martedì 18 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro XIV° (14/20)

Libro XIV°

Introduzione
Libro XIV:1 - I, I. - Quanto riguarda la regina Alessandra e la di lei morte lo abbiamo esposto nel precedente libro. Quanto in seguito ebbe luogo lo esporremo adesso, tenendo presente una cosa al di sopra di tutte le altre: non omettere nulla per ignoranza o difetto di memoria.
Libro XIV:2 Poiché, sebbene sia vero che l'esposizione e il racconto di eventi ignorati dai più a motivo della loro antichità, richiede grazia di esposizione risultante dalla scelta e disposizione armoniosa delle parole, e tutto quanto contribuisce all'eleganza della narrazione,
Libro XIV:3 di modo che i lettori ricevano l'informazione con qualche gratificazione e con piacere, tuttavia quello che più importa allo storico e rappresenta il suo interesse supremo, è l'accuratezza e la verità dei fatti narrati e il riferirli così come sono a quanti devono fare affidamento su di essi in argomenti sui quali non hanno, personalmente, alcuna conoscenza.
Accordo tra Ircano II e Aristobulo II
Libro XIV:4 - 2 Quando Ircano assunse il potere regio - era il terzo anno della Olimpiade centesima settantesima settima, essendo consoli a Roma Quinto Ortensio e Quinto Metello, quello stesso che fu soprannominato Cretico -, Aristobulo gli dichiarò subito guerra; e nelle battaglie che egli combatté nelle vicinanze di Gerico, molti tra i soldati di Ircano disertarono per suo fratello.
Libro XIV:5 Egli poi si rifugiò nella fortezza nella quale, come sopra abbiamo riferito, erano stati rinchiusi la moglie e i figli di Aristobulo;
Libro XIV:6 il quale poi attaccò e catturò quelli della fazione opposta che si erano rifugiati dentro il recinto del tempio. In seguito, scese a patti con suo fratello, e terminò le ostilità con l'accordo che Aristobulo fosse il re, e Ircano vivesse in pace senza prendere parte agli affari pubblici e trascorresse una vita tranquilla godendosi le proprietà che allora aveva.
Libro XIV:7 La convenzione si concluse sotto gli auspici del tempio, dopo avere sigillato l'accordo con giuramenti, promesse e abbracci alla presenza di tutto il popolo: poi si ritirarono, Aristobulo nella reggia, e Ircano, ora privato cittadino, nella casa di Aristobulo.
Antipatro, Aristobulo e Ircano
Libro XIV:8 - 3. Ma un certo amico di Ircano, un Idumeo detto Antipatro, che aveva una grande fortuna, per natura uomo d'azione e mestatore, sfavorevole ad Aristobulo, litigava con lui per la sua cordialità con Ircano.
Libro XIV:9 Nicola di Damasco afferma che apparteneva a una famiglia di importanti Giudei venuti in Giudea da Babilonia; ma questo lo dice per fare piacere a Erode, figlio di Antipatro, che divenne re dei Giudei, per un giro di fortuna, come a suo luogo riferirò.
Libro XIV:10 Sembra che questo Antipatro, prima si chiamasse Antipa, che era pure il nome di suo padre, che il re Alessandro e sua moglie avevano posto come governatore dell'intera Idumea, e si dice che facesse amicizia con i vicini Arabi, i Gazei e gli Ascaloniti e che se li sia accattivati totalmente per mezzo di molti e grandi donativi.
Libro XIV:11 Il giovane Antipatro guardava con gelosia il potere di Aristobulo, e temendo che l'odio verso di lui gli fosse motivo di qualche disgrazia, in segrete conversazioni fomentava dei Giudei potenti contro di lui, affermando che è un
errore ignorare il fatto che Aristobulo teneva ingiustamente il potere regio e teneva suo fratello lungi dal trono, sebbene fosse il più anziano e appartenesse all'altro per diritto di anzianità.
Libro XIV:12 Queste argomentazione le andava ripetendo ogni giorno all'orecchio di Ircano, e l'avvertiva che neppure la sua vita sarebbe stata sicura a meno che provvedesse a se stesso con una sollecita fuga; aggiungeva ancora che i sostenitori di Aristobulo non desistevano dall'insidiare la vita di Ircano, affinché potesse mantenere il potere senza difficoltà.
Libro XIV:13 Ircano non prestava fede a questi ragionamento, poiché era naturalmente buono, e per la sua dolcezza era difficile ad ammettere le accuse degli altri. Ma la sua tendenza naturale a vivere senza noie e la sua volontà arrendevole lo faceva apparire infingardo e dappoco; Aristobulo aveva una natura opposta, essendo uomo d'azione e di spirito ardente.
Antipatro cerca aiuto da Areta
Libro XIV:14 - 4. E così, quando Antipatro vide che Ircano non prestava attenzione a quanto andava dicendo, non tralasciava un giorno senza portare davanti a lui false accuse contro Aristobulo: e calunniandolo, diceva che voleva uccidere Ircano e, con una costante pressione, gli suggeriva di ritirarsi presso Areta, re degli Arabi, promettendogli che se avesse seguito il suo consiglio, anch'egli sarebbe stato suo alleato.
Libro XIV:15 Quando Ircano sentì che ne avrebbe avuto vantaggio, fu pronto a fuggire da Areta, perché l'Arabia confina con la Giudea. Prima, tuttavia, mandò Antipatro dal re degli Arabi a ricevere il giuramento che qualora egli fosse venuto da lui a supplicarlo, egli non l'avrebbe consegnato ai suoi nemici.
Libro XIV:16 Allorché Antipatro ebbe queste assicurazioni giurate, ritornò a Gerusalemme da Ircano; e dopo poco fuggì di notte dalla città dopo avere preso con sé Ircano e, dopo un lungo viaggio, lo condusse alla città chiamata Petra ove si trovava la reggia di Areta.
Libro XIV:17 Siccome era un amico molto caro del re, insisteva affinché egli riaccompagnasse Ircano indietro nella Giudea; e siccome glielo ripeteva ogni giorno senza sosta e aggiunse pure dei regali, alla fine Areta si persuase.
Libro XIV:18 Ircano gli promise che qualora fosse ricondotto e avesse ricevuto il trono, gli avrebbe restituito il territorio e le dodici città che suo padre Alessandro aveva preso agli Arabi. Erano: Medaba, Libba, Dabaloth, Arabatha, Agalla, Athone, Zoara, Oronaim, Gobolis, Arydda, Alusa e Orybda.
Libro XIV:19 II, I. Avute queste promesse, Areta mosse contro Aristobulo con cinquantamila cavalieri e altrettanti fanti contro Aristobulo e lo vinse in battaglia. Dopo la sua vittoria, molti passarono dalla parte di Ircano; e Aristobulo, lasciato solo, fuggì in Gerusalemme.
Libro XIV:20 Allora il re degli Arabi prese tutto il suo esercito e attaccò il tempio dove assediò Aristobulo; e i cittadini che erano dalla parte di Ircano lo assistevano durante l'assedio, mentre soltanto i sacerdoti restavano leali ad Aristobulo.
Libro XIV:21 Areta, dunque, dispose ordinatamente gli uni affianco agli altri gli accampamenti degli Arabi e dei Giudei e stringeva fortemente l'assedio. Ma siccome questo aveva luogo nel periodo della festa dei Pani Azzimi, che noi chiamiamo Pasqua, i Giudei di grande reputazione lasciarono la regione e ripararono in Egitto.
Uccisione di Onia
Libro XIV:22 Ora un certo Onia, uomo giusto e caro a Dio, in un periodo di siccità pregò Dio di fare terminare la calamità, e Dio ascoltò la sua preghiera, e mandò la pioggia; quest'uomo, quando vide che la guerra civile seguitava a infuriare, si nascose; ma fu preso e portato all'accampamento dei Giudei e gli si domandò di lanciare una maledizione contro Aristobulo e i suoi sediziosi seguaci, proprio come aveva, con le sue preghiere, posto fine al periodo di siccità.
Libro XIV:23 Ma quando, nonostante il suo rifiuto e le sue scuse fu costretto a parlare alla plebe, egli, ritto in mezzo a loro, parlò così:
Libro XIV:24 “O Dio, re di tutti, siccome questi uomini che mi circondano sono Tuo popolo, e quelli che sono assediati sono Tuoi sacerdoti, Ti supplico di non prestare loro orecchio contro questi uomini, né dare compimento a quanto costoro Ti domandano contro gli altri”. Allorché egli pregò in questo modo, i Giudei cattivi che stavano attorno a lui, lo finirono.
Libro XIV:25 - 2. Ma Dio subito li punì per un simile atto selvaggio ed esigette soddisfazione per l'assassinio di Onia. Mentre i sacerdoti e Aristobulo erano assediati, sopraggiunse la festività detta Pasqua nella quale abbiamo l'abitudine di offrire a Dio molti sacrifici.
Libro XIV:26 E siccome Aristobulo e quanti erano con lui scarseggiavano di vittime, chiesero ai connazionali di rifornirli di queste e loro avrebbero dato tanto denaro quanto ne volevano per le vittime. E quando gli altri domandarono che pagassero mille dracme per ogni vittima, non esitarono un istante: Aristobulo e i sacerdoti accettarono volentieri questo prezzo e diedero loro il denaro, calandolo giù dalle mura per mezzo di una fune.
Libro XIV:27 I loro connazionali però, ricevuto il denaro non consegnarono le vittime ma giunsero a tal punto di scelleratezza da violare la parola data e agirono empiamente verso Dio non fornendo le vittime sacrificali a coloro che ne avevano bisogno.
Libro XIV:28 Ma i sacerdoti, rattristati per questa violazione della parola, pregarono Dio di fare Lui stesso la vendetta in loro favore contro i connazionali; ed Egli non tardò a far giungere il castigo contro di essi: scatenò un vento tanto gagliardo e violento che distrusse il raccolto dell'intera regione, cosicché a quel tempo si dovette pagare undici dracme per un moggio di frumento.
Un generale romano allontana Areta
Libro XIV:29 - 3. Intanto Pompeo, mentre ancora si trovava in Armenia in guerra conto Tigrane, mandò Scauro in Siria; e, giunto a Damasco, trovò Lollio e Metello che da poco avevano preso la città, e proseguì subito per la Giudea.
Libro XIV:30 Al suo arrivo andarono da lui ambasciate sia di Aristobulo sia di Ircano, e ognuno dei due chiedeva aiuto a lui. Aristobulo gli prometteva quattrocento talenti, e Ircano gli prometteva una somma non inferiore, tuttavia egli accolse l'offerta di Aristobulo,
Libro XIV:31 perché era ricco e generoso e le sue richieste moderate, mentre l'altro era povero e taccagno e avanzava richieste assai maggiori e promesse non degne di fiducia. Non era cosa da poco prendere a viva forza una città che era tra le più poderose e fortificate come era, invece, espellere della gente fuggitiva con una quantità di Nabatei non esperti della guerra.
Libro XIV:32 Egli dunque prese le parti di Aristobulo per i sopraddetti motivi, e, preso il denaro, pose fine all'assedio ordinando ad Areta di ritirarsi, altrimenti sarebbe stato dichiarato nemico dei Romani.
Libro XIV:33 In seguito Scauro ritornò a Damasco, mentre Aristobulo marciò, con una grande forza, contro Areta e Ircano, li impegnò in combattimento in un luogo detto Papirone, li sconfisse e uccise intorno a seimila nemici, e tra i caduti c'era Fallione, fratello di Antipatro.
Pompeo a Damasco sente le accuse di
Ircano e di Aristobulo
Libro XIV:34 - III, I. - Non molto tempo dopo, allorché Pompeo venne a Damasco e avanzava verso la Cele-Siria, andarono da lui ambasciate dalla Siria, dall'Egitto e dalla Giudea; Aristobulo gli mandò uno squisito regalo che consisteva in una vite d'oro del valore di cinquecento talenti.
Libro XIV:35 Ne fa menzione Strabone il Cappadoce con le seguenti parole: “Venne un'ambasciata dall'Egitto con una corona del valore di quattromila pezzi d'oro; e dalla Giudea vite o giardino che fosse, opera d'arte chiamata da loro terpolé.
Libro XIV:36 Noi stessi abbiamo esaminato questo dono che è stato posto nel tempio di Giove Capitolino a Roma e ha un'iscrizione che dice "da Alessandro, re dei Giudei"; fu stimato cinquecento talenti. Si dice che l'abbia mandato Aristobulo, capo dei Giudei”.
Libro XIV:37 - 2. Non passò molto tempo che giunsero a lui delle ambasciate da Antipatro in favore di Ircano, e da Nicodemo in favore di Aristobulo; l'ultimo, invero, accusava Gabinio e Scauro di aver preso soldi da lui; il primo, Gabinio, di aver ricevuto trecento talenti, e l'altro, Scauro, quattrocento talenti; e così Aristobulo fece questi suoi nemici, oltre a quelli che già aveva.
Libro XIV:38 Perciò (Pompeo) ordinò che i litiganti comparissero davanti a lui; e siccome si avvicinava l'inizio della primavera, tolse la truppa dai quartieri invernali e si diresse alla regione di Damasco. Lungo la via demolì la fortezza eretta da Antioco Cyziceno, che si trovava in Epamea
Libro XIV:39 e devastò anche il territorio di Tolomeo, figlio di Menneo, uomo di poco conto, e non inferiore a Dionisio di Tripoli che era stato decapitato, suo
parente per via di matrimonio, mentre Tolomeo sfuggì al castigo meritato a causa dei suoi misfatti, con mille talenti che Pompeo diede come salario ai propri soldati.
Libro XIV:40 Distrusse ancora la fortezza di Lysia ove era tiranno il giudeo Sila; e attraversate le città di Eliopoli e di Calcide e la montagna che divide la regione detta Cele-Siria dal resto della Siria, giunse a Damasco.
Libro XIV:41 Quivi ascoltò la questione dei Giudei e dei loro capi, Ircano e Aristobulo che litigavano tra loro; la nazione era scontenta di tutti e due, e non voleva sottomettersi a un re, asserendo che era usanza del paese obbedire ai sacerdoti del Dio da loro venerato, e questi due, pur discendendo da sacerdoti, stavano cercando di cambiare la loro forma di governo per farne una nazione di schiavi.
Libro XIV:42 Ircano si lagnava che pur essendo egli il maggiore di età, Aristobulo lo avesse privato dei suoi diritti di primogenito e che sotto il suo governo non gli fosse rimasta che una piccola parte del paese e il restante fosse usurpato con la forza da suo fratello Aristobulo;
Libro XIV:43 lo denunziò anche di avere istigato le scorrerie in paesi circostanti, e di avere introdotto atti di pirateria marina; aggiunse ancora che la nazione non si sarebbe sollevata contro di lui se egli non fosse uomo prepotente e sedizioso. Nel fare queste accuse aveva l'appoggio di più di un migliaio di stimatissimi Giudei preparati da Antipatro per questo scopo.
Libro XIV:44 Aristobulo, d'altra parte, biasimava il fratello di essere decaduto dal potere a causa del suo carattere debole e, per questo, invitante al disprezzo; quanto a sé, disse, di essersi trovato nella necessità di assumere il potere regio nel timore che passasse in mano di altri, e che il suo titolo era perfettamente lo stesso di quello di suo padre Alessandro.
Libro XIV:45 E a testimoniare le sue asserzioni chiamò alcuni giovani eccessivamente galanti, che sfoggiavano in modo offensivo i loro abiti di porpora, capelli lunghi, decorazioni in metallo e altre raffinatezze, portate come da persone che passeggiano in una festosa processione, invece che da persone peroranti la loro causa.
Libro XIV:46 - 3. Pompeo ascoltò le ragioni dei contendenti, condannò Aristobulo per la sua violenza, li congedò in modo cortese, asserendo che in seguito avrebbe ordinato ogni cosa quando sarebbe venuto nella loro regione,
dopo avere, prima, preso conoscenza degli affari dei Nabatei; disse loro che fino ad allora si mantenessero in pace. Nello stesso tempo trattò Aristobulo con deferenza per timore che incitasse il paese alla ribellione e chiudesse il passaggio per la sua terra.
Libro XIV:47 Tuttavia fu proprio questo che fece Aristobulo: senza attendere che si compissero le cose dette da Pompeo, andò nella città di Dium e di lì partì per la Giudea.
Fasi dello scontro tra Pompeo e Aristobulo
Libro XIV:48 - 4. Sdegnato per tale azione, Pompeo prese l'esercito che aveva preparato contro i Nabatei, gli ausiliari da Damasco e dalla Siria, e le legioni romane che aveva già a sua disposizione, e marciò contro Aristobulo.
Libro XIV:49 Passando da Pella e Scitopoli, giunse a Corea che è l'inizio della Giudea quando uno viene dall'interno e di lì inviò ad Aristobulo che si era rifugiato nell'Alessandreion, bellissima fortezza posta sulla cima di un monte, e gli ordinò di recarsi da lui.
Libro XIV:50 Persuaso da molti suoi uomini a non fare guerra ai Romani, egli discese e dopo avere discusso con suo fratello in merito al proprio diritto al trono, salì nuovamente alla fortezza, con l'assenso di Pompeo.
Libro XIV:51 Fece questo due o tre volte: da una parte perché accarezzava la speranza che avrebbe ottenuto il regno da Pompeo, e così fingeva di ottemperare a ogni cosa che gli comandava; d'altra parte, mentre si ritirava, mirava a conservare la fortezza per non indebolire la propria forza e prepararsi le risorse per la guerra; temeva, infatti, che Pompeo desse il potere regio a Ircano.
Libro XIV:52 Tuttavia, Pompeo gli ordinò di cedergli la fortezza e di suo pugno comunicò gli ordini ai capi della fortezza, poiché a loro era stato proibito di prendere ordini in qualsiasi altra forma; così egli ubbidì ma, risentito, si ritirò in Gerusalemme, e si accinse a prepararsi alla guerra.
Libro XIV:53 Poco dopo Pompeo scatenò la guerra contro di lui. Nel mentre vennero dal Ponto dei messaggeri per lui informandolo della morte di Mitridate per mano di Farnace, suo figlio.
Libro XIV:54 - IV, I. - Egli allora si trovava accampato vicino a Gerico ove si coltivano palme e opobalsamo, eccellentissimo unguento che, allorché la rosa selvatica viene tagliata con una selce affilata, fluisce come un succo e sul fare del giorno si diresse alla volta di Gerusalemme.
Libro XIV:55 Aristobulo, valutando meglio il proprio piano, si recò da Pompeo promettendogli denaro e la ammissione in Gerusalemme e lo supplicava di fermare la guerra e di fare quanto voleva in modo pacifico. A questa supplica Pompeo gli perdonò e spedì Gabinio con alcuni soldati per ricevere il denaro e prendere la città.
Libro XIV:56 Ma nessuna di tali promesse si realizzò e Gabinio ritornò indietro, cacciato via dalla città senza riuscire a ricevere il denaro, perché i soldati di Aristobulo non avevano permesso che l'accordo fosse realizzato.
Libro XIV:57 Adiratosi, Pompeo mise Aristobulo agli arresti e si recò di persona alla città: essa era fortificata da ogni parte a eccezione del lato nord, ove era debole. Perché è circondata da una valle larga e profonda che le gira attorno e nel centro vi è il tempio che, a sua volta, si trova fortemente protetto da un muro di pietra che lo circonda.
Libro XIV:58 - 2. Ma tra gli uomini dell'interno bolliva una sedizione, poiché non tutti erano dello stesso parere in merito alla situazione in cui si trovavano: ad alcuni pareva che il meglio fosse consegnare la città a Pompeo, mentre i simpatizzanti di Aristobulo consigliavano di chiudere le porte a Pompeo e fargli guerra perché teneva prigioniero Aristobulo. Fu questo partito a compiere le prime mosse: occupò il tempio, tagliò il ponte che lo collegava con la città e si preparò all'assedio.
Libro XIV:59 Ma quelli dell'altro partito accolsero l'esercito di Pompeo e a lui consegnarono la città e la reggia. Pompeo allora inviò il suo legato Pisone con la truppa a custodire la città, la reggia e a fortificare le case vicine al tempio e gli spazi attorno all'esterno del tempio.
Libro XIV:60 Il suo primo passo fu un'offerta in termini concilianti a coloro che si trovavano all'interno; ma questi non accolsero le sue proposte. Allora egli fortificò con mura i luoghi circostanti, assistito in ogni modo dal volenteroso Ircano. Allo spuntare del giorno Pompeo piantò il campo al lato settentrionale del tempio dove era facile attaccarlo.
Libro XIV:61 Ma anche da questo lato sorgevano grandi torri ed era stata scavata una trincea e il tempio era circondato da un profondo avvallamento poiché dopo l'abbattimento del ponte dalla parte verso la città vi era uno scosceso dirupo: fu proprio questo luogo che con un diuturno e immane lavoro, giorno dopo giorno, Pompeo riempì alzandovi un terrapieno e per esso i Romani tagliarono le pietre dei dintorni.
Libro XIV:62 E quando il fosso fu riempito, a fatica per la sua grande profondità, egli accostò le macchine d'assedio e gli strumenti bellici che aveva portato da Tiro e con le sue catapulte iniziò a battere il tempio senza posa.
