Il libro della Genesi alla lettera di sant'Agostino, libro I°
LIBRO PRIMO
Senso letterale e senso figurato nella sacra Scrittura.
1. 1. La sacra Scrittura nel suo complesso è divisa in due parti, come indica il Signore quando afferma che uno scriba istruito nelle cose del Regno di Dio è come un padre di famiglia che trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche, come si chiamano anche i due Testamenti. In tutti i Libri sacri si devono poi distinguere le verità eterne che vi sono inculcate e i fatti che vi sono narrati, gli eventi futuri che vi sono predetti, le azioni che ci si comanda o consiglia di compiere. Rispetto dunque al racconto dei fatti sorge la questione se tutto dev'essere inteso in senso figurato oppure si deve affermare e sostenere anche l'autenticità dei fatti attestati. Poiché nessun cristiano oserà affermare che nessun passo [della Scrittura] dev'essere inteso in senso figurato qualora consideri attentamente le parole dell'Apostolo: Tutte queste cose però accaddero loro in figura, e ciò che sta scritto nella Genesi: E saranno due in una sola carne, ch'egli dichiara essere una gran verità misteriosa in rapporto a Cristo e alla Chiesa. Significato di "principio", "cielo e terra".
1. 2. Se dunque la Scrittura dev'essere interpretata in entrambi i predetti sensi, in qual senso, all'infuori di quello allegorico, è stato detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra? Forse "all'inizio del tempo" o perché furono fatti "prima di tutte le cose" oppure "nel Principio, ch'è il Verbo di Dio, suo unico Figlio"? Inoltre, in qual modo potrebbe dimostrarsi che Dio crea esseri mutevoli e temporali senza subire alcun mutamento di se stesso? E che cosa potrebbe essere indicato con le parole "cielo" e "terra"? Ha forse il nome di "cielo e terra" la creatura spirituale e corporale o soltanto quella corporale? Bisognerebbe allora pensare che la Scrittura in questo libro ha passato sotto silenzio la creatura spirituale e ha usato l'espressione cielo e terra per indicare l'insieme delle creature corporali, sia quelle superiori che quelle inferiori? O forse è stata chiamata "cielo e terra" la materia informe delle une e delle altre creature: cioè da una parte la vita spirituale, quale può essere in sé prima di volgersi verso il Creatore - proprio grazie a questo suo volgersi verso il Creatore essa viene formata e resa perfetta, ma rimane informe se non si volge verso di Lui -; da un'altra parte la vita corporale, se fosse possibile concepirla interamente priva delle proprietà corporee che appaiono nella materia formata, quando i corpi hanno già le forme specifiche percettibili con la vista o con un altro senso.
Che significa "cielo e terra".
1. 3. Oppure per "cielo" si deve intendere forse la creatura spirituale, perfetta e beata per sempre fin dal primo istante della sua creazione, per "terra" al contrario la materia corporea ancora imperfetta? Infatti la terra - è detto - era invisibile e confusa e le tenebre erano sopra l'abisso, parole con cui [la Scrittura] sembra indicare lo stato informe della sostanza corporea. O forse con queste ultime parole della frase viene indicato anche lo stato informe di entrambe le creature, cioè della corporea, per il fatto ch'è detto: La terra era invisibile e confusa; di quella spirituale, invece, per il fatto ch'è detto: Le tenebre erano sopra l'abisso? In questo caso, l'abisso tenebroso sarebbe un'espressione metaforica per denotare la natura della vita ch'è informe, se non si volge verso il Creatore, poiché solo in questo modo può assumere la forma per cessare d'essere abisso, e può venire illuminata per cessare d'essere tenebrosa. Inoltre, in qual senso è detto: Le tenebre erano sopra l'abisso? Forse perché non c'era ancora la luce? Poiché, se la luce fosse esistita, sarebbe stata sopra l'abisso e, per così dire, diffusa sulla sua superficie: ciò avviene nella creatura spirituale quando si volge alla luce immutabile e incorporea che è Dio.
Creazione della luce.
2. 4. Inoltre, in qual modo Dio disse: Vi sia la luce? Nel tempo o nell'eternità del Verbo? Ma se lo disse nel tempo, lo disse anche nel mutamento. In qual modo, allora, si potrebbe pensare che Dio pronunci questa frase se non mediante una creatura? Egli infatti è immutabile. Ma se Dio disse: Vi sia la luce mediante una creatura, in qual modo la luce sarebbe la prima creatura, se già esisteva un'altra creatura per mezzo della quale Dio potesse dire: Vi sia la luce? O forse la luce non sarebbe la prima creatura poiché era già stato detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra? Inoltre, si sarebbe potuto pronunciare l'ordine: Vi sia la luce mediante una creatura celeste nel tempo e nel mutamento? Se la cosa sta così, questa luce fisica che noi vediamo con gli occhi del corpo, Dio l'ha fatta dicendo: Vi sia la luce mediante una creatura spirituale, creata già prima da lui quando nel principio creò il cielo e la terra, in modo che, in virtù d'un interno e misterioso impulso di tale creatura impressole da Dio, questi avrebbe potuto dire: Vi sia la luce?
La voce di Dio nel creare la luce.
2. 5. O forse la voce di Dio risonò anche materialmente allorché disse: Vi sia la luce, allo stesso modo che risonò materialmente la voce di Dio quando disse: Tu sei il Figlio mio prediletto? E ciò [avvenne forse] per mezzo d'una creatura fisica che Dio avrebbe creata quando nel principio creò il cielo e la terra, prima che vi fosse la luce, che fu creata quando risonò questa voce? Ma se la cosa sta così, in quale lingua risonò questa voce allorché Dio disse: Vi sia la luce, dato che non c'era ancora la diversità delle lingue avvenuta in seguito durante la costruzione della torre dopo il diluvio? Qual era quell'unica e sola lingua, in cui Dio pronunziò: Vi sia la luce? E chi era colui al quale potesse una tale parola esser rivolta e che avrebbe dovuto ascoltarla e capirla? O non è forse, questa, un'idea e un'ipotesi illogica e carnale?
La voce di Dio e il Verbo di Dio nel creare la luce.
2. 6. Che diremo dunque? Conviene forse che per "voce di Dio" s'intenda il senso espresso dalla voce che dice: Vi sia la luce? e non lo stesso suono materiale? Inoltre la stessa voce non appartiene forse alla natura del suo Verbo di cui è detto: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? Quando infatti la Scrittura afferma che: Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, dimostra assai chiaramente che anche la luce fu fatta per mezzo di Lui, allorché Dio disse: Vi sia la luce. Se la cosa sta così, la parola: Vi sia la luce, detta da Dio, è eterna, poiché il Verbo di Dio, Dio in Dio, Figlio unico di Dio, è coeterno col Padre, sebbene la creatura, fatta per mezzo di quella Parola di Dio pronunciata nel suo Verbo eterno, sia temporale. Anche se, quando noi diciamo "quando" e "un giorno", queste sono parole relative al tempo, tuttavia, nel Verbo di Dio, è fissato dall'eternità "quando" una cosa dev'esser fatta e viene fatta "allorquando" è fissato che si sarebbe dovuta fare per mezzo del Verbo, in cui non c'è né "quando" né "un giorno" poiché il Verbo è il "Tutto eterno".
Natura della luce creata da Dio.
