”. Detto questo, mostrò loro le due tavole sulle quali erano incise le dieci parole, cinque per parte: la scrittura era della mano di Dio.
Libro III:102 VI, I. - Essi poi si rallegrarono per quanto avevano visto e per quanto avevano sentito dal loro generale, e non mancarono di dimostrare tutto l'ardore di cui erano capaci: portarono argento, oro, bronzo, legnami di ottima qualità non soggetti ad alterazione, pelli di capra, pelli di pecora tinte in giacinto o in rosso, alcuni ne portarono di tinte di porpora, altri di tinte in bianco.
Libro III:103 Portarono anche lana tinta con gli stessi colori, bisso di lino e pietre preziose legate all'oro usate dall'uomo come ornamento prezioso, e una quantità di profumi. Con questo materiale Mosè fabbricò la tenda, che in verità non era altro che un tempio portatile itinerante.
Libro III:104 Adunati con cura questi materiali ai quali ognuno aveva contribuito anche aldilà delle proprie disponibilità, conforme all'ordine di Dio,
designò gli architetti per i lavori: e furono proprio quelli che la moltitudine avrebbe scelto, qualora ne avesse avuto l'autorità.
Libro III:105 I loro nomi, ricordati pure dai libri sacri, sono: Basael, figlio di Uri, della tribù di Giuda, nipote di Mariamme, sorella del capo, ed Ebbaz, figlio di Isamach, della tribù di Dan.
Libro III:106 La moltitudine diede mano ai lavori con tanto entusiasmo che Mosè la dovette trattenere facendo bandire a tutti che quanto era stato offerto bastava, come gli avevano comunicato gli addetti ai lavori.
Libro III:107 Seguitarono i lavori per la costruzione della tenda, e Mosè suggeriva ogni particolare attenendosi, per misura e grandezza, al disegno di Dio; e gli oggetti dovevano essere conformi a quelli ordinati per il servizio dei sacrifici. Anche le donne gareggiavano tra loro lavorando per le vesti sacerdotali e per tutto ciò che era necessario all'abbellimento e al servizio di Dio.
Libro III:108 - 2. Quando tutto fu pronto, oro, argento, bronzo e vesti, Mosè diede ordine per una festa e sacrifici conforme all'abilità di ognuno, e procedette all'erezione della tenda. Iniziò con la misurazione di ogni parte del recinto: era largo cinquanta cubiti, e lungo cento.
Libro III:109 Poi innalzò le colonne di bronzo alte cinque cubiti, erano venti per ognuno dei due lati più lunghi, e dieci quelle della larghezza formanti i due fronti. I capitelli erano d'argento, le basi di bronzo e fatte a calce di lancia; erano di bronzo anche le parti che sprofondavano in terra.
Libro III:110 Dentro i cerchi passavano delle funicelle attaccate da un capo a chiodi di bronzo grandi un cubito; questi, piantati in terra presso ogni colonna dovevano rendere la tenda immobile durante l'infuriare dei venti. Tra l'una e l'altra di tutte quelle correva una tenda di bisso finissimo che pendeva dal capitello, scendeva, ondeggiando, fino alla base e tutto in giro chiudeva quello spazio, sicché si distingueva appena da un muro.
Libro III:111 In questa maniera erano fatti i tre lati di quel recinto; nel quarto lato, lungo cinquanta cubiti e formante la facciata di tutta la struttura, vi era una apertura di venti cubiti a imitazione di una porta, ove da una parte e dall'altra eressero due colonne, come si usa nei vestiboli.
Libro III:112 Queste erano rivestite interamente di argento, ben lavorato, a eccezione delle basi che erano di bronzo. Da un lato e dall'altro del vestibolo vi
erano tre colonne, piantate nella stessa linea di quelle che sostenevano e assicuravano la porta; anche da queste pendeva un tessuto di bisso.
Libro III:113 Davanti alle porte, per la lunghezza di venti cubiti e l'altezza di cinque, si stendeva un arazzo di porpora di grana mista a giacinto e a bisso, bello ed elegante, con molti svariati disegni, ma privo di qualsiasi rappresentazione di animali.
Libro III:114 Entro le porte si trovava un grande vaso di bronzo con base dello stesso metallo, dove i sacerdoti potevano lavarsi le mani e aspergere d'acqua i loro piedi. Così era la sistemazione del recinto dell'atrio.
2. La tenda
Libro III:115 - 3. Nel mezzo di questo, egli collocò la tenda, rivolta verso oriente, di modo che il sole, al suo sorgere, gettasse in essa i suoi primi raggi. La sua lunghezza si estendeva per trenta cubiti e la larghezza dieci: uno dei suoi muri laterali era rivolto a meridione, l'altro a settentrione, il retro era a ponente; fu necessario pareggiare la sua altezza alla larghezza.
Libro III:116 Ognuno dei due lati constava di venti colonne di legno a forma quadrangolare larghe, ognuna, un cubito e mezzo e grosse quattro dita;
Libro III:117 queste erano rivestite completamente da placche d'oro, all'interno e sulle superfici esterne; e ciascuna di esse era provvista di due perni adattati in due cavità: quest'ultime erano di argento e ognuna aveva la propria apertura per l'innesto al perno.
Libro III:118 Il lato occidentale aveva sei colonne, e si univano così bene l'una all'altra che, una volta congiunte apparivano come un muro continuo, dorato sia dentro che fuori.
Libro III:119 Il numero delle colonne corrispondeva nella dovuta proporzione. (Nei lati lunghi) ve n'erano venti per parte, e ognuna aveva la larghezza (di un cubito e mezzo, e lo spessore) di un terzo di spanna, sicché occupavano trenta cubiti. Ma nel muro che correva dietro, dove le sei colonne unite non davano che nove cubiti, fecero altre due colonne di mezzo cubito l'una, che posero agli angoli ornate come le maggiori.
Libro III:120 Ognuna di queste colonne portava anelli d'oro attaccati nel lato esterno, come se qui avessero posto per ordine la loro radice, e l'uno era di fronte all'altro: attraverso di essi si introducevano stanghe dorate, lunghe, ciascuna, cinque cubiti che servivano per legare assieme le colonne, ognuna entrando col suo capo nell'altra per mezzo di un puntale intagliato a vite.
Libro III:121 Nella parte posteriore un'unica sbarra scorreva lungo tutte le colonne e in essa si introducevano le estremità delle stanghe che da ambedue i lati più lunghi terminavano là ove si univano incorporandosi le parti maschili con le parti femminili. Tutto ciò teneva compatta la tenda, in modo che non venisse sconnessa né dal vento né da qualsiasi altra causa, mantenendola immobile, in perfetta stabilità.
Libro III:122 - 4. All'interno divise tutta la sua lunghezza in tre parti: a dieci cubiti, misurati dal più interno, eresse quattro colonne, lavorate come le altre e poste su basi simili, ma sistemate a poca distanza tra loro; l'area interna a queste colonne costituiva l'àditon; il resto della tenda era aperto ai sacerdoti.
Libro III:123 Questa divisione della tenda rappresentava un'imitazione della natura universale; la terza di essa, all'interno delle quattro colonne, inaccessibile ai sacerdoti, era come il cielo, riservata a Dio; mentre i venti cubiti erano come la terra e il mare che sono accessibili agli uomini, venivano riservati ai sacerdoti.
Libro III:124 A fronte, dove essi entravano, innalzarono cinque colonne dorate su basi di bronzo. La tenda la coprirono con tessuti di bisso, di porpora, di giacinto, di grana, dai colori misti.
Libro III:125 Il primo di questi misurava dieci cubiti per parte ed era steso sopra le colonne che dividevano il tempio e nascondeva l'àditon, e questo rendeva quello spazio invisibile a ogni occhio. Il complesso del tempio si chiamava “Santo”; la parte più inaccessibile dentro le quattro colonne “Santo del Santo”.
Libro III:126 Questo velo era molto bello, coperto da ogni genere di fiori prodotti dalla terra e intessuto con tutti quegli ornamenti che gli potevano dare grazia, con la sola eccezione delle creature viventi.
Libro III:127 Un secondo (tessuto) corrispondente al primo nella - grandezza, nella tessitura e nel colore, girava attorno alle cinque colonne che stavano all'ingresso: era sostenuto da anelli all'angolo di ciascuna colonna e discendeva
dalla cima fino alla metà: il restante, dalla metà in giù, restava aperto per l'ingresso dei sacerdoti.
Libro III:128 Al di sopra di questo veniva un'altra copertura di lino, delle stesse dimensioni, tirata da ogni parte da cordoni e anelli che servivano ugualmente sia al velo che ai cordoni, in modo che poteva essere disteso da ogni parte o arrotolato e tirato in un angolo, affinché non togliesse la vista, soprattutto nei giorni solenni.
Libro III:129 Negli altri giorni, e in particolare quando il tempo era nevoso, veniva calato a protezione del telo ricamato; in seguito restò l'usanza, e viene continuata anche dopo che abbiamo edificato il tempio, si appende un simile telo di lino davanti all'ingresso.
Libro III:130 Gli altri dieci teli erano, ognuno, della larghezza di quattro cubiti e della lunghezza di ventotto, alle estremità erano provvisti di anelli d'oro per unire il pezzo femminile con il pezzo maschile tanto che si poteva pensare che fosse un solo telo; venivano poi le sovracoperte del tempio che lo coprivano completamente sia nella parte superiore che nelle parti laterali e posteriori e si mantenevano sollevate da terra di un cubito.
