Libro XIX°
Insolente pazzia di Gaio Caligola
Libro XIX:1 - I, I. - Intanto Gaio dava libero sfogo alla sua farneticante prepotenza non solo contro i Giudei che abitavano a Gerusalemme e nella Giudea, ma la diffuse anche su tutta la terra e sul mare soggetti ai Romani e riempì l'impero di tanti guai mai narrati nella storia precedente.
Libro XIX:2 Roma, soprattutto, sperimentò la durezza del suo agire poiché per lui non godeva di privilegi diversi dalle altre città, anzi derubava i cittadini specialmente i senatori e quelli che appartenevano alla classe patrizia e godevano di speciali onori per la nobiltà degli antenati;
Libro XIX:3 inventò mille stratagemmi contro quelli che erano detti cavalieri; per il tenore di vita e l'influsso finanziario di questo gruppo questa classe aveva agli occhi della città un grado uguale a quello dei senatori poiché era dal loro corpo che venivano reclutati i senatori. Privò i cavalieri dei loro privilegi e li espulse da Roma o li mise a morte e li spogliò dei loro averi: il pretesto per confiscare gli averi era la condanna a morte.
Libro XIX:4 Deificava se stesso e richiedeva dai sudditi onori che non erano proprio quelli che si rendono a un uomo. Quando visitava il tempio di Giove, che
essi chiamano Campidoglio e che per loro è il primo dei templi, aveva l'audacia di rivolgersi a Giove come a un fratello.
Libro XIX:5 E compiva anche altre azioni non lontane dalla pazzia, come allorché credeva cosa per lui indegna passare in triremi da Dicearchia, in Campania, a Miseno, un'altra città marittima;
Libro XIX:6 e ancora allorché giudicava essere suo privilegio, come signore del mare, esigere dal mare gli stessi servizi che riceveva dalla terra. Così i trenta stadi di mare da un promontorio all'altro erano uniti da pontoni che tagliavano tutta la baia, e sopra quel ponte guidava il suo cocchio. Quel modo di viaggiare, diceva, era adatto alla sua divinità.
Libro XIX:7 Dei templi greci non ne lasciò alcuno non depredato, dando ordine che pitture e sculture, statue e offerte dedicatorie di cui erano forniti, fossero trasferite presso di lui; non era giusto, asseriva, che oggetti belli si trovassero in qualsiasi luogo, ma solo nel luogo più bello, cioè nella città di Roma.
Libro XIX:8 Con le spoglie trasferite dalla Grecia, abbellì il suo palazzo, i giardini e tutte le sue residenze sparse per la terra degli Italiani. Osò persino dare ordini di trasportare a Roma il Giove venerato dai Greci a Olimpia, perciò detto Olimpio, opera dell'artista ateniese Fidia.
Libro XIX:9 Tuttavia non riuscì a realizzare la sua intenzione, perché il capo dei tecnici riferì a Memmio Regolo, al quale era stato dato l'incarico della rimozione di Giove, che l'opera sarebbe andata in rovina, qualora fosse stata rimossa. Si dice che Memmio abbia rimandato il movimento della statua non soltanto per questa ragione ma a motivo di certi portenti troppo seri per venire screditati.
Libro XIX:10 Egli scrisse a Gaio una lettera nella quale parlava di queste cose e spiegava le motivazioni della mancata esecuzione dei suoi ordini. In conseguenza di questo, corse il pericolo di venire ucciso, ma venne salvato dall'avvento della morte di Gaio.
Libro XIX:11 - 2. Gaio divenne talmente delirante, che quando gli nacque una figlia, la portò in Campidoglio, la depose sulle ginocchia della statua, e osservò che la bimba apparteneva a lui e a Giove e che le aveva assegnato due padri, lasciando aperta la questione quale dei due fosse il più grande.
Libro XIX:12 Eppure gli uomini lo sostenevano, nonostante il suo comportamento. Permise anche ai servi di addurre contro i padroni qualunque
accusa volessero; e ogni accusa riferita poteva avere serie conseguenze perché il più delle volte si trattava di accuse fatte grazie a lui o per sua suggestione.
Libro XIX:13 Così Polluce, schiavo di Claudio, osò portare un'accusa contro Claudio, e Gaio fu così paziente da aspettare che la corte desse una sentenza capitale contro suo zio per avere l'autorità di metterlo a morte. Ma non gli andò bene.
Si prepara l'eliminazione di Gaio
Libro XIX:14 Avendo riempito l'ecumene, sulla quale comandava, di calunnie e di mali, e innalzati gli schiavi al di sopra dei loro padroni, da più parti presero a bollire le congiure di chi, sdegnato del male sofferto, voleva vendicarsi o per timore di qualche gran danno futuro aveva deciso di farlo fuori.
Libro XIX:15 Perciò, siccome la sua morte aveva grande importanza nell'interesse di tutte le leggi umane e per la salvaguardia di esse, ma la nostra nazione era sul punto di venire distrutta e sarebbe stata distrutta se non ci fosse stata la sua morte improvvisa, io ho deciso di esporre minutamente ogni cosa che accadde.