Libro XIV:63 Ma se non fosse stato per il nostro costume nazionale del riposo nel giorno di sabato, il terrapieno non sarebbe stato finito, perché i Giudei l'avrebbero impedito; la Legge, infatti, ci consente di difenderci contro coloro che in una battaglia ci colpiscono, ma non ci consente di combattere un nemico che fa qualcosa d'altro.
La resa della città
Libro XIV:64 - 3. E di questo i Romani erano bene al corrente, e nei giorni che noi chiamiamo sabbato non saettavano i Giudei né venivano alle mani con essi, ma innalzavano i terrapieni e le torri, e approntavano le macchine d'assedio affinché fossero poste in azione il giorno dopo.
Libro XIV:65 Ognuno può argomentare di quale tempra sia la nostra pietà verso Dio e la nostra stretta osservanza delle leggi dal fatto che durante l'assedio la paura non distoglieva i nostri sacerdoti dal compiere alcune delle sacre cerimonie, ma due volte al giorno - al mattino e all'ora nona - compivano i sacri riti all'altare e non omettevano alcuno dei sacrifici, anche se, durante gli attacchi, sorgeva qualche difficoltà.
Libro XIV:66 E, infatti, quando fu presa la città, nel terzo mese, nel giorno del digiuno, nell'Olimpiade centosettantesimanona, durante il consolato di Gaio Antonio e Marco Tullio Cicerone, il nemico irruppe con impeto e uccise i Giudei che si trovavano nel tempio,
Libro XIV:67 ma ciononostante quanti erano intenti ai sacrifici seguitarono a compiere i sacri riti: né il timore per la loro vita, né il grande numero di quelli già trucidati li spinse a correre via, bensì pensarono bene di proseguire a fianco
dell'altare qualunque cosa avessero poi da sopportare, piuttosto che trasgredire qualche legge.
Libro XIV:68 Che questo non sia un semplice elogio proposto per una menzognera pietà, ma corrisponda alla realtà, è attestato da tutti coloro che hanno narrato le gesta di Pompeo, tra i quali Strabone e Nicola e, ancora, Tito Livio, autore di una Storia di Roma.
Libro XIV:69 - 4. Ora, allorché fu installata la macchina d'assedio la torre più grande fu scossa e crollò, facendo una breccia nel muro attraverso la quale entrò il nemico: il primo a entrare fu Cornelio Fausto, figlio di Silla che salì sulle mura con i suoi soldati; dopo di lui il centurione Furio con quelli che lo seguivano dall'altra parte; e tra loro un altro centurione, Furio, con un corpo di uomini forte e compatto. Correva sangue dappertutto.
Libro XIV:70 Alcuni Giudei erano uccisi dai Romani, altri dai loro stessi compagni; e altri si gettavano in dirupi, davano fuoco alle loro case e si bruciavano con esse, perché non sopportavano di accettare il loro destino.
Libro XIV:71 E così caddero circa dodicimila Giudei e di Romani assai pochi. Uno di coloro che furono presi prigionieri era Absalom, zio e a un tempo suocero di Aristobulo. Non piccola fu la trasgressione commessa verso il tempio inaccessibile in cui prima d'allora nessuno era mai entrato né l'aveva visto.
Libro XIV:72 Pompeo, infatti, e non pochi dei suoi, vide ciò che non è lecito agli altri uomini salvo che ai sommi sacerdoti. Però benché ci fosse, nel tesoro, la mensa d'oro e il sacro candelabro, le tazze per le libagioni e una grande quantità di aromi, e ancora le monete sacre che ammontavano a duemila talenti, egli, per la (sua) pietà, non toccò nulla di tutto questo; anche a questo riguardo si comportò in una maniera degna del suo carattere virtuoso.
Libro XIV:73 Nel giorno seguente diede ordine ai sacerdoti del tempio di pulire il tempio e offrire i soliti sacrifici a Dio, restaurò Ircano nel sommo sacerdozio perché in vari modi gli era stato utile e, in particolare, perché aveva distolto i Giudei di tutta la regione dal combattere affianco di Aristobulo; e aveva eseguito la decapitazione dei responsabili della guerra.
Libro XIV:74 Fausto e gli altri che erano saliti veloci sul muro, li premiò con adeguate ricompense per il loro coraggio. Fece Gerusalemme tributaria dei Romani, tolse ai suoi abitanti le città di Cele-Siria che avevano conquistato, e
pose sotto il suo governatore; e l'intera nazione che prima si era alzata così in alto, la restrinse nei suoi confini.
Libro XIV:75 Egli riedificò Gadara, che poco prima aveva demolito, per fare piacere a Demetrio di Gadara, suo liberto; e restituì ai loro abitanti le altre città di Hippo, Scitopoli, Pella, Dium, Samaria, così pure restituì ai loro abitanti le città di Marisa, Azoto, Jamnia e Aretusa.
Libro XIV:76 E non solo queste città entroterra, oltre a quelle che erano state distrutte, ma anche le città costiere di Gaza, Joppa, Dora e Torre di Stratone - quest'ultima rifondata con magnificenza da Erode, dotata di porti e di templi, fu in seguito chiamata Cesarea - Pompeo lasciò libere tutte queste città e le unì alla provincia.
Libro XIV:77 - 5. Di questa sfortuna che colpì Gerusalemme furono responsabili Ircano e Aristobulo, a motivo della loro discordia. Noi, infatti, abbiamo perso la nostra libertà e siamo divenuti soggetti ai Romani, e il territorio conquistato con le nostre armi e preso ai Siri, siamo stati costretti a restituirlo,
Libro XIV:78 e in più, in breve tempo, i Romani riscossero da noi oltre diecimila talenti, e il regno che prima era concesso a coloro che erano della stirpe dei sommi sacerdoti, diventò un privilegio di uomini del popolo. Ma di questo parleremo a suo tempo.
A Scauro il governo della Cele-Siria
Libro XIV:79 Intanto Pompeo diede a Scauro il governo della Cele-Siria e il resto della Siria fino al fiume Eufrate, l'Egitto, e due legioni romane, andò poi nella Cilicia e si affrettò alla volta di Roma; aveva con sè prigioniero Aristobulo in catene, con la sua famiglia: egli aveva due figlie e altrettanti figli; ma uno di questi, Alessandro, fuggì, mentre il più giovane, Antigono, fu condotto a Roma con le sorelle.
Libro XIV:80 - V, I. - Ora Scauro marciò contro Petra d'Arabia, e siccome l'accesso era difficile, devastava la regione circostante; e siccome il suo esercito cominciava a sentire la fame, Antipatro - per ordine di Ircano - gli fornì dalla Giudea grano e ogni altra provvigione.
Libro XIV:81 E quando (Antipatro) fu mandato da Scauro ambasciatore da Areta a motivo delle loro relazioni amichevoli, lo persuase a pagare una somma
di denaro per salvare il suo paese dalla devastazione ed egli stesso si fece garante per lui per trecento talenti. A queste condizioni Scauro sciolse l'assedio: Areta desiderava che ciò avvenisse non meno di lui.
Alessandro, figlio di Aristobulo, e Gabinio
Libro XIV:82 - 2. Tempo dopo, mentre Alessandro, figlio di Aristobulo scorrazzava per la Giudea, Gabinio venne da Roma in Siria come governatore e tra molte imprese degne di nota, mosse anche contro Alessandro: Ircano era ormai incapace di resistere alla forza di Alessandro che tentava di riedificare la parte delle mura di Gerusalemme che aveva distrutto Pompeo.
Libro XIV:83 Ma fu fermato dai Romani che là si trovavano. Allora prese ad andare per il paese e ad armare molti Giudei tanto che in breve radunò diecimila predoni, cinquecento cavalli e fortificò le fortezze dell'Alessandreion, vicino a Corea, e del Macheronte presso le montagne dell'Arabia.
Libro XIV:84 Perciò Gabinio gli andò contro: prima inviò Marco Antonio con alcuni altri ufficiali; costoro armarono i Romani che li accompagnavano e affianco a loro anche i Giudei rimasti fedeli guidati da Peitolao e da Malico, a questi si aggiunse anche la guardia di Antipatro, e andarono a incontrare Alessandro; li seguì poi Gabinio con il grosso dell'esercito.
Libro XIV:85 Alessandro, quindi, si ritirò nei pressi di Gerusalemme ove le due forze si scontrarono ed ebbe luogo la battaglia, nella quale i Romani uccisero tremila nemici, e ne catturarono vivi altrettanti.
Libro XIV:86 - 3. Intanto Gabinio andato nei pressi di Alessandreion invitava a desistere dalle ostilità, condonando le passate offese. Ma siccome molti nemici erano accampati davanti alla fortezza, i Romani si lanciarono contro di essi: Marco Antonio diede prova di valore e ne uccise molti, e si distinse per il coraggio.
Libro XIV:87 Gabinio dunque, lasciata qui una parte dei suoi uomini fino a tanto che la fortezza fosse presa con l'assedio, si recò in un altra parte della Giudea, e ovunque trovava città distrutte, dava ordini affinché fossero ricostruite.
Libro XIV:88 In questo modo furono riedificate Samaria, Azoto, Scitopoli, Antedone, Rafia, Adora, Marisa, Gaza e non poche altre. Gli uomini obbedirono
agli ordini di Gabinio, queste città che da molto tempo erano desolate poterono essere tranquillamente abitate.
Libro XIV:89 - 4. Prese queste misure per tutta la regione, Gabinio ritornò all'Alessandreion e siccome incalzava strenuamente l'assedio, Alessandro gli inviò un'ambasciata pregandolo di perdonargli le offese e rendendogli le fortezze di Ircania e del Macheronte, e dopo anche l'Alessandreion.
Libro XIV:90 E così Gabinio poi le demolì. Alla madre di Alessandro che era dalla parte dei Romani poiché suo marito e altri suoi figli erano tenuti a Roma ed era venuta da lui affinché le concedesse quanto domandava, egli andò incontro alle sue richieste: e fatto ordine alle cose di lei, condusse Ircano a Gerusalemme affinché avesse cura del tempio.
Libro XIV:91 Poi costituì cinque consigli e divise la nazione in altrettanti distretti; tali centri di governo erano: il primo Gerusalemme, poi Gadara, terzo Amatunte, quarto Gerico, e quinto Seffori in Galilea. E così il popolo fu sottratto a un solo padrone, e visse sotto una aristocrazia.
Aristobulo fugge da Roma
Libro XIV:92 - VI, I. Ora Aristobulo, fuggito da Roma in Giudea, propose la riedificazione di Alessandreion che era appena stato smantellato; perciò Gabinio gli mandò contro un corpo di soldati sotto la guida di Sisenna, Antonio e Servilio per impedirgli di occupare il luogo e per arrestare lui.
Libro XIV:93 Intanto molti Giudei si erano raccolti con Aristobulo sia a motivo della gloria di una volta e sia specialmente perché davano sempre il benvenuto a ogni movimento rivoluzionario; tra costoro vi era un certo Peitolao, vicereggente di Gerusalemme, il quale fuggì con mille soldati. Molti però di quanti si erano uniti a costoro, erano disarmati.
Libro XIV:94 Ma Aristobulo che aveva deciso di ritirarsi al Macheronte, licenziò tutti coloro che si erano uniti a lui senza l'equipaggiamento, non avendo l'impresa alcuna possibilità di riuscita; prese invece con sé gli armati, che erano ottomila e partì.
Libro XIV:95 Ma i Romani piombarono abilmente su di loro e li sconfissero in battaglia; sebbene i Giudei combattessero virilmente e con ardore, il nemico era
troppo forte per loro, e furono messi in fuga. Cinquemila circa, furono ammazzati, e i restanti dispersi qua e là in cerca di salvarsi come potevano.
Libro XIV:96 Aristobulo, tuttavia, con più di mille giunse al Macheronte e iniziò a fortificarlo; nonostante i suoi affari andassero molto male, non cessava di sperare; sostenne l'assedio per due giorni, riportò molte ferite, e fu poi preso prigioniero e portato da Gabinio assieme al figlio Antigono che era fuggito da Roma con lui.
Libro XIV:97 Avendo incontrato questa sfortuna, Aristobulo fu inviato a Roma per la seconda volta, e fu quivi tenuto in catene. Ebbe tre anni e sei mesi di regno e insieme di sommo sacerdozio: fu uomo distinto e magnanime. Tuttavia i suoi figli furono liberati dal Senato perché Gabinio scrisse di avere promesso questo alla loro madre allorché abbandonò le fortezze. Così essi se ne ritornarono nella Giudea.
Gabinio in Egitto e contro Alessandro
Libro XIV:98 - 2. Ora, mentre Gabinio guidava una spedizione contro i Parti e aveva già passato l'Eufrate, cambiò idea, riprese la via dell'Egitto e decise di rimettere Tolomeo nel suo regno.
Libro XIV:99 Ma questi fatti sono stati narrati altrove. In questa campagna, conforme ai suggerimenti datigli da Ircano, Gabinio fu rifornito di grano, di armi e di denaro da Antipatro, il quale gli guadagnò l'amicizia dei Giudei abitanti presso il Pelusio e ne fece suoi alleati nell'azione di guardia agli ingressi dell'Egitto.
Libro XIV:100 Tornato dall'Egitto, Gabinio trovò la Siria lacerata da sedizioni e tumulti; il fatto che Alessandro, figlio di Aristobulo, avesse preso per la seconda volta il potere, aveva indotto molti Giudei a ribellarsi e, percorrendo l'intera regione con un grosso esercito, uccideva tutti i Romani che incontrava, ed era in procinto di assediare coloro che si erano rifugiati sul monte detto Garizin.
Libro XIV:101 - 3. Trovata la Siria in questa condizione, Gabinio mandò innanzi Antipatro, uomo di buon senso, a parlamentare con i ribelli, per vedere se egli poteva arrestare il loro folle comportamento e indurli a un partito più ragionevole.
Libro XIV:102 Egli andò, ne raddrizzò molti e li indusse ai sensi del loro dovere, ma non riuscì a smuovere Alessandro, che andò incontro a Gabinio con un esercito di trentamila Giudei e ricevette una disfatta in uno scontro presso il monte Tabor ove caddero diecimila dei suoi uomini.
Gabinio ritorna a Roma
Libro XIV:103 Gabinio ordinò gli affari a Gerusalemme d'accordo con i desiderata di Antipatro e poi andò contro i Nabatei e in uno scontro armato li sconfisse, in seguito mandò per la loro via Mitridate e Orsane, fuggitivi dai Parti e andati da lui; sebbene la voce fosse che erano fuggiti da lui.
Libro XIV:104 Compiute grandi e brillanti gesta nei termini del suo governa-torato, Gabinio fece vela per Roma, dopo avere affidato la sua provincia a Crasso. Delle spedizioni di Pompeo e di Gabinio contro i Giudei hanno scritto Nicola di Damasco e Strabone di Cappadocia, e nessuno si discosta dall'altro.
Crasso succede a Gabinio
Libro XIV:105 - VII, I. - Crasso, intenzionato a muovere contro i Parti, venne in Giudea e portò via dal tempio il denaro, che ammontava a duemila talenti, lasciatovi da Pompeo, e voleva altresì spogliare il tempio di tutto il suo oro, che ammontava a ottomila talenti:
Libro XIV:106 prese anche una spranga d'oro massiccio del peso di trecento mine (la mina da noi equivale a due libbre e mezzo). Questa spranga gliela diede il custode del tesoro, un sacerdote di nome Eleazaro, non per furfanteria - era, infatti, persona buona e giusta -,
Libro XIV:107 ma perché a lui erano affidati i veli del tempio che erano di meravigliosa bellezza e di sommo valore, che pendevano da questa spranga: quando egli vide Crasso intento a raccogliere l'oro, ebbe paura che avvenisse la stessa cosa con tutto l'arredo del tempio;
Libro XIV:108 e così gli diede la spranga per riscattare tutto il resto e ne ebbe l'assicurazione giurata che non avrebbe tolto altro dal tempio e si sarebbe accontentato semplicemente di quello che il sacerdote gli dava, un dono del valore di molte decine di migliaia (di dracme). Questa spranga si trovava dentro a un contenitore di legno, fatto, questo, ignoto a tutti gli altri e del quale era a conoscenza soltanto Eleazaro.
Libro XIV:109 Crasso, dunque, prese questa spranga con l'intesa che non avrebbe toccato altro nel tempio, ma poi violò il suo giuramento e prese tutto l'oro del tempio.
Libro XIV:110 - 2. Non vi è motivo che qualcuno si meravigli che nel nostro tempio ci fosse tanta ricchezza, poiché tutti i Giudei dall'ecumene e quanti adorano Dio mandavano contributi da molto tempo persino dall'Asia e dall'Europa.
Libro XIV:111 Non mancano testimoni che confermino così grande ricchezza; che fosse cresciuta a tanto non è per nostra millanteria o esagerazione, ma è attestata da molti storici, in specie da Strabone di Cappadocia che scrive:
Libro XIV:112 “Mitridate mandò a Coos e prese il denaro che aveva qui depositato la regina Cleopatra e ottocento talenti dei Giudei”.
Libro XIV:113 Ora da noi non v'è denaro pubblico se non quello di Dio ed è così evidente che questo denaro era stato trasportato a Coos dai Giudei dell'Asia per la paura che avevano di Mitridate. Non è, infatti, verosimile che quelli in Giudea che possiedono una città fortificata e un tempio, abbiano mandato denaro a Coos, né è probabile che abbiano fatto questo i Giudei che vivono ad Alessandria, poiché non avevano timore di Mitridate.
Libro XIV:114 E questo stesso Strabone, in un altro passo attesta che nel tempo in cui Silla attraversò la Grecia per fare la guerra contro Mitridate, spedì Lucullo a stroncare una rivolta della nostra nazione in Cirene, l'ecumene era piena di Giudei, poiché scrive:
Libro XIV:115 “Nello Stato di Cirene vi sono quattro classi: la prima è formata dai cittadini; la seconda dagli agricoltori; la terza dai forestieri residenti (metici); la quarta dai Giudei. Questo (popolo) si è già sparso in ogni città e non è facile trovare nell'ecumene un luogo che non abbia accolto questa nazione e nel quale non abbia fatto sentire il suo potere.
Libro XIV:116 E avvenne che Cirene che ha gli stessi reggenti dell'Egitto, lo abbia incitato sotto molti aspetti, in particolare incoraggiando e aiutando l'espansione di gruppi di Giudei organizzati che osservano le leggi nazionali giudaiche.
Libro XIV:117 In Egitto, ad esempio, un territorio è stato messo da parte per una abitazione giudaica e in Alessandria una grande parte è stata sistemata per questa nazione. Quivi risiede pure uno di loro installato come etnarca che governa la nazione, decide le controversie, ha la supervisione dei contratti e delle ordinanze proprio come il capo di Stato sovrano.
Libro XIV:118 In Egitto la nazione fiorì perché i Giudei in origine erano egiziani, e perché quelli che lasciarono quel paese, andarono poi ad abitare nelle vicinanze; e migrarono a Cirene perché questo paese è confinante con il regno egiziano, non diversamente dalla Giudea, o per dir meglio, prima faceva parte di quel regno”. Così dice Strabone.
Libro XIV:119 - 3. Quando Crasso sistemò tutto secondo il suo modo di vedere, partì per la Parthia, e perì con tutto il suo esercito, come è riferito altrove. Cassio poi si rifugiò nella Siria e la occupò, ponendosi così sulla via dei Parti che, forti della vittoria su Crasso, facevano incursioni nella regione.
Libro XIV:120 Dopo andò a Tiro, e in seguito salì in Giudea ove, gettatosi sulla Tarichea, presto se ne impadronì e fece schiavi circa trentamila uomini; uccise anche Peitolao che aveva seguitato la rivolta condotta da Aristobulo;
Libro XIV:121 e questo lo fece per istigazione di Antipatro che a quel tempo aveva molto influsso su di lui e godeva allora di grande reputazione anche dagli Idumei, dai quali prese una moglie di distinta famiglia araba, di nome Cipro, dalla quale ebbe quattro figli: Fasaele, Erode, che in seguito divenne re, Giuseppe e Ferora e una figlia, Salome.
Libro XIV:122 Questo Antipatro strinse relazioni di amicizia e di ospitalità con molti altri principi, specialmente col re degli Arabi, al quale affidò i suoi figli allorché era in guerra contro Aristobulo. Cassio intanto tolse l'accampamento e si affrettò verso l'Eufrate per incontrare il nemico che era in cammino contro di lui da quella direzione, come è stato riferito da altri.
Cesare libera Aristobulo e lo manda in Siria a
combattere contro i Pompeiani
Libro XIV:123 - 4. Qualche tempo dopo, allorché Cesare divenne padrone di Roma, dopo la fuga di Pompeo e del Senato al di là del Mar Ionio, egli liberò Aristobulo dalla prigione e, avendo deciso di mandarlo in Siria, mise a sua
disposizione due legioni affinché potesse ristabilire l'ordine in quella regione, ora che aveva i mezzi per agire così.
Libro XIV:124 Ma Aristobulo non poté godere della realizzazione delle speranze che aveva nutrito dai poteri che Cesare gli aveva conferito, perché i partigiani di Pompeo lo presero, e posero fine alla sua vita col veleno; fu poi sepolto da quanti erano a favore della causa di Cesare: il suo cadavere giacque a lungo preservato nel miele, fino a che Antonio lo inviò nella Giudea ed ebbe il suo posto nei sepolcri reali.