Libro III:131 Di uguale larghezza vi erano ancora altri teli, ma uno aveva una larghezza più considerevole, misurando trenta cubiti; erano intessuti di peli con non minore finezza di quelli di lana, e scorrevano con lungo strascico, fino a terra e alle porte presentavano un non so che somigliante a un frontone e a un padiglione, a quest'uso serviva l'undicesimo telo;
Libro III:132 altri teli di cuoio sormontavano questi, fatti a difesa e protezione dei tessuti sia contro l'ardore detestate sia contro le piogge occasionali. Uno stupore profondo colpiva quanti lo guardavano da lontano: i suoi colori assomigliavano esattamente a quelli che si vedono in cielo.
Libro III:133 Il telo di peli e quello di pelli scendevano ugualmente sul velo che stava alle porte per allontanare il calore dell'aria e il danno delle piogge. E in questo modo che fu costruita la tenda.
Libro III:134 - 5. Fu costruita inoltre, a onore di Dio, un'arca di legno duro e immune da tarli: nella nostra lingua è detta Eròn e la sua struttura era così.
Libro III:135 Aveva la lunghezza di cinque spanne, larghezza e altezza di tre spanne; all'interno come all'esterno era completamente laminata d'oro, sicché il legname era interamente nascosto; aveva un coperchio meraviglioso che le si univa con ganci d'oro e combaciava in modo così perfetto che non vi era alcuna disuguaglianza che disturbasse la connessione.
Libro III:136 Da ciascuno dei due lati più lunghi sporgevano due cerchi d'oro la cui punta penetrava nel legno da parte a parte: attraverso di essi passavano due stanghe dorate. Di modo che, quando necessario, si poteva spostare e trasportare: non era infatti trasportata da giumenti, ma portata a spalle dai sacerdoti.
Libro III:137 Sul coperchio vi erano infisse due sculture che gli Ebrei chiamano “cherubini”: sono animali alati la cui figura non assomiglia ad alcuna forma vista da uomo, e Mosè disse di averle viste scolpite sul trono di Dio.
Libro III:138 Dentro di essa depose le due tavole sulle quali erano state incise le dieci parole, cinque su di ognuna - due e mezzo su ogni facciata -. E queste depose nell'aditon.
4. La tavola dei pani della presenza
Libro III:139 - 6. Nel tempio installò una tavola come quelle di Delfi, della lunghezza di due cubiti, un cubito in larghezza, e tre spanne in altezza; poggiava su piedi che dalla metà in giù erano finemente lavorati a somiglianza di quelli con i quali i Darii reggono i loro letti; nella parte alta fino al piano avevano forma quadrangolare.
Libro III:140 Tutt'intorno alla tavola correva una cornice che da una estremità all'altra innalzava la superficie di ben quattro dita; a ognuno dei piedi della tavola era infisso un anello e attraverso di essi passavano stanghe interamente di legno rivestite di oro che non si potevano rimuovere.
Libro III:141 Poiché la parte dei piedi dove erano infissi gli anelli aveva una tacca per riceverli; né gli anelli formavano un cerchio continuo, perché anziché unirsi finivano in due punte una delle quali si inseriva nella parte superiore della tavola, e l'altra nel piede.
Libro III:142 Con queste stanghe veniva portata durante le marce. Sopra di questa, che era sistemata nella parte settentrionale del tempio, non lungi dalla parte più interna, ponevano dodici pani azzimi disposti in due file di sei, gli uni dirimpetto agli altri, fatti di farina purissima del peso complessivo di due assaron, misura degli Ebrei che equivale a sette cotile attiche.
Libro III:143 Sopra i pani si collocavano due tazze d'oro piene d'incenso. Dopo lo spazio di sette giorni, nel giorno che da noi è detto sabato, i pani venivano scambiati con altri pani. A ogni settimo giorno, noi diamo il nome di sabato. Altrove parlerò delle ragioni che li portò a tutto questo.
5. Il candelabro
Libro III:144 - 7. Di fronte alla tavola, vicino alla parete meridionale, era sistemato un candelabro d'oro fuso, vuoto all'interno, del peso di cento mine: questo (peso) gli Ebrei chiamano kíkkar, parola che tradotta in lingua greca equivale a un talento.
Libro III:145 Vi erano globuli, gigli, melagrane e tazzette, in tutto settanta: partivano da un'unica base e si innalzavano fino in cima a comporre un insieme diviso in tante parti quanto è il numero dei pianeti col sole.
Libro III:146 Termina in sette braccia posti per ordine l'uno affianco all'altro: in essi si inseriscono sette lucerne, ognuno la sua lucerna, richiamando il numero dei pianeti; le sette lucerne, a motivo della posizione trasversale del candelabro, sono rivolte a sud-est.
Libro III:147 - 8. Tra quest'ultimo e la tavola, della quale parlai prima, stava l'altare dei profumi: era di legno incorruttibile come tutti gli altri arredi, rivestito di una massiccia lamina d'oro; ogni lato aveva la larghezza di un cubito e l'altezza di due.
Libro III:148 Sopra aveva una graticola d'oro, che a ogni angolo portava una corona d'oro che la circondava tutt'intorno. Anche qui vi erano anelli e stanghette per mezzo delle quali veniva trasportato dai sacerdoti durante le marce.
Libro III:149 Di fronte alla tenda fu eretto un altare di bronzo, anch'esso aveva l'interno di legno; ogni lato misurava cinque cubiti e l'altezza era di tre cubiti; era ornato d'oro, coperto di lamine di bronzo e dotato di un braciere somigliante a una rete: il suolo costituiva il ricettacolo per tutto ciò che si bruciava e poi cadeva dal braciere, poiché la base sottostante non copriva tutta la superficie.
Libro III:150 Dirimpetto all'altare furono posti imbuti, caraffe, incensieri e vasellame. Tutto era d'oro come ogni altro oggetto per i sacrifici. Così era la tenda e tutto quanto la circondava.
7. Le vesti sacerdotali
Libro III:151 - VII, I. - Si fecero anche abiti per i sacerdoti, sia per la corporazione in generale, che chiamano chaanaia, sia per il sommo sacerdote, che chiamano col titolo arabache, che significa “sommo sacerdote”. i In generale, le vesti dei sacerdoti erano come segue.
Libro III:152 Quando il sacerdote si accinge a compiere il suo sacro ministero si sottopone alla purificazione prescritta dalla legge, indossa poi il cosiddetto machanase, parola che vuol dire “legatore”, in altre parole “la copertura dei lombi”, tessuto di bisso ritorto e cucito nel quale si entrava con i piedi come nei calzoni: verso la metà aveva lo spaccato e poi si stringeva salendo fino ai lombi.
Libro III:153 - 2. Sopra indossava un abito in doppia tela di bisso, chiamato chetomene, che significa fatto “di lino”: cheton è la nostra parola per il lino. Quest'abito è una tunica che discende fino ai piedi, avvolge il corpo e intorno alle braccia si stringe nelle maniche;
Libro III:154 si lega sopra il petto girando un po' più su delle ascelle, con una fascia larga all'incirca quattro dita tessuta con un vano che le dà la sembianza di una pelle di serpente: in essa sono ricamati diversi fiori con un intreccio di cremisi e porpora, giacinto e bisso; lo stame era di bisso puro.
Libro III:155 Siccome inizia i suoi giri dal petto, dopo averlo fasciato vi ritorna e viene raggruppata, e i due capi scendono fino ai piedi. Questo avviene soltanto quando il sacerdote non ha da compiere alcun ministero, si tratta, infatti, di un abito molto bello da vedere; ma siccome quando ha da attendere a qualche ministero o ai sacrifici sarebbe di impedimento alla sua azione, durante la quale si muove da una parte all'altra, la getta sulla spalla sinistra.
Libro III:156 Mosè la chiamò abaneth e noi abbiamo imparato a chiamarla emian dai Babilonesi: così, infatti, è da loro designata. Questa tunica non faceva pieghe da alcuna parte; aveva un'ampia apertura al collo e poi era legata in più bande per mezzo di cordicelle unite agli orli delle aperture, al petto, sopra le spalle all'uno e all'altro omero; è chiamata massabazanes.
Libro III:157 - 3. Sulla testa porta un berretto senza punta, che non copre tutto il capo, ma poco più della metà: si chiama masnaefthe .. La sua foggia era tale da sembrare una corona fatta da una benda ben grossa intessuta in lino, si piegava più volte con cuciture e raddoppiamenti;
Libro III:158 dall'alto le girava attorno un velo che discendeva passando fino sulla fronte per ricoprire il cucito della benda e con esso l'aspetto non gradito alla vista, mentre si stende sul capo uguale e piano, e la si aggiusta bene affinché non succeda che mentre compie i riti sacri gli cada dal capo. Abbiamo fin qui descritto quale fosse la natura dei vestiti dei sacerdoti ordinari.
8. Vesti del sommo sacerdote
Libro III:159 - 4. Nella stessa maniera si veste il sommo sacerdote, senza tralasciare alcuna delle cose anzidette. Ma oltre a ciò aggiunge: una sopravveste talare di giacinto, che nella nostra lingua si chiama meeir; si tratta di una cintura dalle stesse tinte della prima, ricamata in oro, che gli stringe la vita;
Libro III:160 all'orlo inferiore erano cucite delle frange che dal colore parevano melagrane e campanelle d'oro distribuite con molta fantasia, così che due campanelle stringevano in mezzo a loro due melagrane, e due melagrane una campanella.
Libro III:161 Questa tunica non è divisa in due pezzi con cuciture sulle spalle e sui fianchi, ma è un tessuto di un solo pezzo con una apertura al collo tagliata non per traverso, ma tagliata lungo il petto fino alla metà delle spalle: intorno a essa vi è un orlo per nascondere all'occhio la fenditura; fenditure simili vi sono ancora per le mani.
