mercoledì 19 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro XX° (20/20)

Libro XX°

Longino governatore della Siria,
Fado procuratore della Giudea
Libro XX:1 - I, I. - Dopo la morte di Agrippa, della quale ho parlato nel libro precedente, Claudio Cesare mandò Cassio Longino come successore di Marso; fece questo per deferente memoria del re che durante la vita lo aveva più volte pregato di non acconsentire più a che Marso seguitasse a governare la Siria.
Libro XX:2 Arrivato in Giudea come procuratore, Fado trovò che i Giudei abitanti nella Perea erano in rivolta con il popolo di Filadelfia per i confini di un villaggio chiamato Zia infestato da gente bellicosissima. Perciò quelli della Perea, che avevano preso le armi senza il parere dei loro capi, inflissero molte perdite a quelli di Filadelfia.
Libro XX:3 Fado, informato di questo, ne fu molto dispiaciuto verso quelli della Perea, perché quand'anche si credessero oppressi da quelli di Filadelfia, non avevano rimessa la decisione al suo giudizio, ma avevano subito fatto ricorso alle armi.
Libro XX:4 Perciò prese tre dei loro capi, che erano responsabili della rivolta e diede ordine che fossero imprigionati; poi mise a morte uno di loro, di nome Anniba; e impose l'esilio agli altri due, Annaramo ed Eleazaro.
Libro XX:5 Poco tempo dopo gli fu portato davanti in catene e poi messo a morte l'arcibrigante Tolomeo che aveva procurato molti gravi guai nell'Idumea
e tra gli Arabi. Da allora tutta quanta la Giudea fu liberata dai latrocini, grazie alla provvidenziale cura di Fado.
Libro XX:6 In quel periodo egli mandò a chiamare i sommi sacerdoti e i capi del popolo di Gerusalemme e li esortò a depositare nell'Antonia, che è una fortezza, la veste talare e l'abito sacro, che solo il sommo sacerdote suole indossare; quivi erano affidati all'autorità dei Romani, come di fatto era stato nei tempi passati.
Libro XX:7 Essi non tentarono di opporsi: tuttavia pregarono Fado e Longino - quest'ultimo venuto pure a Gerusalemme con una forza notevole per timore che gli ordini di Fado avrebbero spinto il popolo giudaico a una rivolta - che, prima, concedesse loro di inviare una delegazione a Cesare per chiedergli il permesso di custodire l'abito sacro nelle loro mani, e, secondo, di attendere fino a che conoscessero la risposta di Claudio alla loro richiesta.
Libro XX:8 Fado e Longino risposero che di buon grado avrebbero concesso l'ambasciata se avessero lasciato a loro i figli come ostaggi. Tosto, accettata la condizione e dati gli ostaggi, gli ambasciatori partirono.
Libro XX:9 All'arrivo dell'ambasciata a Roma, il giovane Agrippa, figlio del re deceduto, che, come ho detto prima in realtà era alla corte di Claudio Cesare, prese nota dello scopo del loro arrivo e pregò Cesare di concedere ai Giudei la richiesta a proposito dell'abito sacro e di mandare una lettera a Fado a questo riguardo.
Libro XX:10 - 2. Claudio, convocati gli ambasciatori, li informò che accordava la petizione, aggiungendo che dovevano esserne grati ad Agrippa, poiché egli lo faceva su istanza di Agrippa. A conferma del suo assenso, diede loro questa lettera:
Libro XX:11 “Claudio Cesare Germano, nel quinto anno del potere tribunizio, eletto console per la quarta volta, imperatore per la decima, padre della sua patria, ai capi, al consiglio al popolo di Gerusalemme e a tutta la nazione dei Giudei, salute.
Libro XX:12 Il mio amico Agrippa, che ho allevato e ora ho con me, uomo di grandissima pietà, mi ha portato davanti i vostri ambasciatori; questi mi ringraziarono per il sollecito trattamento dimostrato da me verso la vostra nazione, e, avendomi pregato con grande e fervida istanza che l'abito sacro e la corona potessero essere lasciati nelle vostre mani, io ve lo concedo, in accordo
con quello che già era stato fatto da Vitellio, uomo eccellente per il quale ho la più grande stima.
Libro XX:13 Ho dato questo mio assenso, prima perché io stesso ho cara la pietà e desidero vedere che ognuno segua le pratiche religiose che gli sono tradizionali; in secondo luogo, perché so che comportandomi così, farò grande piacere allo stesso re Erode e al giovane Aristobulo, uomini eccellenti dei quali conosco bene la devozione verso la mia persona e la premura che hanno verso di voi; inoltre, a lui mi legano anche vincoli di amicizia.
Libro XX:14 Ho scritto in proposito al mio procuratore Cuspio Fado. I latori di questa lettera sono Cornelio figlio di Cerone, Trifone, figlio di Teudione, Doroteo, figlio di Natanaele, e Giovanni, figlio di Giovanni. Ho scritto il quarto giorno prima delle Calende di Luglio, sotto i consoli Rufo e Pompeo Silvano”.
Erode, amministratore della Calcide
Libro XX:15 - 3. Erode, fratello del defunto Agrippa al quale, in questo tempo, era stata affidata l'amministrazione della Calcide, domandò a Claudio Cesare di dargli autorità sul tempio, sul vasellame sacro, e sulla elezione dei sommi sacerdoti: e tutte queste petizioni gli furono accordate.
Libro XX:16 Questa autorità derivò da lui in quel tempo e passò ai suoi discendenti soltanto fino al termine della guerra. Erode, dunque, allontanò dal suo ufficio il sommo sacerdote soprannominato Cantera, e affidò la successione in questo ufficio a Giuseppe, figlio di Camei.
Monobazo, Elena, Izate
Libro XX:17 - II, I. - In questo stesso periodo, Elena, regina di Adiabene, e suo figlio Izate si convertirono al Giudaismo nelle circostanze seguenti:
Libro XX:18 Monobazo, soprannominato Bazeo, re di Adiabene, colpito da passione verso la propria sorella Elena, la prese come compagna in matrimonio e la rese incinta. Ora, un giorno, mentre egli dormiva al suo fianco, posò la mano sul ventre di lei che dormiva e gli parve di udire una voce che gli ordinava di togliere la mano dal ventre di lei per non arrecare danno al bambino che era dentro; il quale, per provvidenza di Dio, aveva avuto un inizio felice e avrebbe ottenuto una buona fine.
Libro XX:19 Scosso dalla voce, si destò subito, narrò alla moglie queste cose; in seguito nacque il figlio e lo chiamò Izate.
Libro XX:20 Da Elena aveva già avuto un altro figlio di nome Monobazo e altri figli da altre mogli, ma era chiaro che il favore si accentrava su Izate, come se fosse il suo unico figlio.
Libro XX:21 A motivo di questo, i fratellastri di Izate, che avevano in comune il padre, crebbero invidiosi del piccolo, inquieti che il padre preferisse Izate a tutti loro.
Libro XX:22 Il padre si accorgeva di tutto questo, ma li perdonava, attribuendo il sentimento di ognuno non a una motivazione cattiva, ma piuttosto al desiderio di ognuno di conquistarsi i favori del padre; tuttavia era grandemente allarmato per il giovane Izate, temendo che l'odio dei suoi fratelli gli facesse del male: gli diede, dunque, una quantità di doni e lo mandò ad Abennerigo, re di Charax Spasini, al quale affidò la salvezza del fanciullo.
Libro XX:23 Abennerigo accolse cortesemente il ragazzo e prese a volergli tanto bene che gli diede in moglie la figlia di nome Samaco e gli affidò una regione dalla quale potesse trarre buone rendite.
Libro XX:24 - 2. Monobazo, giunto alla vecchiaia e vedendo che non gli rimaneva più molto da vivere, volle vedere suo figlio prima di morire. Lo mandò, dunque a chiamare, gli diede il più affettuoso benvenuto e gli donò una regione detta Carron;
Libro XX:25 una regione eccellente il cui suolo produce una grande abbondanza di amomo, conserva pure dei resti dell'arca nella quale Noè si salvò dal diluvio, resti che oggi si mostrano a chiunque brama vederli.
Libro XX:26 Izate passò i suoi primi giorni in questa regione fino alla morte di suo padre. E nel giorno in cui Monobazo lasciò questa vita, la regina Elena convocò tutti i nobili e i satrapi del regno e quanti avevano cariche militari di comando. Al loro arrivo, disse loro:
Libro XX:27 “Credo che sia a vostra conoscenza quanto mio marito avesse a cuore che nel regno gli succedesse Izate, da lui giudicato degno di tale onore; io però aspetto, la vostra decisione. Poiché felice è colui che riceve il regno non dalle mani di una sola persona, ma di molte che danno volentieri il loro assenso”.
Libro XX:28 Parlò così per assaggiare le disposizioni di coloro che aveva radunato. Udite tali parole, prima di tutto prestarono obbedienza alla regina conforme al loro costume; poi risposero che accordavano il loro sostegno alla decisione del re, e volentieri avrebbero obbedito a Izate, che, conforme alle preghiere di tutti, suo padre aveva preferito ai suoi fratelli.
Libro XX:29 Aggiunsero poi che si auguravano che i fratelli e i parenti fossero messi a morte, affinché Izate potesse sedere sul trono con piena sicurezza; poiché una volta distrutti, si sarebbe allontanata ogni paura che nasce dall'odio e dall'invidia che portano in cuore contro Izate.
Libro XX:30 Elena rispose esprimendo la sua gratitudine per la loro benevolenza verso di lei e verso Izate; ma li pregò di sospendere la decisione di mettere a morte i fratelli fino a quando arrivasse Izate e desse la sua approvazione.
Libro XX:31 Non riuscendo a persuaderla a mettere a morte i fratelli, come essi avevano deciso, le suggerirono che, per la loro propria salvezza, almeno li ponesse in custodia fino al suo arrivo; nel mentre le suggerirono anche di designare, come fiduciario del regno, una persona che godesse pienamente della sua fiducia.
Libro XX:32 Elena gradì questo consiglio e innalzò come re Monobazo, il figlio primogenito; gli mise il diadema sul capo, gli consegnò il sigillo del padre, e ciò che essi chiamano sampsera esortandolo ad amministrare il regno fino all'arrivo di suo fratello.
Libro XX:33 Udita la morte del padre, quest'ultimo venne sollecitamente e succedette a suo fratello Monobazo che gli aveva mantenuto il principato.