3. 7. Ma cos'è propriamente la luce che fu creata? È forse qualcosa di spirituale o di materiale? Se infatti è spirituale, essa potrebbe essere la prima creatura resa ormai perfetta da questa Parola, mentre dapprima fu chiamata "cielo", quando fu detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra. In tal modo le parole: Dio disse: Vi sia la luce. E vi fu la luce, potrebbero essere intese nel senso che si volse verso di Lui e fu illuminata nel momento in cui il Creatore la richiamò a sé.
Forse Dio creò "dicendo" nel suo Verbo?
3. 8. E perché mai la Scrittura dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra e non: "Nel principio Dio disse: "Vi sia il cielo e la terra"? " E vi furono il cielo e la terra", allo stesso modo ch'è narrato a proposito della luce: Dio disse: Vi sia la luce. E vi fu la luce? Forse che prima con l'espressione "cielo e terra" bisognava abbracciare e affermare genericamente ciò che Dio aveva fatto e di poi spiegare in particolare come lo aveva fatto, dicendo per ogni creazione: Dio disse, nel senso che tutto ciò che Dio fece lo fece mediante il suo Verbo?
Come vien creata la creatura informe.
4. 9. O forse non era conveniente usare l'espressione: Dio disse: Vi sia... nell'atto che veniva creata la materia informe, tanto la spirituale quanto la corporale, poiché l'imperfezione non imita la forma del Verbo sempre unito al Padre, cioè del Verbo per mezzo del quale Dio chiama eternamente all'esistenza tutte le cose, non con il far risonare delle parole, né mediante il pensiero che si svolge nella durata delle parole pronunciate, ma in virtù della luce della Sapienza da lui generata e a lui coeterna? Essendo dissimile da chi "è" in sommo grado e in modo originario, la materia, per una sorta d'informità, tende verso il nulla; [la creatura] invece imita la forma del Verbo sempre e immutabilmente unita al Padre, quando anch'essa col volgersi, in modo proporzionato al suo genere, verso Chi è veramente ed eternamente, cioè verso il Creatore della propria sostanza, ne riceve la somiglianza e diventa perfetta? In tal modo quanto narra la Scrittura: E Dio disse: Vi sia... potremmo intenderlo come la parola incorporea di Dio emanante dalla natura del suo Verbo coeterno, che richiama a sé la creatura ancora imperfetta affinché non resti informe ma riceva la forma adatta a ciascuno degli esseri che la Scrittura espone successivamente. Per via di questa conversione e formazione ciascuna creatura, secondo la propria capacità, imita il Verbo di Dio, ossia il Figlio di Dio sempre unito al Padre in virtù della sua piena somiglianza e dell'uguale essenza per cui egli e il Padre sono uno, ma non imita questa forma del Verbo se, allontanandosi dal Creatore, resta informe ed imperfetta; per questo motivo il Figlio è ricordato non perché Verbo ma solo perché principio quando è detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra; poiché viene indicato l'esordio della creatura nello stato informe dell'imperfezione. Del Figlio invece, in quanto è anche il Verbo, si fa menzione nella frase: E Dio disse: Vi sia... Per conseguenza, quando si fa menzione del Figlio come principio, la Scrittura ci mostra un esordio della creatura che riceve da lui un'esistenza ancora imperfetta, mentre, quando lo menziona come Verbo, essa ci mostra la perfezione della creatura richiamata verso di lui per assumere la sua forma unendosi al Creatore e imitando, in proporzione del suo grado di essere, la Forma eternamente e immutabilmente unita al Padre, dal quale essa riceve subito d'essere ciò ch'è lui stesso.
Rapporto tra il Verbo (la Sapienza) e la creatura.
5. 10. Il Verbo, Figlio [di Dio], non ha una vita informe, poiché per lui non solo l'essere è lo stesso che il vivere ma il vivere per lui è anche lo stesso che vivere nella sapienza e nella felicità. La creatura, al contrario, sebbene spirituale e intelligente o razionale, che pare più vicina al Verbo, può avere una vita informe poiché per essa il vivere non è lo stesso che vivere nella sapienza e nella felicità, come l'essere è per essa la medesima cosa che il vivere. Essa infatti, una volta allontanatasi dall'immutabile Sapienza, vive nella stoltezza e nella miseria, e questo stato corrisponde alla sua informità. Essa invece riceve la sua forma quando si volge verso l'immutabile luce della Sapienza ch'è il Verbo di Dio: per vivere infatti sapiente e felice essa si volge verso Colui dal quale è stata tratta all'esistenza per avere l'essere e una vita come che sia. Il principio della creatura intelligente infatti è l'eterna Sapienza; di modo che, pur rimanendo in se stesso immutabile, questo principio non cesserebbe mai di parlare, con la voce misteriosa della sua ispirazione, alla creatura di cui è il principio, perché si volgesse verso Colui dal quale ha l'essere, poiché in altro modo non potrebbe ricevere la forma e la perfezione. Ecco perché, essendogli stato chiesto chi egli fosse, [Cristo] rispose: Io sono il Principio e per questo vi parlo.
"Acqua": materia corporea o vita spirituale fluttuante?
5. 11. Ora, ciò che dice il Figlio, lo dice il Padre poiché, quando parla, il Padre pronuncia il suo Verbo ch'è il Figlio; parlando nel suo modo eterno di essere - se pur si può parlare di modo di essere - Dio pronuncia il Verbo a lui coeterno. In Dio infatti è [per sua essenza] la somma, santa, giusta benevolenza e uno speciale amore verso le proprie opere non derivante dalla necessità ma dalla sua bontà. Ecco perché la frase della Scrittura: Dio disse: Vi sia la luce è preceduta da quest'altra: E lo Spirito di Dio si portava sopra le acque. Con il termine "acqua" la Scrittura ha voluto indicare una di queste due cose: o l'insieme della materia fisica facendo così vedere ciò di cui sono fatte e formate tutte le cose che noi ormai possiamo distinguere quanto alla loro specie - la Scrittura chiama acqua la materia poiché noi vediamo tutte le cose sulla terra formarsi e crescere, secondo le varie loro specie, grazie all'elemento umido - oppure denota una sorta di vita spirituale indeterminata e, per così dire, allo stesso fluido prima di ricevere la sua forma col volgersi verso Dio. Di certo però lo Spirito di Dio si portava al di sopra [della materia], poiché alla buona volontà del Creatore soggiaceva tutto ciò a cui aveva cominciato a dar forma e perfezione di modo che, dicendo Dio, mediante il suo Verbo: Vi sia la luce, l'essere creato sarebbe stato permanente, secondo la capacità della sua specie, nel beneplacito di Dio, sarebbe cioè continuato a piacergli. È quindi buono ciò ch'è piaciuto a Dio, poiché la Scrittura dice: E vi fu la luce. E Dio vide che la luce è buona.
La Trinità operante nell'origine e nella perfezione della creatura.
6. 12. In tal modo la Trinità del Creatore è presentata proprio all'inizio della creazione appena abbozzata; essa è ricordata con il termine di "cielo e terra" in vista di ciò che doveva esser portato a termine a partire da essa - poiché quando la Scrittura dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, con il nome di "Dio" noi intendiamo il Padre, con il nome di "Principio" il Figlio, ch'è principio non del Padre, ma anzitutto e soprattutto della creatura spirituale creata da Lui e per conseguenza lo è anche di tutte le altre creature -; quando invece la Scrittura dice: Lo Spirito di Dio si portava sulle acque, noi riconosciamo la menzione completa della Trinità; ugualmente nell'atto con cui la creatura si volge a Dio e viene resa perfetta in modo che vengono distinte le diverse specie degli esseri, ci viene fatta conoscere la medesima Trinità e cioè da una parte il Verbo di Dio e Colui che genera il Verbo, quando la Scrittura dice: E Dio disse, e dall'altra la santa Bontà - per la quale a Dio piace qualunque essere gli piace d'aver reso perfetto nei limiti della capacità della sua natura - quando la Scrittura dice: Dio vide ch'è una cosa buona.