Libro III:162 - 5. Sopra questi abiti ne indossa ancora un terzo chiamato efod e assomiglia al greco epomis", fatto nel seguente modo: è un tessuto dell'altezza di un cubito, con ogni sorta di colori intrecciati con oro e non copre che la metà del petto: è provvisto di aperture per le braccia, e in tutto il resto è fatto come una tunica.
Libro III:163 Nel vano di questo abito è inserito un pezzo della dimensione di un palmo, ornato d'oro e con gli stessi colori dell'efod, ed è detto essen, che in lingua greca equivale a lòghion;
Libro III:164 esso riempie esattamente quel vano che i tessitori lasciarono vacante davanti al petto, e per mezzo di anelli d'oro a ognuno dei suoi angoli ad anelli corrispondenti attaccati all'efod, e un nastro di giacinto passa attraverso gli anelli collegandoli;
Libro III:165 per impedire qualsiasi cedimento alla parte mediana degli anelli, pensarono di cucirlo con filo di giacinto. L'epomis è allacciato per mezzo di due sardonici sistemati sopra le spalle con le estremità di oro perché si possano prendere.
Libro III:166 Sopra questi scolpirono i nomi dei figli di Giacobbe con i caratteri della nostra lingua, sei per ogni pietra, quelli dei figli più anziani sulla spalla destra; sull'essen vi erano ancora dodici grandi gemme di forma e bellezza straordinaria: il loro valore è così grande che nessun uomo ha la facoltà di acquistarle.
Libro III:167 Esse sono dunque ordinate per tre, in quattro file, incastonate nella stoffa con oro passato più volte nel tessuto per impedire che ne escano.
Libro III:168 Il primo ternario è composto da sardonico, topazio, smeraldo; il secondo presenta carbonchio, diaspro, zaffiro; il terzo inizia con giacinto e prosegue con amatiste, e in terzo luogo vi è agata: nove in tutta la serie; il quarto ordine inizia con il crisolito, poi l'onice, e in fine il berillo, che è l'ultimo.
Libro III:169 Su tutte le pietre vi erano intagliate le lettere formanti i nomi dei figli di Giacobbe, che noi consideriamo come nostri capitribù: ogni pietra era onorata con un nome nell'ordine in cui ciascuno nacque.
Libro III:170 Siccome gli anelli erano troppo deboli per reggere il peso delle gemme, fabbricarono altri due anelli più grandi e li inserirono nell'orlo dell'essen, vicino al collo, furono fatti entrare nel tessuto ad accogliere catenelle ben lavorate, che si univano alla sommità delle spalle con ganci di filo d'oro, i cui capi scendevano alla parte posteriore ed entravano in un anello che usciva dall'orlo dell'efod.
Libro III:171 E tutto questo assicurava l'essen da ogni cedimento. Oltre a questo, fu cucita all'essen una cintura degli stessi colori di quella di cui ho già parlato, che dopo avere compiuto un giro intorno alla vita, si aggrappava alla sua cucitura e pendeva giù. Le frange terminali dei due capi venivano contenute entro due cannucce d'oro che le abbracciava tutte.
Libro III:172 - 6. Al pari di tutti gli altri sacerdoti, anch'egli (il sommo sacerdote) portava la berretta lavorata come quella dei sacerdoti; al di sopra di questa se ne aggiungeva un'altra di giacinto, circondata da una corona d'oro divisa in tre ordini, in cima ai quali si innalzava un calice d'oro circondato da quella pianta che noi chiamiamo saccaron, e che i Greci esperti in botanica denominano henbane.
Libro III:173 In caso che vi sia qualcuno che avendo visto la pianta non ne sappia il nome e ne ignori la natura, oppure, pur sapendone il nome, non la riconoscerebbe qualora la vedesse, per l'utilità di costoro ne do una descrizione.
Libro III:174 E’, dunque, una pianta che, normalmente, non raggiunge un'altezza superiore a tre spanne, con una radice simile a quella della rapa - e se qualcuno la rassomiglia a quest'erba non è lungi dal vero -, e le foglie come quelle della ruchetta. Dalla sommità dei suoi ramicelli pende una boccia che viene rivestita da un guscio che cade da solo allorché matura; la boccia è grande quanto il nodo del dito mignolo ed è simile a una tazza. La descrivo per quanti non sono a essa familiari.
Libro III:175 Immagina una palla tagliata in due: alla radice, il calice presenta la parte inferiore che sale dal fondo in forma tondeggiante che gradatamente si restringe con una graziosa curva rientrante vicino al bordo ove si può immaginare come un melograno.
Libro III:176 La sua copertura emisferica aderisce strettamente e (si potrebbe dire) la sormonta in maniera graziosa con punti frastagliati acuti che io paragono a quelli spinosi.
Libro III:177 I Sotto tale copertura la pianta protegge il suo frutto che riempie tutto il calice e assomiglia al seme dell'erba sideritis; il fiore che produce si può paragonare alle larghe foglie del papavero.
Libro III:178 Di questo, dunque, fu ornata la corona per tutto lo spazio che va da una tempia all'altra; ma la fronte non era coperta dall'ephielis - mi sia permesso chiamare così questo calice -, al suo posto andava una lamina d'oro
sopra la quale era intagliato, in caratteri sacri, il nome di Dio. Questo è l'abbigliamento del sommo sacerdote.
Significato e simbolismi
Libro III:179 Ben ci si può stupire dell'ostilità che certe persone hanno verso di noi e mantengono in maniera così insistente l'idea che hanno, cioè che noi disonoriamo la Divinità , che essi, invece, professano di venerare.
Libro III:180 Se uno, infatti, riflette sulla costruzione della tenda e osserva gli abiti dei sacerdoti e gli arredi che usiamo nel ministero, avvertirà come il nostro legislatore sia un uomo di Dio, e come le mostruose accuse addotte da altri uomini contro di noi siano oziose. Poiché ognuno di questi oggetti ha la funzione di ricordare e rappresentare l'universo; così come troverà allorquando acconsentirà a esaminarlo con discernimento e senza pregiudizi.
Libro III:181 Così la tenda lunga trenta cubiti, dividendola in tre parti e lasciandone due accessibili ai sacerdoti e aperte a tutti, rappresenta la terra e il mare, l'una e l'altro aperti a chi vuole, mentre la terza è riservata soltanto a Dio, perché il cielo è inaccessibile agli uomini.
Libro III:182 E, ancora, i dodici pani posti sulla tavola significano che l'anno è diviso in altrettanti mesi; il candelabro composto di settanta pezzi, allude alle dieci stanze dei pianeti, e le sette lucerne sovrapposte alludono al corso dei pianeti, tale appunto è il loro numero.
Libro III:183 Le tende intessute di quattro tessuti a quattro colori, alludono agli elementi naturali: il bisso si riferisce alla terra che dal suo grembo fa spuntare il lino; la porpora, il mare che si tinge di rosso col sangue di una conchiglia; l'aria deve essere indicata dal giacinto; lo scarlatto può essere simbolo del fuoco.
Libro III:184 La tunica del sommo sacerdote, essendo di lino, significa la terra; il giacinto raffigura l'arco celeste, perché richiama i lampi per mezzo delle sue melagrane; i tuoni, il tintinnio dei suoi campanellini.
Anche la ephapti" è indice della natura universale, che a Dio piacque farla di quattro elementi; la sua tessitura in oro, penso che sia la luce solare che pervade tutto.
Libro III:185 L'essen, ancora, è posto in mezzo a ricami, alla maniera della terra, che occupa appunto la posizione di mezzo"; la fascia che gli gira attorno è
simbolo dell'oceano che racchiude tutto tra le sue braccia; il sole e la luna sono indicati nei due sardonici con i quali si affibia la veste del sommo sacerdote;
Libro III:186 nelle dodici gemme vi è chi preferisce vedere i mesi dell'anno, chi il numero delle costellazioni che i Greci chiamano cerchio dello zodiaco, e costui non fraintende l'intenzione del legislatore; la berretta mi pare che simboleggi il cielo, dato che il suo colore è il giacinto,
Libro III:187 altrimenti su di essa non vi sarebbe scritto il nome di Dio, ma ancora anche perché tutt'intorno splendeva una corona d'oro: e a Dio piace sommamente la luce.
E per ora basta di queste cose. Il mio argomento mi offrirà in seguito spesse volte e in molti incontri l'opportunità di ragionare dell'eccellenza del nostro legislatore.
Consacrazione di Aaronne
Libro III:188 VIII, I. Quando ebbero finiti i lavori dei quali ho parlato e non erano ancora state consacrate le offerte, Dio apparve a Mosè e lo incaricò di conferire il sacerdozio a suo fratello, come la persona la cui virtù rendeva più degno di tutti a questa dignità.
Radunata la moltitudine in assemblea, espose la virtù e l'animo buono del fratello e i pericoli che aveva incontrato per il loro bene.
Libro III:189 Allorché essi attestarono che tutte le sue parole erano vere e mostrarono la loro devozione verso di lui, egli disse: “Uomini di Israele, l'opera è giunta ormai al termine da Dio voluto e che diede a noi il potere di compiere; ma siccome ormai siamo d'accordo di ricevere Lui nella tenda, necessitiamo anzitutto di uno che abbia il compito di sacerdote, abbia l'incarico di offrire sacrifici e di innalzare preghiere a Dio per noi.