Libro XIV:125 Ora Scipione al quale Pompeo aveva ordinato di uccidere Alessandro, figlio di Aristobulo, accusò il giovane delle sue prime offese contro i Romani e lo fece decapitare. Morì in questa maniera ad Antiochia.
Libro XIV:126 Ma suo fratello e le sorelle furono accolti da Tolomeo, figlio di Menneo, principe della Calcide ai piedi del Monte Libano; e mandò suo figlio Filippione ad Ascalon dalla moglie di Aristobulo per dirle di inviare con lui il di lei figlio Antigono e le sue sorelle, di una delle quali, Alessandra, Filippione si innamorò e con lei si sposò. Ma in seguito suo padre, Tolomeo, ammazzò il figlio e sposò Alessandra, e seguitò ad avere cura del fratello e della sorella di lei.
Libro XIV:127 - VIII, I. - Dopo la vittoria su Pompeo e la sua morte, quando Cesare combatteva in Egitto, Antipatro governatore dei Giudei sotto gli ordini di Ircano si dimostrò utile a Cesare in varie maniere.
Libro XIV:128 Poiché Mitridate di Pergamo, che stava portando una forza ausiliaria, non riusciva a farsi strada attraverso il Pelusio e indugiava ad Ascalon, arrivò Antipatro con tremila soldati giudei con armi pesanti, e si industriò affinché venissero in suo aiuto i capi arabi;
Libro XIV:129 e si deve a lui se tutti i capi della Siria fornirono aiuto, non volendo apparire da meno degli altri nel loro zelo per Cesare; tra costoro c'era il principe Giamblico e Tolomeo, figlio di Soemo, che viveva sul Monte Libano, e quasi tutte le città.
Libro XIV:130 Allora Mitridate lasciò la Siria e andò a Pelusio, e visto che gli abitanti non volevano accoglierlo, assediò la città. Quivi Antipatro diede prove di gran valore più di ogni altro e fu il primo che abbatté una parte di muro, aprì la via agli altri per rovesciarsi nella città. Fu in questo modo che prese Pelusio.
Libro XIV:131 Ma mentre Antipatro, Mitridate e i loro uomini erano in cammino verso Cesare, i Giudei che abitavano il distretto di Onia, come era chiamato, li ostacolarono nella loro azione. Antipatro, tuttavia, li persuase a unirsi alla sua parte a motivo della loro comune nazionalità, specialmente dopo che egli mostrò loro una lettera del sommo sacerdote Ircano che raccomandava loro di essere amichevoli con Cesare, di ricevere il suo esercito con ospitalità e di fornirgli le vettovaglie di cui aveva bisogno.
Libro XIV:132 E così, allorché videro che Antipatro e il sommo sacerdote avevano lo stesso volere, si sottomisero. E quando quelli che si trovavano nelle vicinanze di Memfi seppero che questi Giudei avevano abbracciato la parte di Cesare, anch'essi invitarono Mitridate ad andare con essi. Egli allora acconsentì e prese anche loro nel suo esercito.
Libro XIV:133 - 2. Ora quando si spinse oltre la regione chiamata Delta, impegnò il nemico nel luogo denominato Campo dei Giudei; comandava l'ala destra Mitridate e l'ala sinistra Antipatro.
Libro XIV:134 Allorché si scontrarono in battaglia, l'ala di Mitridate cedette e avrebbe corso il pericolo di un disastro assai grave, se Antipatro, che aveva già vinto il nemico (che aveva davanti) non fosse accorso a difenderlo con i suoi soldati lungo la riva del fiume e a mettere in fuga gli Egiziani che avevano portato Mitridate alla disfatta;
Libro XIV:135 e ancora li inseguì fino a prendere il loro accampamento, e portò indietro Mitridate che nella corsa era rimasto distante da lui. Quello perdette ottocento uomini, e Antipatro soltanto cinquanta.
Libro XIV:136 Mitridate scrisse a Cesare sull'accaduto dichiarando che il merito sia della vittoria sia della loro salvezza era di Antipatro; per tale motivo, in quella occasione, Cesare elogiò Antipatro e, quello che è di più, si valse di lui per tutta la durata della guerra in tutte le azioni più rischiose. Il risultato naturale di ciò, fu che Antipatro in qualche scontro riportò delle ferite.
Libro XIV:137 - 3. Per questi motivi, allorché la guerra ebbe fine e Cesare navigò verso la Siria, lo onorò moltissimo; e mentre conferì a Ircano il sommo pontificato, diede ad Antipatro la cittadinanza romana e lo esentò per sempre dalle tasse.
Libro XIV:138 Molti affermano che di questa campagna faceva parte anche Ircano e sia andato in Egitto. Questa mia affermazione è testimoniata da
Strabone di Cappadocia che, sull'autorità di Asinio, scrive quanto segue: “Dopo Mitridate, anche Ircano, sommo sacerdote dei Giudei, si recò in Egitto”.
Libro XIV:139 E ancora lo stesso Strabone in un altro passo scrive quanto segue sull'autorità di Hypsicrate: “Mitridate andò in campo da solo, ma Antipatro, procuratore della Giudea, fu chiamato ad Ascalon da lui e gli condusse tremila soldati, e spinse gli altri prìncipi a fare altrettanto. Anche il sommo sacerdote Ircano prese parte alla campagna”. Questo è quanto afferma Strabone.
Antigono ricorre a Cesare contro
Ircano e Antipatro
Libro XIV:140 - 4. Allora anche Antigono, figlio di Aristobulo, ricorse a Cesare e si dolse della sventura che per causa sua aveva avuto suo padre, e della morte di suo fratello, l'uno eliminato col veleno e l'altro con la decapitazione per mano di Scipione; e lo pregava che sentisse pietà di lui scacciato dal regno; e in questo contesto aggiunse contro Ircano e contro Antipatro l'accusa di governare la nazione con l'oppressione e di avere agito in modo oltraggioso verso di lui.
Libro XIV:141 Ma Antipatro, che era presente, si difese dai capi d'accusa addotti contro di sé e dichiarò che Antigono e i suoi seguaci erano rivoluzionari e istigatori di sedizioni; e ricordò quanto aveva fatto in favore dei Romani e come si era prodigato nei loro piani di guerra, parlando di fatti ai quali era stato testimone;
Libro XIV:142 giustamente, aggiunse, Aristobulo era stato deportato a Roma, perché da sempre era stato ostile ai Romani, e mai si era dimostrato ben disposto verso di loro. Quanto a suo fratello, Antigono, che era stato punito da Scipione per brigantaggio, aveva incontrato proprio la sorte che meritava, non trattandosi di prepotenza o di ingiustizia da parte di chi lo aveva ucciso.
Cesare a Ircano e Antipatro
Libro XIV:143 - 5. Dopo che Antipatro parlò così, Cesare designò Ircano sommo sacerdote e diede ad Antipatro il potere di governare nella forma che gli era più gradita. E come ultima sua decisione lo designò governatore della Giudea.
Libro XIV:144 Acconsentì a che Ircano, che glielo aveva chiesto come un favore, riedificasse le mura della sua città nella quale era nato, e che erano in rovina fin da quando le aveva demolite Pompeo. E inviò istruzioni ai consoli in Roma
affinché questi favori fossero registrati nel Campidoglio; e il decreto emesso dal Senato era come segue:
Libro XIV:145 “Lucio Valerio, figlio di Lucio, pretore, trattò col Senato il tredici (alle Idi) di Dicembre nel tempio della Concordia - alla scrittura del decreto erano presenti Lucio Capanio, figlio di Lucio della tribù Collina, e Papirio della tribù Quirina -,
Libro XIV:146 mentre Alessandro, figlio di Giasone, e Numenio, figlio di Antioco, e Alessandro, figlio di Doroteo, ambasciatori dei Giudei, uomini degni e alleati discutevano la questione del rinnovo della relazione di buona volontà e amicizia da tempo stretta con i Romani,
Libro XIV:147 e come segno di alleanza essi hanno portato uno scudo d'oro del valore di cinquantamila pezzi d'oro, e hanno chiesto che fossero loro consegnate lettere per le città autonome e per i re, affinché la loro regione e i loro porti godessero di sicurezza e non venissero molestati;
Libro XIV:148 si decise di stabilire con loro una relazione di buona volontà e di amicizia, e di accordare tutto quanto chiedono e di accettare lo scudo che avevano portato”. Queste cose avvennero nell'anno nono di Ircano sommo sacerdote ed etnarca, nel mese di Panemo.
Atene onora Ircano
Libro XIV:149 Ircano ebbe onori anche dal popolo di Atene, al quale egli aveva reso grandi servizi. Questi gli scrissero e gli inviarono una risoluzione, il cui contenuto era come segue: “Essendo governatore e sacerdote Dionisio, figlio di Asclepiade, nel quinto giorno anteriore alla fine del mese di Panemo, un decreto degli Ateniesi fu presentato ai magistrati.
Libro XIV:150 Sotto il governo di Agatocle, quando Eucle, figlio di Chemandro di Aithalidea, amanuense all'undici del mese di Munichion, nell'undicesimo giorno della pritania si tenne un incontro nel teatro presieduto dai decemviri. Doroteo di Erchian e il suo compagno presiedevano allorché il popolo passò alla votazione di Dionisio, figlio di Dionisio, come segue.
Libro XIV:151 Visto che Ircano, figlio di Alessandro, sommo sacerdote ed etnarca dei Giudei ha continuato a dimostrare benevolenza verso tutto il nostro popolo e verso ogni singolo cittadino, e a dare dimostrazioni del più grande zelo
a loro riguardo, e quando si reca da lui qualche ateniese o un'ambasciata o per faccende private, li riceve in modo cortese e li rimanda preoccupandosi che il loro ritorno non incontri molestie,
Libro XIV:152 come in precedenza è stato dichiarato, perciò ora con la mozione di Teodoto, figlio di Teadoro, di Sunia, che ricordò al popolo le virtù di questo uomo e la sua sollecitudine a fare per noi qualsiasi bene di cui era capace, sia decretato
Libro XIV:153 di onorare quest'uomo con una corona d'oro come attestato di merito stabilito dalla legge e di innalzargli una statua di bronzo nel recinto del tempio di Demos e delle Grazie, e di comunicare nel teatro l'attestato della corona nella festività di Dionisio quando si presentano le nuove tragedie e nelle festività Panatenea ed Eleusine, e alle gare ginniche.
Libro XIV:154 Inoltre i magistrati abbiano cura che egli continui e mantenga la stessa benevolenza verso di noi, e quanto a noi, facciamo ciò che giudicheremo tornare a onore e riconoscenza della sua benevolenza e generosità, in maniera che il nostro popolo possa dimostrare il plauso che ha verso le persone e le giudica degne di una proporzionata ricompensa e possa gareggiare con quanti furono già onorati per la benevolenza verso di noi.
Libro XIV:155 In fine, tra tutti gli Ateniesi si scelgano degli ambasciatori che portino a lui questa risoluzione, accetti gli onori che gli facciamo, e procuri di beneficare sempre la nostra città”. Quanto qui abbiamo riferito a proposito degli onori resi a Ircano dai Romani e dal popolo di Atene ci pare sufficiente.
Antipatro ripristina l'ordine in Giudea
Libro XIV:156 - IX, I. - Cesare, ordinati gli affari di Siria, andò via. Antipatro scortò Cesare fuori della Siria, e ritornò in Giudea; iniziò poi subito a innalzare il muro che era stato demolito da Pompeo; e aggirandosi per la regione soppresse i disordini che vi erano, parte con minacce e parte con avvertimenti esortando il popolo a restare quieto.
Libro XIV:157 Diceva, infatti, che quanti erano dalla parte di Ircano sarebbero lasciati in pace e avrebbero potuto vivere indisturbati e nel godimento dei propri beni, ma qualora si aggrappino alla speranza di giungere a qualcosa con una rivoluzione e pensino di guadagnarne qualcosa da essa, essi avrebbero in lui un despota non un protettore, e in Ircano un tiranno in luogo di un re, e nei Romani
e in Cesare acerrimi nemici invece di governatori. Con queste parole instaurò l'ordine nella regione per opera dei suoi sforzi.
Erode, figlio di Antipatro, governatore
della Galilea
Libro XIV:158 - 2. Egli (Antipatro) però vedendo che Ircano era un uomo sciocco e indolente, designò a governatore di Gerusalemme e della regione circostante, il suo figlio più anziano, Fasaele, e affidò la Galilea al suo secondogenito, Erode, ancora molto giovane; infatti aveva soltanto quindici anni.
Libro XIV:159 La sua tenera età non gli fu di impedimento; anzi, siccome era un ragazzo d'animo grande, trovò presto l'opportunità di mostrare il suo valore. Venuto a sapere che Ezechia, un capo bandito, con un numeroso seguito, infestava ai confini della Siria con una numerosa banda, lo catturò e l'uccise, e con lui molti banditi che erano con lui.
Libro XIV:160 Questa impresa fu ammirata moltissimo dai Siri, poichè aveva pulito la loro regione da una squadra di banditi dalla quale da tanto tempo bramavano di essere liberati. Così cantavano le lodi per villaggi e città, dicendo che aveva dato loro la pace e la sicura soddisfazione dei loro beni. Per opera di questa azione fu conosciuto da Sesto Cesare un parente del grande Cesare, e governatore della Siria.
Fasaele, governatore di Gerusalemme
Libro XIV:161 Perciò in Fasaele, suo fratello, si destò il desiderio di emulare le gesta di Erode e mosso dal pensiero della reputazione conquistata da Erode, si studiò di non rimanere al di sotto della sua considerazione. Fece sì che gli abitanti di Gerusalemme sentissero tanta simpatia per lui, e pur mantenendo la città sotto a suo potere, nel governarla, non mostrò né mancanza di discrezione, né abuso di autorità.
Libro XIV:162 Da tale situazione fece sì che per Antipatro fu possibile ricevere dalla nazione un rispetto come re e un onore come quello di cui gode colui che è padrone assoluto. Questa gloria, tuttavia, non fu motivo, come spesso accade, per alterare l'amicizia e la lealtà verso Ircano.
Accuse contro Antipatro e i suoi figli
Libro XIV:163 - 3. Ma allorché le persone eminenti tra i Giudei videro Antipatro e i suoi figli crescere a dismisura per la benevolenza della nazione e per la rendita che ricevevano dalla Giudea e dalla ricchezza di Ircano, diventarono ostili verso di lui;
Libro XIV:164 giacché Antipatro aveva fatto amicizia con i generali romani, e dopo avere convinto Ircano a inviare loro del denaro, egli prese questo dono per se stesso, e poi lo mandò come se venisse da lui e non fosse un regalo di Ircano.
Libro XIV:165 Ircano, quando lo seppe, non se ne diede pensiero, al contrario ne fu oltremodo contento. Ma i capi Giudei erano pieni di paura vedendo lo stupore e la noncuranza di Erode e quanto fosse profondo il suo desiderio di dominio. Così si presentarono a Ircano e apertamente accusarono Antipatro, dicendo: “Fino a quando te ne starai zitto di fronte a quanto sta accadendo? Non vedi che Antipatro e i suoi figli si cingono del potere regio e a te danno soltanto il nome di re?
Libro XIV:166 Non chiudere gli occhi davanti a queste cose e non lusingarti di essere al sicuro da pericoli, non dandoti pensiero né di te né del regno. Antipatro e i suoi figli non ancora per molto saranno tuoi assistenti nel governo; non ingannare te stesso pensando che ora lo siano: per confessione di tutti la fanno apertamente da padroni.
Libro XIV:167 Così Erode, suo figlio, uccise Ezechia e molti dei suoi uomini in spregio della nostra legge, che ci vieta di uccidere un uomo, anche se malfattore, a meno che prima sia stato condannato (a quella pena) dal sinedrio. Eppure egli osò tanto senza averne da te l'autorizzazione”.
Erode convocato a Gerusalemme dal sinedrio
Libro XIV:168 - 4. Ascoltati questi argomenti, Ircano ne fu persuaso; e le madri degli uomini assassinati da Erode infiammarono ancora più il suo sdegno, perché ogni giorno venivano nel tempio a pregare il re e il popolo a citare Erode in giudizio davanti al sinedrio per quello che aveva fatto.
Libro XIV:169 Mosso perciò da queste istanze, Ircano citò Erode in giudizio per i crimini dei quali era accusato. Dopo avere sistemato gli affari della Galilea, nel modo che a suo parere era il migliore, ma messo in guardia dal padre di non
presentarsi in città come privato cittadino, ma con la sicurezza di una guardia del corpo, egli si presentò con un manipolo bastante per gli scopi del viaggio, e sufficiente per non incutere paura senza apparire formidabile davanti a Ircano; arrivò con un largo nucleo di uomini, e tuttavia senza essere completamente disarmato e senza protezione. Così si presentò al suo tribunale.
Libro XIV:170 Intanto Sesto, governatore della Siria, scrisse a Ircano esortan-dolo a scagionare Erode dall'accusa e rinviarlo assolto, e aggiunse minacce qualora avesse disobbedito. La lettera di Sesto offrì a Ircano un pretesto per lasciare che Erode uscisse dal sinedrio libero da qualsiasi pena. Egli, infatti, gli voleva bene come a un figlio.
Libro XIV:171 Ma quando Erode si presentò davanti al sinedrio col suo manipolo li spaventò tutti quanti, e nessuno di quelli che prima della sua comparsa l'aveva calunniato osò accusarlo dopo. Ci fu invece silenzio e incertezza sul da farsi.
Libro XIV:172 Mentre essi erano in questo stato, uno di nome Samaia, uomo giusto e perciò superiore alla paura, si alzò e disse: “Colleghi sinedristi e re, io personalmente ignoro, e suppongo che ognuno di voi possa nominare qualcuno che convocato in giudizio davanti a voi, si sia mai presentato in questa maniera. Qualsiasi, infatti, fosse la causa della comparizione in giudizio davanti al sinedrio, è sempre comparso in umile comportamento, e con l'aspetto timoroso di colui che domanda da voi pietà; con i capelli lunghi e scarmigliati, indossando una veste nera.
Libro XIV:173 Questo eccellente Erode accusato di omicidio, e citato qui per questa accusa si è presentato vestito di porpora con i capelli della sua testa accuratamente sistemati, circondato da soldati, per ucciderci qualora lo condannassimo come prescrive la legge, e per salvare se stesso oltraggiando la giustizia.
Libro XIV:174 Ma non è Erode che dovrei biasimare per questo o per avere egli posto i propri interessi al di sopra della legge, ma voi e il re, per avergli concesso una licenza così grande. Siate certi, tuttavia, che Dio è grande, e quest'uomo che ora volete assolvere per amore di Ircano, un giorno punirà sia voi che il re”.
Libro XIV:175 E non si sbagliava in alcuna parte della sua predizione. Infatti, quando Erode assunse il potere regio, uccise Ircano e tutti gli altri membri del sinedrio, eccetto Samaia;
Libro XIV:176 che teneva in grandissimo onore sia per la sua giustizia sia perché, più tardi, quando la città fu assediata da Erode e Sossio, consigliò il popolo ad accettare Erode, affermando che a motivo delle loro mancanze non avrebbero potuto sottrarsi a lui. Di questi eventi parleremo a suo luogo.
L'intervento di Ircano fa evitare la condanna
del sinedrio
Libro XIV:177 - 5. Ora allorché Ircano vide che i membri del sinedrio erano inclini a condannare a morte Erode, differì il giudizio a un altro giorno e segretamente mandò ad avvertire Erode consigliandogli di fuggire dalla città, essendo quella l'unica maniera per scampare al pericolo.
Libro XIV:178 Egli si rifugiò a Damasco come uno che fugge dal re; e, andato da Sesto Cesare assicurò le cose sue in modo che qualora fosse di nuovo citato in giudizio davanti al sinedrio non avrebbe più obbedito.
Libro XIV:179 I membri del sinedrio si indignarono e cercarono di persuadere Ircano del fatto che tutte queste cose erano dirette contro di lui; ma sebbene egli non lo ignorasse, era incapace di fare qualcosa, a motivo della sua inettitudine e follia.
Libro XIV:180 Allorché Sesto fece Erode governatore della Cele-Siria, gli diede questo titolo per denaro, Ircano ebbe paura che Erode si schierasse contro di lui. E non trascorse molto tempo che questa paura passò ad effetto, perché Erode andò contro di lui con un esercito, poiché era sdegnato a motivo del processo e perché era stato convocato a rendere conto di se stesso davanti al sinedrio.
Libro XIV:181 Erode fu però impedito dall'attaccare Gerusalemme da suo padre Antipatro e da suo fratello, che gli andarono incontro e smorzarono la sua impetuosità e lo convinsero a non compiere alcuna azione violenta, accontentandosi di avere atterrito Ircano con le minacce, senza procedere oltre contro uno che gli aveva reso possibile raggiungere la sua alta carica presente.
Padre e fratello smorzano l'ira di Erode
Libro XIV:182 Essendosi egli indignato per essere stato chiamato in giudizio, essi lo pregavano di ricordarsi della sua assoluzione, di essere riconoscente piuttosto che meditare sui lati spiacevoli e dimostrarsi ingrato dell'ottenuta salvezza.