Libro XIX:16 Ho ancora un motivo particolare: il fatto cioè che questa storia offre un'ottima evidenza della potenza di Dio; sarà inoltre un conforto per coloro che si trovano in circostanze infelici, poiché potranno insegnare una lezione di sobrietà a coloro che credono che la buona fortuna abbia una durata eterna e non sanno, invece, che termina in una catastrofe, a meno che sia congiunta alla virtù.
La congiura contro Gaio
Libro XIX:17 - 3. Si erano formati tre schemi in preparazione per la sua morte, e ognuno di essi faceva capo a uomini valorosi come guide. Emilio Regolo di Cordova, nella Spagna, era il centro di un circolo che sperava ardentemente di disporre di Gaio o con l'opera dei suoi colleghi o con le proprie mani;
Libro XIX:18 un altro circolo era d'accordo con i primi e si organizzavano per aiutarli, il capo di questo circolo era il tribuno militare Cassio Cherea; in fine Ennio Viniciano costituiva una non trascurabile fazione per coloro che già si erano uniti contro il tiranno.
Libro XIX:19 Le ragioni per cui si accordarono contro Gaio, erano le seguenti: Regolo era mosso da una indignazione generale e da abominazione verso procedimenti ingiusti; poiché aveva in sé lo spirito indipendente di un uomo libero per cui gli era impossibile coprire i suoi pensieri; quindi li comunicò a molte persone amiche e ad altre ancora che gli sembravano valorose e ardite.
Libro XIX:20 Viniciano univa la congiura al desiderio di vendicare Lepido, suo stretto amico e uno dei migliori cittadini, ucciso da Gaio e in parte anche per paura per se stesso; infatti quando Gaio sfogava la sua collera, era una furia mortale.
Libro XIX:21 Cherea poi si aggiunse perché si vergognava fortemente delle villanie con le quali era trattato da Gaio come uomo imbelle; e vedeva il pericolo al quale lo esponeva ogni giorno l'amicizia e l'ossequio di Gaio, e considerava parte di un uomo libero porre fine alla sua vita.
Libro XIX:22 Questi tre uomini pensarono di comunicare a tutti gli altri la loro determinazione, sia a coloro ai quali bruciavano i torti ricevuti, sia a coloro che con la morte di Gaio bramavano sottrarsi a quelli che già vedeva scaricare su altri la spada affilata. Forse sarebbero riusciti nell'impresa, sarebbe stato un grande evento se i loro sforzi avessero ottenuto un fine così buono, quando erano pronti, in ogni caso, a lottare per la salvezza della città e dell'impero, anche se questo avrebbe significato il sacrificio della propria vita.
Libro XIX:23 Il più adatto era Cherea, sia per il desiderio che aveva di guadagnarsi una migliore reputazione, sia perché, come tribuno aveva libero accesso a Gaio, e così avrebbe avuto una più facile opportunità di ucciderlo.
Libro XIX:24 - 4. Era il tempo nel quale si festeggiavano le corse dei cavalli. Si tratta di uno spettacolo sportivo al quale i Romani sono fanaticamente affezionati; in tale occasione si radunano al circo con grande entusiasmo e presentano agli imperatori le loro richieste. Gli imperatori pensano di non potere rifiutare tali petizioni, a meno di affrontare l'impopolarità.
Libro XIX:25 Fu dunque in questa circostanza che presentarono a Gaio una supplica molto coraggiosa; chiesero che abbassasse le tasse e accordasse qualche alleggerimento alle imposte più gravose. Ma egli non ebbe pazienza con loro; mentre alzavano sempre più la voce, inviò tra loro agenti qua e là in ogni direzione con l'ordine di arrestare coloro che gridavano e ucciderli subito.
Libro XIX:26 Come ordinò, così fu fatto. Il numero degli arrestati e degli uccisi, in maniera così sommaria, era molto alto. Il popolo guardava quanto accadeva; arrestò le grida e si controllava in silenzio; vedeva con i propri occhi che la domanda di concessioni fiscali portava subito alla morte.
Libro XIX:27 Questo rafforzò sempre più la determinazione di Cherea di iniziare il complotto, porre fine a Gaio e alla sua furia brutale contro il genere umano. Più volte, in trattenimenti, si era trovato sul punto di agire, ma si arrestò calcolando le eventualità. Questa volta non ebbe più alcuna esitazione, e deciso a uccidere, continuava la ricerca del momento giusto, per non dare inizio a violenze inutili e assicurare il successo dei suoi piani.
Libro XIX:28 - 5. Il proseguimento (delle uccisioni) si arrestò per qualche tempo e Cherea era disgustato per la condotta di Gaio. Ma quando Gaio lo creò esattore delle imposte e di tutte le tasse e l'ammontare delle somme che si dovevano pagare alla tesoreria imperiale era stato raddoppiato, Cherea andava piano piano seguendo il suo criterio, più che le istruzioni di Gaio;
Libro XIX:29 perché era misericordioso e aveva pietà per le sfortune di cui il popolo era vittima a motivo dell'esazione; ciò irritava Gaio, che nella lentezza della raccolta del denaro vedeva una debolezza femminile. Perciò non solo insultava Cherea con altre villanie e ogni volta che Cherea, come ufficiale del giorno, gli domandava la parola d'ordine, Gaio gli rivolgeva termini al femminile e parole aventi connotazione oscena.