Libro III:190 Da parte mia, se fossi stato scelto a tale uffizio, mi crederei degno dell'onore sia per l'amore che ognuno nutre verso se stesso, sia per gli affanni che so di avere sostenuto per la vostra salvezza; ora tuttavia Dio stesso ha giudicato Aaronne degno di questo onore, e ha scelto lui per sacerdote, giudicandolo più giusto di noi.
Libro III:191 Così sarà lui a indossare gli abiti santificati da Dio, ad avere cura degli altari, a provvedere ai sacrifici, a innalzare preghiere a Dio per tutti noi, ed
Egli volentieri gli darà ascolto, sia per la cura che Egli ha per la nostra stirpe, sia perché gradisce la persona da Lui scelta, ed Egli non può che ascoltarla”.
Libro III:192 Questo parlare piacque agli Ebrei, e gradirono l'elezione fatta da Dio. Aaronne, infatti, sia per i natali, sia per il dono della profezia e anche per le virtù del fratello, era tra tutti il più altamente qualificato per quella dignità. A quel tempo aveva quattro figli: Nadab, Abihu, Eleazaro, e Ithamar.
Libro III:193 - 2. Col materiale che sopravanzò da quanto era stato preparato per la costruzione della tenda, ordinò che si facessero sovraccoperte di protezione per la stessa tenda, per il candelabro, per l'altare dei profumi e per gli altri arredi, affinché non subissero alcun danno durante la marcia, né dalla polvere né dalla pioggia.
Libro III:194 Radunata nuovamente la moltitudine, impose loro una contribuzione di mezzo siclo a testa –
Libro III:195 il siclo è una moneta ebraica equivalente a quattro dracme attiche -;
Libro III:196 e prontamente essi obbedirono all'ordine di Mosè: la moltitudine dei contribuenti ammontava a seicentocinquemilacinquecentocinquanta; dopo la somma la portarono i nati liberi dai vent'anni in su fino ai cinquanta. La somma raccolta fu spesa per i bisogni della tenda.
Libro III:197 - 3. In seguito purificò la tenda e i sacerdoti. Per la loro purificazione procedette in questo modo. Prese cinquecento sicli di mirra scelta, altrettanto di iris, una quantità dimezzata di cinnamomo e di calamo (si tratta di un'altra qualità di profumi) e dietro i suoi ordini furono mescolati con un hin di olio d'ulivo (hin è una nostra misura capace di due congi attici) e con l'arte di profumieri ne prepararono un unguento profumatissimo.
Libro III:198 In fine, prese questo e unse i sacerdoti e tutta la tenda, purificando tutto. Di aromi, dunque, ce n'erano di diverse qualità, riuniti tutti nella tenda, sull'altare d'oro dei profumi, avevano un valore grandissimo. Tralascio la descrizione della loro natura per non stancare i lettori.
Libro III:199 Due volte al giorno, prima del sorgere del sole e prima del tramonto, era necessario bruciare profumi e santificare l'olio di riserva per le lucerne: tre di esse, sul sacro candelabro, dovevano ardere dinanzi a Dio tutto il giorno; le altre si accendevano alla sera.
Gli artisti, consacrazione della tenda,
Inizio del culto, manifestazione di Dio
Libro III:200 - 4. Quando ogni cosa fu terminata, si esaminò quali fossero stati gli artefici più valenti, e risultò che erano Beseleel ed Eliab: questi si erano industriati di migliorare le invenzioni dei predecessori, erano apparsi accorti nel perfezionare e abilissimi nell'inventarne di propri, di fattura totalmente ignorata fino allora; il migliore dei due fu giudicato Beseleel.
Libro III:201 Il tempo impiegato per tale lavoro fu, in tutto, di sette mesi: allora appunto si compiva il primo anno dalla nostra partenza dall'Egitto. Fu all'inizio del secondo anno, nel mese Xanthicus secondo i Macedoni, e Nisan, secondo gli Ebrei, nella luna nuova, che consacrarono la tenda e tutti i suoi arredi da me descritti.
Libro III:202 - 5. Allora Dio manifestò la Sua compiacenza per l'operato degli Ebrei e fu lungi dal vanificare la loro fatica disdegnando di farne uso, ma Egli venne, si attendò in questo tempio.
Libro III:203 Il suo ingresso avvenne in questo modo. Mentre il cielo era sereno, discese l'oscurità soltanto sulla tenda avvolgendola in una nube, non così densa e fitta da far pensare a un temporale invernale, e neppure tanto leggera che attraverso di essa l'occhio potesse distinguere qualcosa: da essa stillava una deliziosa rugiada che rivelava la presenza di Dio a coloro che la bramavano e in essa credevano.
Libro III:204 - 6. Dopo aver ricompensato come si conveniva gli artefici che avevano eseguito lavori così eccelsi, Mosè offrì nell'atrio della tenda, secondo il volere di Dio, un toro, un montone e un capretto in espiazione dei peccati.
Libro III:205 (Nella mia trattazione sui sacrifici, mi propongo di parlare dei rituali di questi sacrifici, e di indicare in quali casi la legge stabilisce l'olocausto della vittima e in quali casi permette di consumarne una parte). Poi, col sangue della vittima asperse gli abiti di Aaronne e lo stesso Aaronne con i suoi figli, purificandoli in seguito con acqua di fonte e unguento aromatico, affinché fossero di Dio.
Libro III:206 Questo procedimento per la loro purificazione seguitò per sette giorni purificando i loro abiti, così la tenda e i suoi arredi, sia col balsamo,
preparato come ho detto sopra, sia con il sangue di tori e montoni che uccidevano ogni giorno, uno per sorte; all'ottavo giorno bandì una festa per il popolo, e ingiunse di offrire sacrifici, ognuno secondo le sue possibilità.
Libro III:207 Essi, dunque, gareggiarono l'un l'altro, studiandosi ognuno di superare le offerte fatte da altri, e obbedirono a quanto loro era stato ingiunto. E allorché le vittime furono poste sull'altare, improvvisamente divampò su di esse un fuoco spontaneamente, e splendette un folgore in un baleno davanti agli occhi di tutti, e consumò quanto si trovava sull'altare.
Morte di due figli di Aaronne
Libro III:208 - 7. Questo fuoco fu causa di una sciagura per Aaronne, considerato in quanto uomo e padre, egli la sostenne con animo forte poiché vedeva negli accadimenti il volere di Dio anche nella tragedia che lo colpì.
Libro III:209 Ho parlato dei suoi quattro figli: i due più anziani, Nabad e Abihu, recarono all'altare non quel fuoco che aveva prescritto loro Mosè, ma uno del quale si erano serviti precedentemente, e morirono bruciati in un fuoco che si avventò contro di loro iniziando a consumare il petto e la faccia, e nessuno riuscì ad estinguerlo.
Libro III:210 In tale modo morirono. Mosè ingiunse al padre e ai fratelli di togliere i cadaveri, di trasportarli altrove sotterrandoli con onore fuori dall'accampamento. La moltitudine, addolorata per una morte avvenuta in una maniera così inaspettata, li pianse oltremodo.
Libro III:211 Ai soli fratelli e al padre, Mosè domandò di porre freno a ogni pensiero luttuoso per essi, ponendo l'onore di Dio al di sopra di qualsiasi perdita. E, infatti, Aaronne era già stato vestito con le vesti sacerdotali.
Mosè impegnato a scrivere le leggi
Libro III:212 - 8. Declinati tutti gli onori che il popolo gli preparava, Mosè si dedicò esclusivamente al servizio di Dio. Desistendo ormai dalle ascensioni al Sinai, ora entrava nella tenda e quivi riceveva tutte le risposte alle domande presentate a Dio; vestiva come una persona ordinaria, e in tutto il suo comportamento era come gli altri; non desiderava apparire diverso dagli altri in nulla, salvo che nella sollecitudine e nel pensiero per loro.
Libro III:213 Inoltre, egli mise in scritto la loro costituzione e le loro leggi, in conformità delle quali essi avrebbero poi conformato una vita gradita a Dio, senza intentare cause l'uno contro l'altro: tutte queste cose le dispose sotto ispirazione di Dio. Tratterò, dunque, delle costituzioni e delle leggi.
Abito del sommo sacerdote
Libro III:214 - 9. Vorrei prima esporre un particolare che ho omesso a proposito degli abiti del sommo sacerdote. Egli (Mosè) non lasciò alcuna possibile scappatoia per artifizi di profeti, qualora accadesse che qualcuno abusasse della prerogativa divina, ma lasciò a Dio la suprema autorità, essendo Egli presente ai sacri riti, quando a Lui era gradito, o di assentarsi: e questo volle che fosse chiaro non soltanto agli Ebrei, ma anche a ogni estraneo che si trovasse in mezzo a noi.
Libro III:215 Le due gemme delle quali parlai prima, gemme che il sommo sacerdote portava sulle spalle, erano di sardonico e giudicai superfluo precisare la loro natura, perché familiare a tutti; ora avveniva che ogni qualvolta Dio assisteva ai sacri riti, quella che gli era sistemata sulla parte destra brillava e sprigionava uno scintillio che si faceva vedere anche dai più lontani, e altre volte di esso non v'era traccia sulla gemma.
Libro III:216 E questo è una cosa che desta lo stupore di tutti coloro che si spacciano per saggi e disprezzano tutte le cose divine; ma ho ancora più mirabilie da dire. Per mezzo delle dodici pietre, che il sommo sacerdote portava sul petto cucite all'essen, Dio preannunciava la vittoria a coloro che erano in procinto di dare battaglia;
Libro III:217 poiché da esse si sprigionava una luce così sfolgorante, ancor prima che l'esercito si movesse, tanto che a tutta la moltitudine era chiaro che Dio veniva in loro aiuto. Onde quei Greci che venerano le nostre usanze, perché non possono in alcun modo contraddirle, chiamano l'essen “lòghion” (oracolo).