Libro XIV:183 Gli dicevano di considerare che se è la Divinità che decide le mutevoli fortune della guerra, l'ingiustizia della sua causa può pesare di più della sua abilità militare; perciò non doveva avere troppa fiducia nella vittoria quando progettava di fare guerra al suo re e intimo amico, uno che gli aveva accordato molti benefici e mai gli aveva fatto una scortesia; quanto alle cose delle quali si doleva, se Ircano gli avesse offerto il più piccolo sospetto o l'ombra di un trattamento duro, è da imputare ai suoi consiglieri, non a lui.
Libro XIV:184 A queste argomentazioni, Erode si arrese, credendo che per i suoi disegni futuri fosse sufficiente l'avere dato al popolo una dimostrazione della sua forza. Tali erano le condizioni nelle quali si trovava la Giudea.
Motivi dell'autore per riferire decreti
romani in favore dei Giudei
Libro XIV:185 - X, I. - Cesare, intanto, giunto a Roma, era pronto a fare vela verso l'Africa per dare battaglia a Scipione e a Catone, quando Ircano gli mandò un'ambasciata con la richiesta che gli confermasse il trattato di amicizia e alleanza militare con lui.
Libro XIV:186 E qui mi pare necessario rendere pubblici tutti gli onori fatti alla nostra nazione e le alleanze militari strette con i Romani e con i loro imperatori, affinché le altre nazioni non manchino di riconoscere che i re dell'Asia e d'Europa hanno avuto in stima di noi e hanno ammirato il nostro valore e la nostra lealtà.
Libro XIV:187 Siccome, però, molti per malanimo verso di noi si rifiutano di credere quanto scrissero su di noi Persiani e Macedoni perché tali scritti non sono reperibili ovunque e non sono custoditi neppure in luoghi pubblici, ma si trovano esclusivamente tra di noi e presso alcuni altri popoli barbari,
Libro XIV:188 nulla però si può dire contro i decreti dei Romani - poiché sono custoditi nelle pubbliche piazze delle città e ancora si possono trovare incisi nelle tavole di bronzo in Campidoglio e, quel che è più, Giulio Cesare fece scrivere una tavola di bronzo per i Giudei di Alessandria affermando che essi erano cittadini di Alessandria - da questi stessi documenti trarrò la prova delle mie asserzioni.
Libro XIV:189 Ora riporterò i decreti approvati dal Senato e da Giulio Cesare riguardante Ircano e la nostra nazione.
Al popolo di Sidone
Libro XIV:190 - 2. “Gaio Giulio Cesare imperatore, pontefice Massimo, dittatore per la seconda volta, ai magistrati, al consiglio, e al popolo di Sidone salute. Se siete in buona salute, ne godo; anch'io e l'esercito siamo in buona salute.
Libro XIV:191 Vi mando copia di un decreto inciso su una tavoletta, riguardante Ircano, figlio di Alessandro, sommo sacerdote ed etnarca dei Giudei, affinché sia posto tra i vostri atti pubblici. Voglio che questo sia posto su una tavola di bronzo in greco e in latino. Suona così.
Libro XIV:192 Giulio Cesare, imperatore, pontefice Massimo, dittatore per la seconda volta, con il parere del mio consiglio ho deciso quanto segue. Siccome il giudeo Ircano, figlio di Alessandro, ora e in passato, in tempo di pace come in guerra ha dimostrato lealtà e zelo per le cose nostre come fanno fede molti comandanti,
Libro XIV:193 e nell'ultima guerra di Alessandria è venuto in mio aiuto con mille e cinquecento soldati, e inviato da me a Mitridate sorpassò in valore tutti quanti erano nei ranghi,
Libro XIV:194 per tali motivi voglio che Ircano, figlio di Alessandro, e i suoi figli siano etnarchi dei Giudei e mantengano l'ufficio di sommo sacerdote dei Giudei per tutto il tempo conforme ai costumi della sua nazione, e che lui e i suoi figli siano nostri alleati militari, e ancora siano annoverati tra i nostri amici particolari;
Libro XIV:195 e qualsivoglia diritto o privilegio di sommo sacerdote esista conforme alle loro leggi, questi li abbiano sia lui sia i suoi figli, per mio ordine; e se frattanto sorgesse qualche questione riguardante il modo di vivere dei Giudei, è mio piacere che sia deciso da costoro. Non approvo che la loro truppa sia nei quartieri d'inverno e che da loro si esigano denari”.
Alle città della Fenicia
Libro XIV:196 - 3. I seguenti sono favori, concessioni e ricompense fatti da Gaio Cesare, imperatore, e console: “Che i suoi figli reggano la nazione dei Giudei, e godano dei frutti dati loro dalle terre, e che il sommo sacerdote sia anche etnarca, e sia il protettore dei Giudei ingiustamente oppressi.
Libro XIV:197 Che ambasciatori siano inviati a Ircano, figlio di Alessandro, sommo sacerdote dei Giudei, per trattare i termini di amicizia e di alleanza militare. E che una tavola di bronzo contenente questi decreti sia eretta in Campidoglio e in Sidone, in Tiro, e in Ascalon e nei templi, incisa in caratteri greci e latini.
Libro XIV:198 Che questo decreto sia notificato a tutti i questori e magistrati delle varie città e ai nostri amici, affinché sia prestata ospitalità agli inviati, e che queste ordinanze possano essere pubblicate ovunque”.
Ad Ircano e figli
Libro XIV:199 - 4. “Gaio Cesare, Imperatore, Dittatore e Console in ricono-scimento dell'onore, della virtù, e della benevolenza di Ircano, figlio di Alessandro, e nell'interesse del Senato e del popolo di Roma, ha concesso che sia lui che i suoi figli siano sommi sacerdoti e sacerdoti di Gerusalemme e della loro nazione con gli stessi diritti e sotto le stesse norme seguite dai loro padri che ininterrottamente tennero l'ufficio di sacerdoti”.
Riduzione delle tasse
Libro XIV:200 - 5. Gaio Cesare, Console per la quinta volta, ha decretato che costoro riceveranno la città di Gerusalemme e la fortificheranno, e che Ircano, figlio di Alessandro, sommo sacerdote ed etnarca dei Giudei, la occuperà nel modo che egli stesso vorrà.
Libro XIV:201 E che nel secondo anno della raccolta si dedurrà un kor" dalla tassa pagata dai Giudei e nessuno, esclusi loro, ne approfitti, né paghi lo stesso tributo”.
Privilegi diversi per i Giudei
Libro XIV:202 - 6. “Gaio Cesare, Imperatore per la seconda volta, prescrisse che essi paghino, esclusa Joppa, una tassa per la città di Gerusalemme, ogni
anno, a eccezione del settimo anno, da loro detto anno sabbatico, poiché in questo periodo essi né raccolgono frutti dagli alberi né seminano.
Libro XIV:203 E che nel secondo anno essi paghino il tributo a Sidone che consiste nel quarto del prodotto seminato; inoltre pagheranno anche le decime a Ircano e ai suoi figli, come le pagavano i loro antenati.
Libro XIV:204 E che nessuno, magistrato o promagistrato, pretore o legato possa prendere truppe ausiliarie nei territori dei Giudei, né permetterà che i soldati esigano soldi da loro sia per i quartieri d'inverno sia con qualsiasi altro pretesto: essi siano lasciati liberi da ogni molestia.
Libro XIV:205 Quanto poi in seguito acquistarono o comprarono o possiedono o fu loro assegnato, tutto ciò se lo manterranno. E’ ancora di nostro gradimento che la città di Joppa, che i Giudei tenevano dai tempi antichi, già quando fecero il trattato di amicizia con i Romani, appartenga loro come da principio;
Libro XIV:206 e per questa città Ircano, figlio di Alessandro, e i suoi figli, pagherà il tributo raccolto tra coloro che ne abitano il territorio, come tassa sulla terra, il porto e le esportazioni pagabile a Sidone per l'ammontare di ventimilaseicentosettantacinque moggi (modii) ogni anno, eccetto l'anno sabbatico durante il quale essi non arano e non colgono frutti dagli alberi.
Libro XIV:207 E’ gradito al Senato che i villaggi nella Grande Pianura, che Ircano possedeva come i suoi antenati, che Ircano e i Giudei seguitino a possederli secondo gli stessi diritti che avevano una volta,
Libro XIV:208 e che gli antichi diritti che avevano i Giudei e i loro sommi sacerdoti e sacerdoti, continuino, e così sia dei privilegi che ricevettero dal voto del popolo e del Senato; e che sia concesso anche a Lidda di godere degli stessi diritti.
Libro XIV:209 Le regioni, i terreni, le aziende, i frutti dei quali ai re della Siria e Fenicia, come alleati di Roma, era concesso gratuitamente di godere, il Senato decreta che sia concesso goderne anche all'etnarca Ircano e ai Giudei.
Libro XIV:210 Che a Ircano, ai suoi figli e agli ambasciatori inviati a lui sarà dato il diritto di sedere con i membri dell'ordine senatorio come spettatori delle lotte dei gladiatori e le bestie selvatiche; e che allorché al dittatore o maestro dei cavalli chiedano il permesso di entrare nella camera del Senato, siano ammessi e
a loro sia data una risposta entro dieci giorni, al massimo, dal tempo in cui è passato il decreto”.
Lealtà dei Giudei
Libro XIV:211 - 7. “Gaio Cesare, Imperatore per la seconda volta, Console per la quinta volta, designato Dittatore a vita, tenne il seguente discorso a proposito dei diritti di Ircano, figlio di Alessandro, sommo sacerdote ed etnarca dei Giudei.
Libro XIV:212 Siccome gli alti comandi delle province, in mia presenza, hanno testimoniato a favore di Ircano, sommo sacerdote dei Giudei, e gli stessi Giudei davanti al Senato e il popolo di Roma, e Senato e popolo manifestarono il loro ringraziamento, è bene e opportuno che noi serbiamo memoria di questo e provvediamo a che dal Senato e dal popolo di Roma, a Ircano e alla nazione Giudaica e ai figli di Ircano sia dato un segno di gratitudine degno della loro lealtà verso di noi e dei benefici che ci hanno fatto”.
Al popolo di Pario
Libro XIV:213 - 8. Giulio Gaio, Pretore, Console dei Romani, ai magistrati, al consiglio e al popolo di Pario, salute. I Giudei di Delo e alcuni Giudei delle vicinanze, erano presenti anche alcuni dei vostri legati, hanno fatto appello a me e hanno dichiarato che, con statuto, voi impedite loro di osservare le loro usanze nazionali e i loro riti sacri.
Libro XIV:214 Ora, sono spiacente che tali statuti si siano fatti contro dei nostri amici e alleati, e che a loro si sia vietato di vivere conforme ai loro usi e di contribuire con denaro ai pasti comuni e sacri riti perché questo non fu loro proibito neppure in Roma.
Libro XIV:215 Infatti, Gaio Cesare nostro pretore e console, proibì con un editto alle società religiose di riunirsi in città, ma solo a questo popolo non proibì la colletta di contributi in denaro o di tenere pasti in comune.
Libro XIV:216 Così io stesso ho vietato altre società religiose, ma ho permesso solo a questo popolo assemblee e feste conforme ai loro usi e ordinanze. Quindi se voi avete qualche statuto contro i nostri amici e alleati, farete bene a revocarli a motivo delle loro eccellenti azioni a nostro riguardo, e della loro benevolenza verso di noi”.
La politica di Cesare è continuata dopo
la sua morte
Libro XIV:217 - 9. Dopo la morte di Gaio, Marco Antonio e Publio Dolabella, consoli, convocarono il Senato e, introdotti gli ambasciatori inviati da Ircano, trattarono delle richieste da loro presentate, e fecero con essi un trattato di amicizia. E il Senato decise di concedere ogni loro richiesta.
Libro XIV:218 Riferisco qui lo stesso decreto affinché i lettori di questa Storia abbiano davanti una prova di tali disposizioni. Diceva così:
Libro XIV:219 - 10. “Decreto del Senato, copiato dall'Erario, dalle pubbliche tavole dei questori Quinto Rutilio e Quinto Cornelio questori della città, seconda tavola, prima colonna. Tre giorni prima delle idi di aprile, nel tempio della Concordia,
Libro XIV:220 presenti allo scritto Lucio Calpurnio Pisone, della tribù Menenia, Servo Sulpicio Quinto della tribù Lemonia, Gaio Caninio Rebilo della tribù Teretina, Publio Tedezio, figlio di Lucio, della tribù Polliana, Lucio Apulio, figlio di Lucio, della tribù Sergia, Flavio figlio di Lucio, della tribù Lemonia, Publio Plauzio, figlio di Publio, della tribù Papiria, Marco Gellio, figlio di Marco, della tribù Mecia, Lucio Erucio, figlio di Lucio, della tribù Steletinia, Marco Quinto Plaucinio, figlio di Marco, della tribù Pollia, Publio Serrio.
Libro XIV:221 Parlarono Publio Dolabella e Marco Antonio, consoli, delle cose che Gaio Cesare stabilì con l'assenso del Senato, a proposito dei Giudei e mancò il tempo di registrarle nel pubblico Erario; a noi piace che si faccia questo decreto come hanno deciso i consoli Publio Dolabella e Marco Antonio, e che sia registrato nelle tavole e portato ai questori della città; essi poi curino affinché sia riportato su tavole a doppia facciata.
Libro XIV:222 Il che fu fatto il quinto giorno prima delle idi di febbraio nel tempio della Concordia. I legati del sommo sacerdote Ircano erano i seguenti: Lisimaco, figlio di Pausania, Alessandro, figlio di Teodoro, Patroclo, figlio di Cherea, e Gionatan, figlio di Onia”.
Privilegi di Dolabella ai Giudei dell'Asia
Libro XIV:223 - 11. Ircano inviò anche uno di questi legati a Dolabella, allora governatore dell'Asia, domandandogli di esentare i Giudei dal servizio militare e permettere loro di mantenere gli usi nazionali e vivere conforme ad essi; e la richiesta fu presto accordata.
Libro XIV:224 Ricevute le lettere di Ircano, Dolabella senza neppure doman-dare consiglio, mandò a tutti (magistrati) dell'Asia, e scrisse anche a Efeso, la principale città dell'Asia, a proposito dei Giudei. Così dice la sua lettera:
Ai Giudei di Efeso
Libro XIV:225 - 12. “Durante la presidenza di Artemone, nel primo giorno del mese di Leneone, Dolabella, imperatore, ai magistrati, al consiglio, al popolo di Efeso, salute.
Libro XIV:226 Alessandro, figlio di Teodoro, legato di Ircano, figlio di Alessandro, sommo sacerdote ed etnarca dei Giudei mi ha spiegato che i suoi correligionari non possono assumere il servizio militare perché nei giorni di sabbato non possono portare armi, né marciare, né possono provvedersi i cibi ai quali sono abituati.
Libro XIV:227 Io pertanto, come i governatori che mi hanno preceduto, concedo loro l'esenzione dal servizio militare e accordo loro di vivere secondo gli usi trasmessi dai loro antenati, di radunarsi per i loro riti sacri santi secondo la loro legge, e compiere le offerte per i loro sacrifici; e voglio che voi scriviate queste istruzioni alle varie città”.
Lentulo esenta i Giudei di Efeso
dai Servizi militari
Libro XIV:228 - 13 Questi sono, dunque, i favori accordati da Dolabella al nostro popolo quando Ircano gli inviò l'ambasciata. Anche il console Lucio Lentulo dichiarò: “I Giudei che sono cittadini romani, che osservano i riti giudaici e li praticano in Efeso, io li esento dal servizio militare davanti al tribunale il ventesimo giorno prima delle calende di ottobre in considerazione dei loro scrupoli religiosi, essendo consoli Lucio Lentulo e Gaio Marcello”.
Libro XIV:229 Erano presenti il legato Tito Appio Balbo, figlio di Tito, della tribù Orazia, Tito Tongio, figlio di Tito, della tribù Crustuminia, Quinto Cesio, figlio di Quinto, Tito Pompeo Longino, figlio di Tito, il tribuno militare Gaio
Servilio Bracco, figlio di Gaio, della tribù Teretina, Publio Clusio Gallo, figlio di Publio, della tribù Veturia, Gaio Senzio, figlio di Gaio, ... figlio di .... della tribù Sabatina.
Libro XIV:230 “Tito Ampio, figlio di Tito Balbo legato e propretore, ai magistrati, al consiglio e al popolo di Efeso, salute. Il console Lucio Lentulo per mia intercessione ha esentato dal servizio militare i Giudei dell'Asia; avendo poi posto la mia domanda a Fannio, propretore, e a Lucio Antonio, proquestore, la mia domanda fu esaudita. E voglio che voi abbiate cura a che nessuno arrechi loro molestie”.
Decreti del popolo di Delo
Libro XIV:231 - 14. Decisione dei Deliani. All'arconte della Beozia, nel vente-simo giorno del mese di Targelion, risposta dei magistrati. Il legato Marco Pisone quando risiedeva nella nostra città, ebbe l'incarico di reclutare soldati, ci radunò con un numero considerevole di cittadini,
Libro XIV:232 e diede ordine che qualora ci fossero Giudei cittadini romani, nessuno doveva venire infastidito per il servizio militare, in quanto il console Lucio Cornelio Lentulo aveva esentato i Giudei dal servizio militare in considerazione dei loro scrupoli religiosi. Dobbiamo perciò obbedire al magistrato”. Simile a questo c'era il decreto che ci riguardava, (decreto) approvato dal popolo di Sardi.
Gaio Fannio al popolo di Coos
Libro XIV:233 - 15 “Gaio Fannio, figlio di Gaio, pretore proconsolare, ai magistrati di Coos, salute. Desidero sappiate che mi è giunta un'ambasceria dai Giudei, che affermano di avere dei decreti che li riguardavano, decreti approvati dal Senato. Tali decreti sono qui allegati. Voglio perciò che ne abbiate conoscenza e abbiate cura di questi uomini, conforme al decreto del Senato, di modo da passare sani e salvi per la vostra terra e giungere a casa loro”.
Lentulo a proposito dei Giudei di Efeso
Libro XIV:234 - 16. Lucio Lentulo, console, dichiarava: “in considerazione dei loro scrupoli religiosi ho liberato questi Giudei che sono cittadini romani e che, a mio giudizio, hanno e praticano i riti giudaici a Efeso. Datato il giorno ventesimo prima delle calende di luglio”.
Lettera di Lucio a Sardi
Libro XIV:235 - 17 “Lucio Antonio, figlio di Marco, proquestore e propretore, ai magistrati, al consiglio e al popolo di Sardi, salute. Nostri cittadini giudei sono venuti da me e hanno segnalato che dai tempi più antichi hanno avuto una loro associazione conforme alle leggi della loro patria e un luogo loro proprio, nel quale decidono i loro affari e le controversie reciproche; e che, a loro richiesta, sia permesso di compiere queste cose: decisi che possono seguitare, e ho loro permesso di fare così”.
Lentulo dispensa i Giudei di Efeso dai
servizi militari
Libro XIV:236 - 18. Marco Publio, figlio di Spurio, e Marco figlio di Marco, e Lucio, figlio di Publio, dichiararono: “Siamo andati dal proconsole Lentulo e l'abbiamo informato dell'esposto fatto da Dositeo, figlio di Cleopatride, l'Alessandrino, perché spetta a lui,
Libro XIV:237 in considerazione dei loro scrupoli religiosi egli dovrebbe esentare dal servizio militare tutti i Giudei che sono cittadini romani, e hanno l'abitudine di praticare i riti giudaici. Ed egli li esentò, il ventesimo giorno prima delle calende di luglio”.
Libro XIV:238 - 19. Nel consolato di Lucio Lentulo e Gaio Marcello. Erano presenti il legato Tito Ampio Balbo, figlio di Tito, della tribù Orazia, Tito Tongio, della tribù Crustuminia, Quinto Cesio, figlio di Quinto, Tito Pompeio Longino, figlio di Tito, della tribù Cornelia, il tribuno militare Gaio Servilio Bracco, figlio di Gaio, della tribù Teretina, Publio Clusio Gallo, figlio di Publio, della tribù Veturia, il tribuno militare Gaio Teuzio, figlio di Gaio, della tribù Emilia, Sesto Attilio Serrano, figlio di Sesto, della tribù Emilia,
Libro XIV:239 Gaio Pompeio, figlio di Gaio, della tribù Sabatina, Tito Ampio Menandro, figlio di Tito, Publio Servilio Strabone, figlio di Publio, Lucio Paccio Capito, figlio di Lucio, della tribù Collina, Aulo Furio Terzio, figlio di Aula, Appio Mena; in loro presenza, Lentulo annunziò il decreto seguente:
Libro XIV:240 “In considerazione dei loro scrupoli religiosi, davanti al tribunale, ho liberato questi Giudei cittadini romani e abituati a osservare i riti giudaici in Efeso”.
Lettera dei magistrati di Laodicea
a G. Rabirio
Libro XIV:241 - 20. “I magistrati di Laodicea al proconsole Gaio Rabirio, figlio di Gaio, salute. Sopatro, inviato del sommo sacerdote Ircano, ci ha consegnato una lettera da parte tua, nella quale ci informi che certe persone venute da parte di Ircano, sommo sacerdote dei Giudei, con documenti sulla loro nazione
Libro XIV:242 affinché sia loro lecito osservare i loro sabbati e compiere i loro riti conforme alle leggi della loro patria, e affinché nessuno dia loro ordini, poiché sono nostri amici e alleati, e affinché nessuno, nella nostra provincia, osi far loro ingiuria, e siccome il popolo di Tralle, in nostra presenza obiettò che non erano soddisfatti dei decreti a loro riguardo, tu hai ordinato che dovevano essere eseguiti, aggiungendo che tu fosti anche richiesto di scriverci sulle questioni che li riguardano;
Libro XIV:243 noi, dunque, conforme alle tue istruzioni, abbiamo accolto la lettera che ci giunse e l'abbiamo depositata nei pubblici archivi: quanto ai problemi sui quali ci hai dato direttive noi presteremo attenzione, sicché nessuno abbia da elevare biasimo”.