Izate ed Elena convertiti
al Giudaismo
Libro XX:34 - 3. Ora, durante il periodo nel quale Izate risiedeva a Charax Spasini, un mercante giudeo di nome Anania, visitò le mogli del re e insegnò loro a venerare Dio alla maniera tradizionale dei Giudei;
Libro XX:35 ed anzi, è per mezzo di esse che fu portato alla conoscenza di Izate e, con la cooperazione delle donne, ammaestrò anche lui. E allorché suo padre lo chiamò nell'Adiabene, Anania lo accompagnò obbedendo alle molte insistenza di
lui. E così avvenne che Elena, ammaestrata anch'essa da un altro giudeo, fu portata (ad aderire) alle loro leggi.
Libro XX:36 Quando Izate giunse ad Adiabene per prendersi il regno e vide i suoi fratelli e altri congiunti in catene, rimase dispiaciuto per ciò che era avvenuto.
Libro XX:37 Giudicando cosa empia sia ucciderli sia tenerli in catene, d'altra parte giudicando rischioso trattenere con lui, ma non in prigione, tenendo sempre presente il risentimento per gli affronti ricevuti, ne mandò alcuni a Roma da Claudio Cesare, con i loro figli come ostaggi e con la stessa scusa (altri) li mandò da Artabano re dei Parti.
Libro XX:38 - 4. Quando Izate ebbe conoscenza che sua madre provava molto piacere nella religione giudaica, anch'egli si affrettò ad apprenderla meglio; siccome riteneva che non sarebbe stato schiettamente giudeo a meno che fosse circonciso, era pronto ad agire di conseguenza.
Libro XX:39 Ma appena la madre lo seppe tentò di distoglierlo affermando che questa era una mossa rischiosa. Poiché, diceva, lui era un re; e se i sudditi fossero venuti a sapere che era devoto a riti strani e a loro stessi forestieri, ne sarebbe derivata molta disaffezione e non avrebbero tollerato di essere governati da un Giudeo.
Libro XX:40 Oltre a questo avvertimento, lei escogitò ogni altro mezzo per trattenerlo. Lui riferì tali argomenti ad Anania; e in questo era d'accordo col padre della madre, non solo, ma affermò pure che qualora non fosse capace a distogliere Izate, lo avrebbe abbandonato e avrebbe lasciato il paese.
Libro XX:41 Diceva, infatti, di temere che qualora la cosa si divulgasse dappertutto, con molta verosimiglianza sarebbe stato punito come personalmente responsabile di avere insegnato al re pratiche sconvenienti. Il re, aggiunse, poteva venerare Dio senza essere circonciso, se veramente intendeva aderire al Giudaismo, poiché era questo che contava molto, più della circoncisione.
Libro XX:42 Gli disse ancora, che Dio stesso l'avrebbe perdonato se, costretto dalla necessità e dal timore dei sudditi, avesse mancato di adempiere questo rito. E così, per il momento, il re si lasciò convincere dai suoi argomenti.
Libro XX:43 Siccome non aveva abbandonato interamente il suo desiderio, quando giunse un altro Giudeo dalla Galilea di nome Eleazaro, che aveva fama di essere estremamente severo sulle patrie leggi, questi lo spinse ad adempiere il rito.
Libro XX:44 Venuto a salutarlo, lo trovò che leggeva la legge di Mosè e gli disse: “Nella tua ignoranza, o re, sei colpevole della più grande offesa contro la legge, e quindi contro Dio. Perché non solo devi semplicemente leggere la legge, ma devi ancora fare quanto in essa è comandato.
Libro XX:45 Fino a quando seguiti a essere incirconciso? Se tu non hai ancora letto la legge su questo argomento, leggila ora, di modo che tu possa conoscere l'empietà che commetti”.
Libro XX:46 Udite queste parole, il re non indugiò più. Si ritirò in un'altra stanza e chiamato il suo medico eseguì il rito prescritto. Poi mandò da sua madre e dal maestro Anania e li informò che aveva eseguito il rito.
Libro XX:47 Immediatamente restarono stupiti e colpiti da timore stragrande: qualora venisse provato che aveva compiuto quell'atto, il re rischiava di perdere il trono, in quanto i suoi sudditi non si sarebbero sottomessi a un governo retto da un uomo devoto a pratiche straniere e loro stessi sarebbero stati posti in pericolo, perché è ad essi che sarebbe data la colpa.
Libro XX:48 Dio però impedì che le loro paure si realizzassero. Sebbene Izate e i suoi figli fossero spesso minacciati da pericoli, Dio li custodì, aprendo loro un sentiero per salvarli da situazioni disperate. Così Dio dimostrò che coloro che hanno gli occhi fissi su di Lui e confidano unicamente in Lui, non perdono la ricompensa. Ma riferirò questi eventi in un altro momento.
Elena visita Gerusalemme
Libro XX:49 - 5. Intanto Elena, madre del re, vedendo il regno tranquillo, il figlio felice e ammirato da tutti gli uomini, anche dagli stranieri, grazie alla prudenza elargitagli da Dio, ebbe il desiderio di recarsi nella città di Gerusalemme, venerare quivi nel tempio di Dio, famoso per tutto il mondo e offrire sacrifici di ringraziamento. Pregò quindi il figlio che le concedesse di partire.
Libro XX:50 Izate ne fu entusiasta, acconsentì alla domanda della madre, fece i preparativi per il viaggio, la fornì di grande quantità di denaro e la scortò per un lungo tratto, e lei proseguì il suo viaggio per la città di Gerusalemme.
Libro XX:51 La sua venuta fu di grande utilità per il popolo di Gerusalemme, perché in quel tempo la città era rattristata dalla carestia e molta gente moriva perché sprovvista del denaro per acquistare ciò di cui abbisognava. La regina Elena inviò i suoi attendenti ad Alessandria per acquistare ingenti quantità di grano ed altri a Cipro per carichi di fichi secchi.
Libro XX:52 Gli attendenti ritornarono presto con le provviste che poi lei distribuì secondo il bisogno. Per la sua beneficenza lasciò un nome famoso che resterà per sempre glorioso tra tutto il nostro popolo.
Libro XX:53 Quando Izate, suo figlio, seppe della carestia, anch'egli mandò ai capi di Gerusalemme una grande somma di denaro. La distribuzione di queste somme ai bisognosi, liberò molti dai disagi della carestia. Lascio a un altro momento il racconto dei benefici compiuti da questa coppia reale per la nostra città.
Artabano cerca aiuto da Izate
Libro XX:54 - III, I. - Artabano, re dei Parti, avendo scoperto che i satrapi avevano teso una congiura contro di lui e vedendo che non si sentiva sicuro restando con essi, decise di rifugiarsi da Izate. Il suo scopo era di trovare in lui una persona che lo salvasse e, se possibile, lo rimettesse sul trono.
Libro XX:55 Egli lo raggiunse col seguito di un migliaio di congiunti e di assistenti; e incontrò Izate per la via.
Libro XX:56 Artabano lo conosceva bene, ma non fu riconosciuto da Izate, il quale si fermò affianco a lui e per prima cosa lo rivedo conforme all'uso del paese. Poi parlò: “O re, non essere indifferente verso di me, tuo supplice, né giudicare vile la mia domanda. Io, infatti, sono stato umiliato da un colpo di sfortuna che ha scambiato la mia regalità in una vita di comune cittadino, e sono bisognoso del tuo aiuto.
Libro XX:57 Guarda l'instabilità della fortuna e considera che la lungimiranza per me, è pure lungimiranza per te; se, infatti, io sono una persona trascurata dagli altri e lasciata invendicata, molti saranno più baldanzosi contro altri re”.
Libro XX:58 Così parlò con le lacrime agli occhi e a capo chino. Quando Izate udì il suo nome e vide Artabano affianco a lui lamentare, supplice, la propria sorte, scese subito da cavallo e disse:
Libro XX:59 “Fatti coraggio, o re, non atterrirti per la condizione presente come se non avessi più rimedio. Presto ci sarà un cambiamento improvviso che porrà fine alla tua tristezza. Tu troverai in me un amico e alleato più grande di quanto ti aspetti. Poiché o io ti rimetterò sul trono dei Parti o abbandonerò il mio”.
Libro XX:60 - 2. Così dicendo aiutò Artabano a montare in sella ed egli poi lo seguì a piedi, accordandogli questo onore poiché il re più grande era lui. Però quando Artabano vide questo, ne fu angustiato e giurò per la sua presente sfortuna e per l'onore che gli era fatto, che sarebbe smontato se Izate non fosse salito e l'avesse preceduto.
Libro XX:61 Salì, dunque, sul proprio cavallo e lo condusse nel suo regno, gli accordò ogni onore e gli diede il primo posto nelle adunanze e nei banchetti; Izate, infatti, non considerava la sua sfortuna presente, ma la dignità di una volta. Perciò tenne in considerazione il fatto che il cambiamento della fortuna è la sorte di tutti gli uomini.
Libro XX:62 Scrisse in seguito ai Parti sollecitandoli ad accogliere bene il ritorno di Artabano, offrendo la sua mano destra con giuramenti e interponendo la mediazione come garanzia che Artabano non avrebbe fatto nulla contro di essi per quanto essi avevano compiuto contro di lui.
Libro XX:63 I Parti risposero che non erano contrari a riceverlo, ma non era più possibile agire così in quanto avevano già affidato il governo a un altro - il nome di colui che gli era succeduto è Cinnamo - e temevano che facendo così avrebbero scatenato una guerra civile.
Libro XX:64 Udita la loro intenzione lo stesso Cinnamo scrisse ad Artabano - egli, infatti, era stato portato su da lui, ed era un uomo dabbene e onorato - invitandolo a fidarsi di lui e a tornare a riprendere il suo regno.
Libro XX:65 Artabano si fidò di lui e tornò. Cinnamo lo accolse, gli prestò obbedienza, si rivolse a lui come re, tolse il diadema dal proprio capo e lo pose su quello di Artabano.
Libro XX:66 - 3. Così Artabano, mediante l'opera di Izate, riebbe il trono dal quale era stato precedentemente allontanato con un'azione di nobili eminenti. Ma non dimenticò i benefici ricevuti da Izate e lo ricambiò con le più alte onorificenze da essi conosciute.