Libro III:218 Tuttavia tanto l'essen quanto il sardonico cessarono di lampeggiare duecento anni prima ch'io componessi questo scritto, per lo sdegno di Dio di fronte alle trasgressioni delle leggi. Ma di esse avremo migliore opportunità di parlare; per il momento riprendo il discorso con ordine.
Offerte dei capitribù
Libro III:219 - 10. Consacrata la tenda e tutte le cose attinenti ai sacerdoti, la moltitudine fu persuasa che Dio era loro compagno di tenda", e così incominciò a offrire sacrifici e lodi, considerandosi ormai libera da ogni preoccupazione funesta, lietamente fiduciosa che il futuro aveva in serbo cose migliori; e tribù per tribù, in pubblico e in privato, offrivano doni a Dio.
Libro III:220 I capi tribù si unirono a due a due, ogni paia recò un carro e due buoi: risultarono così sei carri per il trasporto della tenda durante gli spostamenti; Ognuno di essi portò inoltre una caraffa, un piatto e un incensiere, del valore di dieci darici, pieno di profumi;
Libro III:221 la caraffa e il piatto, ambedue d'argento, pesavano duecento sicli, settanta furono impiegati nella caraffa: ambedue erano pieni di fior di farina mescolata, che usavano nei sacrifici. Portarono pure un vitello, un montone e un agnello di un anno, tutto da bruciare interamente, e con essi ancora un capro per intercedere per i peccati.
Libro III:222 Ognuno dei capi condusse inoltre altre vittime sacrificali dette “salutari”: ogni giorno due buoi, cinque capri, cinque montoni con agnelli d'un anno e capretti. Questi, dunque, seguitarono a offrire sacrifici per dodici giorni, uno per giorno.
Mosè intanto non saliva più sul Sinai, entrava nella tenda e qui imparava diligentemente da Dio le cose da compiere, e la compilazione delle leggi;
Libro III:223 queste, benché superiori alla capacità umana, per nostra ventura vennero sempre osservate gelosamente perché credute un dono di Dio, sicché né in pace, per baldanza, né in guerra, sotto costrizione, un Ebreo mai trasgredì alcuna di queste leggi. Mi astengo dal parlare di ciò, avendo giudicato opportuno comporre un trattato su tali leggi.
Sacrifici e purificazioni
Libro III:224 - IX, I. Ora ricorderò qualcosa degli statuti riguardanti le purificazioni e il rituale dei sacrifici. Mi piace parlare prima dei sacrifici .
Le categorie dei sacrifici sono due: gli uni sono offerti per i privati, gli altri per la comunità, e si compiono in modi diversi.
Libro III:225 Nella prima (categoria) si brucia tutt'intera la vittima sacrificale, e di qui il sacrificio prende il nome; l'altro ha la natura di un ringraziamento ed è
offerto con l'intenzione di promuovere una festa per coloro che lo offrono. Inizierò dai primi.
Libro III:226 Se un privato intende offrire un olocausto, sacrifica un bue, o un agnello, o un capretto, quest'ultimo al massimo di un anno, per i buoi è concesso sacrificarli anche più vecchi. Tutte le vittime degli olocausti debbono essere maschi. Dopo averle scannate, i sacerdoti ne spargono il sangue attorno all'altare;
Libro III:227 poi, dopo averle purificate, le fanno a pezzi, le aspergono di sale e le mettono sull'altare, già ben fornito di legna accesa. Dopo avere mondato ben bene i piedi delle vittime e quanto vi è nel ventre, depongono tutto a bruciare con il resto dell'animale; la pelle la trattengono per sé i sacerdoti. Tale è il rituale dell'offerta per l'olocausto.
Libro III:228 - 2. Per i sacrifici che si offrono in ringraziamento, si usano gli stessi animali: questi debbono essere senza difetti e maggiori di un anno, maschi o femmine indifferentemente. Dopo averli scannati, tingono l'altare col loro sangue; mettono sopra l'altare i reni, tutto il grasso, il lobo del fegato, così pure la coda dell'agnello.
Libro III:229 Il petto e la gamba destra li lasciano ai sacerdoti, i quali si possono cibare delle carni rimaste per il periodo di due giorni: tutto ciò che resta è abbruciato.
Libro III:230 - 3. Quando offrono sacrifici per i peccati, il rituale è simile a quello descritto poc'anzi. Ma quanti non possono offrire sacrifici pieni, offrono due colombe o due tortore: uno è bruciato in olocausto, l'altro è dato in cibo ai sacerdoti. Con maggiore precisione parlerò del sacrificio di questi animali nella mia trattazione sui sacrifici.
Libro III:231 Colui che è caduto in peccato per ignoranza, porta un agnello e una capra di un anno: il sacerdote tinge di sangue l'altare, non però come prima, ma soltanto gli angoli sporgenti; i reni, tutto il grasso e il lobo del fegato li mette sopra l'altare. Le pelli restano ai sacerdoti e così le carni da consumare in quello stesso giorno dentro il tempio, poiché la legge non permette che siano lasciate fino al giorno appresso.
Libro III:232 Se poi colui che pecca è consapevole di peccato, ma non v'è alcuno che lo possa convincere di esso, offre un montone (così ordina la legge) e delle sue carni mangiano ugualmente i sacerdoti nel tempio, quello stesso giorno.
Quando offrono sacrifici di espiazione per i loro peccati, i capi presentano le stesse vittime dei privati, con la differenza che essi offrono dei maschi: un toro e un capretto.
Libro III:233 - 4. Un'ulteriore legge prescrive che tanto nei sacrifici privati quanto in quelli pubblici vi sia anche l'offerta purissima, per un agnello nella misura di un assaron, per un montone di due, e per un toro di tre; questa l'offrono sull'altare mescolata con olio.
Libro III:234 Poiché colui che sacrifica ha da offrire anche l'olio: per il bue deve offrire un mezzo hin, per il montone una terza parte di questa misura, per un agnello una quarta parte. L'hin è una misura antichissima degli Ebrei, ed equivale a due congi attici. Essi portavano anche una misura di vino uguale a quella di olio, vino che versavano attorno all'altare come libagione.
Libro III:235 Se qualcuno offre farina purissima non per compiere un sacrificio, ma per un voto, ne prende un pugno e lo getta sull'altare come un primo frutto, il resto va in cibo dei sacerdoti, sia che abbia il condimento dell'olio sia che abbia la forma di pane. Ma se l'offerente di qualsivoglia quantità, è un sacerdote, deve venire bruciata tutta integralmente.
Libro III:236 La legge vieta di sacrificare nel medesimo giorno e nel medesimo luogo qualsiasi animale con quello che lo ha generato, e in nessun caso prima che siano passati otto giorni dalla sua nascita.
Vi sono, pure, altri sacrifici per liberarsi da malattie e per altri motivi, nei quali si facevano altre piccole offerte insieme alle vittime, delle quali nulla si deve tralasciare per il giorno seguente, e una loro parte va ai sacerdoti.
Libro III:237 X, I. La legge prescrive che la spesa per il sacrificio che si offre ogni giorno, mattino e sera, sia a carico del pubblico; questo sacrificio si deve compiere all'apparire del giorno e alla sua chiusura. Nel settimo giorno, all'apparire del sabato, ne scannano due, ma il rituale del sacrificio è uguale in ambedue le occasioni.
Libro III:238 Nel novilunio, al sacrificio quotidiano aggiungono (il sacrificio di) un paio di buoi, sette agnelli di un anno e un montone, e ancora un capretto per la remissione di quei peccati che possono essere stati commessi per inavvertenza.
L'annuale rito solenne dell'espiazione
Libro III:239 - 2. Nel settimo mese, che i Macedoni chiamano Hyperbereteo, oltre alle vittime anzidette, sacrificano un toro, un montone, sette agnelli, e un capretto per i peccati.
Libro III:240 - 3. Nel decimo giorno dello stesso mese lunare, essi digiunano fino a sera; in questo giorno sacrificano un toro, due montoni, sette agnelli e un capretto per i peccati;
Libro III:241 oltre a questi, offrono ancora due capretti: uno di questi lo mandano vivo nel deserto, al di là dei confini, per allontanare e purgare i peccati di tutta la moltitudine; l'altro invece lo conducono nelle vicinanze (della Città), in luogo purissimo, e qui lo bruciano, pelle e tutto, senza averlo prima pulito.
Libro III:242 Nello stesso tempo bruciano anche un toro, non presentato dal popolo, ma dal sommo sacerdote a sue spese. Dopo avere scannato il toro, porta subito una parte di sangue dentro il tempio,
Libro III:243 così pure (una parte) del sangue del capretto, e col dito asperge sette volte verso il soffitto; allo stesso modo (asperge) ancora il pavimento e altrettante volte il tempio e attorno all'altare d'oro; il resto lo porta nel cortile esterno e ne asperge il grande altare. Infine, pongono sull'altare le estremità, i reni, il grasso e il lobo del fegato. Il sommo sacerdote provvede anche un montone da offrire a Dio in olocausto.
Le festività: Capanne, Pasqua, Azzimi, Primi frutti, Pentecoste
Libro III:244 - 4. Nel quindicesimo giorno di questo mese, quando la stagione volge ormai all'inverno, (Mosè) comandò che ogni famiglia si eriga una tenda ove ripararsi dal freddo e proteggersi dall'inclemenza del tempo.