Che vuol dire: Lo Spirito aleggiava sulle acque.
7. 13. Ma perché mai è menzionata prima la creatura ancora imperfetta e poi lo Spirito di Dio? La Scrittura infatti prima disse: La terra però era invisibile e caotica e le tenebre erano sopra l'abisso, e dopo soggiunse: e lo Spirito di Dio si portava al di sopra delle acque. Forse perché l'amore indigente e bisognoso [delle cose amate] ama in modo da rimanere soggetto alle cose che ama, perciò quand'era menzionato lo Spirito di Dio, nella cui persona si lascia intendere la sua santa bontà e amore, la Scrittura dice che si portava al di sopra, perché non si pensasse che Dio fosse portato ad amare le opere, che avrebbe fatto, per la necessità dei bisogno anziché per la sovrabbondanza della sua bontà? Memore di ciò l'Apostolo, sul punto di parlare della carità, dice che mostrerà una via sovreminente, e in un altro passo parla della carità di Cristo ch'è al di sopra d'ogni conoscenza. Dovendosi dunque indicare lo Spirito di Dio col dire che si portava al di sopra, era più conveniente che prima fosse presentato qualcosa solo appena avviato, al di sopra del quale si potesse dire ch'Egli si librava non per la posizione ma per la sua potenza che sorpassa e trascende ogni cosa.
Dio ama le sue creature perché esistano e sussistano.
8. 14. Così pure, dopo che le cose appena abbozzate furono portate alla perfezione e ricevettero la loro forma, Dio vide ch'è una cosa buona; egli infatti si compiacque di ciò ch'era stato fatto grazie alla medesima bontà con cui gli era piaciuto di farlo. Poiché due sono i motivi per cui Dio ama la propria creazione: perché esista e perché sussista. Affinché dunque esistesse la creazione capace di sussistere, lo Spirito di Dio si portava al di sopra dell'acqua, affinché invece sussistesse Dio vide ch'è buona. E ciò ch'è detto della luce è detto di tutte le altre creature. Esse infatti sussistono, alcune soggette a Dio in gran santità dopo essersi elevate al di sopra del volgere d'ogni tempo, altre invece seguendo la misura del tempo loro assegnato, venendosi così a tessere, con la recessione e successione delle cose, la bellezza dei secoli.
Quando Dio pronunciò: Vi sia la luce?
9. 15. La frase che disse Dio: Vi sia la luce! E la luce fu fatta, fu dunque pronunciata in un giorno determinato o prima di qualunque giorno? Se infatti Dio la pronunciò mediante il suo Verbo coeterno, certamente la pronunciò fuori del tempo; se invece la pronunciò nel tempo, non la pronunciò mediante il suo Verbo coeterno ma per mezzo di qualche creatura temporale. La luce quindi non sarà la prima creatura, poiché ce n'era già un'altra mediante la quale sarebbe stato detto nel tempo: Vi sia la luce! Si comprende inoltre che ciò di cui è detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, fu creato prima di qualsiasi giorno, di modo che con il termine "cielo" s'intende la creatura spirituale già fatta e formata e che è, per così dire, il cielo di questo cielo che occupa il grado più alto tra i corpi. In realtà solo nel secondo giorno fu fatto il firmamento che Dio chiamò di nuovo "cielo". Col termine invece di "terra invisibile e caotica" e di "abisso tenebroso" fu denotata la sostanza materiale ancora imperfetta, con cui sarebbero stati fatti gli esseri temporali, dei quali la prima sarebbe stata la luce.
Di che specie era la "voce" di Dio con cui creò la luce?
9. 16. In qual modo però nel tempo Dio potè dire: Vi sia la luce servendosi d'una creatura fatta prima del tempo, è difficile scoprirlo. Noi non pensiamo affatto che quella fosse una parola prodotta dal suono d'una voce, poiché ogni parola di tal genere è il prodotto d'un corpo. O forse con quella sostanza imperfetta fece una voce corporea con cui far sentire la parola: Vi sia la luce? Sarebbe dunque stata creata e formata una voce corporale prima della luce. Ma se la cosa sta così, esisteva già il tempo attraverso il quale scorreva la voce e passavano gli intervalli dei suoni che si succedevano. Ora, se esisteva già il tempo prima che fosse creata la luce, in quale tempo fu creata la voce capace di far sentire: Vi sia la luce? A qual giorno apparteneva quel tempo? Poiché comincia ad esser contato come "uno" ed insieme come "il primo" quel giorno in cui fu creata la luce. O forse fa parte dello stesso giorno tutto lo spazio di tempo sia quello in cui fu creata la voce fisica mediante la quale risonasse: Vi sia la luce, sia quello in cui fu creata la stessa luce? Ma qualsiasi voce di tal genere è proferita da uno che parla affinché giunga al senso fisico d'un altro che ascolta, poiché questo senso è fatto in modo da percepire i suoni attraverso le vibrazioni dell'aria. Aveva forse, dunque, un siffatto udito quella materia invisibile e disordinata, quale ch'essa fosse, alla quale potesse in tal modo far sentire la sua voce e dire: Vi sia la luce? Lungi perciò, dall'animo di chi pensa, quest'ipotesi assurda!
La parola di Dio fu pronunciata nel tempo o fuori del tempo?
9. 17. Forse era dunque spirituale, ma tuttavia temporale, il movimento con cui intendiamo sia stata detta l'espressione: Vi sia la luce prodotto dall'eterno Dio mediante il Verbo a lui coeterno nella creatura spirituale da lui già creata quando la Scrittura dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, cioè nel cielo del cielo? Oppure si può intendere che questa parola, non solo senza alcun suono ma anche senza alcun movimento temporale della creatura spirituale, fu in qualche modo fissata e impressa nella sua mente e nella sua ragione dal Verbo coeterno al Padre e, in conseguenza di quella parola, la sostanza corporea imperfetta, inferiore e tenebrosa, si sarebbe mossa e volta verso la sua Forma e sarebbe diventata luce? Ma se l'ordine di Dio non è dato in modo temporale e se la creatura spirituale che, mediante la contemplazione della verità, trascende qualsiasi tempo, non lo ascolta in un modo temporale, ma trasmette alle creature inferiori, come enunciati intelligibili, le ragioni in essa impresse intellettualmente dall'immutabile Sapienza di Dio, è estremamente difficile comprendere come si possa affermare che si formano movimenti di natura temporale negli esseri temporali affinché siano formati o governati. Se invece si deve intendere che la luce, la prima [creatura] di cui fu detto: Vi sia e: Vi fu, ha pure la preminenza sulle altre creature, è la stessa vita intellettuale che, se non si volgesse verso il Creatore per essere illuminata, rimarrebbe fluttuante e informe. Ma una volta rivoltasi [a Dio] e illuminata che fu, allora fu creato ciò ch'era stato detto mediante il Verbo di Dio: Vi sia la luce.
Da Gen 1, 5 pare che la luce fu creata nello spazio di un giorno.