Libro XX:67 Gli concesse il privilegio di portare la tiara dritta e di dormire su di un letto d'oro, privilegi e simboli esclusivi dei re dei Parti.
Libro XX:68 Gli diede altresì un vasto e fertile territorio che aveva smembrato dal regno d'Armenia; questo distretto è chiamato Nisibi e in esso i Macedoni, nei tempi antichi, fondarono la città di Antiochia che soprannominarono Epimigdonia. Tali furono gli onori ricevuti da Izate dal re dei Parti.
Izate, Vardane e i Romani
Libro XX:69 - 4. Poco tempo dopo Artabano morì e lasciò il regno a suo figlio Vardane. Questi andò da Izate in merito alla guerra contro i Romani e si studiò di persuaderlo a prendere parte a una campagna e a preparare una forza ausiliare.
Libro XX:70 Ma non riuscì a convincerlo. Perché, ben conoscendo la potenza e la fortuna dei Romani, Izate pensava che Vardane tentasse l'impossibile;
Libro XX:71 inoltre era ancora più riluttante perché aveva cinque figli ancora in tenera età (inviati) a Gerusalemme affinché imparassero bene la nostra lingua e cultura, inoltre sua madre era andata poi a venerare (Dio) nel tempio, come dissi precedentemente. Dissuadeva perciò Vardane descrivendogli di continuo le risorse e le conquiste dei Romani nell'intento che tali racconti lo avrebbero messo sufficientemente in guardia facendogli deporre ogni volontà di guerra.
Libro XX:72 Ma il Parto, inasprito, dichiarò guerra a Izate. Da questa campagna, tuttavia, non trasse alcun vantaggio; Dio infranse, fin dall'inizio, le sue attese.
Libro XX:73 E, infatti, conosciuta l'intenzione di Vardane e la sua decisione di fare guerra ai Romani, i Parti lo uccisero e diedero il governo a suo fratello Cotarde.
Libro XX:74 Poco dopo, però, fu ucciso anche lui da una cospirazione; gli succedette il fratello Vologese, il quale affidò ai suoi due fratelli, nati dallo stesso
padre, le posizioni di potere; la Media a Pacoro, il più anziano; l'Armenia al più giovane, Tiridate.
Conversione al Giudaismo,
guerra degli Arabi e dei Parti
Libro XX:75 - IV, I. - Il fratello di Izate, Monobazo, e i suoi parenti, costatando che il re in merito della sua pietà verso Dio aveva conquistato l'ammirazione di tutti gli uomini, si sentirono sospinti ad abbandonare la religione nazionale e adottare le pratiche dei Giudei.
Libro XX:76 Tuttavia il fatto venne scoperto e manifestato ai loro sudditi. I nobili ne furono sdegnati, ma non manifestarono il loro sdegno, ma lo serbarono nel cuore e ansiosamente cercarono l'occasione opportuna per fare loro scontare la vendetta dell'azione compiuta.
Libro XX:77 Di conseguenza scrissero ad Abia, re degli Arabi, promettendogli tanto denaro qualora accettasse di muovere guerra al loro re; promisero di abbandonarlo al primo incontro, poiché intendevano punirlo, visto che era giunto persino a odiare i loro costumi. Compiuti mutui giuramenti di lealtà, esortarono Abia a fare presto.
Libro XX:78 Il re arabo acconsentì e, con un grande esercito, andò contro Izate. Quando stava per avvenire lo scontro, prima che iniziasse la battaglia, a un segno prestabilito, i nobili abbandonarono Izate con la pretesa che erano presi dal panico, volsero le spalle al nemico e si diedero alla fuga.
Libro XX:79 Ma Izate non si smarrì: avvenutosi di essere stato tradito da parte dei nobili, si ritirò personalmente nell'accampamento, indagò sulla causa della fuga e, saputo che si erano uniti alle forze arabe, condannò a morte i colpevoli.
Libro XX:80 Il giorno appresso attaccò la battaglia, abbattè un gran numero di nemici, costrinse il resto alla fuga, indusse lo stesso re a fuggire e nascondersi in una fortezza chiamata Arsamo, presa poi dopo un accanito combattimento; asportò tutto il numeroso bottino ivi contenuto e se ne tornò ad Adiabene. Non catturò Abia vivo, perché, vistosi accerchiato da ogni parte, si uccise, prima di trovarsi intrappolato e in mano di Izate.
Izate e il re dei Parti
Libro XX:81 - 2. Fallito il primo tentativo dei nobili di Adiabene, allorché Dio li consegnò in mano del re, non per questo se ne stettero tranquilli; ma scrissero un'altra lettera e questa volta a Vologese, re dei Parti, incitandolo a uccidere Izate e mettere su di loro un altro padrone di sangue parto; perché, dicevano, di avere preso in odio il loro re che aveva tradito i costumi della nazione ed era rimasto affascinato da pratiche straniere.
Libro XX:82 Udito questo, il re dei Parti fu spinto a cercare di fare la guerra, ma, non avendo un valido pretesto, mandò un messo a chiedere a Izate la restituzione di quei segni onorifici che gli erano stati concessi da suo padre; in caso contrario, gli avrebbe dichiarato guerra.
Libro XX:83 Alla notizia portatagli dal messaggero, Izate restò molto turbato, pensando che la restituzione avrebbe leso gravemente il suo onore in quanto sarebbe apparso come se il suo agire fosse dettato dalla paura.
Libro XX:84 Sentendo però che il Parto anche dopo la restituzione non avrebbe mutato i suoi sentimenti, in questo singolare pericolo, decise di affidarsi alla protezione di Dio.
Libro XX:85 Giunse, infatti, alla conclusione di avere in Dio il più grande degli alleati. Rinchiuse i figli e le mogli nelle fortezze più sicure, ripose nelle torri tutto il frumento e diede fuoco a tutta l'erba dei pascoli. Compiuti questi preliminari, stette in attesa del nemico.
Libro XX:86 Il Parto giunse con un'ampia forza di fanteria e cavalleria, prima di quanto si aspettasse, perché aveva fatto ricorso a marce forzate e aveva eretto un campo lungo il fiume che divide la Media dall'Adiabene. Izate aveva con sé seimila cavalieri ed eresse il proprio campo non lungi da quello.
Libro XX:87 Un messaggero inviato dal Parto andò da Izate a esporgli la vastità dell'impero parto e a fargli presente che si estendeva dal fiume Eufrate fino alla Bactria; aggiunse ancora l'elenco dei re ad esso soggetti.
Libro XX:88 E minacciò Izate che avrebbe pagato molto cara l'ingratitudine dimostrata verso i suoi padroni e anche il Dio da lui venerato sarebbe stato incapace di liberarlo dalle mani del re.
Libro XX:89 Dopo che il messaggero disse queste parole, Izate replicò che era ben cosciente che l'impero parto era ben più forte del proprio. Dopo tale risposta, si diede interamente a supplicare il favore divino. Si prostrò a terra e si
sparse il capo di cenere; poi digiunò insieme con sua moglie e i figli, volgendosi a Dio con queste parole.
Libro XX:90 “Se non è invano, O Signore Padrone, che ho avuto un assaggio della Tua bontà, e ho creduto che Tu sei il primo e l'unico e legittimo Signore, vieni in mio aiuto a difendermi dai miei nemici, non per amor mio, ma anche per la Tua potenza contro la quale ardirono innalzarsi.
Libro XX:91 Così supplicava con lacrime e lamenti; e Dio l'esaudì. In quella stessa notte Vologese ricevette lettere nelle quali si diceva che, presumendo la sua assenza da casa, Dahe e Sace avevano invaso la regione dei Parti con un grande esercito e la stavano saccheggiando. Di conseguenza egli, con un'amara delusione, si ritirò. Così Izate sfuggì alle minacce dei Parti con l'aiuto della provvidenza di Dio.
Morte di Elena e di Izate,
sepolti a Gerusalemme
Libro XX:92 - 3. Non molto tempo dopo Izate morì, avendo l'età di cinquantacinque anni e ventiquattro di regno; lasciò ventiquattro figli e ventiquattro figlie.
Libro XX:93 Erano suoi ordini che Monobazo, suo fratello, gli doveva succedere sul trono. Così Monobazo fu ricompensato per avere mantenuto con fedeltà il trono per suo fratello, durante l'assenza da casa di quest'ultimo, dopo la morte di suo padre.
Libro XX:94 Sua madre, Elena, dolorosamente afflitta alla notizia della morte del figlio, come era da aspettarsi dalla madre di un figlio così profondamente religioso. Consolata, tuttavia, allorché udì che la successione era passata al suo figlio primogenito, si affrettò a raggiungerlo. Arrivò ad Adiabene, ma non sopravvisse granché a suo figlio Izate, perché, oppressa dall'età e dal dolore della sua tristezza, esalò presto il suo ultimo respiro.
Libro XX:95 Monobazo mandò le sue ossa e quelle di suo fratello a Gerusalemme con istruzioni che dovevano essere sepolte nelle tre piramidi erette dalla madre a distanza di tre stadi dalla città di Gerusalemme.
Libro XX:96 Quanto fece il re Monobazo nell'epoca della sua vita, lo narrerò dopo.
Eventi accaduti nella Giudea
Libro XX:97 - V, I. - Durante il periodo in cui Fado era procuratore della Giudea, un certo sobillatore di nome Teuda persuase la maggior parte della folla a prendere le proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere un profeta al cui comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito.
Libro XX:98 Con questa affermazione ingannò molti. Fado però non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e inviò contro di essi uno squadrone di cavalleria che piombò inaspettatamente contro di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri; lo stesso Teuda fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a Gerusalemme.
Libro XX:99 Questi furono gli eventi che accaddero ai Giudei nel periodo in cui era procuratore Cuspio Fado.
Libro XX:100 - 2. Il successore di Fado fu Tiberio Alessandro, figlio di quell'Alessandro che era stato alabarca in Alessandria e che sorpassava tutti i suoi cittadini sia per nobiltà sia per ricchezza; e superò anche suo figlio Alessandro nella sua devozione religiosa verso Dio perché non desistette mai dalle pratiche del suo popolo.
Libro XX:101 Fu sotto l'amministrazione (di Tiberio Alessandro) che in Giudea avvenne una grave carestia, durante la quale la regina Elena comprò grano dall'Egitto con una grande quantità di denaro e lo distribuì ai bisognosi, come ho detto sopra.