Libro III:245 Quando, in seguito, avranno una patria, si volgeranno verso quella Città che a motivo del tempio considereranno “metropoli”, e per otto giorni faranno festa, sacrificheranno olocausti e offriranno a Dio sacrifici di ringraziamento, nelle loro mani porteranno un mazzo composto di mirto, salice, e un ramoscello di palma con un frutto di pesco.
Libro III:246 Nel primo di quei giorni si offriranno olocausti uccidendo tredici buoi, quattordici agnelli, due montoni, e ancora un capretto in remissione dei peccati. Nei giorni seguenti si sacrifica lo stesso numero di agnelli e montoni,
insieme al capretto, ma ridurranno i buoi a uno solo al giorno fino a raggiungere il numero sette.
Libro III:247 Nell'ottavo giorno, finalmente, si asterranno da qualsiasi lavoro e, come abbiamo detto sopra, offriranno a Dio il sacrificio di un vitello, un montone, sette agnelli, e un capretto per la remissione dei peccati. Queste sono le consuetudini ricevute dai padri che gli Ebrei osservano quando erigono le tende.
Libro III:248 - 5. Nel mese di Xanthicus, che da noi è detto Nisan e segna l'inizio dell'anno, nel quattordicesimo giorno del calendario lunare, il sole allora è nell'Ariete, proprio nel mese nel quale noi fummo tratti dalla servitù egiziana, ordinò che noi offrissimo lo stesso sacrificio, come ho già detto, che offrimmo allora, nella partenza dall'Egitto, sacrificio detto Pasqua. Così, infatti, noi lo celebriamo divisi in fratrie per non avanzare nulla delle vittime sacrificali fino al giorno dopo.
Libro III:249 Nel quindicesimo giorno, alla solennità della Pasqua segue quella degli Azzimi, della durata di sette giorni nei quali si cibano di pane azzimo, e ogni giorno si offrono in sacrificio due tori, un montone, e sette agnelli: di questi animali si fa olocausto, e si aggiunge ancora, ogni giorno, un capretto per i peccati, che ogni giorno serve per il sostentamento dei sacerdoti.
Libro III:250 Nel secondo giorno degli azzimi, cioè nel sedicesimo giorno, prendono parte del raccolto fatto, e del quale fino allora non hanno toccato, giudicando loro debito onorare prima Dio, donatore dell'abbondanza di questi doni, e Gli offrono le primizie dell'orzo con il seguente rituale:
Libro III:251 Dopo avere seccato e sgranato un covone liberando le spighe dalla crusca, ne portano un assaron a Dio sull'altare, ne lasciano lì sopra un pizzico, e il rimanente lo concedono ai sacerdoti. Allora, sia in pubblico che in privato, si possono fare le mietiture. Oltre a ciò, ai primi delle biade, si accompagna l'olocausto di un agnello a Dio.
Libro III:252 - 6. Compiuta la settima settimana che viene dopo questo sacrificio, questi sono i quarantanove giorni delle (cosiddette) “Settimane”, nel cinquantesimo giorno che gli Ebrei chiamano Azarthá, parola che significa Pentecoste, offrono a Dio un pane di due assaron di farina fatto col lievito, e il sacrificio di due agnelli.
Libro III:253 Questi, per legge, si offrono a Dio, ma sono lasciati per la mensa dei sacerdoti, ai quali non è permesso lasciarne parte per il giorno seguente;
destinano inoltre a olocausti tre vitelli, due montoni, e quattordici agnelli, con due capretti per remissione dei peccati.
Libro III:254 In ogni festività si offrono olocausto e ci si astiene dalla fatica del lavoro: in tutte, infatti, è prescritta la classe di sacrifici, il periodo di tranquillo riposo; ed è in previsione di una festività che sono offerti i loro sacrifici.
Libro III:255 - 7. La provvista del pane azzimo era a spese della comunità e si impiegavano venti assaron di fior di farina; i pani si cuociono due a due separatamente, il giorno prima del sabato; nella mattina del sabato sono portati dentro, posti sulla sacra mensa distribuiti in due file, gli uni di fronte agli altri.
Libro III:256 Su di essi sono sistemati due piatti d'oro pieni d'incenso, e così restano fino al sabato seguente: quando al loro posto vengono portati degli altri, i primi sono dati da mangiare ai sacerdoti, mentre l'incenso viene bruciato dal fuoco sacro sul quale consumano tutti gli olocausti, e altro incenso è messo sopra i pani.
Libro III:257 Il sacerdote, a proprie spese, e due volte al giorno, offre farina mescolata a olio e rassodata con una leggera cottura; la misura è un assaron di farina: la metà è messa sul fuoco da lui al mattino, e l'altra metà sul fare della sera. Di questa materia tratterò più accuratamente altrove; per ora mi pare che sia sufficiente quanto ho detto.
Leggi di purità.
Leviti, animali, lebbra, partorienti, infedeltà coniugale,
adulterio, relazioni sessuali
Libro III:258 - XI, I. In seguito, Mosè separò la tribù di Levi dalla comunità col popolo, perché doveva essere sacra; la purificò con acque di fonte perenne e con sacrifici che in quell'occasione essi offrirono a Dio, come è stabilito dalla legge. A essi affidò la cura della tenda, del vasellame sacro, e di ogni cosa che era stata fatta per coprire la tenda", infine dispose che fossero a servizio e sotto gli ordini dei sacerdoti: questi, infatti, erano già stati consacrati a Dio.
Libro III:259 - 2. A proposito degli animali egli indicò distintamente quelli che si possono mangiare e quelli, al contrario, dai quali ci si deve sempre astenere: quando ci si presenterà occasione favorevole, ne tratteremo per disteso, adducendo anche le ragioni dalle quali partì per ordinare di quali mangiare e da quali astenersi.
Questo versetto è errato, non è stato tradotto correttamente.
Il sangue non è anima e spirito, un'altra versione è più chiaro
Libro III:260 Intanto, a noi interdisse completamente l'uso del sangue come cibo, considerandolo anima e spirito. Ci ha proibito di mangiare la carne di un animale morto di morte naturale. Ci ha avvertito, inoltre, di astenerci dal reticolo che copre i visceri, dal grasso di capre, pecore e buoi.
Libro III:260 Intanto a noi interdisse del tutto l’uso del sangue per cibo, dicendo, che indi pendeva la vita e lo spirito, e sottrasse alle nostre mense la carne dell’animale morto di per se: dall’omento poi e del grasso così di capra come di pecora e di buoi.
Libro III:261 - 3. Bandì dalle città quanti avevano il corpo colpito dalla lebbra e quanti avevano infermità infettive. Anche le donne colpite da secrezioni naturali le volle allontanate per sette giorni, dopo dei quali, divenute pure, era loro permesso ritornare in società.
Libro III:262 Le stesse norme si applicano a coloro che hanno prestato gli ultimi servizi ai defunti: dopo un identico numero di giorni possono fare ritorno ai loro familiari. Ma se una persona perdurasse nell'immondezza oltre quel numero di giorni, è necessario che offra un sacrificio di due agnelli: uno offerto in sacrificio, l'altro per i sacerdoti.
Libro III:263 Gli stessi sacrifici sono offerti per infermità infettive; ma se uno ha una emissione (di seme) durante il sonno, tuffandosi in acqua fredda viene esonerato, come coloro che legalmente sono stati con le loro mogli.
Libro III:264 I lebbrosi poi li ha banditi dalle città: non possono avere relazioni con alcuno; non differiscono dai cadaveri, ma se uno innalza suppliche a Dio e ottiene la liberazione, riacquista una pelle sana e, grazie a Dio, ritorna con diversi sacrifici, dei quali parleremo appresso.
Libro III:265 - 4. Ridiamo, perciò, se qualcuno afferma che Mosè fu costretto a fuggire dall'Egitto perché colpito dalla lebbra, e preso poi il comando di tutti coloro che furono espulsi per lo stesso motivo, li condusse in Canaan.
Libro III:266 Infatti, se questo fosse vero, Mosè non avrebbe dato tali leggi a sua propria vergogna; con tutta verosimiglianza egli stesso si sarebbe opposto
qualora le avessero introdotte altri, tanto più che presso molte nazioni vi sono lebbrosi che godono di onori, sono bene lontani da ogni villania ed esilio, ma dirigono eserciti, hanno in mano il governo civile, possono assistere quando vogliono ai sacrifici ed entrare nei templi.
Libro III:267 Conseguentemente se egli o la moltitudine che l'accompagnava fossero stati colpiti alla pelle da un incidente del genere, nulla impediva a Mosè dallo stendere leggi meno rigide sui lebbrosi, invece di imporne di natura così penosa.
Libro III:268 Ma è chiaro che sono mossi da invidia coloro che dicono di noi cose del genere. Mosè era immune da tali cose e viveva con i suoi ugualmente immuni, osservava leggi sui colpiti da queste infermità, e agiva così a onore di Dio. Tuttavia in cose del genere ognuno la pensi come meglio gli pare.
Libro III:269 - 5. Dopo aver partorito un maschio, le donne sono escluse dal tempio e dai sacrifici per quaranta giorni; dopo aver partorito una femmina il numero dei giorni è raddoppiato. Al termine del tempo prescritto entrano a offrire sacrifici, che i sacerdoti presenteranno a Dio.
Libro III:270 - 6. Se uno sospetta che la moglie abbia commesso adulterio, porti un assaron di orzo macinato, ne offra una manciata a Dio, il resto lo dia ai sacerdoti, quanto alla donna, un sacerdote la ferma alle porte che guardano il tempio, e dopo avere rimosso il velo che le copre il capo, scrive il nome di Dio su di una membrana,
Libro III:271 poi le fa giurare di non avere offeso il marito in alcun modo: qualora lei abbia offeso la decenza, le si tronchi la gamba destra, le si gonfi il ventre e muoia; ma se è per un eccesso d'amore e per una insorta gelosia, che il marito si è adombrato e si è mosso in modo da sospettare di lei, allora possa lei partorire un maschio nel decimo mese.