10. 18. Cionondimeno, allo stesso modo che questo fu detto al di fuori del tempo, in quanto il Verbo coeterno al Padre non è soggetto al tempo, si potrebbe porre il quesito se anche quell'opera fu fatta al di fuori del tempo. Ma come si può intendere una simile cosa, dal momento che dopo la creazione della luce, la sua separazione dalle tenebre e dopo la denominazione di "giorno" e di "notte", la Scrittura afferma: E fu sera e fu mattina: un giorno? Da questo testo pare che quell'opera di Dio fu compiuta nello spazio d'un giorno, trascorso il quale si giunse alla sera, ch'è l'inizio della notte. Parimenti, trascorso lo spazio della notte, fu completato l'intero giorno e, per conseguenza, il mattino diede inizio ad un altro giorno, in cui Dio portò successivamente a termine altre opere.
Creazione istantanea della luce e sua separazione dalle tenebre.
10. 19. Ma se Dio disse: Vi sia la luce mediante la ragione eterna del suo Verbo senza alcun intervallo di sillabe, è assai strano come mai la luce fu creata in un sì gran lasso di tempo, fin tanto cioè che passasse lo spazio d'un giorno e venisse la sera. O forse la creazione della luce fu, sì, istantanea, ma la durata del giorno passò mentre la luce veniva separata dalle tenebre e a tutt'e due le creature separate veniva assegnato il proprio nome? Ma sarebbe strano se anche ciò poté esser fatto da Dio in tanto spazio di tempo quanto quello in cui lo diciamo noi. Poiché la distinzione della luce dalle tenebre risultò dall'atto stesso con cui fu creata la luce; la luce infatti non ci sarebbe potuta essere, se non fosse stata separata dalle tenebre.
Dio chiamò luce il giorno, cioè nelle ragioni eterne della sua Sapienza.
10. 20. Rispetto però al fatto che Dio chiamò la luce giorno e le tenebre notte, in quanto spazio di tempo poteva fare ciò, anche se l'avesse fatto pronunciando vocalmente le parole sillaba per sillaba, se non quanto occorre anche a noi per dire: "La luce si chiami giorno e le tenebre si chiamino notte"? Salvo che uno sia per caso tanto insensato da pensare che, siccome Dio è più grande d'ogni cosa, le sillabe pronunciate dalla bocca di Dio - quantunque assai poche - poterono riempire tutto lo spazio d'un giorno. A ciò s'aggiunge il fatto che Dio chiamò giorno la luce e notte le tenebre servendosi non del suono d'una voce corporea ma del Verbo a lui coeterno, cioè delle ragioni interne ed eterne della sua immutabile Sapienza. D'altra parte, se Dio avesse usato le parole di cui ci serviamo noi, di nuovo sorge il quesito in quale lingua parlò e quale bisogno c'era d'una successione di suoni ove non esisteva l'udito fisico di nessuno, e a tale quesito non si trova risposta.
Il giorno e la notte si avvicendano lungo il percorso del sole nelle 24 ore.
10. 21. Si deve forse dire che, pur essendo stata quest'opera di Dio compiuta in un istante, la luce perdurò senza che sopraggiungesse la notte finché non fosse compiuto lo spazio d'un giorno e che la notte, succedendo al giorno, durò tanto a lungo finché non passasse lo spazio della notte e si facesse il mattino del giorno seguente dopo ch'era passato il primo e unico giorno? Ma se io dirò così, ho paura d'essere deriso sia da coloro che hanno nozioni scientifiche molto esatte sia da coloro che assai facilmente possono osservare che quando da noi è notte, la presenza della luce illumina le altre parti del mondo che il sole percorre prima di tornare dalla parte ove tramonta a quella ove sorge; per questo motivo nello spazio di tutte le ventiquattro ore c'è sempre, lungo il percorso circolare del sole, una parte [della terra] ov'è giorno e un'altra ov'è notte. Collocheremo dunque Dio in una parte di questo percorso ove per lui fosse sera quando la luce lasciasse quella parte per andare in un'altra? In realtà nel libro chiamato Ecclesiaste sta scritto: Il sole sorge e il sole tramonta e ritorna al proprio luogo, cioè nel luogo d'onde sorge. Subito dopo infatti è detto: Il sole sorgendo va verso il Sud e poi gira verso Settentrione. Quando dunque le regioni australi hanno il sole, per noi è giorno, quando invece il sole, facendo il suo giro, attraversa le regioni settentrionali, per noi è notte. Non è tuttavia da credere che non sia giorno nelle altre regioni ove c'è il sole, salvo che le finzioni poetiche c'inducano a credere che il sole s'immerge nel mare e, dopo essersi bagnato, risorge la mattina dalla parte opposta. D'altronde anche se fosse così, lo stesso abisso sarebbe illuminato dalla presenza del sole e vi sarebbe il giorno. Esso infatti potrebbe illuminare anche le acque, dal momento che il sole non potrebbe essere spento da esse. Ma il solo immaginare [possibile] una cosa simile è un'assurdità. E che dire del fatto che il sole ancora non c'era?
Luce spirituale o luce fisica?
10. 22. Se dunque la luce spirituale fu creata il primo giorno, tramontò forse perché le succedesse la notte? Se invece era una luce fisica, qual è mai la luce che non possiamo vedere dopo il tramonto del sole, dato che non esistevano ancora né la luna né le stelle? Oppure, se quella luce si trova sempre nella parte del cielo ov'è il sole senz'essere la luce del sole ma, per così dire, la sua compagna e ad esso tanto strettamente unita da non potersi distinguere e discernere, si torna alla difficoltà della presente questione che si deve risolvere. Poiché anche questa luce, allo stesso modo che il sole, di cui sembra esser la compagna, nel suo percorso, dal luogo ove tramonta ritorna a quello dove sorge ed è in un'altra parte del mondo al momento che questa parte, ove siamo noi, si copre di tenebre per la notte. Da ciò si dovrebbe concludere - cosa inammissibile - che Dio si sarebbe trovato in un luogo d'onde questa luce si sarebbe separata affinché per lui potesse essere sera. O forse Dio aveva creato la luce solo in quella regione in cui aveva intenzione di creare l'uomo e perciò [la Scrittura] dice ch'era sera quando la luce, allontanatasi per risorgere il mattino seguente dopo aver compiuto il suo percorso, fosse in un'altra regione?
La luce primordiale o la successione dei giorni?
11. 23. Perché dunque il sole fu creato per essere a capo del giorno e per illuminare la terra se, a produrre il giorno, era sufficiente la luce ch'era stata chiamata anche "giorno"? Quella luce primordiale illuminava forse regioni superiori tanto lontane dalla terra da non poter essere percepita sulla terra e così era necessario fosse creato il sole affinché per mezzo suo il giorno apparisse alle regioni inferiori del mondo? Si potrebbe anche dire che lo splendore del giorno fu accresciuto con l'aggiunta del sole, e perciò si potrebbe credere, che in virtù di quella sola luce, il giorno sarebbe stato meno splendente di quanto è adesso. Io so che da un esegeta è stata proposta anche un'altra soluzione: tra le opere del Creatore sarebbe stata prodotta dapprima la sostanza della luce quando [Dio] disse: Vi sia la luce, e vi fu la luce; in seguito invece, quando si parla dei luminari [del cielo], la Scrittura avrebbe ricordato quali corpi [luminosi] furono creati con la stessa luce secondo l'ordine dei giorni in cui il Creatore decise di compiere tutte le sue opere. Ma dove sia andata a finire quella sostanza luminosa quando fu sera, quell'esegeta non l'ha detto e penso che non è facile poterlo sapere. Non si può, infatti, credere ch'essa si fosse spenta perché prendessero il suo posto le tenebre della notte, e si fosse accesa di nuovo perché ricominciasse il mattino prima che fosse prodotto per mezzo del sole questo avvicendamento che cominciò dal quarto giorno, come attesta la stessa Scrittura.