Libro XX:102 Oltre a ciò, Giacomo e Simone, figli di Giuda Galileo, furono posti sotto processo e per ordine di Alessandro, vennero crocifissi; questi era il Giuda che - come ho spiegato sopra aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirino faceva il censimento in Giudea.
Libro XX:103 Erode, re della Calcide, rimosse Giuseppe, figlio di Camei, dalla carica di sommo sacerdote e assegnò come successore all'ufficio Anania, figlio di Nebedeo. Come successore di Tiberio Alessandro, venne Cumano.
Libro XX:104 Erode, fratello del grande re Agrippa, morì nell'ottavo anno del regno di Claudio Cesare, lasciando tre figli: Aristobulo, natogli dalla prima
moglie, e Bereniciano, e Ircano, natigli da Berenice, sorella di suo fratello. Claudio Cesare assegnò al giovane Agrippa il regno di Erode.
Scontro fra Giudei e Romani nei
giorni di Pasqua
Libro XX:105 - 3. Mentre Cumano amministrava gli affari della Giudea nella città di Gerusalemme avvenne una sedizione il cui esito fu che persero la vita molti Giudei; ma prima narrerò la causa che condusse a questa sedizione.
Libro XX:106 Allorché era iniziata la festa chiamata Pasqua nella quale, secondo il nostro costume si mangia pane azzimo, si raccoglie molta gente da tutti i quartieri; Cumano, temendo che tutta quella gente potesse essere occasione di una sedizione, ordinò a una compagnia di soldati di prendere le armi e porsi di guardia ai portici del tempio per sedare qualsiasi tumulto potesse sorgere.
Libro XX:107 Questa era una pratica usuale degli altri procuratori, durante le festività della Giudea.
Libro XX:108 Nel quarto giorno della festa, un soldato scoprì i suoi genitali e li mostrò alla folla - azione che suscitò lo sdegno e il furore di tutti gli spettatori che raccolsero l'insulto non come rivolto a loro, bensì come una bestemmia contro Dio; alcuni, anzi, più audaci, accusavano Cumano, affermando che il soldato era stato istigato da lui.
Libro XX:109 Cumano, udite queste voci, fu non poco sdegnato per queste ingiuriose osservazioni, ma li ammonì semplicemente di porre fine a questa loro brama di rivolta e di non scatenare disordini durante la festività.
Libro XX:110 Ciononostante non riusciva a persuaderli e attaccavano lui con villanie sempre più gravi; allora diede ordine che tutto l'esercito prendesse le armi e andasse nell'Antonia: come ho detto altre volte, questa è una fortezza sovrastante il tempio.
Libro XX:111 Vedendo l'arrivo dei soldati, la folla si intimorì e iniziò a fuggire; ma le uscite erano strette, ed essi, supponendo di avere il nemico alle spalle, si spingevano e molti, in quella fuga, restavano schiacciati e morivano.
Libro XX:112 Il numero di coloro che in quell'occasione perirono è di ventimila. E così i restanti giorni della festività si volsero in lutto: tutti quanti, dimentichi delle preghiere e dei sacrifici, non facevano che piangere e lamentarsi. Tanti furono i danni prodotti dalla sfacciataggine di un singolo soldato.
Libro XX:113 - 4. Ancora non si era spento il loro pianto, che li colse un'altra disavventura. Alcuni sediziosi rivoluzionari incontrarono Stefano, schiavo di Cesare, lungo una via pubblica, lontana dalla città circa cento stadi e lo spogliarono di tutto quanto aveva.
Libro XX:114 Quando Cumano ne venne a conoscenza, mandò subito dei soldati con l'ordine di saccheggiare i villaggi vicini e portargli, in catene, gli uomini più autorevoli di quei villaggi, di modo che potesse esigere una giusta vendetta per l'affronto fatto.
Libro XX:115 Mentre andavano a saccheggiare dei villaggi, un soldato trovò una copia della legge di Mosè, custodita in uno dei villaggi, la strappò in due al cospetto di tutti, con l'aggiunta di bestemmie e violente maledizioni.
Libro XX:116 I Giudei, venutone a conoscenza, si unirono in gran numero, e discesero a Cesarea, dove allora si trovava Cumano e lo supplicarono di vendicare (il fatto) non per sé ma per Dio, le cui leggi erano state oltraggiate; dicevano, infatti, che per essi non era tollerabile la vita, quando le leggi della loro patria erano così impunemente insultate.
Libro XX:117 Cumano, allarmato al pensiero di una nuova rivolta popolare, dopo essersi consigliato con i suoi amici, decapitò il soldato che aveva oltraggiato le leggi; così prevenne una sollevazione, che stava per accendersi una seconda volta.
Querele tra Samaritani e Giudei
Libro XX:118 - VI, I. - Sorsero insurrezioni anche tra i Samaritani e i Giudei per il motivo seguente. Nel periodo di una festa, i Galilei nel viaggio per la Città santa, avevano la costumanza di passare per il territorio samaritano. In un'occasione, mentre attraversavano un borgo chiamato Ginae, che si trova sul confine tra Samaria e la Grande Pianura, avvenne uno scontro con i Galilei e ne uccisero un gran numero.
Libro XX:119 Gli uomini principali della Galilea, venuti a conoscenza del fatto, si recarono da Cumano a supplicarlo che facesse ricerca degli assassini di coloro che erano stati uccisi; ma egli, corrotto con doni dai Samaritani, non si curò di vendicarli.
Libro XX:120 Indignati da questo, i Galilei istigarono le masse giudaiche a prendere le armi per vendicare la propria libertà; la schiavitù, dicevano, è per sé acerba, ma quando è unita all'insolenza, è proprio intollerabile.
Libro XX:121 Le autorità cercavano di quietarli, attenuando il disordine e promettendo di indurre Cumano a punire gli autori della strage. Ma le masse non dettero loro ascolto; anzi, presero le armi e invocarono l'assistenza di Eleazaro, figlio di Dineo - costui era un brigante che per molti anni era stato tra le montagne - e diedero fuoco e saccheggiarono alcuni villaggi dei Samaritani.
Libro XX:122 Quando ne fu informato, Cumano prese uno squadrone di Sebasteniani e quattro unità di fanteria, armò i Samaritani e marciò contro i Giudei e, in uno scontro, ne uccisero molti, ma la maggior parte la catturò.
Libro XX:123 I Gerosolimitani più ragguardevoli, per onore e per sangue, appena constatarono in quale abisso di calamità si erano messi, cambiarono il loro vestito col sacco, coprirono il capo di cenere e presero a scongiurare a lungo i sediziosi. Li scongiuravano ponendo dinnanzi ai loro occhi come la regione sarebbe stata rasa al suolo, il tempio dato alle fiamme e loro stessi, con mogli e figli, ridotti in schiavitù. Li scongiuravano di riflettere, gettare le armi, ritornare alle loro case e indirizzare il loro futuro a una vita tranquilla. E così dicendo ebbero la meglio.
Libro XX:124 La folla si disperse e i briganti fecero ritorno alle loro roccaforti. Da quel tempo l'intera Giudea fu infestata da bande di briganti.
Libro XX:125 - 2. I capi dei Samaritani si recarono a incontrare Numidio Quadrato, governatore della Siria, che a quell'epoca si trovava a Tiro, e accusarono i Giudei di avere incendiato e saccheggiato i loro villaggi;
Libro XX:126 confessavano che la loro indignazione non era tanto dovuta al trattamento ricevuto, quanto al disprezzo contro i Romani dimostrato dai Giudei. Poiché, dicevano, i Giudei dovevano ricorrere al tribunale dei Romani se avevano ricevuto qualche ingiustizia dai Samaritani e non, come avevano fatto ora, fare scorrerie sul territorio Samaritano, come se non avessero i Romani come loro governatori. Andavano dunque a lui per ottenere giustizia.
Libro XX:127 Queste erano le accuse dei Samaritani. I Giudei asserivano che la responsabilità dei tumulti e dei combattimenti era dei Samaritani, ma più di loro era di Cumano, da loro corrotto con doni affinché passasse sotto silenzio l'uccisione delle vittime giudaiche.
Libro XX:128 Udite le parti, Quadrato differì ogni decisione, asserendo che avrebbe annunziato la sua decisione quando, giunto in Giudea, avesse indagato il caso in modo più accurato. E così i Samaritani se ne partirono senza avere ottenuto il loro scopo.
Libro XX:129 Non molto tempo dopo, Quadrato giunse in Samaria, e qui, dopo avere ascoltato (tutto) interamente, giunse alla conclusione che la responsabilità dei disordini era dei Samaritani. Allora crocifisse i Samaritani e i Giudei che, come aveva saputo, avevano preso parte alla ribellione, e Cumano aveva fatto prigionieri.
Libro XX:130 Di lì andò a Lidda, un villaggio di ampiezza non minore di una città e quivi si sedette in tribunale e ascoltò nuovamente il caso dei Samaritani. Qui fu informato che un capo dei Giudei di nome Doeto con quattro rivoluzionari avevano istigato la folla a ribellarsi ai Romani.
Libro XX:131 Quadrato condannò a morte anche costoro. Mise in catene il sommo sacerdote Anania, il capitano Anano e i loro seguaci e li mandò a Roma per rendere conto delle loro azioni a Claudio Cesare.
Libro XX:132 Ordinò poi che i capi dei Samaritani e dei Giudei, il procuratore Cumano e Celere, che era tribuno militare, partissero per l'Italia per comparire dinanzi alla corte imperiale in merito alla lite sorta tra loro.
Libro XX:133 Egli (Quadrato) temendo una nuova ribellione del popolo giudaico, si recò in visita alla città di Gerusalemme, che trovò calma mentre celebrava una delle feste religiose tradizionali. Soddisfatto e tranquillo che da parte loro non ci fosse alcuna rivolta. Li lasciò che celebravano la festa e se ne ritornò ad Antiochia.
Libro XX:134 - 3. A Cumano, ai capi Samaritani e i loro compagni che erano stati inviati a Roma dall'imperatore, fu assegnato un giorno nel quale sarebbe stata discussa la loro controversia.
Libro XX:135 I liberti di Cesare e i suoi amici manifestavano una grande parzialità per Cumano e i Samaritani, e avrebbero avuto la meglio sui Giudei se Agrippa, il Giovane, che si trovava a Roma e constatava che i capi giudei stavano perdendo la gara se non fossero urgentemente ricorsi ad Agrippina, moglie dell'imperatore, affinché persuadesse il marito a concedere un'udienza rispettando la legge e punendo gli istigatori delle rivolte.