Libro III:272 Compiuti questi giuramenti, il sacerdote espunge il Nome dalla membrana e lo spreme in una caraffa, prende un po' di terra dal suolo del tempio, la metta nell'acqua e gliela fa bere: se l'accusa che le è stata fatta è ingiusta, presto diventa incinta e conduce il parto a maturità;
Libro III:273 se invece è provata bugiarda, ha infranto la fede matrimoniale al marito e al Dio dei suoi giuramenti, lei va verso una vergognosa fine: si stacca la sua gamba e l'idropisia colpisce il suo ventre.
Questi furono i provvedimenti per i sacrifici e le purificazioni prescritte da Mosè ai suoi. E qui vi sono altre leggi che egli compilò per essi.
Libro III:274 - XII - I. - Vietò assolutamente l'adulterio, giudicò felice l'uomo il cui matrimonio è intatto, e affermò essere nell'interesse delle città e delle famiglie che i figli siano legittimi. Anche le relazioni con le madri sono condannate come il più grave peccato; così pure le relazioni con le matrigne, con le zie, con le sorelle, con le mogli dei figli sono tutte indicate come abomini, come crimini abominevoli.
Libro III:275 Vietò l'unione con una donna che ha le mestruazioni, l'unione con una bestia, l'amore con i ragazzi per trarne un iniquo piacere. Per quanti trasgredissero questi precetti, decretò la pena di morte.
Per i sacerdoti
Libro III:276 - 2. Dai sacerdoti esigette un doppio grado di purità. Non solo li escluse come tutti gli altri da pratiche su menzionate, ma a loro inoltre proibì di sposare donne pubbliche, di sposare una schiava e una prigioniera di guerra, quelle donne che traggono sostentamento dalla tenuta di taverne e alloggi, le donne ripudiate dai loro mariti per qualsiasi motivo.
Libro III:277 Giudicò che il sommo sacerdote non prendesse in moglie una vedova il cui marito era morto, sebbene ciò lo abbia concesso agli altri sacerdoti; lui poteva sposare soltanto una vergine e all'interno della sua tribù. Per simili motivazioni il sommo sacerdote non può mai avvicinarsi a un cadavere, mentre agli altri sacerdoti non è proibito avvicinarsi a un cadavere, al cadavere di un fratello, dei genitori o dei suoi figli che siano morti.
Libro III:278 I sacerdoti devono essere esenti da qualsiasi difetto. Un sacerdote non completamente libero da simili macchie, fu da lui autorizzato ad avere parte ai vantaggi di cui godevano gli altri sacerdoti, ma non gli era concesso di salire all'altare o entrare nel tempio. Non solo era per loro essenziale la purità durante i sacri riti: dovevano serbare la purità anche nel resto della vita ed essere esenti da colpa.
Libro III:279 Per la stessa ragione, coloro che portano l'abito sacerdotale, hanno costumi esenti da colpa, sono sobri ed è loro proibito bere vino fino a tanto che indossano l'abito. Inoltre le vittime che essi sacrificano devono essere interamente perfette, ed esenti da qualsiasi macchia.
Anno sabbatico e giubileo
Libro III:280 - 3. Queste, dunque, sono le leggi trasmesseci da Mosè e operanti anche durante la sua vita. Sebbene nel deserto, egli provvide pure a leggi valevoli per l'avvenire, affinché le osservassero dopo la conquista di Canaan.
Libro III:281 Così ogni sette anni egli non usa l'aratro sulla terra e non semina, allo stesso modo che prima aveva ordinato loro di tralasciare le fatiche ogni settimo giorno; i frutti spontanei del suolo dovevano essere di chi li voleva, cittadini e stranieri li potevano cogliere, ma non potevano metterne in serbo. La pratica doveva essere osservata al termine della settima settimana di anni.
Libro III:282 Questo è un periodo che assomma in complesso cinquanta anni, e questo cinquantesimo anno dagli Ebrei è detto Jobel.
In esso, in tale stagione, ai debitori sono condonati i loro debiti, ai servi è restituita la libertà, cioè i membri della stessa stirpe che abbiano commesso qualche trasgressione alla legge meritevole di morte, egli volle punire con la riduzione allo stato di schiavitù, invece della condanna a morte.
Libro III:283 In quest'anno si restituiscono i campi agli antichi padroni, nel modo seguente: quando è vicino il Jobel, nome che significa “libertà”, colui che vendette e colui che comprò si incontrano e fanno il conto dei prodotti del sito e delle spese;
Libro III:284 se avviene che i profitti risultano superiori alla spese, il venditore riceve il podere; se le spese sono superiori, avuto quello che gli spetta fino al pareggio, colui che lo aveva comprato perde il diritto di possederlo che aveva prima; se i conti delle spese e dei proventi sono uguali, il podere torna agli antichi proprietari.
Libro III:285 Mosè stabilì che lo stesso valesse per l'acquisto delle case che si trovano nei vari villaggi, ma pensò diversamente per le case che si comprano in città: se il prezzo è versato prima della fine dell'anno, il compratore è obbligato a restituire la casa; ma se passa un anno intero, il compratore resta nel suo pieno diritto.
Libro III:286 Tale è il corpo di leggi che Mosè ricevette da Dio, mentre il suo esercito era accampato ai piedi del Monte Sinai, e le diede agli Ebrei.
Eventi prima della prosecuzione del cammino
Libro III:287 - 4. Ed ora che tutta la parte legislativa gli parve sistemata, volse la sua attenzione all'ispezione dell'esercito, avendo rivolto a pensiero alla prosecuzione degli affari bellici. Ingiunse pertanto ai capi tribù, ad eccezione della tribù di Levi, di controllare il numero esatto di quanti erano atti a portare le armi: i Leviti costituivano una tribù esente da tutto.
Libro III:288 A ispezione debitamente avvenuta, si accertò che gli abili alle armi - dai venti ai cinquant'anni di età - erano 603.650. Al posto di Levi egli (Mosè) annoverò tra i capi tribù Manasse, figlio di Giuseppe, ed Efraim in luogo di Giuseppe conforme alla preghiera fatta da Giacobbe a Giuseppe di lasciargli adottare i suoi figli, come già ho riferito.
Libro III:289 - 5. Una volta installato il loro accampamento, la tenda ebbe una posizione solitaria al centro: lungo ogni suo fianco si attendarono tre tribù disposte da una parte e tre dall'altra e tra di esse era sistemata una strada. Qui vi era anche un mercato ordinato ove stavano venditori, ognuno al suo posto, e ogni genere di artigiani nelle loro botteghe; in breve era come una città, di continuo in atto di cambiare luogo, trasferendosi qua e là.
Libro III:290 I più vicini alla tenda erano i sacerdoti, dopo di loro venivano i Leviti che erano la maggior parte, anch'essi erano stati numerati, e tutti i maschi dai trenta giorni in su, erano 22.880.
Per tutto il tempo in cui la nuvola stazionava sopra la tenda, essi ritenevano corretto starsene fermi credendo che Dio soggiornava in mezzo a loro; ma allorché si allontanava, anch'essi levavano il campo.
Libro III:291 Mosè inventò pure una specie di tromba d'argento, di questo genere: la sua lunghezza era poco meno di un cubito, stretta come una canna, si dilatava un po' verso la bocca più di un flauto per ricevere il fiato, terminava a campana come le trombe. In lingua ebraica è detta asora.
Libro III:292 Di queste trombe se ne fecero due: dell'una e dell'altra se ne servivano per chiamare e radunare la moltitudine alle assemblee. Al suono dell'una dovevano radunarsi i capi per deliberare dei loro affari; al suono di tutte due si riuniva la moltitudine.
Libro III:293 Quando si doveva muovere la tenda, la procedura era così: al primo segnale sorgevano quelli attendati a oriente; al secondo segnale era il
turno di quelli che stavano a sud; poi la tenda che era smontata a pezzi, veniva a trovarsi al centro tra sei tribù davanti e sei tribù dietro di essa; i Leviti erano tutti radunati attorno a essa.
Libro III:294 Al terzo segnale si muoveva la parte degli attendati che si trovava a ponente; al quarto quelli attendati a meridione.
Di queste trombe si servivano ancora per le cerimonie sacrificali, quando portavano vittime all'altare, sia al sabato sia negli altri giorni (festivi). Allora per la prima volta, dall'uscita dall'Egitto, si celebrò nel deserto quella (festa) che si chiama Pasqua.
Perplessità e paura davanti al deserto
Libro III:295 - XIII, I. - Dopo un breve intervallo tolse il campo del Monte Sinai e, passate alcuna località di cui parleremo, andò a stanziarsi in una campagna detta Esermoth. Qui ebbe luogo nuovamente una sollevazione della moltitudine rimproverando Mosè per le fatiche alle quali erano sottoposti lungo le peregrinazioni,
Libro III:296 e perché la buona terra che egli li aveva persuasi ad abbandonare era ormai perduta, mentre per la felicità promessa si trovavano tuttora a peregrinare in queste miserie senz'acqua, e con la certezza di morire qualora fosse mancata la manna.
Libro III:297 Mentre essi andavano dicendo queste cose mordaci contro l'eroe, ci fu uno che li mise in guardia dal dimenticare sia Mosè sia i travagli da lui sostenuti per la salvezza di tutti, e dal disperare dell'aiuto di Dio. Ma davanti a questo, la moltitudine rumoreggiava e ancora di più aumentava il tumulto contro Mosè.