Luce e ombra: giorno e notte prima della creazione del sole.
12. 24. Ma è difficile trovare e spiegare con qual percorso circolare - prima della comparsa del sole - si sarebbe potuta avere la successione di tre giorni e di tre notti, se continuava a risplendere quella luce creata all'origine [delle cose], supposto ch'essa sia da intendere come una luce materiale. Uno però potrebbe avanzare l'ipotesi che l'ammasso delle terre e delle acque, prima che queste fossero separate le une dalle altre - cosa che la Scrittura dice avvenuta solo il terzo giorno - Dio lo chiamò "tenebre" a causa della densità più spessa del suo volume impenetrabile alla luce o a causa dell'oscurità assai fitta d'un ammasso sì grande che, se occupava uno degli emisferi di questa sostanza materiale, necessariamente l'altro era illuminato. Poiché nella parte d'un corpo qualunque, alla quale la sua massa non permette ch'arrivi la luce, c'è l'oscurità; ciò infatti che si chiama oscurità non è altro che la mancanza di luce sopra una superficie che sarebbe illuminata, se non lo impedisse un corpo posto davanti ad essa. Se questo corpo è talmente voluminoso da occupare tanta superficie della terra quanta ne occupa la luce dalla parte opposta, l'oscurità si chiama notte. Ma non ogni specie di tenebre è notte. Così nella profondità di spelonche assai vaste, ove la luce non può penetrare a causa della massa di terra interposta, ci sono - è vero - le tenebre, poiché non c'è la luce e tutto quello spazio ne è privo, tuttavia siffatte tenebre non si chiamano "notte" ma solo quelle che sottentrano in una parte della terra dalla quale se n'è andata la luce. Così pure non ogni specie di luce è chiamata "giorno" - c'è infatti anche la luce della luna, delle stelle, delle lampade, dei lampi e di tutto ciò che splende allo stesso modo - ma si chiama "giorno" solo la luce alla quale, allorché si ritira, succede la notte.
Con qual luce si succedevano i tre giorni e le tre notti?
12. 25. Ma se quella luce primordiale ricopriva da ogni parte la terra attorno alla quale era diffusa, sia che restasse ferma sia che le girasse attorno, non c'era regione da cui permettesse che le succedesse la notte, poiché non si allontanava da nessun luogo per farle posto. O forse la luce era stata creata in una sola parte [della terra] in modo che, nel compiere il suo percorso circolare, lasciasse compiere successivamente il percorso circolare dall'altra parte anche alla notte? Dato infatti che l'acqua ricopriva ancora tutta la terra, nulla impediva che su una faccia di questa massa sferica d'acqua producesse il giorno la presenza della luce e che nell'altra faccia l'assenza della luce producesse la notte che, a cominciar dalla sera, succedesse sulla faccia dalla quale la luce s'allontanava verso l'altra faccia.
Dove si raccolsero le acque che coprivano la terra?
12. 26. In qual luogo dunque si raccolsero le acque, se prima occupavano tutta quanta la terra? In qual luogo cioè si raccolsero le acque che si ritirarono affinché la terra fosse messa a nudo? Se infatti v'era già qualche parte nuda della terra, ove le acque potessero ammassarsi, la terra appariva già asciutta e l'abisso non ne occupava l'intera superficie; se invece le acque ne coprivano tutta la superficie, qual era il luogo in cui potevano raccogliersi affinché apparisse la terra asciutta? Si radunarono forse verso l'alto come avviene quando la messe, dopo essere stata trebbiata, viene lanciata in alto per essere vagliata e, raccolta così in un mucchio, sgombra il luogo che aveva ricoperto quando era sparsa? Chi potrebbe asserire una simile cosa quando vede il mare che si estende dappertutto come una superficie tutta piana, poiché anche quando le acque agitate si alzano a guisa d'un monte, si appianano di nuovo dopo essersi placate le tempeste? Inoltre, se le spiagge sono messe a nudo per larghi tratti, non può dirsi che le acque ritirandosi non vadano ad occupare altre terre, dalle quali tornano poi ad occupare di nuovo i luoghi donde s'erano ritirate. Ma poiché tutta la terra era completamente coperta dall'acqua, ove mai questa si sarebbe ritirata per lasciare scoperte alcune regioni? O forse l'acqua meno densa copriva le terre come una nuvola ma poi divenne più densa nell'ammassarsi per mettere a nudo, tra molte regioni, quelle in cui potesse apparire la terra ferma? Sennonchè anche la terra, abbassandosi in vaste estensioni, avrebbe potuto offrire delle depressioni in cui si sarebbero potute raccogliere le acque che, affluendo, vi si sarebbero precipitate in massa e sarebbe potuta apparire asciutta nelle regioni dalle quali l'acqua si sarebbe ritirata.12. 27. Ma la materia non sarebbe del tutto informe, se poteva apparire anche sotto una forma nebulosa.
Quando furono create la terra e l'acqua sotto forma visibile?
13. 27. Ecco perché può sollevarsi anche il quesito in qual momento Dio creò le forme visibili e le proprietà delle acque e delle terre, poiché ciò non si trova ricordato in nessuno dei sei giorni [della creazione]. Ammettiamo pertanto che Dio le creò prima che iniziassero i giorni, allo stesso modo che prima della menzione di quei giorni sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, in modo che mediante il nome di "terra" noi intendiamo la terra già formata con il suo aspetto esteriore, ricoperta dalle acque già mostrate chiaramente nella loro propria forma visibile; in tal caso, riguardo a ciò che la Scrittura soggiunge dicendo: La terra però era invisibile e confusa e le tenebre erano sopra l'abisso: e lo Spirito si librava al di sopra delle acque, non dobbiamo pensare a uno stato informe della materia, ma alla terra e all'acqua prive di luce - che ancora non era stata fatta - ma create con le proprietà che ormai conoscono tutti. Per conseguenza la terra è chiamata "invisibile" nel senso che, essendo coperta dalle acque, non poteva essere vista, anche se ci fosse stato uno che potesse vedere; è poi detta "confusa" perché non era ancora separata dal mare né circondata di spiagge né adornata dei suoi prodotti e animali. Se dunque è così, perché mai queste forme - che senza dubbio sono materiali - furono create prima di qualsiasi giorno? Per qual motivo la Scrittura non dice: "Dio disse: "Vi sia la terra". E vi fu la terra", e così pure: "Dio disse: "Vi sia l'acqua". E vi fu l'acqua", o anche, accomunando entrambi gli elementi - essendo essi uniti per così dire dalla legge che assegna loro il gradino più basso -: "Dio disse: "Vi sia la terra e l'acqua". E così fu?".
L'essere mutevole proviene da materia informe creata da Dio.