Libro XX:136 E Claudio fu favorevolmente disposto da questa supplica. Ascoltò il caso e, scoperto che i Samaritani erano stati i primi a muovere i torbidi, ordinò che quelli tra loro che erano andati davanti a lui fossero messi a morte, condannò Cumano all'esilio e ordinò che il tribuno Celere fosse portato a Gerusalemme e qui fosse trascinato per tutta la città a pubblico spettacolo e poi ucciso.
Felice, procuratore della Giudea
Libro XX:137 - VII, I. - Allora Claudio inviò Felice, fratello di Pallante, a presiedere gli affari della Giudea.
Libro XX:138 Compiuti i dodici anni del suo regno, conferì ad Agrippa la tetrarchia di Filippo con la Batanea, aggiungendovi la Traconitide e Lisania, già tetrarchia di Abila; ma gli tolse la Calcide dopo che l'aveva governata per quattro anni.
Libro XX:139 Ricevuto tale dono dall'imperatore, Agrippa diede sua sorella Drusilla in matrimonio ad Azizo, re di Emesa, che aveva acconsentito ad essere circonciso. Epifane, figlio del re Antioco aveva rifiutato il matrimonio per non aver voluto abbracciare la religione dei Giudei, sebbene in precedenza avesse promesso di fare così al padre di lei.
Libro XX:140 Agrippa diede pure sua figlia Mariamme in matrimonio ad Archelao, figlio di Elcia, al quale suo padre l'aveva promessa. Da questo matrimonio nacque una figlia chiamata Berenice.
Libro XX:141 - 2. Dopo poco tempo il matrimonio di Drusilla con Azizo si sciolse nelle seguenti circostanze.
Libro XX:142 Nel tempo in cui Felice era procuratore della Giudea, la osservò: era infatti più bella di tutte le donne e nacque una passione per lei. Le mandò uno dei suoi amici, un Giudeo cipriota di nome Atomo, che si faceva passare per
mago, per convincerla ad abbandonare il marito e sposare Felice. Felice le prometteva di renderla estremamente felice, purché lei non lo respingesse.
Libro XX:143 Essendo lei infelice e desiderando sottrarsi alla malizia della sorella Berenice - infatti si parlava troppo di Drusilla a motivo della sua bellezza - fu persuasa a trasgredire le patrie leggi e sposare Felice. Da lui ebbe un figlio al quale lei diede il nome di Agrippa.
Libro XX:144 In qual modo questo giovane e sua moglie siano scomparsi all'epoca dell'eruzione del Vesuvio al tempo di Tito Cesare, lo narrerò appresso.
Libro XX:145 - 3. Berenice, dopo la morte di Erode che era suo zio e suo marito, visse a lungo come vedova; ma quando si sparse la voce e si credette che lei avesse legami con il fratello, lei indusse Polemone, re della Cilicia, ad accettare la circoncisione e prenderla in moglie. Lei pensava che in questo modo avrebbe dimostrato la falsità di tali voci;
Libro XX:146 ma Polemone era mosso soprattutto dalla ricchezza di lei. Il matrimonio non durò a lungo perché Berenice, a quanto si diceva, per sfrenata licenziosità, abbandonò Polemone; e per lui lo scioglimento del matrimonio e l'abbandono dei costumi giudaici fu tutt'uno.
Libro XX:147 Nello stesso tempo anche Mariamme abbandonò Archelao e sposò Demetrio, uno dei più nobili e ricchi dei Giudei di Alessandria; in quel tempo costui aveva l'ufficio di alabarca. Lei ebbe da lui un figlio che chiamò Agrippino. Ma di queste persone parlerò dettagliatamente appresso.
Morte di Claudio ed elezione di Nerone
Libro XX:148 - VIII, I. - Dopo tredici anni, otto mesi e venti giorni di regno, Claudio Cesare morì. Ci fu chi diceva che era stato avvelenato dalla moglie Agrippina; il padre di lei era Germanico, fratello dell'imperatore, il precedente marito era Domizio Ahenobarbo, uno dei personaggi più illustri della città di Roma.
Libro XX:149 Alla morte di Domizio rimase vedova per lungo tempo, fino a quando Claudio la sposò; lei portò con sé il ragazzo Domizio, che portava il nome del padre, Claudio aveva ucciso per gelosia la precedente moglie, Messalina, dalla quale aveva avuto due figli, Britannico e Ottavia;
Libro XX:150 egli aveva già avuto una figlia, la primogenita, Antonia, natagli dalla prima moglie, Petina. Poi egli promise Ottavia a Nerone; perciò l'imperatore lo chiamò più tardi Domizio, quando lo adottò come figlio.
Libro XX:151 - 2. Agrippina, temendo che Britannico, fattosi uomo, potesse ereditare l'ufficio di suo padre, e desiderando prevenire questo carpendo l'impero per il proprio figlio, a quanto si dice, escogitò la morte di Claudio.
Libro XX:152 Immediatamente lei mandò Burro, prefetto della guardia pretoriana, e con lui i tribuni militari e i liberti più influenti a condurre Nerone al campo per acclamarlo imperatore.
Libro XX:153 Succeduto al trono in questo modo, Nerone cospirò la morte di Britannico col veleno, mantenendo pubblicamente il segreto; non molto tempo dopo uccise apertamente la propria madre; questa fu la ricompensa che le diede non solo perché lei gli aveva dato la vita, ma anche perché fu grazie agli accorgimenti di lei che aveva ottenuto il trono dell'impero romano; mise a morte anche Ottavia, alla quale era sposato e così pure molti uomini illustri, con l'accusa di cospirazione contro di lui.
Libro XX:154 - 3. Tralascio di scrivere oltre su questo argomento. Molti sono gli storici che scrissero la storia di Nerone: alcuni, per gratitudine, essendo stati da lui trattati bene, non ebbero cura della verità; altri, per odio e rabbia verso di lui, hanno mentito, senza riguardo, dicendo falsità e meritano censura.
Libro XX:155 Non mi sorprendo di quanti hanno mentito su Nerone, visto che scrivendo dei suoi predecessori non si sono attenuti ai fatti storici; certo, non avevano odio per quegli imperatori, dato che vissero molto tempo dopo di loro.
Libro XX:156 Chi non ha cura della verità, scriva come gli aggrada, perché così gli piace.
Libro XX:157 Noi, però, il cui obiettivo è la verità, vediamo di non dare più di una breve menzione ai soggetti non connessi al nostro argomento. D'altra parte la nostra esposizione della vicenda del mio popolo, i Giudei, non è semplicemente accidentale; e nella mia esposizione non esito a dare una narrazione piena sia delle nostre sfortune sia dei nostri errori. Ed ora ritorno al racconto delle cose nostre.
Regioni date da Nerone ad Agrippa
Libro XX:158 - 4. Nel primo anno di regno di Nerone, morì Azizo, sovrano di Emesa, e gli succedette sul trono il fratello Soemo. Il governo dell'Armenia Minore fu posto da Nerone in mano ad Aristobulo, figlio di Erode, re della Calcide;
Libro XX:159 e affidò ad Agrippa parte della Galilea ordinando che la città di Tiberiade e la Tarichea fossero a lui soggette; gli diede anche Giulia, città della Perea e quattordici villaggi nei suoi dintorni.
Situazione Sociale della Giudea
Libro XX:160 - 5. Intanto gli affari della Giudea stavano andando di male in peggio; perché la regione era nuovamente infestata da bande di briganti e impostori che ingannavano la gente.
Libro XX:161 Non passava giorno che Felice non prendesse e condannasse a morte molti di questi impostori e ribelli. Con un inganno catturò anche Elea-zaro, figlio di Dineo, che aveva organizzato una compagnia di ribelli: con la promessa che non avrebbe corso alcun pericolo, Felice lo indusse ad andare da lui; Felice poi lo catturò e lo mandò a Roma in catene.
Libro XX:162 Felice era risentito verso il sommo sacerdote Gionata a motivo dei frequenti avvertimenti di amministrare meglio gli affari della Giudea; Gionata, infatti, temeva di incorrere nella censura della gente, in quanto, era stato lui che aveva domandato a Cesare di inviare Felice come procuratore della Giudea. Felice trovò un pretesto per allontanare dalla sua presenza un uomo che ormai gli era diventato importuno: incessanti rimproveri annoiano coloro che hanno scelto di agire malamente.
Libro XX:163 Per tale motivo, dunque, con la promessa di una grande somma, Felice corruppe l'amico più fidato di Gionata, nativo di Gerusalemme, di nome Dora, con la promessa di dargli una grande somma da portare ai briganti per attaccare Gionata e ucciderlo. Dora accettò ed escogitò di farlo assassinare dai briganti nel seguente modo.
Libro XX:164 Alcuni di questi briganti salirono in città come se avessero l'intenzione di venerare Dio, ma sotto le vesti portavano i pugnali, e mischiatisi con la gente attorno a Gionata, lo assassinarono.
Libro XX:165 Dato che gli assassini rimasero impuniti, da quel tempo in poi, i ribelli, con perfetta impunità, solevano andare in città durante le festività con le armi nascoste allo stesso modo e mescolati tra la folla. In questo modo alcuni uccisero nemici personali, altri uccisero perché pagati. Commettevano tali assassini non solo in altre parti della città, ma anche, in alcuni casi, nel santuario; perché fin là dentro ordinavano di spargere il sangue delle loro vittime, giacché neppure in questo vedevano una dissacrazione.
Libro XX:166 A mio modo di vedere, è questo il motivo per cui anche Dio stesso, disgustato dalla loro empietà, volse le spalle alla nostra città, perché giudicò il santuario una dimora non più pura per Lui, condusse contro di noi i Romani, purificò la città col fuoco e condannò alla schiavitù noi, le nostre mogli e i nostri figli. Egli intendeva punirci con queste calamità.
Imbroglioni tra il popolo
Libro XX:167 - 6. I ribelli infestarono la città di tante simili contaminazioni. Perciò impostori e truffatori incitavano la plebe a seguirlo nel deserto;
Libro XX:168 promettendo di mostrare loro indubbi prodigi e segni che sarebbero stati realizzati in armonia del disegno di Dio. Molti si lasciarono persuadere e pagarono il castigo della loro follia; furono, infatti, portati alla presenza di Felice, il quale li punì.