Libro XIX:30 Gaio poi non era proprio esente da tale bassa abitudine a motivo di certi misteri da lui stesso inventati. Indossava vesti femminili e inventava parrucche o acconciature femminili contraffatte; aveva poi una tale sfrontatezza da indurre anche Cherea a fare come lui.
Libro XIX:31 Ogni volta che Cherea riceveva la parola d'ordine diventava furioso, e ancora di più quando la passava perché era deriso da coloro che la ricevevano. E così i tribuni suoi colleghi lo deridevano; e ogni volta che andava da Cesare a prendere la parola per comunicarla, essi gliene preannunciavano una sul tipo delle solite dando così adito allo scherzo.
Libro XIX:32 Per questo si fece anche maggior coraggio a procurarsi compagni per la congiura, poiché, non senza motivo, era scontento di lui. Tra costoro vi era pure Pompedio, dell'ordine dei senatori, il quale era passato attraverso pressoché tutte le cariche dello Stato; c'era il fatto, però, che egli, essendo epicureo, amava una vita tranquilla.
Libro XIX:33 Questo Pompedio era accusato dal suo nemico Timidio di avere usato epiteti obbrobriosi verso Gaio. Timidio chiamò come testimone Quintilia, un'attrice che godeva anche della devozione di Pompedio e di molti altri a motivo della sua straordinaria bellezza.
Libro XIX:34 Siccome l'accusa era falsa, questa donna era indignata al pensiero di dovere portare una testimonianza che sarebbe stata fatale a quanti le volevano bene. Allora Timidio la chiamò per la tortura. Gaio, montato in furia, ordinò a Cherea di non perdere tempo e di sottoporre subito alla tortura Quintilia; egli si avvaleva dell'opera di Cherea nei casi di assassini e in altri nei quali era richiesta la tortura, perché, per non essere preso come un debole, avrebbe seguito le istruzioni.
Libro XIX:35 Allorché Quintilia fu portata alla tortura, pestò con il suo piede quello di un complice della cospirazione facendogli segno di mantenersi freddo e non avere alcuna paura mentre lei era torturata perché lei avrebbe resistito con coraggio. Cherea, malvolentieri, ma obbligato da un'autorità superiore, la torturava crudelmente; lei però non dimostrava alcuna debolezza, egli la portò sotto gli occhi di Gaio - lei si trovava in uno stato nel quale non destava alcun piacere agli occhi di chi la guardava - .
Libro XIX:36 Ma pure Gaio, nel vedere così Quintilia, si turbò; colpito dalla vista di quelle sofferenze, assolse tutti e due, lei e Pompedio, dall'accusa e le diede un regalo in denaro per consolarla e per i maltrattamenti che avevano sfigurato la sua bellezza e per gli intollerabili patimenti ai quali era stata soggetta.
Libro XIX:37 - 6. Tutto ciò crucciava profondamente Cherea, quasi fosse stato lui, per quanto era in suo potere, una causa di disgrazie a persone che non le meritavano e che persino da Gaio erano riconosciute come persone meritevoli di conforto. Allora egli si rivolse a Clemente e a Papinio, il primo era prefetto pretoriano, e l'ultimo un tribuno militare come lui:
Libro XIX:38 “Noi di certo, disse, o Clemente, non abbiamo tralasciato nulla di quanto da noi si aspettava, per la sicurezza dell'imperatore. Col nostro preavviso e con la nostra fatica abbiamo ucciso cospiratori contro il suo governo, abbiamo torturato altri, destando persino la sua commiserazione. Quanto è grande il nostro coraggio nell'esercizio del nostro servizio militare!”.
Libro XIX:39 Clemente taceva, ma il suo sguardo e il rossore del volto tradivano la vergogna che sentiva per i comandi dell'imperatore, benché per sfuggire a ogni rischio, a parole, non volesse apertamente disapprovare le sue pazzie.
Libro XIX:40 Cherea, rincuorato, iniziò a parlargli delle miserie che opprimevano la città e l'impero: da Clemente, infatti, non aveva nulla da temere;
Libro XIX:41 sebbene, nominalmente, Gaio portava la responsabilità di tali procedimenti, disse: “Per quanti cercano di investigare i fatti, siamo noi, io, o Clemente, questo Papinio e tu, più di noi due che mettiamo in atto queste torture ai Romani e a tutta l'umanità.
Libro XIX:42 Non vogliamo scaricare la responsabilità degli ordini di Gaio, ma seguendo la nostra linea di condotta, sempre che ci fosse possibile, abbiamo cercato di farlo desistere da quel suo oltraggioso modo di trattare i suoi concittadini e sudditi come è attualmente; noi operiamo come suoi agenti, sue guardie del corpo e pubblici esecutori, piuttosto che compiere il nostro dovere di soldati. Portiamo queste armi non per mantenere la libertà e il governo dei Romani, ma per salvare la vita di uno che fa schiavi i loro corpi e la loro intelligenza; insozziamo noi stessi versando il loro sangue e torturandoli ogni giorno fino a che, guardiamo bene, verrà uno che come Gaio farà a noi la stessa cosa.