14. 27. Per qual motivo, dopo la creazione di questi elementi, la Scrittura non dice: "Dio vide ch'è una cosa buona"?14. 28. A persuaderci basta la seguente considerazione: è chiaro che ogni essere mutevole è formato a partire da uno stato d'informità; nello stesso tempo non solo la fede cattolica ci comanda di credere, ma anche la ragione c'insegna con solidi argomenti che la materia di tutte le nature non sarebbe potuta esistere se non per opera di Dio, primo autore e creatore non solo delle nature formate, ma anche di quelle formabili. Di questa materia parla a lui anche l'agiografo che dice: Tu hai creato il mondo dalla materia informe. Questa considerazione c'insegna inoltre che la Scrittura, secondo lo spirito della Sapienza, per adattarsi anche a lettori o a uditori piuttosto tardi di mente, fa allusione a questa materia con le parole che precedono l'enumerazione dei giorni, allorché dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra ecc. fino alle parole: E Dio disse, venendo in seguito esposto il racconto ordinato degli altri esseri formati.
Sono concreate la materia e la forma delle cose.
15. 29. Non si deve pensare però che la materia informe sia anteriore in ordine di tempo alle cose formate, essendo stato concreato simultaneamente sia ciò da cui una cosa è fatta, sia ciò ch'è fatto. Così, per esempio, la voce è la materia delle parole e le parole invece indicano la voce formata; tuttavia chi parla non emette prima una voce informe ch'egli potrebbe in seguito determinare e formare per farne delle parole; allo stesso modo Iddio creatore non creò dapprima la materia informe e in seguito, grazie - per così dire - a una seconda considerazione, la formò seguendo l'ordine delle diverse nature, poiché egli creò la materia formata. Ora, ciò a partire da cui una cosa è fatta, è anteriore - se non quanto al tempo, almeno quanto a quella che impropriamente potrebbe chiamarsi origine - a ciò ch'è fatto per mezzo di quello; per questo motivo la Scrittura ha potuto separare nei momenti della narrazione ciò che Dio non separò nei momenti della creazione. Se infatti ci si chiedesse se formiamo la voce servendoci delle parole o le parole servendoci della voce, difficilmente si troverebbe alcuno sì tardo d'ingegno che non risponderebbe che sono piuttosto le parole a esser formate con la voce; così, quantunque chi parla faccia nello stesso tempo le due azioni, basta un'attenzione ordinaria per scoprire qual è quella formata con l'altra. Per questo motivo, poiché Dio creò simultaneamente l'una e l'altra cosa, sia la materia da lui formata sia le cose per le quali l'aveva formata, la Scrittura doveva da una parte parlare di entrambe le cose e dall'altra non poteva parlare simultaneamente; chi potrebbe dubitare che doveva parlare di ciò con cui un essere fu fatto per mezzo di quello? Infatti anche quando nominiamo la materia e la forma, noi comprendiamo che l'una e l'altra esistono simultaneamente, ma non possiamo pronunciarle entrambe simultaneamente. Orbene, allo stesso modo che, quando pronunciamo queste due parole, succede che in breve tratto di tempo pronunciamo l'una prima dell'altra, così in un racconto piuttosto lungo era necessario riferire la creazione della materia prima di quella della forma benché Dio - come ho già detto - creasse l'una e l'altra simultaneamente. Per conseguenza ciò che nell'atto del creare è primo solo quanto all'origine, nella narrazione è primo anche quanto al tempo; se infatti due cose, di cui l'una non è per nulla anteriore all'altra, non possono essere nominate nello stesso tempo, tanto meno possono raccontarsi nello stesso tempo. Non si deve dunque dubitare che questa materia informe, quale che sia la sua natura, è tanto vicina al nulla che fu concreata con le cose formate a partire da essa.
In che modo la Scrittura denota l'informità della materia.
15. 30. Se dunque è ragionevole credere che la Scrittura indica questa materia quando dice: La terra era invisibile e confusa e le tenebre regnavano sopra l'abisso, e lo Spirito di Dio si librava al di sopra delle acque, eccettuato ciò che vi si afferma dello Spirito di Dio, dobbiamo intendere che tutti gli altri termini, con cui sono indicate le cose visibili, sono stati usati per indicare, per quanto era possibile, a persone piuttosto tarde d'ingegno questa informità della materia; questi due elementi infatti, cioè la terra e l'acqua, nelle mani degli artigiani sono più docili degli altri per fare qualcosa e perciò più adatti a denotare quell'informità.
Altra ipotesi sul giorno e sulla notte: effusione e contrazione della luce.
16. 30. Se dunque una tale ipotesi è ragionevole, la terra non era una massa già formata, della quale la luce avrebbe illuminato un emisfero mentre l'altro sarebbe rimasto nelle tenebre, potendo così la notte succedere al ritirarsi del giorno.16. 31. Ma se volessimo intendere per "giorno" e "notte" l'emissione e la contrazione di quella luce, da una parte non si vede la ragione perché la cosa fosse così - poiché non c'erano ancora esseri viventi cui potesse giovare un siffatto avvicendarsi [del giorno e della notte] come lo vediamo presentarsi adesso agli esseri creati in seguito, a causa del percorso circolare del sole - d'altra parte non si trova alcun fatto simile con cui potremmo provare una siffatta emissione e contrazione della luce perché potessero verificarsi le alternanze del giorno e della notte. Senza dubbio i raggi emessi dai nostri occhi sono veramente emissione di una specie di luce che può restringersi quando guardiamo l'aria vicina ai nostri occhi e allungarsi quando guardiamo nella stessa direzione oggetti siti a distanza. Ma anche quando si restringe, il nostro sguardo non cessa del tutto di vedere gli oggetti lontani, sebbene li veda di certo meno chiaramente di quando lo sguardo si estende fino ad essi. È tuttavia certo che la luce, che si trova nel senso di chi vede, è tanto debole che, senza l'aiuto d'una luce esterna [all'occhio], non potremmo veder nulla; e, poiché non può distinguersi da quella esterna, è difficile - come ho già detto - trovare qualcosa di simile con cui si possa provare che l'emissione della luce produce il giorno e la sua contrazione la notte.
La luce spirituale, la luce increata e l'illuminazione delle creature spirituali e razionali.
17. 32. Se al contrario, quando Dio disse: Vi sia la luce, fu creata la luce spirituale, non si deve pensare che fosse la luce vera, coeterna al Padre, per mezzo della quale fu creata ogni cosa e che illumina ogni uomo, ma quella di cui la Scrittura ha potuto dire: Tra tutte le cose fu creata per prima la Sapienza. Quando infatti la Sapienza eterna ed immutabile, non creata ma generata, si comunica alle creature spirituali e razionali, come alle anime sante, affinché [da essa] illuminate possano risplendere, allora si costituisce in esse uno - per così dire - stato della ragione illuminata, che può concepirsi come la creazione della luce quando Iddio disse: Vi sia la luce. Se già esisteva una creatura spirituale indicata con il nome di "cielo" nel passo ove sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, questo cielo non è quello corporale ma il cielo incorporale, vale a dire il cielo superiore a ogni corpo, non per la disposizione dello spazio a piani ma per l'eccelsa dignità della sua natura. Come tuttavia poté esser creato nello stesso tempo non solo ciò ch'era capace d'essere illuminato, ma anche la stessa illuminazione, e come la Scrittura avrebbe dovuto esporre le due cose una dopo l'altra, lo abbiamo detto poco prima quando abbiamo parlato della materia.
Spiegazione allegorica della separazione della luce dalle tenebre.