Libro XX:169 In quel tempo venne dall'Egitto a Gerusalemme un uomo che diceva di essere un profeta e suggeriva alle folle del popolino di seguirlo sulla collina chiamata Monte degli Ulivi, che è dirimpetto alla città, dalla quale dista cinque stadi.
Libro XX:170 Costui asseriva che da là voleva dimostrare come a un suo comando sarebbero cadute le mura di Gerusalemme e attraverso di esse avrebbe aperto per loro un ingresso alla città.
Libro XX:171 Udita tale cosa, Felice ordinò ai suoi soldati di prendere le armi; e con una notevole forza di cavalleria e di fanti, uscirono da Gerusalemme e si lanciarono sull'egiziano e sui suoi seguaci uccidendone quattrocento e catturando duecento prigionieri. L'Egiziano fuggì dalla battaglia e si dileguò.
Libro XX:172 Allora i ribelli ancora una volta incitarono il popolo a fare guerra contro i Romani, dicendo di non obbedire loro; e a quanti non li seguivano incendiavano e saccheggiavano i villaggi.
Contesa civile tra Giudei e Siri
Libro XX:173 - 7. Tra i Giudei e i Siri abitanti a Cesarea sorse una querela in merito all'uguaglianza dei diritti civili. I Giudei vendicavano la precedenza perché il fondatore di Cesarea era stato il loro re Erode, di discendenza giudaica; i Siri ammettevano quanto essi asserivano a proposito di Erode, ma facevano osservare che, prima, Cesarea si chiamava Torre di Stratone, e che prima del tempo di Erode non v'era alcun Giudeo che abitasse la città.
Libro XX:174 Venuti a conoscenza della contesa, i magistrati della regione arrestarono i responsabili dell'una e dell'altra parte e li sferzarono bene: così calmarono la contesa, ma non per molto.
Libro XX:175 Perché i Giudei della città, forti della loro ricchezza, erano incuranti dei Siri e presero di nuovo a svillaneggiarli con l'intento di irritarli e provocarono così i Siri contro i Giudei.
Libro XX:176 Seppure inferiori per benessere, i Siri si inorgoglivano per il fatto che la maggioranza di coloro che prestavano servizio militare sotto i Romani provenivano da Cesarea e da Sebaste e per un po' ricambiavano i Giudei con insulti. Ma in seguito Giudei e Siri presero a tirarsi pietre l'uno contro l'altro, fino a tanto che da una parte e dall'altra vi furono feriti e morti. A vincere furono però i Giudei.
Libro XX:177 Quando Felice s'accorse che la contesa aveva preso la forma di una guerra, intervenne subito invitando i Giudei a desistere; e siccome questi non obbedirono, armò i soldati e li scagliò contro di essi; molti furono uccisi e molti di più furono presi vivi; inoltre concesse ai soldati di saccheggiare certe case di cittadini che erano fornite di forti somme di denaro.
Libro XX:178 I Giudei più moderati e quelli di più agiata condizione, allarmati per se stessi, ricorsero a Felice affinché facesse suonare la tromba per raccogliere i soldati e concedere loro perdono per questo fatto, e dare loro un'occasione di pentirsi di tutto ciò. Felice si arrese a fare così.
Libro XX:179 - 8. In questo periodo, il re Agrippa diede il sommo sacerdozio a Ismaele, figlio di Fabi. Costui era un ragazzo.
Libro XX:180 Era allora accesa una mutua inimicizia e lotta di classe tra i sommi sacerdoti, da una parte; e i sacerdoti e i capi della plebaglia di Gerusalemme dall'altra. Ognuna delle fazioni formava e raccoglieva persone temerarie e rivoluzionarie pronte ad agire come i loro capi. E quando si scontravano si servivano di un linguaggio ingiurioso, e si colpivano l'un l'altro con sassi; e non v'era persona che li riprendesse. In città non v'era alcuna autorità, sicché essi agivano in piena libertà.
Libro XX:181 Tale era poi la petulanza vergognosa e l'ardire dei pontefici, che non dubitavano di mandare schiavi sulle aie del grano battuto e prelevare le decime dovute ai sacerdoti, col risultato che i sacerdoti più bisognosi morivano di fame. La violenza delle fazioni contendenti eliminava così ogni giustizia.
Porcio Festo in luogo di Felice
Libro XX:182 - 9. Quando Nerone mandò Porcio Festo come successore di Felice, i capi della comunità ebraica di Cesarea andarono a Roma per accusare Felice. E indubbiamente avrebbe pagato la pena dei suoi misfatti verso i Giudei, se Nerone non avesse avuto troppo riguardo alle suppliche di Pallante, fratello di Felice, che in quel tempo teneva in grandissimo onore.
Libro XX:183 Perciò i capi siri di Cesarea, per mezzo di una ampia offerta, corruppero Berillo, precettore di Nerone e addetto alla segreteria per la corrispondenza greca, e ottennero da Nerone un rescritto che annullava la concessione ai Giudei di uguale diritti civili.
Libro XX:184 Berillo inoltre supplicò l'imperatore, con successo, ottenendo l'autorizzazione con un rescritto. E questo rescritto fornì la base che condusse alle sfortune della nostra nazione. Perciò gli abitanti di Cesarea non appena seppero del rescritto di Nerone, proseguirono la loro contesa contro i Siri fino a tanto che si elevarono le fiamme della guerra.
La Giudea all'arrivo di Festo
Libro XX:185 - 10. Quando Festo arrivò in Giudea, la trovò devastata dai ribelli che incendiavano e saccheggiavano un villaggio dopo l'altro;
Libro XX:186 i cosiddetti sicari, cioè i ribelli, erano a quel tempo particolarmente numerosi. Si avvalevano di pugnali, di forma simile alle scimitarre dei Persiani ma curvi e più simili all'arma che i Romani chiamano sicae, dalla quale questi ribelli prendono il nome perché in questo modo uccisero così tanta gente.
Libro XX:187 Come abbiamo detto prima, costoro, durante le festività, si infiltravano tra la folla che da ogni parte giungeva nella città per devozione, e così assassinavano quelli che volevano; spesso si facevano vedere nei villaggi dei loro nemici, con le armi per saccheggiare e incendiare.
Libro XX:188 Festo mandò un corpo di cavalleria e di fanti contro quelli sedotti da un impostore che aveva promesso la salvezza e la fine dei tumulti, purché lo seguissero nel deserto. La forza inviata da Festo li eliminò tutti e due, l'imbroglione e i suoi seguaci.
La camera di Agrippa e le complicazioni
Libro XX:189 - 11. All'incirca in questo periodo il re Agrippa innalzò nella sua reggia a Gerusalemme una camera, di dimensioni insolite, confinante con il colonnato.
Libro XX:190 La reggia era stata innalzata molto prima dai figli di Asmoneo ed essendo situata in un sito alto, permetteva una vista deliziosa a chi voleva contemplare la città. Il re era innamorato di questa vista e, quando stava a tavola, di lassù, soleva osservare quanto avveniva nel tempio.
Libro XX:191 Considerando questo, le persone più importanti di Gerusalemme ne erano fortemente adirate, perché era contrario alla tradizione spiare quanti entravano nel tempio, e in particolare per le cerimonie sacrificali. Perciò fabbricarono un muro assai alto sul recinto che era all'interno del tempio, verso occidente.
Libro XX:192 L'erezione di questo muro non bloccò soltanto la vista dalla sala da pranzo regia, ma anche la vista dalla parte occidentale del portico che era fuori del tempio, d'onde i Romani, nei giorni di festa, solevano fare il controllo del tempio.
Libro XX:193 Ciò dispiacque moltissimo al re Agrippa e più ancora al procuratore Festo, e quest'ultimo ordinò di abbatterlo. Ma essi supplicarono di
concedere loro il permesso di inviare a questo proposito un'ambasciata a Nerone; poiché, dicevano, non avrebbero sopportato di vivere quando fosse abbattuta una parte del tempio.
Libro XX:194 Festo lo permise ed essi mandarono dieci delle personalità più eminenti, tra esse Ismaele sommo sacerdote ed Elcia il tesoriere.
Libro XX:195 Dopo averli sentiti bene, Nerone non solo approvò quanto fatto, ma acconsentì a lasciare l'edificio così com'era, volendo in ciò accondiscendere a sua moglie Poppea, che era timorata di Dio e favorevole ai Giudei; ella diede ai dieci licenza di partire, ma trattenne in casa sua Elcia e Ismaele come ostaggi.
Libro XX:196 Saputo questo, il re diede il sommo sacerdozio a Giuseppe, soprannominato Kabi, figlio del sommo sacerdote Simone.
Dinastia di Anano, martirio di Giacomo,
fratello di Gesù
Libro XX:197 - IX, I. - Venuto a conoscenza della morte di Festo, Cesare inviò Albino come procuratore della Giudea. Il re poi allontanò Giuseppe dal sommo sacerdozio e gli diede come successore nell'ufficio il figlio di Anano, il quale si chiamava anch'egli Anano.
Libro XX:198 Del vecchio Anano si dice che fu estremamente felice; poiché ebbe cinque figli e tutti, dopo di lui, godettero di quell'ufficio per un lungo periodo, divenendo sommi sacerdoti di Dio; un fatto che non accadde mai ad alcuno dei nostri sommi sacerdoti.
Libro XX:199 Il più giovane Anano che, come abbiamo detto, fu designato al sommo sacerdozio, era una persona di indole franca e oltremodo ardita. Seguiva la scuola dei Sadducei, che, in verità, quando sedevano in giudizio erano più insensibili degli altri Giudei, come già accennato.
Libro XX:200 Con il carattere che aveva, Anano pensò di avere un'occasione favorevole alla morte di Festo mentre Albino era ancora in viaggio: così convocò i giudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo, e certi altri, con l'accusa di avere trasgredito la Legge, e li consegnò perché fossero lapidati.
Libro XX:201 Ma le persone più equanimi della città, considerate le più strette osservanti della Legge si sentirono offese da questo fatto. Perciò inviarono segretamente (legati) dal re Agrippa supplicandolo di scrivere una lettera ad Anano che il suo primo passo non era corretto, e ordinandogli di desistere da ogni ulteriore azione.