Libro XIX:43 Dopo questi servizi non ci mostrerà benevolenza, al contrario ci guarderà con sospetto, tanto più che la strage fatta finora è grande. Gaio certamente non si arresterà dal suo furioso procedere, poiché non mira alla giustizia, ma al suo capriccio. Noi saremo il suo bersaglio giacché tutti noi concorriamo a rendere stabile la sua libertà e la sua sicurezza e, a nostro scapito, lo salviamo da tutti i pericoli”...
Libro XIX:44 - 7. Era evidente che Clemente approvava la soluzione di Cherea, ma gli ordinò di tacere affinché non avvenisse che, divulgandosi la notizia più del necessario e propalandosi a discorso che doveva restare segreto, fosse scoperto il complotto prima che venisse eseguito, ed essi fossero puniti. Era meglio, disse, lasciare che il tempo maturasse e lasciare ogni cosa alla speranza che arrivasse qualche soccorso inaspettato;
Libro XIX:45 “io, disse, sono impedito dall'età per simili avventure, ma fino a che mi è possibile, posso, forse, suggerirti una via più sicura di quella che tu hai progettato, Cherea, e dimmi chi te ne può suggerire un'altra più onorevole”.
Libro XIX:46 Clemente se ne tornò a casa, ripensando a quello che aveva ascoltato e a quanto egli stesso aveva detto. Cherea, da parte sua, pieno di timore, andò frettolosamente a casa sua per trovare Cornelio Sabino, anch'egli tribuno militare, ben noto come cittadino molto stimato, amante dell'indipendenza ma molto nemico del presente governo;
Libro XIX:47 intendeva mandare a effetto il suo disegno senza indugio; sebbene ritenesse opportuno sottoporlo al consiglio di qualche, altro, tuttavia era in apprensione che, per mezzo di Clemente, arrivasse ad altre orecchie sentore del piano. Oltre a questo, ben vedeva che ritardi e indugi mandavano per le lunghe l'affare.
Libro XIX:48 - 8. Anche Sabino si rallegrò nel sentire tutta la storia. Anch'egli era giunto a identica conclusione, e fu soltanto per la mancanza di una persona di fiducia con cui parlarne, che si era imposto il silenzio; era quindi pronto a unirsi agli altri. Ora aveva trovato un uomo che aderiva a lui e teneva per sé quanto gli aveva detto, ma che aveva manifestato apertamente il suo pensiero. Sabino rimase molto incoraggiato e supplicò Cherea di non indugiare oltre.
Libro XIX:49 Essi, dunque, andarono in casa di Viniciano, simile a loro nell'amore della virtù e nella devozione agli alti ideali, ma sospettoso verso Gaio a causa della morte di Lepido. Infatti Viniciano e Lepido erano stati strettissimi amici e Viniciano temeva i pericoli che da ciò potevano derivare.
Libro XIX:50 Gaio era una fonte di pericoli per quanti erano in autorità, come uno che non desiste mai dal vantare la sua demenza a ciascuno e a tutti.
Libro XIX:51 Tutti erano ugualmente consci delle vessazioni nelle quali si trovavano, e tuttavia la paura che avevano li frenava dal manifestare a tutti e apertamente i pensieri di ognuno e l'odio per Gaio. Erano reciprocamente coscienti del disgusto che avevano per Gaio e perciò a vicenda gioivano della loro amichevole relazione.
Libro XIX:52 - 9. Al loro incontro ebbe luogo un reciproco scambiarsi di cortesie. Precedentemente, quando si incontravano, solevano dare la precedenza a Viniciano, sia per la sua classe, era il più nobile dei cittadini romani, sia per l'alta reputazione di cui godeva sotto ogni aspetto, in particolare quando prendeva parte a dibattiti.
Libro XIX:53 Iniziando il discorso, domandò a Cherea che parola d'ordine aveva ricevuto; la città, infatti, mormorava sugli insulti dei quali, con la parola d'ordine, era vittima Cherea.
Libro XIX:54 E Cherea, a queste parole, si rallegrò e senza indugio ricambiò la fiducia che Viniciano gli aveva dimostrato allorché aveva preso parte a un incontro in simili condizioni e disse: “La tua parola d'ordine per me è “Libertà”, e ti sono grato della nuova energia che mi hai dato, energia più grande di quella ch'io soglio ostentare da solo.
Libro XIX:55 Non necessito di altre parole di incoraggiamento, se anche tu approvi il progetto: siamo così giunti ambedue allo stesso progetto anche prima del nostro incontro. Io ho una spada ai fianchi; e una basta per tutti e due. Su, mano all'opera.
Libro XIX:56 Guida e ordinami dove hai scelto di andare; là io mi recherò, fiducioso nel tuo aiuto e nella tua cooperazione. Non mancano armi, quando uno, nell'impresa, ci mette il cuore, poiché è il cuore che fa della spada un mezzo efficace.