Lettera di P. S. Galba a Mileto
Libro XIV:244 - 21. “Publio Servilio Galba, figlio di Publio, proconsole, ai magistrati, al consiglio e al popolo di Mileto, salute.
Libro XIV:245 Pritani, figlio di Herma, vostro concittadino, venne da me mentre tenevo un'udienza a Tralle informandomi che contrariamente al nostro espresso desiderio, voi avete attaccato i Giudei e avete loro proibito l'osservanza del Sabbato conforme ai loro riti nazionali o di trattare i loro prodotti in modo conforme alle loro consuetudini; e che egli aveva annunziato questo decreto in conformità delle leggi.
Libro XIV:246 Perciò sappiate che, dopo avere ascoltato gli argomenti delle parti opposte, io ho deciso che ai Giudei non si deve proibire di seguire le loro usanze”.
Decreto del popolo di Pergamo
Libro XIV:247 - 22. Decreto del popolo di Pergamo: “Sotto la presidenza di Cratippo, al primo del mese di Daisio, un decreto dei magistrati. Siccome i Romani in ossequio alle pratiche dei loro antenati hanno accettato pericolosi rischi per la salvezza comune di tutti gli uomini e si sforzano con emulazione di porre i loro alleati e amici in una condizione felice e di durevole pace,
Libro XIV:248 la nazione giudaica e il suo sommo sacerdote Ircano hanno inviato loro come ambasciatori Stratone figlio di Teadoto, Apollonio, figlio di Alessandro, Enea, figlio di Antipatro, Aristobulo, figlio di Aminta,
Libro XIV:249 e Sosipatro, figlio di Filippo, uomini illustri ed eccellenti, e hanno fatto rimostranze a proposito di certi problemi, perciò il Senato approvò un decreto in merito ai problemi dei quali avevano parlato, affinché il re Antioco, figlio di Antioco non compia torti ai Giudei, alleati dei Romani; e (affinché) fortezze, porti, territorio e qualsiasi altra cosa abbiano preso da loro sia a loro restituita; che sia loro lecito esportare merci dai loro porti,
Libro XIV:250 e nessuno, re o popolo, esporti merci dal territorio dei Giudei o dai loro porti e sia esente da tassa ad eccezione di Tolomeo, re di Alessandria, perché è nostro alleato e amico; che la guarnigione di Joppa sia espulsa, come è da loro richiesto.
Libro XIV:251 Uno del nostro consiglio, Lucio Pettio, persona illustre ed eccellente, diede ordini affinché noi abbiamo cura a che le cose siano eseguite secondo il decreto del Senato, e noi cureremo che gli inviati abbiano un felice ritorno nelle loro case.
Libro XIV:252 Abbiamo anche ammesso Teodoro al consiglio e all'assemblea accogliendo da lui la lettera e il decreto del Senato; e dopo che egli rivolse a noi (parole) di notevole fervore sottolineando le virtù e la magnanimità di Ircano, e come egli distribuisca benefici a tutti gli uomini, in particolare a quanti a lui ricorrono,
Libro XIV:253 noi abbiamo depositato i documenti nei nostri pubblici archivi e abbiamo approvato un decreto che da parte nostra, essendo noi alleati dei Romani, avremmo fatto ogni cosa possibile in aiuto dei Giudei conforme al decreto del Senato.
Libro XIV:254 E quando ci consegnò la lettera, sollecitò anche i nostri magistrati a mandare copia del decreto per Ircano, e sollecitò anche i legati che l'informassero dell'amichevole interesse del nostro popolo, e lo spingessero a
mantenere e ad aumentare la sua amicizia con noi, e ad essere sempre pronti a compiere buone azioni sapendo di ricevere adeguata ricompensa,
Libro XIV:255 ricordando che all'epoca di Abramo, padre degli Ebrei, i nostri antenati furono loro amici come troviamo nei pubblici documenti”.
Decreto di Alicarnasso
Libro XIV:256 - 23. Decreto del popolo di Alicarnasso. “Durante il pontificato di Memnon, figlio di Aristide e, per adozione di Euonimo ... di Antesterion, il popolo, sollecitato da Marco Alessandro, approvò il seguente decreto.
Libro XIV:257 Dal momento che in ogni tempo abbiamo avuto profondo rispetto per la pietà verso la Divinità e la santità e conforme a quanto scrissero alla nostra città a proposito della loro amicizia e alleanza con i Giudei, affinché continuino i loro servizi sacri verso Dio, le loro usuali festività e adunanze religiose,
Libro XIV:258 abbiamo deciso che quei Giudei, uomini e donne che lo vogliano, possano osservare i loro sabbati e attendere ai loro sacri riti conforme alle leggi giudaiche e possano erigere luoghi di preghiera vicino al mare, conforme alle consuetudini della loro patria. Qualora qualcuno, magistrato o privato cittadino, li impedisca, sia soggetto alla seguente ammenda da pagare alla città”.
Decreto del popolo di Sardi
Libro XIV:259 - 24. Decreto del popolo di Sardi. “Il seguente decreto promosso dai magistrati, fu approvato dal consiglio e dal popolo. Dal momento che i cittadini giudei viventi nella nostra città hanno ricevuto di continuo molti privilegi ed ora sono venuti davanti al consilio e al popolo pregando che,
Libro XIV:260 siccome dal Senato e dal popolo romano furono loro restituite e le leggi e la libertà, conforme alle loro accettate usanze possano riunirsi e avere una vita comune e giudicare esse le proprie cause, e a loro sia concesso un luogo nel quale possano radunarsi con le proprie donne e figli per elevare a Dio le loro ataviche preghiere e sacrifici,
Libro XIV:261 perciò dal consiglio e dal popolo fu deciso di concedere loro di adunarsi in giorni stabiliti per compiere quelle azioni che sono conformi alle loro leggi, e anche che dai magistrati sia assegnato loro un luogo ove costruire e
abitare, come essi crederanno opportuno per lo scopo e che agli ufficiali del mercato della città sia fatto obbligo di farvi portare cibi idonei a loro”.
Decreto del popolo di Efeso
Libro XIV:262 - 25. Decreto del popolo di Efeso. “Sotto la presidenza di Menofilo, nel primo del mese Artemisio, fu approvato dal popolo il seguente decreto facendo seguito alla mozione dei magistrati, e fu annunziato da Nicanore.
Libro XIV:263 Siccome i Giudei della città hanno chiesto al proconsole Marco Iunio Bruto, figlio di Ponzio, di potere osservare i loro sabbati e tutte le pratiche conformi agli usi della loro patria senza l'interferenza di altri,
Libro XIV:264 e il governatore accolse tale domanda, fu quindi decretato dal consiglio e dal popolo che è materia riguardante i Romani, e nessuno può proibire l'osservanza dei giorni di sabbato né multare chi si regola in tal modo, a loro sarà concesso compiere tutte le cose che sono conformi alle loro proprie leggi”.
Conclusione dai documenti ufficiali
Libro XIV:265 - 26. Decreti di questo genere ve ne sono molti approvati dal Senato e da imperatori romani, riguardanti Ircano e la nostra nazione e così risoluzioni di città, e trascrizioni di governatori provinciali in risposta a lettere in merito ai nostri diritti, tutti coloro che desiderano leggere la presente storia senza malizia avranno la possibilità di credere dai documenti che abbiamo citato.
Libro XIV:266 Infatti abbiamo addotto prove chiare e visibili della nostra amicizia con i Romani, additando quei decreti incisi su colonne di bronzo e tavole che tuttora si conservano in Campidoglio e seguiteranno a rimanervi, mi sono astenuto dal citarli tutti ritenendo ciò noioso e sgradevole.
Libro XIV:267 Poiché non posso supporre che qualcuno sia così ottuso che oggi rifiuti di credere la dichiarazione di amicizia dei Romani verso di noi, quando essi l'hanno dimostrata in così numerosi decreti a nostro riguardo, o non voglia ammettere che noi stiamo facendo una dichiarazione fedele fondata sugli esempi che abbiamo addotto. Abbiamo qui presentato la nostra amicizia e alleanza con i Romani di quei tempi.
Antipatro dalla parte di Cesare contro Pompeo
Libro XIV:268 - XI, I. - Intorno allo stesso periodo, esplosero turbolenze gravi, in Siria per la seguente motivazione. Cecilio Basso, simpatizzante di Pompeo, ordì un complotto contro Sesto Cesare: lo uccise, si impossessò dell'esercito e si proclamò padrone della regione; iniziò così un'aspra guerra presso Apamea poiché i generali di Cesare marciarono contro di lui con forze di fanteria e cavalleria.
Libro XIV:269 Anche Antipatro mandò loro rinforzi con i suoi figli, memore dei benefici ricevuti da Cesare e per questo giudicò giusto vendicare Sesto ed esigere soddisfazione del suo assassinio.
Libro XIV:270 Prolungandosi la guerra, da Roma venne Marco per prendere il comando di Sesto e (Giulio) Cesare intanto era ucciso nel Senato da Cassio e Bruto dopo avere tenuto il potere per tre anni e sei mesi. Questo però è narrato altrove.
Libro XIV:271 - 2. Allo scoppio della guerra che seguì alla morte di Cesare e alla dispersione di tutti i personaggi autorevoli in diversi quartieri per fare la leva di truppe, Cassio venne in Siria per assumere il comando dell'esercito nei pressi di Apamea.
Libro XIV:272 E dopo avere sciolto l'assedio, egli attirò dalla sua parte sia Basso che Marco; disceso poi per le città, raccolse da esse armi e soldati, e impose pesanti tributi. Peggiore di tutti fu il trattamento riservato alla Giudea, dalla quale esigette settecento talenti d'argento.
Libro XIV:273 Antipatro, constatato che gli affari erano in uno spaventoso disordine, divise l'incarico della riscossione a più persone e ne diede la cura ai suoi due figli, ordinando che una parte fosse raccolta da Malico, che gli era ostile, e il resto da altri.
Libro XIV:274 Erode che era il primo a riscuotere dalla Galilea la somma che gli avevano imposto, divenne particolarmente amico di Cassio; perché riteneva opportuno, da uomo accorto, coltivare fin d'allora i Romani e guadagnarsene la benevolenza a spese altrui.
Libro XIV:275 Ma gli ufficiali delle altre città, fino all'ultimo, erano venduti come schiavi; e in quel tempo Cassio ridusse alla servitù quattro città, le più importanti delle quali erano Gofna ed Emmaus, le altre Lidda e Tamna.
Libro XIV:276 Tanta fu la rabbia covata da Cassio che avrebbe fatto fuori Malico - e già si era mosso contro di lui - se per mezzo di Antipatro, Ircano non ne avesse frenato la collera, mandandogli cento talenti della sua personale fortuna e arrestando così la sua mossa ostile.
Malico complotta contro la vita di Antipatro
Libro XIV:277 - 3. Ma allorché Cassio lasciò la Giudea, Malico cospirò contro Antipatro, pensando che dalla sua morte dipendesse la sicurezza del governo di Ircano. Tali piani, però, non restarono ignoti ad Antipatro, il quale, appena ne venne a conoscenza, passò il Giordano, radunò un esercito di Arabi e di nativi.
Libro XIV:278 Malico, da uomo scaltro qual era, negò il complotto e si difese, sotto giuramento, davanti a lui e ai suoi figli, dicendo con Fasaele che difendeva Gerusalemme ed Erode, custode delle armi, non avrebbe accarezzato una simile idea, vedendo che sarebbe stata impossibile; e così si riconciliò con Antipatro,
Libro XIV:279 e giunsero a un accordo all'epoca in cui Marco era governatore della Siria, il quale - saputo che Malico stava attizzando una rivolta nella Giudea, era sul punto di ucciderlo, se non fosse intervenuto Antipatro a salvargli la vita.
Potere crescente degli Erodiani; Malico
avvelena Antipatro
Libro XIV:280 - 4. Ora avvenne che Antipatro, salvando la vita di Malico, involontariamente salvò il proprio assassino. Cassio e Marco, infatti, raccolsero un esercito e ne affidarono interamente la cura a Erode, e lo costituirono governatore della Cele-Siria, gli diedero navi e una forza di cavalleria e di fanteria, e promettendogli di nominarlo re della Giudea, non appena sarebbe finita la guerra, proprio allora iniziata, tra Antonio e il giovane Cesare.
Libro XIV:281 Così Malico si trovò atterrito più che mai dalla potenza di Antipatro, cercò di farlo fuori e con denaro convinse il coppiere di Ircano, in casa del quale si sarebbero trattenuti, a uccidere l'uomo (Antipatro) avvelenandolo; e avendo con sé dei soldati, restituì l'ordine nella città.
Libro XIV:282 Ma Erode e Fasaele, venuti a conoscenza della congiura contro il loro padre, erano irritati, Malico nuovamente negò di avere avuto qualsiasi parte in essa e affermò di non avere alcuna conoscenza dell'assassino.
Libro XIV:283 In tal modo morì Antipatro, uomo distinto che per pietà e giustizia e devozione verso la patria non aveva uguale. Uno dei suoi figli, Erode, decise subito di vendicare suo padre guidando il suo esercito contro Malico; ma Fasaele, maggiore d'età, giudicò che era meglio prendere il loro uomo con l'inganno affinché non si pensasse che stavano iniziando una guerra civile.
Libro XIV:284 Egli, dunque, accettò le discolpe di Malico che pretendeva di non avere commesso alcun atto criminale in connessione alla morte di Antipatro; e intanto pensò ai funerali del proprio padre. Quanto a Erode, egli andò in Samaria, la trovò in condizione pietosa, riparò i danni, compose le querele tra il popolo.
Sfidando Ircano e Malico, Erode entra
in Gerusalemme
Libro XIV:285 - 5. Dopo non molto tempo, allorché a Gerusalemme ebbe luogo una festa, egli venne in città con i suoi soldati, e Malico impaurito cercò di convincere Ircano a non permettergli di entrare (in città). Ircano si lasciò convincere e per lasciarlo fuori, gli addusse il pretesto che non era conveniente introdurre una folla di stranieri quando il popolo si trovava in stato di purità rituale.
Libro XIV:286 Ma Erode prestò poca attenzione ai suoi legati ed entrò in città di notte, con spavento di Malico il quale però non eliminò la propria finzione di innocenza, ché anzi piangeva Antipatro e ostentatamente si lamentava della sua memoria come di quella di un amico; ciononostante, in segreto, si era assicurato una guardia del corpo.
Libro XIV:287 Però Erode e i suoi amici giudicarono che il meglio fosse non smascherare la sua simulazione; al contrario, contraccambiavano Malico con maniere cortesi per non destare sospetti.
Cassio autotizza Erode a uccidere Malico
Libro XIV:288 - 6. Intanto Erode scrisse a Cassio sulla morte del padre, ed egli, sapendo che genere di uomo era Malico, gli rispose che doveva vendicare suo padre, e segretamente inviò ordini ai tribuni militari di Tiro di assistere Erode nel suo piano di fare giustizia.
Libro XIV:289 Ora, quando Cassio prese Laodicea, ed essi si sarebbero presentati ufficialmente portandogli corone e denaro, Erode attendeva che in quella occasione Malico sarebbe andato incontro al suo castigo.
Libro XIV:290 Tuttavia mentre egli si trovava presso Tiro, in Fenicia, sospettando che qualcosa stesse per accadere, volse le sue mire a cose maggiori: siccome suo figlio era in ostaggio a Tiro, andò in città deciso a portarlo via e partire per la Giudea, poi – quando Cassio sarebbe partito, con premura, contro Antonio - avrebbe suscitato una rivolta nella nazione, e ne avrebbe preso il potere.
Libro XIV:291 Ma questi piani furono contrastati dal divino e dall'accortissimo Erode il quale, intuendo le sue intenzioni, spedì con tutta fretta un suo servo, apparentemente per preparare la cena poiché aveva già fatto l'invito a tutti - ma in realtà lo mandò dai tribuni militari per convincerli a venire con i pugnali pronti contro Malico.
Libro XIV:292 Essi vennero, l'incontrarono poco lungi dalla città sulla spiaggia del mare e lo pugnalarono a morte. Ircano rimase stordito e senza parola, per quanto era avvenuto: riavutosi poi, con difficoltà, domandò agli uomini di Erode quale mai fosse il significato di quell'atto, e chi avesse ucciso Malico.
Libro XIV:293 Ma saputo che questo era stato ordinato da Cassio, lodò l'impresa affermando che Malico era veramente un pessimo individuo e cospiratore contro la sua patria. Tale, dunque, fu a castigo che ebbe Malico per la sua scellerata azione contro Antipatro.
Partenza di Cassio e disordini in Giudea
Libro XIV:294 - 7. Quando Cassio lasciò la Siria, nella Giudea sorsero disordini, perché Felice, che era stato lasciato a Gerusalemme con l'esercito, si spinse contro Fasaele, e tutto il popolo era in armi.
Libro XIV:295 Erode intanto era andato da Fabio, governatore a Damasco, e sebbene volesse correre affianco di suo fratello, ne fu impedito da un'infermità.
Finalmente Fasaele riuscì vittorioso con le proprie forze contro Felice e lo rinchiuse in una torre; in seguito, però, lo lasciò andare libero per una tregua; si dolse (Fasaele) con Ircano che trattava con i suoi (di Fasaele) nemici, nonostante i benefici da lui ricevuti.
Libro XIV:296 Perché il fratello di Malico, dopo avere suscitato una rivolta, si era impadronito di un buon numero di fortezze, compresa Masada la più agguerrita di tutte. Appena riavutosi dall'infermità, Erode andò contro di lui, gli tolse tutte le fortezze che teneva; dopo lo lasciò andare libero per una tregua.
Erode sconfigge Antigono
Libro XIV:297 - XII, I. - Ora Antigono, figlio di Aristobulo, che aveva arruolato un esercito e cercava, con denaro, il favore di Fabio, fu ricondotto nella sua terra da Tolomeo, figlio di Menneo, perché suo parente; egli era aiutato anche da Marione, che Cassio aveva lasciato come tiranno di Tiro, il quale nell'intento di occupare la Siria, la teneva suddivisa tra più tiranni.
Libro XIV:298 Perciò Marione invase anche la Galilea che si trova ai suoi confini, e occupò tre fortezze, nelle quali pose delle guarnigioni. Mandò contro di lui Erode e gli tolse tutti quei luoghi, ma gli lasciò, prudentemente, la guarnigione dei Tirii e diede, anzi, dei doni ad alcuni di essi come segno di benevolenza verso la loro città.
Libro XIV:299 Dopo queste vicende andò incontro ad Antigono, lo affrontò in battaglia, gli procurò una disfatta, e lo allontanò dalla Giudea ancora prima che avesse tempo di oltrepassare i suoi confini. E quando giunse a Gerusalemme, Ircano e il popolo cinsero di corone il suo capo.
Libro XIV:300 Erode era già imparentato con un accordo di matrimonio con la famiglia di Ircano, per tale motivo fu molto premuroso verso di lui: era, infatti, in procinto di sposare la figlia di Alessandro, figlio di Aristobulo e pronipote di Ircano per cui (con questo sposalizio) sarebbe diventato padre di tre figli e due figlie. In precedenza aveva sposato una donna plebea della sua nazione di nome Doris, dalla quale ebbe il figlio primogenito, Antipatro.
Antonio, in Asia, manifesta il suo favore
per Erode e per Ircano
Libro XIV:301 - 2. Intanto Cassio fu sconfitto da Antonio e da Cesare presso Filippi, come altri hanno riferito. Dopo la loro vittoria, Cesare partì per l'Italia e Antonio si volse all'Asia, e allorché arrivò in Bitinia gli andarono incontro ambascerie di ogni nazione.
Libro XIV:302 Erano presenti anche i principali Giudei, che addussero accuse contro Fasaele e contro Erode, perché loro avevano tutto il potere, mentre a Ircano non restava che l'apparenza della sovranità.
Libro XIV:303 Ma Erode, che da Antonio era tenuto in grande onore, era andato per discolparsi dalle accuse, e così i suoi avversari non ebbero neppure la fortuna di parlare, perché Erode aveva ottenuto tale favore da Antonio col denaro.
Libro XIV:304 Quando Antonio arrivò a Efeso, il sommo sacerdote Ircano e la nostra nazione gli inviarono un'ambasciata con una corona d'oro e la domanda di volere scrivere una lettera ai governatori della provincia affinché liberassero i Giudei che erano stati fatti prigionieri da Cassio in violazione delle leggi di guerra e di restituire loro il territorio del quale erano stati privati all'epoca di Cassio.
Libro XIV:305 Ad Antonio parvero ragionevoli le richieste dei Giudei, e così scrisse immediatamente a Ircano e ai Giudei. Inviò pure agli abitanti di Tiro un decreto per ottenere lo stesso risultato.