17. 33. Ma in qual senso potremo intendere il subentrare della notte alla luce affinché venisse la sera? Da quale specie di tenebre quella luce poté essere separata quando la Scrittura dice: E Dio separò la luce dalle tenebre? C'erano forse già dei peccatori e degli stolti che s'allontanavano dalla luce della verità, sicché Dio avrebbe separato quelli da coloro che rimanevano nella medesima luce, come la luce dalle tenebre, e chiamando "giorno" la luce e "notte" le tenebre, avrebbe voluto mostrare che egli non è l'autore dei peccati ma il giudice che retribuisce secondo i meriti? O forse il termine "giorno" denota qui la totalità del tempo e con questo termine si abbraccia lo svolgersi di tutti i secoli? Per questo, forse, la Scrittura non parla di "primo" giorno ma di "un" giorno? Essa infatti dice: E fu sera e fu mattina: un giorno, sicché la sera rappresenterebbe il peccato della natura razionale e il mattino il suo rinnovamento.
Che cosa fu propriamente la separazione della luce dalle tenebre.
17. 34. Ma questo è [il tentativo di] una interpretazione propria dell'allegoria profetica che noi non ci siamo proposti in questo trattato. Adesso infatti ci siamo proposti di commentare le Scritture nel senso proprio dei fatti storici in esse registrati, non nel senso allegorico di realtà future. Per render dunque conto della creazione e della costituzione delle nature, in qual modo possiamo scoprire una sera e un mattino nella luce spirituale? La separazione della luce dalle tenebre è forse la distinzione delle cose già formate da quelle informi, mentre la denominazione di "giorno" e di "notte" alluderebbe alla disposizione con cui s'indica che Dio non lascia nulla nel disordine, e la stessa informità - a causa della quale le cose cambiano passando in certo qual modo da una forma in un'altra - non resta caotica? Oltre a ciò lo stesso regresso e progresso della creatura, per cui le cose temporali si succedono le une alle altre, non mancano di concorrere alla bellezza dell'universo? La notte infatti non è altro che la tenebra regolata da un ordine.
Che cosa denoterebbe il mattino e la sera precedente i luminari.
17. 35. Ecco perché, dopo essere stata creata la luce, la Scrittura dice: Dio vide che la luce è buona, mentre ciò poteva dirlo dopo tutte le opere compiute nel medesimo giorno; ossia, dopo aver esposto le singole opere: Dio disse: Vi sia la luce. E vi fu la luce. E Dio separò la luce dalle tenebre; e Dio chiamò giorno la luce e notte le tenebre, allora avrebbe potuto dire: E Dio vide ch'è una cosa buona e poi aggiungere: E fu sera e fu mattina, come fa per le altre opere, alle quali dà un nome. Qui dunque non fa così per il fatto che l'informità è distinta dalla cosa formata al fine di mostrare ch'essa non aveva ricevuto la completezza del suo essere, ma doveva ricevere la forma mediante le altre creature già corporee. Se pertanto, dopo che la luce e le tenebre erano state separate e avevano ricevuto il nome, la Scrittura avesse detto: Dio vide che ciò è una cosa buona, avremmo potuto pensare che s'indicavano creature alle quali non si sarebbe ormai dovuto aggiungere nulla per quanto riguarda la loro forma specifica. Ma poiché Dio aveva creato nella sua forma compiuta soltanto la luce, la Scrittura dice: Dio vide che la luce è una cosa buona, e la distinse dalle tenebre dando [a queste e a quella] nomi diversi; ma in tal caso non è detto: Dio vide ch'è una cosa buona, poiché l'informità era stata separata affinché servisse a formare ancora altre nature. Quando, al contrario, la notte che noi conosciamo assai bene - essa infatti è prodotta dal percorso circolare del sole attorno alla terra - viene distinta dal giorno mediante la disposizione dei luminari, dopo la separazione stessa del giorno dalla notte, la Scrittura dice: Dio vide ch'è una cosa buona. La notte, di cui si tratta, non era infatti una specie di sostanza informe che dovesse servire a formare altre nature, ma era uno spazio pieno d'aria privo della luce del giorno: a questa notte non si sarebbe certamente dovuto aggiungere alcuna caratteristica specifica perché fosse più bella e più distinta. Quanto invece alla sera, durante tutto lo spazio di quei tre giorni precedenti alla creazione dei luminari, forse non è illogico pensare che indichi il termine dell'opera compiuta, mentre il mattino indicherebbe l'opera che sarebbe stata compiuta in seguito.
Dio opera mediante le ragioni eterne del Verbo e l'amore dello Spirito Santo.
18. 36. Ma dobbiamo anzitutto ricordarci di ciò che abbiamo detto più volte: che cioè Dio non agisce con una specie di moti spirituali o corporali misurabili nel tempo, così come agisce l'uomo o l'angelo, bensì mediante le ragioni eterne immutabili e stabili del Verbo a lui coeterno e, per così dire, mediante una specie d'incubazione del suo Spirito Santo parimenti a Lui coeterno. Poiché anche ciò che la Scrittura dice in latino e in greco dello Spirito di Dio che si librava al di sopra delle acque, secondo l'interpretazione data dalla lingua siriaca, ch'è più vicina all'ebraica - come si dice sia stato spiegato da un dotto cristiano siro - si dimostra che significa non si librava al di sopra, ma piuttosto riscaldava covando, non già come si curano i gonfiori o le piaghe d'un corpo con applicazioni d'acqua fredda o mescolata in giusta misura con acqua calda, ma come sono covate dagli uccelli le uova, nel qual caso il calore del corpo materno contribuisce in certo qual modo a formare i pulcini grazie a una specie d'istinto che, nel suo genere, è un sentimento d'amore. Non dobbiamo dunque immaginare che Dio abbia pronunciato delle parole - diciamo così - temporali per ciascun giorno di quelle opere divine. La Sapienza di Dio infatti, assumendo la nostra debole natura, venne a raccogliere sotto le sue ali i figli di Gerusalemme come la gallina raccoglie i suoi pulcini, non perché restassimo sempre piccoli, ma perché, restando piccoli quanto a malizia, cessassimo d'esser bambini quanto al giudizio.
Occorre cautela nell'interpretare le sacre Scritture.
18. 37. Riguardo poi a realtà oscure e assai lontane dai nostri occhi, ci potrebbe capitare di leggere anche nella sacra Scrittura passi che, salvando la fede in cui siamo istruiti, possono dar luogo a interpretazioni diverse l'una dall'altra; in tal caso dobbiamo stare attenti a non precipitarci a sostenere alcuna di esse, per evitare di andare in rovina qualora un esame della verità più attento la demolisse mediante sicuri argomenti. In tal caso combatteremmo per difendere non già il senso delle Scritture divine ma quello nostro personale sì da sostenere come senso delle Scritture quello ch'è nostro, mentre dovremmo piuttosto sostenere come nostro quello ch'è il senso delle Scritture.
Nell'interpretare passi oscuri della sacra Scrittura non si deve affermare nulla temerariamente.