Libro XIX:57 Mi sono messo in questa impresa, senza pensare che ne sarà di me stesso; non ho tempo di pensare al mio rischio. Vivo il mio tormento quando vedo il mio paese ridotto da una libertà incomparabile alla schiavitù, spogliato delle sue leggi eccellenti. Poiché, finché Gaio vive, il genere umano è colpito da un inatteso disastro.
Libro XIX:58 Possa io essere degno di affidare questa causa al tuo giudizio, giacché tu non dubiti di nutrire in cuor tuo questi stessi sentimenti”.
Libro XIX:59 - 10. Viniciano osservò bene ove andasse a parare questo discorso; gli rispose calorosamente e incoraggiò, poi, la sua audacia. In seguito lo lodò, lo abbracciò e con auguri e preghiere lo congedò.
Libro XIX:60 Alcuni ritennero esservi stata una approvazione alle loro parole, poiché all'ingresso di Cherea nel senato venne dall'assemblea una voce che lo incoraggiava a eseguire quanto erano in procinto di compiere avvalendosi di quella occasione favorevole:
Libro XIX:61 perché Cherea a prima vista temeva che per il tradimento di qualche complice venisse arrestato, ora finalmente aveva compreso che quella
(voce) intendeva incoraggiarlo e, forse, qualcuno dei congiurati volesse dargli un segno, oppure Dio, che vigila sui mortali, volesse rincuorarlo.
Libro XIX:62 La congiura era venuta a conoscenza di molti, e tutti sia i senatori sia i cavalieri, erano armati, e i soldati lo sapevano. Non v'era persona infatti che non considerasse una benedizione la morte di Gaio.
Libro XIX:63 Per questo motivo, tutti, nei limiti del possibile, si curavano per quanto stava loro, di non dimostrare meno coraggio di quanto esigeva la situazione. Col più grande fervore, con la forza, con le parole o con l'azione, tutti tendevano all'esecuzione del tiranno.
Libro XIX:64 Ebbero per compagno anche Callisto. Costui era un liberto di Gaio, l'unico uomo che fosse salito al massimo della potenza, sia per il timore che incuteva a tutti sia per la grande ricchezza che aveva ammassato.
Libro XIX:65 Il suo potere non era inferiore a quello dei tiranni: era una persona corruttibile, sprezzante di ogni diritto e nessuno poteva sfidarlo; soprattutto egli conosceva quanto fosse implacabile il temperamento di Gaio, che non cambiava mai ciò che una volta aveva deciso; egli stesso, per diversi motivi, ora si trovava in pericolo, singolarmente, per la quantità delle sue ricchezze.
Libro XIX:66 Onde, segretamente, cominciava ad accattivarsi il cuore di Claudio: trovandosi spesso al suo fianco, nella speranza che alla morte di Gaio l'impero passasse a lui, e il suo potere, rimasto inalterato, lo rendesse presso di lui meritevole degli onori che aveva prima.
Libro XIX:67 Ebbe, anzi, il coraggio di dire che, avendo avuto l'ordine di disfarsi di Claudio, aveva inventato tante scuse per differirne l'esecuzione.
Libro XIX:68 Perciò io sono dell'avviso che questa fosse una trovata di Callisto per guadagnarsi il favore di Claudio: una volta che Gaio avesse deciso di uccidere Claudio non si sarebbe fermato ai pretesti di Callisto, né Callisto, al comando di fare cosa grata al suo padrone, avrebbe frapposto indugi, ovvero, servendosi di espedienti contro il volere del suo padrone, istantaneamente avrebbe avuto il castigo.
Libro XIX:69 Io penso però che fu per qualche intervento divino che Claudio sfuggì alla furia delle mani di Gaio e Callisto pretese in tal modo di indebitarsi Claudio, senza aver fatto proprio nulla.
Libro XIX:70 - 11. Intanto, di giorno in giorno i piani di Cherea venivano deferiti per la lentezza di gran parte dei congiurati, e malvolentieri Cherea vedeva sfuggire il momento; ai suoi occhi ogni opportunità di agire era buona.
Libro XIX:71 Invero ebbe frequenti occasioni opportune quando Gaio andò in Campidoglio a offrire sacrifici per la salute della figlia; quando Gaio stava in alto sul palazzo e gettava al popolo monete d'oro e d'argento, Cherea con una spinta avrebbe potuto farlo precipitare testa in giù, poiché il tetto al di sopra della piazza era alto; così ancora avrebbe potuto ucciderlo allorché compiva i misteri che Gaio stesso aveva istituito.
Libro XIX:72 Poiché in quel periodo era indifferente a ogni cosa e tutto teso a eseguire onorevolmente quello che faceva, convinto che nessuno potesse distoglierlo. Ma se gli dèi impedivano a Gaio di incontrare la sua morte,
Libro XIX:73 egli stesso, anche senza spada, avrebbe avuto la forza di disporre di Gaio. Cherea era adirato con i suoi cospiratori, temendo che sarebbero svanite le opportunità di agire.