Libro XX:202 Alcuni di loro andarono a incontrare Albino che era in cammino da Alessandria informandolo che Anano non aveva alcuna autorità di convocare il Sinedrio senza il suo assenso.
Libro XX:203 Convinto da queste parole, Albino inviò una lettera sdegnata ad Anano minacciandolo che ne avrebbe portato la pena dovuta. E il re Agrippa, a motivo della sua azione depose Anano dal sommo pontificato che aveva da tre mesi, sostituendolo con Gesù, figlio di Damneo.
Il procuratore Albino a Gerusalemme
Libro XX:204 - 2. Quando Albino giunse nella città di Gerusalemme, rivolse tutti gli sforzi e fece ogni preparativo per assicurare la pace alla regione sterminando la maggior parte dei sicari.
Libro XX:205 Ora il sommo sacerdote Anania ogni giorno cresceva in reputazione ed era splendidamente ricompensato dalla benevolenza e dalla stima dei cittadini; perché era astuto e li forniva di denaro; ogni giorno offriva doni ad Albino e al sommo sacerdote.
Libro XX:206 (Aveva) però dei servitori assai perversi che, accompagnandosi con la gente più ardimentosa che c'era, si aggiravano per le aie e con la forza portavano via le decime dei sacerdoti;
Libro XX:207 né si astenevano dal percuotere coloro che rifiutavano di dare. I sommi sacerdoti erano colpevoli allo stesso modo dei servitosi e nessuno li poteva fermare. Così accadeva che i sacerdoti, che negli antichi giorni vivevano delle decime, ora erano ridotti a morire di fame.
Azioni dei sicari
Libro XX:208 - 3. Di nuovo i sicari in occasione della festa, che allora si stava celebrando, entrarono di notte in città e rapirono il segretario del generale Eleazaro, figlio del sommo sacerdote Anania e lo legarono;
Libro XX:209 mandarono a dire ad Anania che avrebbero liberato il segretario se lui avesse indotto Albino a liberare dieci di loro che erano stati fatti prigionieri. Anania, sotto tale costrizione, persuase Albino ad aderire alla (loro) istanza.
Libro XX:210 Questo fu l'inizio di guai maggiori. I ribelli escogitarono di avere tra i rapiti l'uno o l'altro della cerchia di Anania che mantenevano sempre confinato e rifiutavano di liberarlo fino a quando avessero in cambio qualcuno dei sicari. Quando divennero di nuovo un numero considerevole, ripresero nuovamente ardire e cominciarono nuovamente a straziare ogni parte della regione.
Attività del re Agrippa e risposta
del popolo
Libro XX:211 - 4. In quel tempo il re Agrippa ampliò Cesarea di Filippo, come si chiamava, e le diede il nome di Neronia in onore di Nerone. Edificò inoltre, con grandissima spesa, un teatro per il popolo di Berito e lo presentò con spettacoli annuali, spendendo in questo progetto molte decine di migliaia di dracme.
Libro XX:212 Inoltre usava dare al popolo grano e distribuire olio di oliva; abbellì anche tutta la città con l'erezione di statue e copie di antiche sculture; trasferì in quel luogo quasi tutte le bellezze del regno. Di conseguenza aumentò l'odio dei sudditi perché li spogliava dei loro averi per abbellire una città straniera.
Libro XX:213 Il re poi depose Gesù, figlio di Damneo, dal sommo sacerdozio e designò suo successore Gesù, figlio di Gamaliel. Perciò sorse una ostilità tra quest'ultimo e il suo predecessore. Ognuno di essi raccolse una banda di gente molto temeraria e spesso avveniva che, dopo lo scambio di insulti, si andasse oltre, pigliandosi a sassate. Anania sovrastava tutti, facendo buon uso della sua ricchezza per attrarre quanti erano disposti a ricevere doni di corruzione.
Libro XX:214 Da parte loro, Costobaro e Saul, raccolsero bande di malviventi; loro stessi erano di stirpe reale e raccolsero favori a motivo della loro parentela con Agrippa, ma erano sfrenati e pronti a spogliare le proprietà dei più deboli. Fu da quel momento, in particolare, che la malattia piombò sulla nostra città e ogni cosa andò scadendo di male in peggio.
Ultime azioni di Albino.
I Leviti e il re Agrippa
Libro XX:215 - 5. Non appena Albino sentì che Gessio Floro stava venendo a succedergli volle farsi un nome come uno che aveva fatto qualcosa per gli abitanti di Gerusalemme. Trasse fuori dalle prigioni quanti, indubbiamente, erano rei di morte, ed era già stata emessa la sentenza; con una valutazione personale, liberò anche quelli che erano stati messi in prigione per motivi di poca entità e per cause accidentali. Così la prigione si svuotò dei prigionieri e la regione si rempì di ribelli.
Libro XX:216 - 6. I Leviti, si tratta di una delle nostre tribù, che cantavano gli inni, persuasero il re a convocare il Sinedrio per concedere loro il permesso di indossare vesti di lino allo stesso modo dei sacerdoti, asserendo che per contraddistinguere il suo regno era conveniente introdurre qualche innovazione che lo avrebbe fatto ricordare.
Libro XX:217 E la loro domanda ebbe fortuna: il re, infatti, con l'assenso di coloro che attendevano al Sinedrio, permise che i cantori degli inni, lasciato l'antico abito, indossassero quello di lino come domandavano.
Libro XX:218 Anche a quella parte della tribù (di Levi) che era impiegata nel servizio del tempio, permise di imparare gli inni a memoria, come aveva domandato. Tutto ciò era contrario alle leggi ancestrali, e una tale trasgressione doveva essere punita.
Compimento del tempio e situazione
degli Operai
Libro XX:219 - 7. Proprio ora era stato completato il tempio. Il popolo vide che gli operai, erano più di diciottomila, non lavoravano e sarebbero rimasti senza paga, perché col lavoro del tempio guadagnavano da vivere; ma per timore dei Romani non volevano tenere del denaro custodito nel deposito.
Libro XX:220 Dunque, oltre alla custodia, scelsero di spendere per gli operai i loro tesori, cosicché anche se ognuno non avesse lavorato più di un'ora al giorno, riceveva subito la ricompensa; spinsero così il re a innalzare il portico orientale.
Libro XX:221 Questo portico era parte del lato esterno del tempio e dava su di una valle profonda; aveva mura di quattrocento cubiti di lunghezza ed era
costruito con pietre quadrate, completamente bianche, ognuna di esse aveva la lunghezza di venti cubiti e sei cubiti di altezza. Questa era un'opera del re Salomone, che per primo eresse tutto il tempio.
Libro XX:222 Il re, al quale Claudio Cesare aveva affidato la cura del tempio, pensava che è sempre facile demolire una struttura, ma difficile erigerne un'altra e ancor più nel caso di questo portico, in quanto il lavoro avrebbe richiesto tempo e notevole quantità di denaro, respinse perciò la loro richiesta, ma non vietò la pavimentazione della città con pietre bianche.
Libro XX:223 Egli rimosse Gesù; figlio di Gamaliel, dall'ufficio di sommo sacerdote, e conferì la carica a Mattia figlio di Teofilo, sotto il quale ebbe inizio la guerra dei Giudei contro i Romani.
Origine e presentazione cronologica
dei sommi sacerdoti
Libro XX:224 - X, I. - Credo necessario e conveniente, in questa storia, dare una narrazione dettagliata del sommo sacerdozio, come ebbe inizio, chi può legittimamente aspirare a questo ufficio e quanti ce ne furono fino al termine della guerra.
Libro XX:225 Si dice che il primo che operò come sommo sacerdote di Dio sia stato Aronne, fratello di Mosè; dopo la sua morte gli succedettero subito i suoi figli. In seguito l'ufficio rimase, in modo permanente, a tutti i suoi discendenti.
Libro XX:226 Donde deriva anche la tradizione che nessuno debba tenere il sommo sacerdozio di Dio se non è del sangue di Aronne, e che nessuno di un altro lignaggio, anche se si trattasse di un re, possa giungere al sommo sacerdozio.
Libro XX:227 Il numero complessivo dei sommi sacerdoti, cominciando da Aronne che, come ho detto, fu il primo, fino a Fanaso, designato sommo sacerdote durante la guerra dal partito rivoluzionario, è ottantatré.
Libro XX:228 Tredici di costoro ebbero l'ufficio del sommo sacerdozio durante il periodo del soggiorno nel deserto nel tempo di Mosè, quando c'era il tabernacolo che Mosè eresse per Dio, fino all'arrivo in Giudea quando Salomone eresse il tempio a Dio.
Libro XX:229 All'inizio mantenevano il sommo sacerdozio per tutta la vita, ma dopo si succedettero mentre ancora vivevano i loro predecessori. Di conseguenza, essendo discendenti dei due figli di Aronne, ricevettero l'ufficio successivamente.
Libro XX:230 La loro prima costituzione fu un'aristocrazia; dopo questa seguì una monarchia; in terzo luogo venne la regola dei re. Il numero degli anni durante i quali tennero l'ufficio i tredici, dal giorno nel quale i nostri padri lasciarono l'Egitto, sotto la guida di Mosè, fino all'erezione del tempio del re Salomone in Gerusalemme, fu di seicentododici.
Libro XX:231 - 2. Dopo questi tredici sommi sacerdoti, altri diciotto tennero il sommo sacerdozio in successione di tempo da Salomone, che fu re in Gerusalemme, fino al tempo in cui Nebukadnezzar, re di Babilonia, guidò il suo esercito contro la città, bruciò il tempio e trasferì la nostra nazione in Babilonia, prendendo prigioniero il sommo sacerdote Josadak.
Libro XX:232 Il periodo coperto dal sommo sacerdozio di questi uomini, fu di quattrocentosettanta anni, sei mesi e dieci giorni; durante questi anni i Giudei erano governati da re.
Libro XX:233 Dopo un periodo di settant'anni di cattività sotto i Babilonesi, Ciro, re dei Persiani, liberò i Giudei da Babilonia e permise loro di ritornare alla loro terra e di riedificare il tempio.
Libro XX:234 In quel periodo Gesù, figlio di Josedek, uno dei prigionieri ritornati, assunse l'ufficio di sommo sacerdote. Egli e i suoi discendenti, quindici in tutto, tennero l'ufficio fino al regno di Antioco Eupatore; e per quattrocentoquattordici anni vissero sotto una forma di governo democratico.