19. 38. Supponiamo per esempio che riguardo all'affermazione della Scrittura: Dio disse! Vi sia la luce. E la luce vi fu, uno pensi che si tratti della creazione della luce materiale e un altro della luce spirituale. Che nella creatura spirituale vi sia una luce spirituale, non è messo in dubbio dalla nostra fede; d'altra parte pensare che vi sia una luce materiale, celeste o anche supercelestiale o esistente prima del cielo, alla quale poté succedere la notte, non è contrario alla fede fin tanto che ciò non venga confutato da una verità evidente. Qualora ciò si avverasse, non era quello il senso della sacra Scrittura, ma un'opinione dell'umana ignoranza. Qualora, al contrario, quell'opinione fosse dimostrata da ragioni fondate, rimarrebbe ancora incerto se quello fosse il senso voluto attribuire dall'autore dei Libri sacri a quelle parole, o fosse non meno vero qualche altro senso. Se invece tutto il contesto del passo mostrerà non essere ciò ch'egli voleva dire, non sarà falsa ma vera e più utile a conoscersi l'altra interpretazione che lo scrittore voleva far intendere. Se però il contesto della Scrittura non esclude che lo scrittore volesse far intendere questo senso, rimarrà ancora da esaminare se non poteva farne intendere un altro. E se scopriremo che anche quest'altro senso è possibile, sarà incerto quale dei due sensi egli voleva far intendere, e non sarà illogico pensare che abbia voluto suggerire l'uno e l'altro senso, qualora tutt'e due i sensi siano suffragati da tutto il restante contesto.19. 39. Accade infatti assai spesso che, riguardo alla terra, al cielo, agli altri elementi di questo mondo, al moto e alla rivoluzione o anche alla grandezza e distanza degli astri, intorno alle eclissi del sole e della luna, al ciclo degli anni e delle stagioni, alla natura degli animali, delle piante, delle pietre e di tutte le altre cose di tal genere, anche un pagano abbia tali conoscenze da sostenerle con ragionamenti indiscutibili e in base ad esperienza personale. Orbene, sarebbe una cosa assai vergognosa e dannosa e da evitarsi a ogni costo, se quel pagano sentisse quel tale parlare di questi argomenti conforme - a suo parere - al senso delle Scritture cristiane dicendo invece tali assurdità che, vedendolo sbagliarsi - come suol dirsi - per quanto è largo il cielo, non potesse trattenersi dal ridere. Ma è spiacevole non tanto il fatto che venga deriso uno che sbaglia, quanto il fatto che da estranei alla nostra fede si creda che i nostri autori [sacri] abbiano sostenuto tali opinioni e, con gran rovina di coloro, della cui salvezza noi ci preoccupiamo, vengano biasimati come ignoranti e rigettati. Quando infatti, riguardo ad argomenti ben noti ad essi, i pagani sorprendono un cristiano che sbaglia e difende una sua opinione erronea appoggiandola ai nostri Libri sacri, in qual modo potranno prestar fede a quei Libri quando trattano della risurrezione dei morti, della speranza della vita eterna e del regno dei cieli, dal momento che penseranno che questi scritti contengono errori relativi a cose che hanno potuto già conoscere per propria esperienza o in base a sicuri calcoli matematici? Non può dirsi abbastanza qual pena e tristezza rechino ai fratelli assennati questi cristiani temerari e presuntuosi quando, allorché vengono criticati e convinti d'errore a proposito delle loro erronee e false opinioni da parte di coloro che non sono vincolati dall'autorità dei nostri Libri sacri. Costoro inoltre, al fine di sostenere ciò che affermano con sventatissima temerarietà e chiarissima falsità, si sforzano di addurre i medesimi Libri sacri con cui provare le loro opinioni e arrivano perfino a citare a memoria molti passi da loro ritenuti come valide testimonianze in proprio favore, senza comprendere né quel che dicono né ciò che danno per sicuro.
Si deve interpretare la Genesi senza asserire un'unica opinione ma proponendone varie.
20. 40. Considerando questa presunzione e al fine di guardarmene, io stesso ho cercato di spiegare in diversi sensi - per quanto sono stato capace - e di proporre [diverse] interpretazioni delle frasi del libro della Genesi, enunciate in modo oscuro per tenerci in [continua] riflessione. Per questa ragione non ho voluto sostenere alla leggera un'unica interpretazione con pregiudizio d'un'altra spiegazione forse migliore, in modo che, ciascuno possa scegliere secondo la propria capacità il senso ch'è in grado di capire; quando però non riesce ad intendere, alla Scrittura di Dio renda onore ma per sé abbia timore. D'altra parte, siccome le espressioni della Scrittura da noi commentate offrono tante possibili interpretazioni, dovrebbero una buona volta imporsi un freno coloro che, gonfi di cultura profana, criticano queste espressioni, destinate a nutrire le anime pie, come cose prive di scienza e d'eleganza mentre essi, privi di ali, strisciano per terra e alzandosi in volo non più alto del salto delle ranocchie, si beffano degli uccelli nei loro nidi. Ma più pericoloso è l'errore di certi nostri deboli fratelli di fede, i quali ascoltando cotesti infedeli discorrere con facondia e sottigliezza sulle leggi che regolano i corpi celesti e su qualsiasi problema relativo alle cause fisiche di questo mondo, perdono il controllo di sé e sospirando si reputano inferiori a quei tali credendoli dei grandi personaggi e solo con ripugnanza riprendono in mano i Libri della fede, ch'è la fonte preziosa della salvezza, e mentre dovrebbero assaporarne la dolcezza, li toccano a malincuore, sentendo avversione per l'asprezza delle messi, mentre agognano i fiori dei rovi. Essi, infatti, non si danno cura di vedere quanto è dolce il Signore e non hanno fame nel giorno di sabato e, sebbene dal Signore del Sabato ne abbiano avuto il permesso, sono pigri a coglier le spighe, a rigirarle a lungo tra le mani e, sfregandole, nettarle dalla pula fino ad arrivare al chicco nutriente.
Qual senso scegliere nelle frasi spiegabili in diverso modo od oscure.
21. 41. Qualcuno mi dirà: "Dopo tanto battere il grano con questa tua dissertazione, quali chicchi ne hai ricavati? Che cosa hai trovato? Perché mai in coteste questioni quasi tutto rimane ancora oscuro? Pronùnciati per una delle tante interpretazioni che hai dimostrato possibili". A costui rispondo d'esser giunto proprio al nutrimento gustoso, grazie al quale ho imparato che uno non si trova imbarazzato quando risponde conforme alla fede ciò che si deve rispondere agli individui che si piccano di muovere obiezioni capziose contro i Libri della nostra salvezza. In tal modo le tesi relative alla natura delle cose ch'essi potranno dimostrare con argomenti sicuri noi dobbiamo provare che non sono contrarie alle nostre Scritture, mentre tutto ciò che dai diversi loro libri addurranno contrario alle nostre Scritture, cioè alla fede cattolica, dovremo a nostra volta dimostrare, se ne avremo la capacità o, in caso contrario, credere senza la minima esitazione, che quelle tesi sono del tutto false: così crederemo fermamente al nostro Mediatore, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della nostra scienza, e per conseguenza non ci lasceremo lusingare dalla facondia d'una falsa filosofia né spaventare dalla superstizione d'una falsa religione. Quando però leggiamo i Libri sacri, fra i tanti sensi legittimi che si possono ricavare da una breve frase e si basano sulla sana dottrina della fede cattolica, dobbiamo scegliere di preferenza il senso che risulterà certamente conforme al pensiero dell'autore da noi letto; se invece quel senso ci sfugge, dobbiamo scegliere almeno un senso ch'è permesso dal contesto e che si accorda con la retta fede. Se poi non è possibile esaminare e discutere tale senso basandosi sul contesto della Scrittura, dobbiamo scegliere almeno solo il senso che ci viene prescritto dalla retta fede. Una cosa infatti è non discernere il senso inteso principalmente dallo scrittore sacro, un'altra è allontanarsi dalla regola della retta fede. Se si eviterà l'una e l'altra eventualità, il lettore ne ricaverà un pieno profitto; se invece non potrà evitarsi né l'una né l'altra, anche se l'intenzione dello scrittore rimarrà incerta, non sarà inutile trarne un senso conforme alla retta fede.