Libro XIX:74 Essi però vedevano che egli operava secondo le leggi e sollecitava l'impresa per il loro bene; ciò nonostante volevano che indugiasse per un po' perché, nel caso che il tentativo fallisse, avrebbero gettato la città sottosopra per la ricerca dei cospiratori, e così in futuro sarebbe stata accresciuta la guardia di Gaio e i loro sforzi sarebbero risultati vani.
Libro XIX:75 Era dunque meglio posporre l'azione all'occasione della esibizione dei giochi Palatini. Questi si tengono in onore di Cesare, che primo, aveva trasferito l'autorità dal popolo a se stesso; durante la celebrazione viene innalzata un'impalcatura di fronte al palazzo e i patrizi romani guardano insieme ai figli e alle mogli, insieme allo stesso Cesare.
Libro XIX:76 In quella occasione, quando migliaia di persone ondeggiavano in un piccolo spazio, avrebbero avuto l'opportunità di eseguire l'attacco contro di lui, mentre entrava nello steccato e la guardia del corpo non avrebbe avuto alcuna probabilità di assisterlo, seppure qualcuno avesse tentato di farlo.
Libro XIX:77 - 12. Cherea si accordò con loro e fu deciso di prendere in mano l'impresa il primo giorno degli imminenti spettacoli. Ma il loro piano, dominato dalla Fortuna, offriva una dilazione dopo l'altra. Lasciati passare i primi tre giorni prescritti per gli spettacoli, compirono l'azione nell'ultimo giorno.
Libro XIX:78 Cherea convocò i cospiratori, e disse: “I giorni passati ci hanno fatto svergognare per la nostra tardiva esecuzione di una così nobile risoluzione. Sarebbe un pensiero terribile, se qualcuno, informato della cosa, mandasse a fallimento la nostra impresa, e Gaio diventasse ancora più insolente di prima.
Libro XIX:79 Non vediamo che ogni giorno che concediamo alla tirannia di Gaio è un giorno sottratto alla libertà? Noi dovremmo, piuttosto, bandire ogni timore e gettare le basi di una eterna felicità per le future generazioni, meritarci dai posteri grande ammirazione e onori”.
Libro XIX:80 Essi non potevano negare queste parole, perché talmente giuste, né garantire di passare subito all'azione, ma se ne stavano storditi in silenzio. “Perché, prodi, siamo ancora esitanti? Non capite che oggi è l'ultimo giorno degli spettacoli e che la barca di Gaio lascia il porto?”
Libro XIX:81 (Egli aveva fatto i preparativi per salpare per Alessandria e ispezionare l'Egitto). “Ci fa onore lasciarci fuggire di mano questa macchia sul fiero registro dei Romani che egli può portare in parata trionfale per terra e per mare?
Libro XIX:82 Se qualche Egizio, insofferente dei torti fatti a persone libere, lo uccidesse, non dovremmo giustamente vergognarcene?
Libro XIX:83 Io non posso sopportare più a lungo il vostro tanto tergiversare, oggi stesso affronto i rischi accettando con cuore sereno qualunque cosa mi accadrà. Poiché un uomo coraggioso da qual maggiore sventura può essere colpito, di quella che colpirebbe, me vivente, sapere cioè Gaio ucciso da un'altra mano e io restare privo di questa gloria?”.
Libro XIX:84 – 13. Con queste parole si sentì spinto all'impresa e fece coraggio agli altri; tutti erano consumati dal desiderio di partecipare all'impresa senza ulteriori indugi.
Libro XIX:85 Sul fare del giorno Cherea si incamminò verso il Palatino con al fianco la spada equestre; tale è il costume che usano i tribuni quando si presentano all'imperatore a domandare la parola d'ordine; era, infatti, il suo giorno per andare a riceverla.
Libro XIX:86 Sul Palatino era già radunata una folla in anticipo per gli spettacoli, c'era molto strepito e affollamento. Gaio si deliziava del generale
entusiasmo e per questo motivo non vi erano posti riservati per i senatori e per i cavalieri, sicché tutti sedevano insieme, uomini e donne, liberi e schiavi.
Libro XIX:87 Quando entrò la sua processione, Gaio sacrificò a Augusto Cesare, in onore del quale era presentato lo spettacolo; avvenne che al cadere di una vittima si insanguinò la toga di Asprena, uomo di classe senatoriale; a questa vista Gaio scoppiò a ridere, ma Asprena lo interpretò come un manifesto omen (augurio) perché restò sul cadavere di Gaio.
Libro XIX:88 Si dice che in quel giorno Gaio, contrariamente alla sua abitudine, fosse affabilissimo e usasse maniere straordinariamente cortesi tanto da stupire gli astanti.
Libro XIX:89 Dopo il sacrificio ritornò a sedere al suo posto e intorno a lui si posero i suoi confidenti più ragguardevoli.
Libro XIX:90 La costruzione del teatro, che si innalzava ogni anno, era come segue. Aveva due porte, una dava direttamente all'esterno, l'altra menava a un portico con uscite ed entrate in modo che coloro che erano radunati separatamente dentro non fossero disturbati da coloro che passavano. Le entrate erano fatte della stessa impalcatura dell'edificio che aveva una parte interna che permetteva un luogo separato per gli attori, e per ogni genere di musicisti.