Libro XX:235 - 3. L'Antioco ora menzionato e il generale Lisia, furono i primi a deporre uno dal sommo sacerdozio; questo lo fecero con Onia, soprannominato Menelao; perché lo uccisero a Borea, esclusero suo figlio dalla successione e designarono Jacimo come sommo sacerdote che era della linea di Aronne ma non della stessa famiglia di Onia.
Libro XX:236 Di conseguenza Onia, nipote dell'Onia morto, che portava il nome di suo padre, prese la via dell'Egitto, dove guadagnò l'amicizia di Tolomeo Filopatore e di sua moglie Cleopatra e li indusse a innalzare un tempio a Dio nel nomo di Eliopoli, simile a quello di Gerusalemme, e designarono lui sommo sacerdote.
Libro XX:237 Del tempio eretto in Egitto più volte abbiamo narrato la storia. Intanto Jacimo morì dopo tre anni di pontificato, Non gli succedette nessuno e la città rimase per sette anni senza un sommo sacerdote.
Libro XX:238 Allora i discendenti dei figli di Asmoneo, ai quali era affidata la guida della nazione, dopo la guerra contro di loro, e la loro offensiva contro i Macedoni, ripresero la tradizione designando Gionata sommo sacerdote, e questo tenne l'ufficio per sette anni;
Libro XX:239 e quando fu ucciso con una congiura e un'imboscata tesagli da Trifone, come abbiamo descritto altrove nella precedente narrazione, il sommo sacerdozio fu ottenuto da suo fratello Simone; il
Libro XX:240 quale fu assassinato scaltramente dal genero mentre era a mensa, dopo che aveva tenuto il sommo sacerdozio per un anno più di suo fratello. A lui succedette suo figlio di nome Ircano che tenne l'ufficio per trentuno anni, e morì in tarda età, lasciando la successione a Giuda, detto anche Aristobulo.
Libro XX:241 Giuda morì di malattia, dopo avere tenuto, insieme al regno il sommo sacerdozio per un anno, poiché Giuda tenne sul suo capo il diadema per un anno; fu il primo che tenne i due uffici. Suo erede fu il fratello Alessandro.
Libro XX:242 - 4. Alessandro morì dopo ventisette anni di regno e di sommo sacerdozio, lasciando alla moglie Alessandra la designazione del successore per l'ufficio di sommo sacerdozio. Lei designò sommo sacerdote Ircano e personalmente ritenne il trono per nove anni, dopo morì; il figlio Ircano tenne il sommo sacerdozio per lo stesso periodo.
Libro XX:243 Dopo la morte di lei, Aristobulo, fratello di Ircano, gli fece guerra, lo vinse, lo privò del suo ufficio e diventò sia re che sommo sacerdote della nazione.
Libro XX:244 Dopo che aveva regnato per due anni e tre mesi, venne Pompeo, prese d'assalto la città di Gerusalemme e inviò a Roma in catene sia lui che i suoi figli, diede a Ircano nuovamente il sommo sacerdozio e gli concesse di avere la guida della nazione, vietandogli però di portare il diadema.
Libro XX:245 Ircano governò per ventiquattro anni, oltre i precedenti nove anni. Barzafrane e Pacoro, governatori della Parthia, passato l'Eufrate, fecero
guerra a Ircano e lo catturarono vivo, e posero sul trono Antigono, figlio di Aristobulo;
Libro XX:246 questi governò per tre anni e tre mesi; in seguito a un assedio fu catturato da Sossio ed Erode. Quando fu portato ad Antiochia, fu ucciso da Antonio.
Libro XX:247 - 5. Quando Erode ebbe il regno dai Romani fu abbandonata la prassi di nominare sommi sacerdoti della linea degli Asmonei e, con la sola eccezione di Aristobulo, vennero nominate persone insignificanti che erano semplicemente di discendenza sacerdotale.
Libro XX:248 Erode nominò sommo sacerdote Aristobulo, nipote di Ircano che era stato catturato dai Parti; Erode sposò Mariamme, sorella di Aristobulo, sperando di accattivarsi la benevolenza del popolo, grazie alla loro relazione con Ircano. Ma in seguito, temendo che tutti si volgessero ad Aristobulo, lo mise a morte a Gerico dopo aver meditato di farlo soffocare mentre nuotava, come abbiamo riferito.
Libro XX:249 Dopo la morte di Aristobulo, Erode non affidò più il pontificato a discendenti dei figli di Asmonei. Anche Archelao figlio di Erode, nella designazione dei sommi sacerdoti seguì la stessa politica e, dopo di lui, fecero così anche i Romani quando presero il governo dei Giudei.
Libro XX:250 Il numero di coloro che tennero il sommo sacerdozio dal tempo di Erode fino al giorno in cui Tito prese e incendiò il tempio e la città è di ventotto, coprendo un periodo di centosettanta anni.
Libro XX:251 Alcuni di costoro tennero l’ufficio durante i regni di Erode e di suo figlio Archelao. Dopo la morte di questi re, la costituzione divenne aristocratica e i sommi sacerdoti erano designati alla guida della nazione. E questo basti per quanto riguarda i sommi sacerdoti.
L'amministrazione di Gessio Floro
Libro XX:252 - XI, I. - Gessio Floro, inviato da Nerone quale successore di Albino, portò al colmo le molte disgrazie dei Giudei. Costui era nativo di Clazomene e portò con sé la moglie Cleopatra che quanto a cattiveria non era da meno di lui. Fu sotto l'influsso di lei che egli ottenne il posto in quanto era amica di Poppea, moglie di Nerone.
Libro XX:253 Floro era tanto malvagio e arbitrario nell'esercizio della sua autorità che i Giudei, per la loro estrema miseria, lodavano Albino come un benefattore.
Libro XX:254 Quest'ultimo infatti, teneva nascosta la sua infamia e prendeva precauzioni per non farsi scoprire, ma Gessio Floro, come se fosse stato mandato per fare mostra della sua cattiveria, ostentatamente sfoggiava la sua infamia nel comportamento verso la nostra nazione, non risparmiando alcuna forma di ruberie e di ingiusti castighi.
Libro XX:255 Non conosceva la pietà, nessun guadagno lo saziava, era una persona che ignorava la differenza tra i guadagni più grandi e i più modesti, tanto che si associava persino ai briganti. La maggior parte del popolo seguiva questo arbitrio senza inibizioni, poiché non aveva dubbi sulla impunità purché a lui andasse la parte del bottino a lui spettante. E questo non aveva alcuna misura.
Libro XX:256 I Giudei, infelici, non potevano sopportare la dilapidazione delle loro sostanze fatta dai ladri ed erano tutti costretti ad abbandonare i loro paesi e fuggire altrove, pensando che avrebbero vissuto meglio tra i gentili, non importa dove.
Libro XX:257 Che si può dire di più? Era Floro che ci costringeva alla guerra contro i Romani, perché preferivamo perire insieme piuttosto che a poco a poco. La guerra, infatti, ebbe inizio nel secondo anno dell'amministrazione di Floro e nel ventesimo anno del regno di Nerone.
Libro XX:258 Ma tutto quanto noi fummo costretti a fare, e le sofferenze che abbiamo sopportato si possono conoscere con precisione, da chiunque le voglia leggere, nei libri scritti da me sulla Guerra Giudaica.
Conclusione
Libro XX:259 XII, I. Qui sarà la fine delle mie Antichità che ho fatto precedere dalla mia narrazione sulla Guerra. L'opera presente contiene la storia, dall'inizio della creazione fino all'anno dodicesimo del regno di Nerone, degli eventi che accaddero a noi Giudei in Egitto, in Siria e in Palestina,
Libro XX:260 quanto abbiamo sofferto sotto gli Assiri e i Babilonesi, i duri trattamento ricevuti dai Persiani e dai Macedoni, e dopo dai Romani. Penso, infatti, di averne esposto l'intera storia in modo accurato.
Libro XX:261 Mi sono anche preoccupato di conservare il ricordo della linea dei sommi sacerdoti che hanno servito nello spazio di duemila anni. Ho pure annotato, senza errori, la successione e la condotta dei re, ho riferito le loro imprese, i loro governi; così per quanto concerne il governo dei Giudici, tutto quanto è narrato nella Scrittura Sacra. Questo è quanto ho promesso di fare all'inizio della mia storia.
Libro XX:262 E ora oso affermare con franchezza, ormai che il lavoro è giunto alla fine, che nessun altro, Giudeo o gentile, sarebbe stato capace di questo compito, seppure avesse voluto accingervici, che è una trattazione accurata per il mondo greco.
Libro XX:263 I miei compatrioti riconoscono che nella nostra cultura giudaica io li supero di molto. Mi sono pure affaticato con coraggio nello studio del campo della prosa e poesia greca dopo avere appresa la grammatica greca, sebbene l'uso quotidiano della mia lingua nativa mi abbia impedito di raggiungere la precisione nella pronuncia.
Libro XX:264 Presso di noi non godono grandi favori le persone che sanno le lingue di molte nazioni o adornano il loro stile con la scioltezza della lingua, poiché considerano che tale perizia non solo è comune a qualsiasi uomo libero, ma anche agli schiavi, purché lo vogliano. Presso di loro ha credito soltanto la sapienza, la conoscenza precisa della Legge e la capacità di interpretare il significato della Sacra Scrittura.
Libro XX:265 Di conseguenza, sebbene molti si siano impegnati laboriosamente su questo apprendimento, scarsamente, due o tre, hanno avuto successo, e subito hanno raccolto il frutto maturo delle loro fatiche.
Libro XX:266 Forse al pubblico può apparire antipatico e imbarazzante per me, parlare brevemente delle mie origini e degli eventi della mia vita, mentre sono ancora vivente e possono disapprovare o corroborare le mie affermazioni.
Libro XX:267 Con questo concluderò le mie Antichità, contenute in venti libri e sessantamila linee. A Dio piacendo, in futuro scriverò un racconto scorrevole della guerra e degli ultimi eventi della nostra storia fino a oggi, che appartiene
all'anno tredicesimo del regno di Cesare Domiziano e all'anno cinquantesimosesto della mia vita.
Libro XX:268 E’ ancora mia intenzione comporre un'opera in quattro libri sulle opinioni che, a mio vedere, noi Giudei abbiamo su Dio e sulla Sua essenza, ed anche a proposito delle leggi, cioè perché esse ci permettono certe cose e ce ne vietano altre.