Lettera di Antonio a Ircano in
favore dei Giudei
Libro XIV:306 - 3. “Marco Antonio, Imperatore, a Ircano sommo sacerdote ed etnarca, e alla nazione giudaica. Salute. Se voi state bene, va bene. Anch'io sto bene, con l'esercito.
Libro XIV:307 I legati Lisimaco, figlio di Pausania, Giuseppe, figlio di Menneo, e Alessandro, figlio di Teodoro, che mi hanno incontrato a Efeso, rinnovarono la missione che in precedenza compirono a Roma e hanno eseguito accuratamente la missione in favore tuo e della nazione, illustrando la benevolenza che tu hai verso di noi.
Libro XIV:308 Persuaso dai fatti e dalle parole dei cordialissimi sentimenti che avete per noi, convinti della vostra natura sincera e pia, considero i vostri interessi come miei propri.
Libro XIV:309 Poiché i nostri nemici e quelli del popolo romano corsero per tutta l'Asia senza risparmiare né città né tempo, senza considerare i patti che avevano giurato, non è tanto per il nostro privato interesse che noi abbiamo preso le armi, quanto per il comune interesse, per punire gli autori dei soprusi fatti agli uomini e dalle empietà commesse verso gli dèi; perciò crediamo che il sole distolga gli occhi da tutto ciò che con disgusto mirò l'odioso attentato contro Cesare.
Libro XIV:310 Ma gli dèi condannano le loro infami congiure, alle quali diede accoglienza la Macedonia quasi che il suo clima fosse adatto ai loro crimini infami, e lo stravolgimento delle maligne e quasi furiose loro idee che rinforzarono a Filippi in Macedonia, ove si impadronirono di luoghi naturalmente favorevoli e difesi fino al mare da una serie di monti, così che il transito era controllato da una sola porta, questi complotti e questa plebaglia sono condannati dagli dèi perché imprese ingiuste, finalmente noi abbiamo vinto.
Libro XIV:311 E Bruto, rifugiatosi a Filippi, fu da noi accerchiato ed ebbe la stessa fine di Cassio. Ora che costoro sono puniti, di qui in avanti pensiamo a vivere in pace, e a dare all'Asia tranquillità dalle guerre.
Libro XIV:312 Quella pace che Dio ci diede, vogliamo che sia comune anche ai nostri alleati; sicché il corpo dell'Asia così travagliato da grave infermità, grazie alla nostra vittoria si riprenda. Perciò, avendo in mente di promuovere il tuo benessere e quello della tua nazione, avrò cura dei vostri interessi.
Libro XIV:313 Ho pertanto diffuso lettere per le città, affinché qualora vi siano persone libere o schiave vendute all'asta da Cassio o dai suoi subordinati, tornino in libertà; voglio che approfittiate dei privilegi graziosamente concessi da me e da Dolabella. Ordino inoltre agli abitanti di Tiro di non usare violenza contro di voi e comando che restituiscano ai Giudei quanto loro appartiene. La corona che tu mi hai mandato, io l'ho accettata”.
Lettera di Antonio a Tiro in favore dei Giudei
Libro XIV:314 - 4. “Marco Antonio Imperatore, ai magistrati, al consiglio e al popolo di Tiro, salute. Mi è stato notificato a Efeso dai legati di Ircano, sommo sacerdote ed etnarca, che ritenete terre di loro proprietà, che avete preso allorché dominavano i nostri avversari;
Libro XIV:315 ora, poiché abbiamo preso a guerreggiare per il potere supremo e abbiamo a cuore la causa della pietà e della giustizia, puniamo coloro che non si curano della gratitudine e non mantengono i giuramenti, voglio che i nostri alleati siano in pace con voi, e che quanto avete ricevuto dai nostri nemici, non lo tratteniate, ma lo restituiate a coloro ai quali fu tolto.
Libro XIV:316 Poiché nessuno di questi uomini ha ricevuto province o eserciti dal Senato, ma se li presero con la prepotenza, e con un atto di violenza che regalarono a quelli che, con attività illegali, furono a loro utili.
Libro XIV:317 Ora costoro ne ricevono il castigo e noi giudichiamo giusto che i nostri alleati continuino a possedere senza contrasto ciò che in precedenza avevano e anche che voi, qualora tratteniate qualche terra che prima apparteneva a Ircano, l'etnarca dei Giudei, - prima che Gaio Cassio con un'illecita guerra invadesse la nostra provincia - la restituiate a lui e non usiate alcuna prepotenza contro di loro (i Giudei), facendo in modo che non abbiano forze sufficienti per venire in possesso di quanto ad essi appartiene.
Libro XIV:318 E se avete qualche ragione contro di lui, vi sarà permesso di farla valere quando verremo da quelle parti; intendiamo, infatti mantenere i diritti di tutti i nostri alleati, dando a tutti un giudizio equo”.
Lettera di Antonio agli abitanti di Tiro
Libro XIV:319 - 5. “Marco Antonio, Imperatore, ai magistrati, al Consiglio, e al popolo di Tiro, salute. Vi ho mandato un mio editto, ed è mio volere che abbiate cura di registrarlo sulle pubbliche tavole in caratteri latini e in caratteri greci, e, quando sarà scritto, custoditelo in luogo pubblico, visibile a tutti, affinché ognuno lo possa leggere.
Libro XIV:320 Dichiarazione di Marco Antonio, Imperatore, uno del triumvirato designato al governo della repubblica, disse: Poiché Gaio Cassio nell'ultima rivolta prese una provincia che non gli apparteneva e dopo averla assoggettata con le armi, saccheggiò essa e i nostri alleati, e obbligò alla resa la nazione dei Giudei, che era amica del popolo romano,
Libro XIV:321 noi, dopo avere spezzato con le nostre armi la sua follia, con editti e decreti ristabiliamo l'ordine nei territori da lui saccheggiati in modo che i nostri alleati riabbiano il loro. E quanto fu venduto e apparteneva ai Giudei, sia persone che beni, sia restituito, gli schiavi siano liberi, come erano prima, i beni siano restituiti ai loro originali padroni.
Libro XIV:322 E voglio che chiunque non ottempera al mio editto sia portato in tribunale e - se reo - sarà mia cura punirlo, come merita il suo delitto”.
Lettere a Sidone, Antiochia e Arado
Libro XIV:323 - 6. Nello stesso tenore scrisse anche al popolo di Sidone, Antiochia e Arado. Abbiamo citato questi documenti in un luogo appropriato, perché saranno prove delle nostre affermazioni a proposito della sollecitudine dimostrata dai Romani per la nostra nazione.
Antonio, a Dafne, favorisce Erode
Libro XIV:324 XIII, I. Poi, quando Antonio si recò in Siria, Cleopatra andò a incontrarlo in Cilicia, e lo fece schiavo d'amore. E ancora una volta, un centinaio di Giudei molto influenti, preceduti dai più abili dicitori, si recarono da lui per accusare Erode e i suoi amici.
Libro XIV:325 Ma Messala parlò contro di loro, in favore dei giovani, sostenuto dalla presenza di Ircano che era già diventato loro congiunto a motivo del matrimonio. Antonio sentì le due parti a Dafne e domandò a Ircano quali dei due capi governasse meglio la nazione, ed egli rispose:
Libro XIV:326 “Erode e il suo popolo”; perciò Antonio già ben disposto verso di loro per l'ospitale amicizia che aveva con il loro padre fin da quando era con Gabinio, li nominò tutti e due, Erode e Fasaele, tetrarchi, e affidò loro il governo dei Giudei; egli stesso scrisse lettere (a conferma di ciò), e fece mettere in catene quindici dei loro avversari; stava già per ucciderli, ma poi salvò loro la vita per intercessione di Erode.
Contesa sulla spiaggia
Libro XIV:327 - 2. Ma neppure quando tornarono dall'ambasciata, non si chetarono, bensì un migliaio si incontrò nuovamente con Antonio a Tiro ove lui
aveva deciso di recarsi. Antonio già prevenuto da Erode e da suo fratello, diede ordine al magistrato locale di punire i legati dei Giudei, aspiranti a una rivoluzione, e di rafforzare il potere di Erode.
Libro XIV:328 Tosto Erode si recò da loro, e con lui c'era anche Ircano; avevano, infatti, preso posto lungo la spiaggia fuori dalla città, e li spinse ad andare via, dicendo che avrebbero corso un grande rischio qualora fossero venuti a una contesa.
Libro XIV:329 Quelli però non ascoltarono l'avvertimento; all'istante irruppero su di loro i Romani i quali ne uccisero alcuni con i pugnali; altri, la maggioranza, furono feriti, i restanti fuggirono a casa loro ove rimasero, senza muoversi, in preda alla paura. Intanto il popolo gridava contro Erode; e Antonio, sdegnato, uccise quanti erano stati catturati prigionieri.
Antigono ottiene il supporto dei Parti
Libro XIV:330 - 3. L'anno appresso, la Siria fu occupata da Pacoro, figlio del re dei Parti, Barzafrane, satrapo dei Parti; nello stesso anno morì Tolomeo, figlio di Menneo, gli succedette sul trono il figlio Lisania, che strinse un patto d'amicizia con Antigono, figlio di Aristobulo, e in questa materia trovò un aiuto nel satrapo che aveva su di lui un notevole influsso.
Libro XIV:331 E Antigono promise di dare ai Parti mille talenti e cinquecento donne, qualora avesse tolto il potere a Ircano e dato a lui, e distrutto Erode e il suo popolo.
Libro XIV:332 In realtà egli non diede tutto questo, ciononostante, i Parti, per amore di quella ricompensa, entrarono nella Giudea, portando con sè Antigono nel suo paese. Pacoro andò lungo la costa del mare, mentre il satrapo Barzafrane attraversò la parte interna.
Libro XIV:333 Ora mentre i Tirii chiusero le porte a Pacoro, il popolo di Sidone e di Tolemaide lo accolsero; e Pacoro, tuttavia, inviò nella Giudea un corpo di cavalleria per esplorare la regione e anche per dare una mano ad Antigono sotto il comando del coppiere del re, del quale aveva lo stesso nome.
Libro XIV:334 Siccome alcuni Giudei, vicini al Monte Carmelo, andarono da Antigono ed erano pronti ad unirsi a lui nell'invasione, Antigono si aspettava di conquistare col loro aiuto qualche parte del territorio, cioè la regione detta I
Boschetti; e sebbene attaccati da alcuni avversari, questi uomini riuscirono a mettersi sulla via verso Gerusalemme e, in seguito, raggiunti da altri, costituirono un corpo notevole, e marciarono contro il palazzo reale, e lo strinsero d'assedio.
Libro XIV:335 Ma ad assistere gli assediati andarono Fasaele ed Erode: lo scontro ebbe luogo nella piazza del mercato e i giovani sconfissero il nemico; dopo un inseguimento nel tempio, spedirono alcuni soldati a sorvegliare le case vicine, e siccome i soldati furono lasciati senza rinforzi, il popolo si sollevò contro di essi, diede fuoco alle case e in esse trovarono la morte.
Libro XIV:336 Erode, subito dopo, si vendicò per questo oltraggio sui suoi nemici che impegnò in una battaglia nella quale uccise molti di essi.
Erode e Fasaele impegnano i nemici
in Gerusalemme
Libro XIV:337 - 4. Durante le scaramucce che avvenivano quotidianamente, il nemico era in attesa dell'avviso della moltitudine che sarebbe venuta dalla regione per la celebrazione della festività detta Pentecoste.
Libro XIV:338 Giunto quel giorno, molte migliaia di uomini, sia armati che disarmati, si raccolsero attorno al tempio. I nuovi arrivati tenevano il tempio e la città ad eccezione del palazzo reale e sue adiacenze, essendo questi protetti da Erode con pochi soldati.
Libro XIV:339 Fasaele faceva la guardia alle mura, Erode con una compagnia attaccò i nemici nei sobborghi e dopo una feroce battaglia ne mise in fuga molte decine di migliaia: di costoro, molti fuggirono nella città, altri nel tempio e altri ancora all'esterno dei bastioni, che erano lì. Anche Fasaele l'aiutò.
Libro XIV:340 Pacoro, il generale parto, alla domanda di Antigono, venne in città con pochi cavalieri, apparentemente per porre fine alla sedizione, ma in realtà per dare aiuto ad Antigono per la conquista del potere.
Libro XIV:341 Quando Fasaele lo incontrò, lo accolse in modo ospitale, Pacoro lo persuase di andare egli stesso come legato da Barzafrane: ciò, infatti, faceva parte del complotto ordito contro di lui. Di nulla sospettoso, Fasaele si lasciò persuadere, sebbene Erode non approvasse quanto si stava facendo a motivo
della slealtà dei barbari, al contrario lo consigliò di attaccare Pacoro e gli altri giunti con lui.
Congiura dei Parti contro Fasaele
Libro XIV:342 - 5. E così Ircano e Fasaele partirono per l'ambasciata, sotto la scorta di Pacoro, lasciando ad Erode duecento cavalieri e dieci dei cosiddetti Liberi. Ma, entrati nella Galilea, furono accolti con le armi dai nemici stanziati in quella regione.
Libro XIV:343 Sulle prime, Barzafrane li accolse cortesemente, e diede loro dei regali, ma poi prese a complottare contro di essi. Fasaele e quelli del suo seguito furono portati a Ecdeipo sovrastante il mare; e quivi quando seppero che Antigono aveva promesso ai Parti mille talenti e cinquecento donne a loro spese, allora ebbero sospetto dei barbari.
Libro XIV:344 Inoltre vi fu qualcuno che affermò che era stato ordito un complotto contro di loro e sarebbe avvenuto nella notte, quando una guardia invisibile li circondava e li avrebbe catturati non appena avuta la certezza che i Parti, a Gerusalemme, avessero catturato Erode; infatti temevano che, facendo fuori loro, Erode, saputolo, se ne fuggisse.
Libro XIV:345 Venuti a conoscenza che le cose erano proprio così, e che le guardie ormai erano già visibili, alcuni consigliavano Fasaele a non indugiare oltre, ma salire subito a cavallo e dileguarsi; colui che lo spingeva ad agire così era Ofellio, che aveva udito queste cose da Saramalla - a quel tempo l'uomo più ricco della Siria - il quale gli offrì barche per la fuga, poiché il mare era vicino.
Libro XIV:346 Egli però giudicò scorretto sia abbandonare Ircano sia mettere in pericolo suo fratello; e andò invece da Barzafrane e gli disse che il suo modo di agire era scorretto perché non era giusto fomentare complotti contro di loro; se bramava denari, da lui ne poteva avere assai più di quanto gliene poteva dare Antigono, e che comunque era una cosa terribile che facesse uccidere legati venuti fiduciosi da lui, ed erano esenti da qualsiasi male.
Libro XIV:347 In risposta a queste parole, il barbaro giurò che in quei sospetti non c'era nulla di vero e che i sospetti che crucciavano Fasaele erano falsi; se ne andò poi da Pacoro.
Erode viene informato del pericolo in cui si
trova Fasaele
Libro XIV:348 - 6. Quando egli partì, alcuni Parti imprigionarono Ircano e Fasaele, il quale rimproverava acerbamente i Parti per la loro perfidia. Intanto il coppiere inviato ad Erode aveva ordine di trarlo fuori delle mure e catturarlo.
Libro XIV:349 Fortunatamente Fasaele aveva inviato alcuni messi ad informarlo della slealtà dei Parti; quando Erode seppe che il nemico li aveva catturati, andò da Pacoro e dai Parti più influenti e signori degli altri.
Libro XIV:350 E sebbene fossero informati di tutto, pretendevano di non sapere nulla, e affermavano che egli doveva uscire con loro fuori delle mura per incontrare quelli che recavano le lettere, perché non erano ancora stati presi dagli avversari, ma anzi venivano con un rapporto su tutto ciò che Fasaele aveva fatto.
Libro XIV:351 Ma Erode non prestò fede, perché aveva saputo da altri della cattura di suo fratello; e il suggerimento della figlia di Ircano, alla quale era promesso sposo, lo fecero ancora più sospettoso verso i Parti. Sebbene gli altri non le dessero retta, lui le prestava fede come a donna molto sensibile.
Erode fugge in Idumea
Libro XIV:352 - 7. Mentre i Parti deliberavano sul da farsi, a essi, infatti, non piaceva l'idea di attaccare apertamente un uomo così potente, e rimandavano la faccenda al giorno seguente, Erode si trovava in una grave confusione e dava più peso a quanto aveva saputo in merito a suo fratello e al complotto dei Parti, che all'altra parte, e fattasi sera, decise di avvalersi dell’opportunità di fuggire e di non temporeggiare oltre, incerto com'era di quale pericolo gli stesse venendo dal nemico.
Libro XIV:353 Prese dunque con sé i soldati che aveva, pose le donne, cioè sua madre, sua sorella, la figlia di Alessandro, figlio di Aristobulo, che avrebbe poi sposata, e la madre di lei, che era una figlia di Ircano e le pose sopra i giumenti da soma; prese pure il suo fratello minore, tutti i servi e il gruppo che era con loro e, sfuggendo al nemico, si avviò sulla strada per l'Idumea.
Libro XIV:354 Nessun nemico, che fosse stato presente a questo evento, sarebbe stato così duro di cuore da non avere pietà della loro sorte, vedendo donne, con i
bambini in braccio, lasciare in catene, tra lacrime e lamenti, la patria e gli amici; né si aspettavano per essi, qualcosa di meglio.
Libro XIV:355 - 8. Ciononostante Erode elevava il suo spirito sotto il vento della sfortuna, era pieno di coraggio in faccia alla disgrazia, e lungo il cammino si recava dagli altri esortandoli a farsi coraggio e a non lasciarsi sopraffare dalle sofferenze poiché, diceva, li avrebbe distolti dalla fuga dalla quale, soltanto, dipendeva la loro salvezza.
Libro XIV:356 E così, con l'esortazione di Erode, tentavano di sopportare il loro tormento. Ma una volta si ribaltò il carro, sua madre fu in pericolo di morte e lui fu in procinto di togliersi la vita a motivo dell'angoscia che provava per lei e del timore che a causa del ritardo, i nemici li sorprendessero in fuga.
Libro XIV:357 Onde, tratto il pugnale, era in procinto di colpirsi, ma lo trattennero quelli che erano con lui e prevalsero dicendo che, da parte sua, non era giusto abbandonarli e lasciarli in potere dei loro nemici, poiché non era atto da uomo nobile liberare se stesso dal pericolo senza tenere conto dei suoi amici.
Libro XIV:358 Così si fece forza e desistette da quell'atto violento contro se stesso, sia per vergogna a queste parole, sia per il numero di quanti trattenere la sua mano dal porre in atto il suo piano. Rianimata sua madre, le prestò le cure che erano possibili nel breve tempo che c'era a sua disposizione; seguitò poi il suo cammino percorrendo a grande velocità il viaggio fino alla fortezza di Masada. Molti furono gli scontri avuti con i Parti che ripetutamente lo attaccavano, e da tutti uscì sempre vittorioso.
Erode lascia la famiglia nella fortezza
di Masada
Libro XIV:359 - 9. Durante la fuga non fu sicuro neppure dei Giudei; questi pure lo attaccarono a sessanta stadi dalla città, e vennero alle mani lungo la strada;
Libro XIV:360 egli respinse anche questi e li mise in fuga, come se non fosse stato indifeso e in una posizione difficile, ma avesse invece avuto un'eccellente preparazione alla guerra e si trovasse in un grande vantaggio. Più tardi, allorché divenne re, sul luogo ove sconfisse i Giudei, fabbricò uno splendido palazzo e attorno a esso fabbricò una città che chiamò Herodia.
Libro XIV:361 Giunto in Idumea nel luogo detto Oresa, incontrò suo fratello Giuseppe, e tennero un consiglio su quello che era da fare in merito alla sua situazione generale, poiché era accompagnato da tanta gente, a parte i mercenari, e la fortezza di Masada nella quale intendeva rifugiarsi, era troppo piccola per accogliere tutta quella gente.
Libro XIV:362 Perciò la maggior parte la mandò via - erano più di novemila - dicendo loro di salvarsi fuggendo in vari luoghi dell'Idumea, e diede loro provviste per il viaggio. Tuttavia coloro che avevano una armatura leggera e i suoi più stretti parenti li prese con sé e raggiunse la fortezza, ove lasciò le donne e il loro seguito - erano circa ottocento - perché nel luogo vi erano sufficienti provviste di grano, di acqua e di altro per le necessità della vita; ed egli si incamminò verso Petra, in Arabia.
Libro XIV:363 Sul fare del giorno, i Parti presero a saccheggiare ogni cosa del popolo di Gerusalemme e del palazzo, lasciando intatti soltanto i tesori di Ircano che ammontavano a trecento talenti.
Libro XIV:364 Molta della proprietà di Erode sfuggì, in particolare tutto quello che, con la sua abituale preveggenza, era riuscito a far portare prima in Idumea. Ai Parti, però, non bastò quanto avevano trovato in città, e così andarono fuori a saccheggiare la terra dei Giudei, e anche a distruggere l'importante città di Marisa.
Antigono in Giudea, Ircano mutilato,
Fasaele ucciso
Libro XIV:365 - 10. Ed è così che Antigono fu ricondotto in Giudea dal re dei Parti e prese Ircano e Fasaele come prigionieri, ma (Antigono) rimase molto depresso dalla fuga delle donne che aveva progettato di consegnare al nemico, dato che questa era la ricompensa promessa insieme al denaro.