Libro XIX:91 Quando la folla era seduta, Cherea aveva il posto tra i tribuni non lontano da Gaio che occupava l'ala destra del teatro. Ora un certo Batibio, di classe senatore, che era stato pretore, domandò a Cluvio, un altro di classe consolare, che gli era seduto a fianco, se gli era giunta voce di una sommossa, facendo attenzione che la parola non fosse captata dai circostanti.
Libro XIX:92 Quando rispose di non avere udito alcuna indicazione di questo, “eppure, o Cluvio, il programma di oggi comprende l'assassinio di un tiranno”; Cluvio rispose: “Zitto, signore, che uno degli Achei non oda la parola!”.
Libro XIX:93 Una considerevole quantità di frutta veniva gettata sugli spettatori e un buon numero di quegli uccelli tenuti in gran pregio dai possessori per la loro rarità; e Gaio si divertiva guardando le zuffe che ne nascevano e il parapiglia che suscitava nei presenti desiderosi di prendere l'uno e l'altro.
Libro XIX:94 Qui ancora accaddero due nuovi fatti straordinari. La prima scena rappresentava la cattura e messa in croce di un capo malandrino. Lo spettacolo inoltre rappresentava la tragedia chiamata Cinira nella quale l'eroe e
sua figlia Mirra restano uccisi e una quantità di sangue artificiale veniva sparso intorno all'uomo crocifisso e intorno a Cinira.
Libro XIX:95 Si dà per certo che quello fu il giorno in cui Filippo, figlio di Aminta re dei Macedoni, fu ucciso da Pausania, uno dei suoi “Compagni” mentre entrava nel teatro.
Libro XIX:96 Gaio intanto era esitante se fermarsi in teatro sino alla fine, essendo quello l'ultimo giorno, oppure andarsene a fare il bagno, cenare e poi tornare indietro, come aveva fatto precedentemente. Viniciano che sedeva sopra Gaio, temendo che gli sfuggisse di mano l'opportunità senza avere fatto nulla, si alzò per uscire. Quando vide che Cherea lo aveva preceduto all'uscita, accelerò il passo per raggiungerlo e augurargli coraggio.
Libro XIX:97 Gaio gli tirò amichevolmente il manto e gli disse: “Dove vai, mio caro?” Viniciano riprese il suo posto, in apparenza per cortesia verso Cesare, ma la paura era il motivo più forte. Subito dopo, però, s'alzò di nuovo per partire.
Libro XIX:98 Questa volta Gaio non interferì supponendo che abbandonasse il posto per una necessità urgente. Asprena, intanto, partecipe anch'egli della congiura, suggerì a Gaio di andare a fare il bagno come era solito, cenare e poi tornare indietro. Il suo progetto era quello di vedere compiersi i piani dei cospiratori.
Libro XIX:99 - 14. Cherea, intanto, aveva disposto che ognuno stesse al suo posto come l'occasione richiedeva. Ognuno doveva rimanere e fare ogni sforzo per non abbandonare il posto. Col passare del tempo erano impazienti perché l'operazione si rimandava continuamente; era, infatti, quasi l'ora nona del giorno.
Libro XIX:100 Siccome Gaio tardava, Cherea era pronto a ritornare in teatro e finirlo sulla sua sedia. Cherea prevedeva, sicuramente, che il fatto avrebbe suscitato una carneficina tra i senatori e i cavalieri presenti. Tenendo conto anche di questa paura, era deciso a eseguirlo, convinto com'era che per la conquista della sicurezza e della libertà per tutti, bisognava contare su di una ristretta perdita di vite.
Libro XIX:101 Stava per muoversi verso il teatro, quando si diede il segnale che Gaio si era alzato per partire; allora i congiurati si alzarono e si diedero ad allontanare la calca, in apparenza perché non disturbassero Gaio, in realtà per
rendere se stessi sicuri, prima di procedere all'assassinio, allontanando chiunque fosse al suo fianco per difenderlo.
Libro XIX:102 Suo zio Claudio, Marco Vinicio, marito di sua sorella e Valerio Asiatico avevano preceduto l'uscita di Gaio: nessuno, anche volendo, avrebbe impedito la loro uscita, tanto era il rispetto dovuto alla loro dignità; seguiva l'imperatore con Paolo Arunzio.
Libro XIX:103 Ma, giunto dentro il palazzo, abbandonò la via diretta lungo la quale, da ogni lato, vi erano gli schiavi che lo servivano, sulla quale si erano diretti Claudio e i suoi;
Libro XIX:104 si incamminò, invece, su di un viottolo solitario che era una scorciatoia per i bagni, ove lui andava; desiderava vedere i ragazzi che gli erano giunti dall'Asia. Una parte gli era stata spedita perché gli cantassero gli inni dei misteri che celebrava, e altri per eseguire danze pirriche nel teatro.