Libro III:298 Ed egli, Mosè, per incoraggiare quanti erano nella disperazione più profonda, non badando al vergognoso affronto che gli facevano, promise di procurare loro carne in abbondanza e non per un solo giorno, ma per molti di più. In questo, essi non gli credevano e qualcuno domandava dove mai avrebbe trovato una così copiosa abbondanza di carne. “Dio, egli rispose, e io da voi così diffamati, non rallenteremo mai i nostri sforzi per il vostro bene, e tra poco lo vedrete”.
Libro III:299 Aveva appena finito di parlare, quando l'accampamento si riempì di quaglie, ed essi si sparsero per raccoglierle.
Ma Dio non attese molto a punire gli Ebrei per la loro insolenza, totalmente folle, verso di Lui. Ancora oggi quel luogo ha il soprannome di Kabrothabà, cioè “sepolcri di cupidigia”.
Libro III:300 XIV, I. - In seguito "Mosè li condusse nel luogo chiamato Farang, vicino alla frontiera dei Cananei, (luogo) difficile da abitare. Là convocò la moltitudine in assemblea e, in piedi di fronte ad essi, disse: “Delle due benedizioni che Dio promise di darvi, la libertà e il possesso di una terra felice, la prima già l'avete avuta da Lui, l'altra l'avrete presto.
Libro III:301 Siamo, infatti, alla frontiera dei Cananei, e ormai dall'avanzare non ci arresterà né re, né città e neppure un'intera nazione. Prepariamoci, dunque, all'opera; non è, infatti, senza combattere che essi ci cederanno la loro terra, ma soltanto dopo grandi battaglie ne saranno privati.
Libro III:302 Mandiamo degli esploratori ad esaminare la bontà della terra, e da quante forze è difesa. Prima di tutto siamo e manteniamo un onore continuo verso Dio che è da sempre nostro aiuto e alleato”.
Gli esploratori
Libro III:303 - 2. La moltitudine ascoltò con rispettosa attenzione queste parole di Mosè, e scelse dodici esploratori tra gli uomini più valenti, uno per ogni tribù. Partendo dai confini dell'Egitto, costoro attraversarono tutto il Canaan e giunsero fino alla città di Amaath e al Monte Libano, e dopo avere esplorato pienamente la natura della terra e dei suoi abitanti, ritornarono; in questo compito passarono quaranta giorni.
Libro III:304 Portarono con sè dei prodotti della terra: con la bellezza di questi frutti e la quantità di quei beni, concordemente incoraggiarono la moltitudine a prendere le armi, ma d'altra parte la spaventarono per la difficoltà della conquista: affermarono che vi erano fiumi impossibili da valicare, città cinte da mura e difese da terrapieni.
Libro III:305 Dicevano di avere trovato in Ebron i discendenti dei giganti; osservavano che in Canaan ogni cosa sorpassava in grandezza tutto quanto avevano incontrato dall'uscita dall'Egitto; gli esploratori non solo ne erano rimasti spaventati, ma cercavano di ispirare gli stessi sentimenti nella moltitudine.
Libro III:306 - 3. Udite tali cose, essi trassero la conclusione che la conquista della terra era irrealizzabile, e, sciolta l'assemblea, andavano lamentandosi con mogli e figli, quasi che Dio non offrisse loro alcun vero aiuto, ma soltanto promesse verbali.
Libro III:307 Ed ancora una volta si volsero contro Mosè, e mormorarono contro di lui e contro suo fratello Aaronne, sommo sacerdote, e in questa triste condizione, bestemmiando contro i due uomini, passarono la notte. Fattosi giorno, corsero in assemblea con l'intenzione di lapidare prima Mosè e Aaronne, e ritornare poi in Egitto.
Libro III:308 - 3. Ma Gesù, figlio di Nun, della tribù di Efraim, e Caleb della tribù di Giuda, andarono atterriti in mezzo a loro e frenarono la moltitudine scongiurandola a farsi coraggio, a non seguitare ad accusare Dio di menzogna, a non credere a coloro che li avevano terrorizzati con false asserzioni sui Cananei, e a credere invece a chi li stimolava a protendersi verso la felicità e verso l'acquisizione di tutti quei beni.
Libro III:309 I monti non erano così alti, né i fiumi così profondi da frapporsi alla felice riuscita dell'impresa da parte di uomini valorosi, soprattutto quando Dio asseconda il loro ardore e combatte con loro: “Andiamo, dunque, dissero, contro i nemici senza timori e sospetti, fiduciosi in Dio, nostra guida, e seguite noi che vi indicheremo la via”.
Libro III:310 Con queste parole cercarono di smorzare lo sdegno della moltitudine. Intanto Mosè e Aaronne, prostrati a terra, supplicavano Dio, non per la propria salvezza, ma affinché liberasse la moltitudine dall'ignoranza e calmasse i loro spiriti disorientati dalla disperata situazione presente. Allora apparve una nube, sostò sulla tenda segnalando la presenza di Dio.
Libro III:311 - XV, I. - Fattosi animo, Mosè si presentò alla moltitudine e dichiarò che Dio, mosso dall'affronto a Lui rivolto, lo avrebbe fatto pagare; certo non in modo proporzionato ai loro peccati, ma come i padri castigano i figli a loro correzione.
Libro III:312 Ciò detto, entrò nella tenda e deplorò l'imminente loro sterminio: Dio, infatti, aveva ricordato davanti a lui quanto si erano dimostrati ingrati verso di Lui dopo quanto Egli aveva fatto per loro, e dopo tutti i benefici che avevano ricevuto, e come anche adesso, sedotti dalla paura degli esploratori, avessero giudicate degne di fede più le loro parole che le Sue promesse.
Libro III:313 E proprio per questo motivo, non per distruggerli tutti né per sradicare la loro stirpe, che stima più di quella di tutti gli uomini, Egli non sopporta che occupino la terra di Canaan né che godano della sua prosperità,
Libro III:314 e farà in modo che per quarant'anni siano vaganti nel deserto senza patria e apolidi: questa è la penale che devono pagare per le loro trasgressioni. “Tuttavia, aggiunse, mi ha promesso che concederà la terra ai vostri figli e darà loro il possesso dei beni dei quali voi vi siete privati a motivo dei vostri capricci”.
Grandezza di Mosè
Libro III:315 - 2. Mentre Mosè esponeva loro quanto corrispondeva ai voleri di Dio, la moltitudine cadde in lutto e afflizione, e supplicava Mosè di intercedere per loro presso Dio, di risparmiarli dalle peregrinazioni nel deserto e dare loro le città. Ma egli dichiarò che Dio non avrebbe permesso un simile tentativo; poiché Dio si era indignato contro di loro non con l'usuale leggerezza degli uomini, ma con fermo proposito aveva deliberato la condanna.
Libro III:316 Né c'era motivo di pensare che Mosè, da solo, potesse calmare tante migliaia di persone adirate e riportarle alla ragione; Dio, infatti, era sempre con lui e disponeva la moltitudine ad ascoltare le sue parole e a seguirle; avendogli spesso trasgredito, impararono quanto fosse inutile la disobbedienza dalle stesse calamità nelle quali erano piombati.
Libro III:317 - 3. Ma l'ammirazione che circondava quell'eroe per le sue virtù e per il meraviglioso potere persuasivo di quanto asseriva non rimase limitata al periodo in cui visse, ma vive tuttora. E infatti non vi è Ebreo che non obbedisco alle sue leggi, così come se lo vedesse presente e pronto a castigarlo qualora deviasse, anche se violandole non fosse scoperto.
Libro III:318 Abbiamo molte altre attestazioni del suo potere sovrumano, recentemente certuni abitanti al di là dell'Eufrate intrapresero un viaggio di quattro mesi con molti pericoli e grandi spese per venerare il nostro santuario offrendo sacrifici, ma non poterono partecipare (della carne) delle vittime, perché Mosè lo ha proibito a chiunque non è retto dalle nostre leggi né affiliato a noi per via dell'incontro dei loro padri con i nostri.
Libro III:319 Indubbiamente, alcuni non fanno alcun sacrificio, altri lo fanno a metà, molti incapaci di guadagnarsi l'ingresso nel santuario, camminano
preferendo assoggettarsi alle prescrizioni di Mosè piuttosto che agire di propria volontà, e questo non per paura, ma per apprensione della loro coscienza.
Libro III:320 Così questa legislazione creduta giunta da Dio, fece sì che quest'eroe fosse elevato a un rango superiore alla sua natura; non solo, ma poco prima della nostra presente guerra, sotto l'imperatore dei Romani Claudio, e il nostro sommo sacerdote Ismaele, quando la nostra regione era stretta dalla carestia al punto che un assaron valeva quattro dracme,
Libro III:321 e quando per la festa degli Azzimi si portarono non meno di settanta cori di farina, il corrispondente di trentun medimni Siciliani o quarantun Attici, nessuno dei sacerdoti osò mangiarne neppure una pagnotta, nonostante la grande carestia che devastava la terra, per timore della legge e dell'ira con la quale Dio insegue ognora i crimini, anche se nascosti.
Libro III:322 Non c'è dunque motivo di meravigliarsi per quanto è avvenuto allora, costatando che a tutt'oggi gli scritti lasciati da Mosè hanno così tanta autorità che persino i nostri nemici riconoscono che la nostra costituzione fu emanata da Dio per mezzo di Mosè e dei suoi meriti. Ma a proposito di questo soggetto ognuno si formerà la propria opinione.