Libro XIV:366 Temendo poi che il popolo potesse restituire il trono a Ircano, si recò nel luogo ove lui si trovava custodito dai Parti e gli tagliò le orecchie, provvedendo così che non gli toccasse più il sommo sacerdozio, essendo ora mutilato e la legge esigesse che questo ufficio spettasse esclusivamente a persone dalle membra integre.
Libro XIV:367 Quanto a Fasaele, è da ammirare per il suo coraggio: sapendo di essere destinato a morire, non guardava alla morte come a qualcosa in sé
terribile, la giudicava, invece, molto acerba e vergognosa se gli era data per mano del nemico; così, non avendo le mani libere, a causa delle catene, battè la testa contro una pietra e così si tolse la vita, ritenendo che fosse la cosa migliore da fare nello stato di impotenza in cui si trovava, e tolse al nemico il potere di ucciderlo come voleva.
Libro XIV:368 Alcuni dicono che avendone egli avuta una grande ferita, Antigono gli abbia inviato tranquillamente dei medici, quasi per curarlo, mentre lo uccise con veleni mortali che gli misero nella ferita.
Libro XIV:369 Tuttavia prima dell'ultimo respiro, Fasaele seppe da alcune donne che suo fratello Erode era sfuggito al nemico e sostenne allegramente la morte, perché lasciava dietro di sé uno che avrebbe vendicato la sua morte ed era capace di punire i suoi nemici.
Malco, re degli Arabi, rifiuta di
aiutare Erode
Libro XIV:370 - XIV, I - Erode, tuttavia, nonostante la vastità dei mali che lo circondavano non si perdeva d'animo, anzi questi lo resero più ardito facendogli prospettare imprese pericolose. Si rivolse a Malco, re degli Arabi, che in precedenza aveva da lui ricevuto molti benefici, per esserne ricambiato - essendo in estremo bisogno - e avere denaro o in prestito o in dono da uno che da lui ne aveva ricevuto molto.
Libro XIV:371 Non avendo ancora saputo quanto accaduto a suo fratello, aveva fretta di riscattarlo dal nemico, (era) disposto a pagare per il suo riscatto fino a trecento talenti. E a questo scopo prese con sé anche il figlio di Fasaele, che aveva sette anni, per darlo agli Arabi in pegno della sua fede.
Libro XIV:372 Ma gli vennero incontro dei messi inviati da Malco, il quale per mezzo loro ordinò a Erode di ritirarsi poiché i Parti gli avevano intimato di non ricevere Erode; questo gli valse come pretesto per non ripagare i suoi debiti, e Arabi influenti lo spingevano a questo per potere trattenere da Erode le somme ricevute in deposito da Antipatro;
Libro XIV:373 egli però rispose di non essere venuto da loro per mettere disordine ma solo per discutere su - argomenti che per lui erano della più grande importanza.
Erode va a Roma
Libro XIV:374 - 2. Poi decise di ritirarsi, e da persona prudente, prese la via dell'Egitto; e in quella occasione egli alloggiò in un tempio ove aveva lasciato molti suoi seguaci. Il giorno appresso andò a Rhinocorura, ove venne a conoscenza del destino di suo fratello.
Libro XIV:375 In seguito Malco cambiò parere e si affrettò a raggiungere Erode, ma non ottenne nulla, perché Erode era già molto lontano ansioso di raggiungere il Pelusio. Ma quando vi giunse, le navi qui ancorate gli vietarono di fare vela in direzione di Alessandria; egli allora si appellò ai loro comandanti, e fu da essi scortato nella città con rispetto e grande deferenza, e quivi fu trattenuto da Cleopatra.
Libro XIV:376 Lei non riuscì, tuttavia, a persuaderlo a trattenersi, poiché aveva deciso di recarsi a Roma sebbene fosse inverno e l'Italia, a quanto si diceva, fosse in rivolta e in gravi disordini.
Libro XIV:377 - 3. Da qui fece vela per la Panfilia; dopo incontrò una burrasca terribile e a fatica raggiunse Rodi dopo avere gettato a mare il carico. Qui si incontrò con due suoi amici, Sappino e Tolomeo.
Libro XIV:378 Vista la città molto danneggiata a motivo della guerra contro Cassio, benché fosse egli stesso bisognoso, non esitò ad aiutarla e al di là dei suoi mezzi la restaurò; allestì anche una trireme e, con gli amici, fece vela per l'Italia, toccando terra a Brindisi.
Libro XIV:379 Di qui andarono a Roma, ove anzi tutto espose ad Antonio ciò che gli era capitato in Giudea, e come suo fratello Fasaele fosse stato preso dai Parti e ucciso, e come Ircano fosse tenuto prigioniero da loro, come avessero messo Antigono come re, con la promessa che avrebbe dato loro mille talenti e cinquecento donne delle prime famiglie e della stessa loro stirpe; e che egli, di notte, aveva allontanato le donne era fuggito dalle mani dei suoi nemici, dopo avere sopportato molte difficoltà.
Libro XIV:380 Infine gli disse che i suoi parenti partecipavano al suo pericolo subendo l'assedio e che egli aveva navigato nella tempesta ed aveva superato alla fine ogni pericolo spinto dalla premura di raggiungere Antonio nel quale era posta la sua speranza e il suo unico aiuto.
Libro XIV:381 - 4. Mosso a compassione dalle cambiate fortune di Erode, Antonio si abbandonò alla familiare considerazione a proposito di quanti posti in alta situazione sociale eppure soggetti anch'essi alla regola della fortuna. E parte per il ricordo che aveva avuto dell'ospitalità di Antipatro,
Libro XIV:382 e parte per il denaro che Erode aveva promesso di dargli qualora fosse divenuto re, come gli aveva promesso allorché lo aveva proposto come etnarca, ma molti più per l'odiato Antigono, che considerava persona sediziosa e nemica dei Romani, era disposto a dare a Erode l'assistenza che chiedeva.
Libro XIV:383 Cesare, per le campagne sostenute in Egitto con Antipatro che era stato di aiuto a suo padre, per la sua ospitalità e benevolenza sempre dimostrata, e anche per fare un favore ad Antonio, sempre molto premuroso in favore di Erode, fu molto ben disposto a concedergli questa dignità e a cooperare nelle cose che Erode desiderava.
Libro XIV:384 Così, quando Messala e dopo di lui Atratino radunarono il Senato, presentarono Erode, esposero le benevolenze di suo padre, ricordarono la lealtà che Erode aveva sempre dimostrato verso i Romani; nello stesso tempo addussero le accuse contro Antigono che dichiararono nemico, non soltanto per le offese commesse prima contro di loro, ma perché aveva ricevuto il titolo regio dai Parti, mostrando così di non avere alcun riguardo verso i Romani.
Libro XIV:385 Quando il Senato a queste accuse si scosse, Antonio si fece avanti e lo informò quanto fosse utile e vantaggioso che, nella loro guerra contro i Parti, Erode fosse re. La proposta fu gradita a tutti e votarono unanimi.
Libro XIV:386 - 5. Fu questa la somma prova della devozione di Antonio verso Erode; non solo gli fece ottenere la regalità che non aveva sperato, perché non era venuto nella capitale per chiedere la regalità - non credeva, infatti, che i Romani gliela avrebbero offerta essendo loro abitudine darla a uno di famiglia regnante -
Libro XIV:387 ma per chiederla in quanto il fratello di sua moglie era nipote di Aristobulo da parte di padre e di Ircano da parte di madre, ma egli rese anche possibile che Erode in soli sette giorni ottenesse questi regali inaspettati e lasciasse l'Italia.
Libro XIV:388 A questo giovane (Aristobulo), in seguito Erode tolse la vita come riferiremo a suo tempo. Ora, sciolto il Senato, Antonio e Cesare, e con essi
Erode, preceduti dai consoli e da alti magistrati, andarono a sacrificare e a depositare il decreto in Campidoglio.
Libro XIV:389 Nel suo primo giorno di regno, Antonio trattenne Erode presso di sé. Egli dunque prese la regalità nell'Olimpiade centoottantaquattresima, essendo consoli, per la seconda volta, Gneo Domizio Calvino, e Gaio Asinio Pollione.
Giuseppe difende con successo le persone
lasciate a Masada
Libro XIV:390 - 6. In tutto questo periodo, Antigono assediava quelli di Masada, i quali avevano tutte le provvigioni necessarie, ma mancavano dell'acqua; perciò Giuseppe, fratello di Erode, architettava di fuggire presso gli Arabi con duecento dei suoi familiari, poiché aveva saputo che Malco era dispiaciuto degli errori che aveva commesso verso Erode.
Libro XIV:391 Ma lo fermò una pioggia inviata da Dio nella notte: riempitesi le cisterne di acqua, non avevano più bisogno di fuggire. Al contrario erano incoraggiate a restare, non soltanto perché ora avevano in abbondanza quello di cui prima mancavano, ma perché appariva un atto della provvidenza di Dio. E si dimostrarono più arditi impegnando gli uomini di Antigono attaccandoli a volte apertamente e a volte di soppiatto, e ne uccisero molti.
Libro XIV:392 Nel mentre, Ventidio, generale romano mandato dalla Siria per trattenere i Parti, sistemati costoro, compì una sortita laterale entrando nella Giudea, apparentemente per offrire un aiuto a Giuseppe, ma in realtà tutte le sue mire erano rivolte a ottenere denari da Antigono. Si accampò vicino a Gerusalemme ed estorse ad Antigono il denaro che voleva.
Libro XIV:393 Poi si ritirò da solo con la maggior parte delle sue forze; ma affinché non si scoprisse la sua estorsione, lasciò dietro Silone con un certo numero di soldati. Antigono guardò anche lui affinché non gli desse noie, sperando, allo stesso tempo, che i Parti gli dessero ancora aiuto.
Erode si libera dei nemici interni
Libro XIV:394 - XV, I. - In questo tempo Erode salpò dall'Italia a Tolemaide, raccolse un non piccolo esercito di stranieri e di nazionali, e attraversò la Galilea marciando contro Antigono; aveva il sostegno di Silone e di Ventidio giacché
erano stati persuasi da Dellio, il quale era stato mandato da Antonio a unirsi a Erode per ristabilirlo nel suo paese.
Libro XIV:395 Allora Ventidio era intento a comporre i tumulti sorti nelle città a motivo dei Parti, Silone si trovava in Giudea ormai corrotto dai doni di Antigono. Tuttavia la forza di Erode aumentava di giorno in giorno a mano a mano che avanzava, e a eccezione di pochi, tutti gli abitanti della Galilea andarono dalla sua parte.
Libro XIV:396 Ma allorquando si spinse per raggiungere quelli di Masada, era, infatti, necessario liberare la gente assediata nella fortezza, dato che erano tutti suoi parenti, trovò sulla sua strada Joppa che gli era ostile: perciò doveva prenderla per non lasciarsi alle spalle nessun luogo fortificato in mano ai nemici mentre si dirigeva su Gerusalemme.
Libro XIV:397 Ma, siccome Silone fece di questo un pretesto per allontanarsi, e i Giudei lo inseguivano, Erode la attaccò con un esiguo corpo di uomini e li mise in fuga, così salvò Silone che si difendeva debolmente; in seguito, presa Joppa, si affrettò a liberare i suoi familiari a Masada.
Libro XIV:398 Intanto si unirono a lui gli abitanti locali alcuni per amicizia verso suo padre, altri per stima verso la sua persona, ed altri ancora per i benefici ricevuti da tutti e due, ma la maggior parte per le speranze che riponevano in lui come uno che in futuro avrebbe avuto una posizione sicura come re.
Erode vince Antigono
Libro XIV:399 - 2. Così radunò una notevole forza, e mentre egli avanzava, Antigono occupò tutti i luoghi di transito più opportuni con trappole e agguati, non lasciando al nemico il minimo guasto o, al massimo, uno molto leggero.
Libro XIV:400 Erode, tratti in salvo i suoi familiari da Masada, e presa la fortezza di Oresa, andò a Gerusalemme, dove fu raggiunto dall'esercito di Silone e da molti della città, intimiditi dalla sua forza.
Libro XIV:401 Una volta accampato nella parte occidentale della città, le guardie che stazionavano in questo quartiere iniziarono a lanciare giavellotti e a tirare frecce contro di essi,
Libro XIV:402 mentre altri si lanciarono a schiere compatte e combattevano all'arma bianca contro la prima linea; ma Erode diede ordine ai suoi uomini che prima dovevano annunziare davanti alle mura che egli era venuto per il bene dei cittadini e per il benessere della città, che egli non aveva in animo alcun rancore neppure contro quanti gli erano apertamente nemici, e che, al contrario, era pronto a dimenticare le offese che i suoi più implacabili avversari avevano commesso contro di lui.
Libro XIV:403 Ma al proclama di Erode, Antigono rispose a Silone e all'esercito romano che era contrario alla loro nozione del diritto, qualora avessero conferito la regalità a Erode, che era un cittadino comune e un Idumeo, cioè un mezzo Giudeo, mentre dovevano offrirla a coloro che sono della famiglia (reale) come è loro consuetudine;
Libro XIV:404 e che qualora essi non fossero ben disposti verso di lui e fossero determinati a privarlo della regalità perché lui l'aveva ricevuta dai Parti, c'erano molti della sua famiglia che, legittimamente, potevano ricevere la regalità, in quanto non avevano offeso i Romani ed erano sacerdoti: e se fossero privati di quel rango avrebbero subito un indegno trattamento.
Libro XIV:405 Si dicevano l'un l'altro tali cose ed erano in procinto di passare alle villanie, quando Antigono permise ai suoi uomini di combattere contro gli uomini di Erode dalle mura. Ma il nemico scagliò le proprie frecce e si oppose con tale coraggio che agevolmente li buttò giù dalle torri.
Libro XIV:406 - 3. Fu allora che Silone mostrò apertamente di essersi lasciato corrompere. Prese, infatti, un buon numero dei suoi soldati affinché gridassero a gran voce che mancavano le provviste e domandassero soldi per il cibo, e insistessero nel richiedere quartieri più adatti per svernare, dato che i dintorni della città erano diventati un deserto, a causa delle devastazioni dei soldati di Antigono; e così egli iniziò a muovere l'accampamento e a curarsi della ritirata.
Libro XIV:407 Ma Erode insisteva a scongiurare gli ufficiali di Silone e i loro soldati affinché non abbandonassero lui che era stato incoraggiato da Cesare, da Antonio, e dal Senato; egli si sarebbe interessato, disse affinché avessero provviste a volontà e agevolmente avrebbe dato in abbondanza ogni cosa desiderata.
Libro XIV:408 Dopo tale difesa, egli andò subito per la regione e non lasciò a Silone alcun pretesto per ritirarsi, poiché provvide una quantità tale di provviste superiore a quella che si poteva sperare; e a quelli di Samaria che gli si erano
dimostrati amici diede istruzioni affinché avviassero giù a Gerico grano, vino, olio, bestiame di modo che nei giorni a venire non mancasse nulla ai soldati.
Libro XIV:409 Queste attività non trascorsero ignorate da Antigono; ed anch'egli inviò subito uomini per la regione a ostacolare e tendere imboscate a coloro che raccoglievano provviste; e obbedendo agli ordini di Antigono radunarono un gran numero di uomini armati vicino a Gerico, che presero posizione sulle colline e tenevano sotto gli occhi gli uomini che portavano le provviste.
Libro XIV:410 Mentre avveniva questo, Erode non se ne stava tranquillo: prese dieci coorti, cinque romane e cinque giudee, e una forza mista di mercenari alla quale aggiunse alcuni uomini a cavallo, e marciò su Gerico. Trovò la città deserta, catturò cinquecento uomini che occupavano le colline con le loro donne e famiglie; ma, dopo averli catturati, li rilasciò. Allora i Romani si lanciarono sulla città e la saccheggiarono, trovando le case colme di ogni genere di oggetti di valore.
Libro XIV:411 Il re lasciò a Gerico una guarnigione, poi se ne ritornò e inviò l'esercito romano nei quartieri d'inverno nei distretti che si erano messi al suo fianco, cioè l'Idumea, la Galilea e la Samaria.
Libro XIV:412 Antigono, nello stesso periodo, corruppe Silone con donativi e così ottenne di acquartierare a Lidda una parte delle sue truppe per conquistarsi il favore di Antonio. Così, deposte le armi, i Romani vivevano della ricchezza della terra.
Vittorie di Erode in Galilea
Libro XIV:413 - 4. Erode, intanto, non scelse di starsene tranquillo: mandò suo fratello, Giuseppe, in Idumea con duemila fanti e quattrocento uomini a cavallo; personalmente, egli andò in Samaria, ove lasciò la madre e gli altri suoi parenti, usciti ormai da Masada, e proseguì per la Galilea ove si impadronì di alcuni luoghi fortificati che erano stati occupati da guarnigioni di Antigono.
Libro XIV:414 Passò per Seffori durante una tempesta di neve, la guarnigione di Antigono se n'era già andata, e così si impadronì di una grande abbondanza di vettovaglie.
Libro XIV:415 Partito di qui, si imbatté in certi ladroni abitanti in caverne, e contro di essi mandò un'ala di cavalleria e tre compagnie di fanti, pensando di porre fine al loro brigantaggio. Queste caverne erano molto vicine al villaggio chiamato Arbela.
Libro XIV:416 Dopo quaranta giorni egli stesso andò con tutto l'esercito e sotto un coraggioso attacco del nemico, mise in fuga l'ala sinistra del suo schieramento; ma quando apparve lui in persona con un corpo compatto di uomini, mise in fuga quelli che prima erano stati vittoriosi, e raccolse quelli dei suoi uomini che si erano dati alla fuga;
Libro XIV:417 e incalzò i nemici in fuga fino al fiume Giordano verso il quale fuggivano per vie diverse: in tal modo raccolse sotto il suo potere tutta la Galilea, a eccezione di coloro che abitavano nelle caverne. Poi distribuì il soldo ai suoi uomini dando a ognuno centocinquanta dracme, e molto di più agli ufficiali; in fine li lasciò andare ai quartieri d'inverno.
Libro XIV:418 Nel mentre vennero da lui Silone e gli ufficiali degli uomini che si trovavano nei quartieri d'inverno, perché Antigono non voleva fornirli di cibo: li aveva nutriti degnamente per un mese, e non; aveva ordinato agli abitanti dei dintorni di raccogliere tutte le provvigioni della regione e fuggire sulle colline, affinché i Romani rimanessero completamente sprovvisti del cibo necessario e perissero di fame.
Libro XIV:419 Erode affidò la cura di questi uomini a Ferora, il più giovane dei suoi fratelli, con l'ordine di fortificare anche Alessandreion; egli fece presto il possibile affinché i soldati avessero le necessarie provvigioni e restaurò anche Alessandreion che era stata lasciata in rovine.
Erode annienta i briganti di Galilea
nelle caverne
Libro XIV:420 - 5. Circa nello stesso tempo, Antonio se ne stava ad Atene, Ventidio, in Siria, mandò l'ordine a Silone affinché lo raggiungesse contro i Parti, gli diede però istruzioni perché prima assistesse Erode nella presente guerra, e in seguito radunasse anche i suoi alleati alla guerra dei Romani.
Libro XIV:421 Ma Erode che si trovava impegnato contro i briganti delle caverne, mandò Silone da Ventidio e lui personalmente seguitò contro di essi.
Libro XIV:422 Ora le caverne si trovavano sulle colline accidentate, avevano aperture a precipizio che tutt'intorno erano difese da balze molto scoscese; e in esse stavano appiattati con tutti i loro familiari.
Libro XIV:423 Il re, i cui soldati erano incapaci sia di arrampicarsi dal basso sia di strisciare su di esse dall'alto a motivo della ripida pendenza della collina, fece costruire dei cestini, li raccordò a catene di ferro e, con un ordigno li calò dalla vetta della collina su di loro.
Libro XIV:424 Questi cestini erano pieni di uomini armati impugnanti grandi arpioni con i quali prendere i briganti e ucciderli precipitandoli da lassù al suolo. Ma la calata dei cesti si dimostrò un affare rischioso a motivo della grande altezza dalla quale ci si affacciava su di essi, sebbene gli uomini dentro di esse fossero provvisti di tutto il necessario.
Libro XIV:425 Siccome, calate le ceste, nessuno ardiva avvicinarsi alle bocche delle caverne, per la paura che ne provavano, uno dei soldati, mal sopportando gli indugi di chi si attardava a uscire, si cinse la spada al fianco, afferrò con ambo le mani la catena da cui pendeva la cesta e si calò giù all'ingresso di una caverna.
Libro XIV:426 Giunto all'apertura che aveva di fronte, per prima cosa spinse indietro con i giavellotti molti che, in piedi, gli si paravano innanzi, poi con l'arpione trasse a sé gli avversari e li scaraventò giù dal precipizio; attaccò poi coloro che erano dentro e di molti ne fece una carneficina, e in seguito si ritirò a riposo nella cesta.
Libro XIV:427 Intanto, al suono delle grida, gli altri si spaventarono, disperando della loro vita: al sopraggiungere della notte, tutto si quietò; e molti, dopo l'invio di portavoce, con l'assenso del re si arresero e si sottomisero.
Libro XIV:428 Il giorno appresso condussero l'assalto con lo stesso metodo; quando gli uomini delle ceste scesero su di loro, combatterono ancora più ferocemente agli ingressi delle loro caverne e gettarono dentro fuoco ardente, e così le caverne, che contenevano molto legname per il fuoco, si incendiarono.
Libro XIV:429 Ora in una caverna si trovavano chiusi un vecchio con sette figli e la moglie: quando essi lo pregarono di lasciarli scivolare verso il nemico, egli si pose ritto all'ingresso della caverna e scannò tutti i figli a mano a mano che venivano fuori, in fine la moglie; finalmente gettando i loro cadaveri nel
precipizio, si gettò giù su di loro, sottomettendosi così alla morte piuttosto che alla schiavitù.
Libro XIV:430 Però, prima di fare questo, lanciò villanie e vituperi contro Erode per la sua grettezza d'animo, nonostante che il re, testimone di quanto avveniva, stendesse verso di lui la sua destra promettendogli completa immunità. Finalmente, in questa maniera, furono prese tutte le grotte.
Libro XIV:431 - 6. Stabilito Tolomeo generale di quella regione, il re partì per la Samaria con seicento uomini a cavallo e tremila soldati con l'intento di sferrare la battaglia decisiva contro Antigono.
Libro XIV:432 Tolomeo intanto non ebbe successo nel suo comando: gli uomini che già prima avevano turbata la Galilea, lo attaccarono e uccisero; dopo si rifugiarono uniti in luoghi paludosi e inaccessibili devastando e distruggendo tutta la regione e dintorni.
Libro XIV:433 Ritornando indietro, Erode li punì: alcuni li uccise, quelli che si erano rifugiati in luoghi inaccessibili, li catturò con l'assedio e li uccise, distrusse i loro luoghi fortificati. Così pose fine alla ribellione e impose alle città una tassa di cento talenti.
Erode in dissenso con Antonio a
motivo di Machera
Libro XIV:434 - 7. Intanto, dopo che Pacoro era caduto in battaglia e i Parti erano stati sconfitti, Ventidio, sollecitato da Antonio mandò Machera in soccorso di Erode con due legioni e mille cavalli.
Libro XIV:435 Ora Machera invitato da Antigono e da lui corrotto con denaro, andò contro la volontà di Erode col pretesto di volere esplorare la sua posizione; ma Antigono, sospettando delle sue intenzioni nella venuta, non lo accolse e lo tenne lontano a colpi di fionda, dimostrandogli così le sue intenzioni.
Libro XIV:436 Allora Machera comprese che Erode gli aveva dato un consiglio eccellente, e che lui aveva commesso un errore non tenendo conto del suo consiglio; si ritirò quindi nella città di Emmaus e assassinò tutti i Giudei che incontrò, amici o nemici che fossero, dalla rabbia per il trattamento subito.
Libro XIV:437 Rabbioso per queste azioni, il re si recò in Samaria, deciso ad andare da Antonio a proposito di queste cose e dirgli che non aveva bisogno di alleati del genere che arrecavano più male a lui che ai suoi nemici e che lui da solo bastava a fare fuori Antigono.
Libro XIV:438 Machera, accompagnandolo, lo supplicava di fermarsi e, qualora fosse deciso a proseguire, almeno gli lasciasse suo fratello Giuseppe come compagno nella guerra con Antigono; alla fine, per le vive insistenza fatte da Machera, Erode si riconciliò e lasciò lì suo fratello Giuseppe con l'esercito, ammonendolo che non si esponesse a pericoli e non avesse dispute con Machera.
In cammino verso Antonio
Libro XIV:439 - 8. Egli intanto si affrettava a raggiungere Antonio, che allora stava assediando Samosata, località vicina all'Eufrate, con cavalleria e fanteria, accorsi in suo aiuto.
Libro XIV:440 Giunto presso Antiochia, trovò molti uomini qui radunati, ansiosi di recarsi da Antonio, ma non ardivano intraprendere quel cammino per il timore dei barbari che infestavano le strade e uccidevano molte persone; egli incoraggiò quella gente e ne divenne la guida per la strada.
Libro XIV:441 Ma a due giorni di marcia da Samosata ci fu un'imboscata di barbari che aspettavano coloro che erano in cammino verso Antonio. La strada passava in mezzo a una densa boscaglia prima di uscire nell'aperta pianura e quivi in agguato, avevano posto un corpo di cavalleria, con l'avvertimento di non muoversi fino a che i passeggeri non avessero raggiunto il posto ove si poteva usare la cavalleria.
Libro XIV:442 Passarono i primi uomini ed Erode si trovava alla retroguardia: all'improvviso cinquecento persone saltano contemporaneamente dagli agguati; i primi si erano già messi a fuggire, ma il re irruppe d'improvviso e con la forza che aveva con sé respinse il nemico; allo stesso tempo alzò lo spirito dei suoi uomini e infuse in tutti coraggio. Allorché tornarono indietro quelli che prima erano fuggiti, i barbari erano morti da ogni lato.
Libro XIV:443 Ma il re non desistette dall'uccidere fino a che non raccolse tutto il bottino che era stato preso; questo consisteva in molti animali da soma e schiavi, e poi proseguì di nuovo.
Libro XIV:444 Attaccato da un numero di uomini ancora più grande in una boscaglia presso l'ingresso nella pianura, li affrontò con un corpo vigoroso di uomini, e li mise in fuga uccidendone molti; così rese sicuro il cammino per coloro che lo seguivano. Perciò essi lo salutarono come loro salvatore e protettore.
Libro XIV:445 - 9. Quando giunse vicino a Samosata, Antonio gli mandò incontro i suoi soldati con le sue proprie insegne, volendo, a un tempo, e fare onore a Erode, e provvedere alla sua sicurezza, poiché aveva saputo degli attacchi dei barbari contro di lui.
Libro XIV:446 Perciò quando giunse Erode, fu molto lieto di vederlo e, conosciute le sue imprese lungo il cammino, gli strinse le mani ed espresse ammirazione per il suo valore; lo stesso Antonio appena lo vide gli diede il benvenuto con un abbraccio, e lo fece oggetto di uno speciale onore perché da poco lo aveva creato re.
Libro XIV:447 Ma poco dopo la fortezza di Antioco si arrese e così la guerra terminò. Antonio affidò la Siria a Sossio, con la raccomandazione di aiutare Erode, e partì per l'Egitto. Così Sossio mandò innanzi due legioni nella Giudea per assistere Erode, ed egli seguì col grosso del suo esercito.
Giuseppe ucciso in guerra presso Gerico
Libro XIV:448 - 10. Prima di ciò, tuttavia, Giuseppe aveva già incontrato la morte nella Giudea, nelle circostanze seguenti. Dimenticati gli ordini che gli aveva dato il fratello allorché si recava da Antonio, si accampò tra le colline, perché, avute da Machera le coorti che gli aveva dato, si affrettò a marciare alla volta di Gerico con l'intenzione di raccogliere tutto il loro grano,
Libro XIV:449 siccome l'esercito romano era stato reclutato di recente e non aveva alcuna esperienza di guerra, in maggioranza veniva dalla Siria, si trovava in una posizione difficile, e quando il nemico lo attaccò in quello stato, egli fu ucciso combattendo coraggiosamente; perse anche tutto il suo esercito: furono distrutte sei coorti.
Libro XIV:450 Antigono radunò i cadaveri e tagliò la testa di Giuseppe, che riscattò poi suo fratello Ferora per cinquanta talenti. Dopo di ciò, i Galilei si ribellarono contro i nobili e sommersero nel lago i partigiani di Erode; e si
rivoltò anche una buona parte della Giudea. Machera allora fortificò il luogo denominato Gitta.
Libro XIV:451 - 11. Giunsero al re dei messaggeri per metterlo al corrente di questi avvenimenti; e a Dafne, presso Antiochia, lo informarono della sorte di suo fratello; però egli se lo aspettava da certe visioni avute in sogno che gli fecero presagire la morte del fratello.
Libro XIV:452 Perciò si pose subito in cammino e, giunto al monte Libano, prese ottocento uomini di quella regione, e con una legione romana andò a Tolemaide: di notte partì di qui col suo esercito e si inoltrò nella Galilea.
Libro XIV:453 Qui gli si fecero incontro i nemici: erano stati sconfitti in battaglia e chiusi nella fortezza dalla quale erano usciti il giorno avanti. Egli allora li attaccò ripetutamente all'alba, ma, non potendo fare nulla a motivo di un terribile temporale, diresse l'esercito indietro in villaggi vicini. Ma quando da Antonio gli giunse una seconda legione, gli uomini che tenevano la fortezza, rimasero atterriti e, di notte, l'abbandonarono.
Libro XIV:454 E il re si affrettò in direzione di Gerico con l'intenzione di vendicare suo fratello. E quando trovò i quartieri, si intrattenne con gli uomini in autorità, e dopo la riunione, congedò gli ospiti e si ritirò nella sua camera.
Libro XIV:455 E dall'avvenimento che ne seguì ognuno può vedere quanto Dio fosse ben disposto verso il re: precipitò, infatti, il soffitto della casa senza uccidere nessuno dei colpiti: cosicché tutti credettero che Erode fosse un favorito da Dio, essendo scampato a un pericolo così grande e inaspettato.
A Gerico. Erode sconfigge l'esercito
di Antigono
Libro XIV:456 - 12. Tuttavia, il giorno appresso, dalle vette delle colline calarono seimila nemici (pronti) a combattere; e gettarono lo scompiglio tra i Romani: la truppa leggera, avvicinatasi, iniziò a scagliare giavellotti, e pietre agli uomini del re, che erano usciti contro di essi e uno colpì con un giavellotto un fianco dello stesso re.
Libro XIV:457 Antigono allora mandò in Samaria un generale di nome Pappo, con una forza per dare ai nemici l'impressione che, pur combattendo, aveva uomini a disposizione da risparmiare; e mentre egli si accampò dirimpetto al
generale Machera, Erode occupò cinque città, scannò quelli che in esse si trovavano, circa duemila, bruciò le città e ritornò a fronteggiare Pappo
Libro XIV:458 che aveva posto il suo campo presso il villaggio detto Isana. Intanto, molta gente correva da lui da Gerico e dal resto della Giudea; e quando fu vicino al nemico, questo avanzò baldanzoso ad attaccarlo, ma egli, impegnatili in battaglia, li vinse e per vendicare il fratello, li inseguì mentre fuggivano al villaggio.
Libro XIV:459 Le case erano piene di uomini armati, e molti si erano rifugiati fino sotto i tetti, ma egli li prese e mentre demoliva i tetti delle case vedeva lo spazio sottostante pieno di soldati stipati, stretti l'uno all'altro.
Libro XIV:460 Tempestandoli dall'alto con i sassi, li facevano cadere alla rinfusa l'uno sull'altro; e lo spettacolo terribile più di ogni guerra era l'innumerevole quantità di cadaveri che giacevano l'uno sull'altro dentro le mura delle case.
Libro XIV:461 Era questo che più di tutto spezzava l'animo del nemico, che era in attesa di vedere quanto sarebbe accaduto; perché, da distante, grandi folle si vedevano venire assieme verso il villaggio, e poi scappare; e se non ci fosse stato un terribile temporale a impedirlo, l'esercito del re, animato dalla vittoria, avrebbe marciato anche su Gerusalemme, e tutto sarebbe finito. Antigono, infatti, stava già meditando di fuggire precipitosamente e di allontanarsi dalla città.
Libro XIV:462 - 13. A questo punto il re ordinò ai soldati di fare la cena, perché era tardi; mentre lui, stanco, andò in una camera a farsi un bagno. E qui andò incontro a un gravissimo rischio, ma la provvidenza di Dio lo salvò.
Libro XIV:463 Mentre egli era nudo e si faceva il bagno, servito da un solo domestico, in una camera interna, si erano rifugiati dalla paura, alcuni suoi nemici armati: mentre il re si stava lavando, uno di loro - con la spada sguainata - uscì fuori dalla porta, dopo di lui un secondo e poi un terzo ugualmente armati, ma, sbalorditi, non fecero alcun male al re, contenti di essere usciti all'aria aperta senza danno alcuno.
Libro XIV:464 Il giorno dopo troncò la testa a Pappo che era già stato ucciso, e la mandò a Ferora, per vendicare quanto aveva sofferto suo fratello; perché l'esecutore era stato Pappo.
Erode interrompe l'assedio a Gerusalemme e
sposa Mariamme
Libro XIV:465 - 14 Calmatasi la tempesta, si allontanò di là e si avvicinò a Gerusalemme accampandosi nelle vicinanze della città. Questo avvenne nel terzo anno dopo che a Roma era stato fatto re.
Libro XIV:466 In seguito mosse l'accampamento e venne più vicino alle mura, accampandosi davanti al tempio, punto dove più agevolmente si poteva assalire le mura, poiché aveva deciso di attaccare dallo stesso luogo d'onde prima aveva attaccato Pompeo. Su questo lato fece tre terrapieni ed eresse torri, opera che richiese molta manodopera, anche per tagliare il legname.
Libro XIV:467 Incaricò uomini capaci di questi lavori e mentre l'esercito era ancora accampato, egli andò in Samaria a sposare la figlia di Alessandro, figlio di Aristobulo, che gli era promessa, come detto sopra.
Le forze di Erode e di Sossio si congiungono
Libro XIV:468 - XVI, I. - Dopo le nozze, Sossio che aveva avviato le sue forze verso l'interno, attraversò la Fenicia, e lo stesso generale le seguì con un buon numero di cavalieri e di fanti; li raggiunse anche il re venendo dalla Samaria alla guida di un esercito considerevole, oltre a quello che aveva già inviato prima; constava di circa trentamila uomini.
Libro XIV:469 Tutti costoro si unirono davanti alle mura di Gerusalemme e presero posizione presso al muro settentrionale della città; costituivano un esercito di undici divisioni di fanti e seimila cavalieri, oltre agli ausiliari provenienti dalla Siria. I comandanti erano due: Sossio, che era stato inviato come alleato da Antonio, ed Erode, che faceva per sé, per togliere il potere regio ad Antigono, che a Roma, era dichiarato nemico, e diventare re in sua vece, conforme al decreto del Senato.
Libro XIV:470 - 2. Fu con molto coraggio e amarezza, era raccolta tutta la nazione, che i Giudei, confinati tra le mura combattevano contro Erode e i suoi uomini; molte furono le invocazioni per il tempio, e molte le cose dette a incoraggiamento del popolo, affinché Dio li liberasse dai pericoli.
Libro XIV:471 Dai dintorni della città fu tolta ogni cosa in modo da non lasciare nulla che potesse essere usato come cibo per uomini o animali; con razzie segrete fecero anche il vuoto di vettovaglie.
Libro XIV:472 Ma Erode se ne accorse; da una parte contrappose il fermo alle razzie disponendo degli agguati nei luoghi più adatti, dall'altra contro la mancanza di vettovaglie, inviò gruppi di uomini armati a raccogliere provviste da lontano, e così in breve tempo ebbero da supplire in abbondanza a ogni necessità.
Libro XIV:473 Disponendo di un grande numero di mani continuamente al lavoro, con molta facilità dispose le tre linee di terrapieni e siccome era estate, non si sovrapponeva alcun ostacolo all'esecuzione né da parte del tempo, né da parte degli operai; così portarono le loro macchine e iniziarono a battere le mura ricorrendo a tutti gli espedienti.
Libro XIV:474 Ma non riuscirono a intimidire quanti si trovavano dentro la città, che da parte loro contrapponevano ai nemici altri espedienti: facevano improvvise sortite dando fuoco sia a lavori finiti che a lavori incominciati, e combattevano anche in scontri ravvicinati; nell'ardire non erano inferiori ai Romani, ma non avevano la loro esperienza.
Libro XIV:475 Contro le macchine d'assedio escogitarono altre in difesa non appena le prime costruzioni venivano meno, le sostituivano con altre; combattevano sottoterra, quando incontravano il nemico nei sotterranei; agivano con disperazione, più che con prudenza, combattevano ostinatamente fino all'ultimo; nonostante fossero assediati, circondati da un esercito tanto numeroso, angustiati dalla fame e dalla scarsità del necessario, poiché proprio allora correva l'anno sabbatico.
Libro XIV:476 I primi a salire sulle mura furono venti uomini scelti, dopo questi vennero le centurie di Sossio. Il primo muro fu preso in quaranta giorni, il secondo in quindici; alcuni portici intorno al tempio furono bruciati, del qual fatto, di avere appiccato il fuoco, Erode diede la colpa ad Antigono, sforzandosi con tale accusa di attirare su di lui l'odio dei Giudei.
Libro XIV:477 Presi i recinti esterni del tempio e la Città Bassa, i Giudei si ritirarono nel recinto interno del tempio e nella Città Alta; temendo che i Romani impedissero loro l'offerta a Dio dei sacrifici quotidiani, mandarono a loro una ambasciata pregandoli che fosse loro consentito di introdurre soltanto le vittime per essi; la domanda fu accordata, pensando che si sarebbero arresi.
Libro XIV:478 Ma quando vide che di quanto si aspettava non accadeva nulla, e al contrario resistevano con ostinazione per la regalità di Antigono, li attaccò e prese la città d'assalto.
Libro XIV:479 E subito tutto si riempì del sangue degli uccisi, i Romani erano infatti adirati dalla lunga durata dell'assedio, mentre i Giudei della parte di Erode erano ansiosi di non lasciare vivo alcuno dei nemici.
Libro XIV:480 Così furono scannati a mucchi sulle strade, nelle case, mentre cercavano rifugio nel tempio; non ci fu alcuna pietà per bambini o per anziani, né si risparmiò la debolezza delle donne: nonostante il re avesse sparso la voce di moderarsi, nessuno moderò la propria mano, ma come pazzi si buttarono su persone di ogni età.
Libro XIV:481 Fu allora che Antigono senza tenere conto né dell'antico suo stato, né del presente, scese giù dalla torre e si gettò ai piedi di Sossio. Tuttavia egli non ebbe pietà di lui per la sua cambiata fortuna; lo scherni senza ritegno chiamandolo Antigona. Non per questo lo lasciò libero, come se fosse stata una donna, ma lo tenne sotto custodia.
Erode frena la violenza dei Romani
Libro XIV:482 - 3. Sconfitti i suoi nemici, Erode ebbe cura di sconfiggere anche i suoi alleati stranieri; una folla di stranieri era risoluta a dare uno sguardo al tempio e alle cose sacre nel santuario,
Libro XIV:483 e il re li trattenne in alcuni casi supplicando, in altri con minacce, e in qualche caso con le armi, giacché considerava la propria vittoria qualcosa di più amaro di una sconfitta qualora da occhio umano fossero viste le cose che ad esso sono vietate.
Libro XIV:484 Egli si adoperò anche di impedire il sacco della città per mezzo delle strenue pressioni che fece su Sossio asserendo che se i Romani avessero svuotato la città della sua ricchezza e dei suoi uomini, lo avrebbero lasciato re di un deserto, e che considerava la sovranità di tutta l'ecumene una ben misera ricompensa per l'assassinio di così tanti cittadini.
Libro XIV:485 E allorché Sossio rispose che aveva ragione nel permettere il saccheggio ai suoi soldati quale ricompensa per la loro fatica nell'assedio, Erode
replicò che egli stesso avrebbe distribuito a ognuno la ricompensa di borsa propria.
Libro XIV:486 In questo modo egli guadagnò la sicurezza per il resto della città; e adempì la promessa; poiché a ogni soldato diede regali splendidi, doni adeguati ai loro ufficiali, e allo stesso Sossio diede i regali più munifici. Così tutti se ne andarono con la loro parte di beni.
L'esecuzione di Antigono, ultimo
degli Asmonei
Libro XIV:487 - 4. Questa calamità avvenne alla città di Gerusalemme, essendo consoli a Roma, Marco Agrippa e Caninio Gallo, nell'Olimpiade centoottantesimaquinta, nel terzo mese, nel giorno del digiuno, quasi in corrispondenza della sventura che avvenne sui Giudei al tempo di Pompeo,
Libro XIV:488 poiché furono catturati da Sossio nello stesso giorno, ventisette anni dopo. Sossio offrì a Dio una corona d'oro e partì da Gerusalemme portando con sé ad Antonio Antigono in catene.
Libro XIV:489 Ma Erode temeva che Antigono custodito da Antonio e da lui portato a Roma, perorasse davanti al Senato la sua causa e dimostrasse di essere discendente di re, mentre Erode era un comune cittadino e i suoi figli avrebbero regnato in virtù della loro stirpe,
Libro XIV:490 nonostante che egli avesse offeso i Romani; a motivo di questo timore, Erode diede ad Antonio molto denaro e lo convinse a liberarsi di Antigono. Fatto questo, Erode si liberò dal timore e allo stesso tempo ebbe fine il potere degli Asmonei dopo centoventisei anni. Splendida e illustre fu la loro casata sia per il lignaggio sia per il loro ufficio sacerdotale, e ancora per le gesta compiute dai suoi fondatori per la nazione.
Libro XIV:491 Persero però il potere regio a motivo delle lotte interne e lo passarono ad Erode, figlio di Antipatro, venuto da una comune famiglia popolare e da una stirpe che era soggetta ai re. Tale, dunque, è il racconto che noi abbiamo ricevuto sulla fine della stirpe degli Asmonei.