Libro XIX:105 Quivi gli si fece incontro Cherea per chiedergli la parola d'ordine: Gaio gli diede una parola irrisoria, perciò Cherea, senza un momento di esitazione coprì Gaio di insulti ed, estratta la spada, gli fece una profonda ferita, ma non mortale.
Libro XIX:106 Alcuni dicono che Cherea abbia fatto così intenzionalmente, per non finire Gaio con un solo colpo e sfogare in seguito la sua grande rabbia infliggendogli poi numerose ferite.
Libro XIX:107 E’ questa un'opinione che non mi sento di condividere, perché in queste circostanze, la paura non lascia spazio per la riflessione; e qualora Cherea avesse pensato così, io crederei straordinariamente folle, un uomo che si lascia andare alla sua collera invece di trarre se stesso e i suoi compagni dal pericolo; inoltre, se non fosse morto presto, poteva essere liberato in molti altri modi; e in tal caso Cherea non avrebbe tanto calcolato la punizione di Gaio, quanto piuttosto la sua e quella dei suoi amici.
Libro XIX:108 Anche in caso di successo sarebbe stato meglio non dire nulla; sottrarsi alla collera dei vendicatori e andarsene, incerto dell'accaduto; era folle, dopo l'insuccesso, scegliere irrazionalmente il rischio della sua vita e la perdita dell'opportunità. Il campo è aperto, ognuno pensi e ragioni come gli aggrada.
La fine di Gaio
Libro XIX:109 Gaio, inebetito dal dolore per la piaga, la spada gli si era piantata tra il collo e la spalla e l'osso del collo la trattenne dal procedere oltre, non emise strida, né chiamò alcuno dei suoi amici; forse perché non poteva credere a quanto accaduto, o perché ne era rimasto stordito. Invece gemette nell'estrema agonia, urtò violentemente in avanti per fuggire.
Libro XIX:110 Ma gli si fece incontro Cornelio Sabino, che lo stava già aspettando: spinse Gaio al suolo e lo costrinse su di un ginocchio; molti allora assalirono Gaio circondandolo e con una sola parola d'incitamento lo colpirono con le spade, plaudendo e incitandosi. Tutti erano d'accordo e finalmente Aquila gli diede il colpo, indubbiamente l'ultimo e lo finì.
Libro XIX:111 Il merito di tutta l'azione si ascrive a Cherea. Egli, non v'è dubbio, ebbe molti che l'aiutarono nell'esecuzione, ma fu lui che per primo la macchinò progettando assai prima degli altri come si doveva realizzare e, coraggiosamente, per primo la ideò e ne parlò con gli altri;
Libro XIX:112 e ancora fu lui il primo che con molto coraggio discorse con gli altri di un complotto. Perciò quando i singoli individui accettarono la proposta dell'assassinio, fu lui che li radunò e, con prudenza, organizzò tutto il procedimento dell'azione. Così l'iniziativa prese il nome da lui; egli, infatti, ebbe una parte superiore a tutti gli altri.
Libro XIX:113 Inoltre la sua nobile eloquenza li conquistò, e quando il loro coraggio scemava, fu lui che li incitava all'azione. In fine, quando giunse il momento di agire, anche allora fu indubbiamente il primo a muoversi e prendere l'iniziativa del glorioso assassinio, appianando egli la via onde finire agevolmente Gaio, praticamente già morto. In conclusione, qualunque cosa abbiano compiuto gli altri, giustamente tutto è accreditato alla decisione e al valore di Cherea, e all'opera delle sue mani.
Libro XIX:114 - 15. Gaio, dunque, giunse così alla sua fine: numerose ferite gli tolsero la vita e giacque nel proprio sangue.
Libro XIX:115 Intanto Cherea e i suoi compagni, una volta sistemata la loro opera contro Gaio, videro bene l'impossibilità di uscire sani e salvi per la via dalla quale erano giunti. Da una parte con quello che avevano fatto, avevano dato l'allarme, e non era piccolo il pericolo che sovrastava gli assassini
dell'imperatore; che era onorato e amato dalla folla e i soldati, nella ricerca dell'uccisore, non si sarebbero astenuti dallo spargere sangue.
Libro XIX:116 Le vie per le quali erano venuti per compiere l'impresa, erano anguste e assediate dalla grande folla dei suoi servitori e da tutti i soldati presenti in quel giorno come guardie del corpo.
Libro XIX:117 Così presero un'altra strada e andarono alla casa di Germanico, padre di Gaio che avevano appena ucciso, contigua al palazzo di Gaio. Il palazzo, pur essendo un singolo edificio, poco alla volta era stato ampliato e ogni parte portava il nome dei membri della famiglia regnante che l'aveva costruita o aveva iniziato parte della costruzione.
Libro XIX:118 Sottrattisi alla folla, senza averne subito l'assalto, si trovarono liberi da pericoli, in quanto nulla ancora si sapeva della disgrazia avvenuta all'imperatore.
Libro XIX:119 I primi a scoprire la morte di Gaio furono i Germani. Erano la guardia del corpo dell'imperatore e portavano il nome della nazione nella quale erano stati arruolati; erano della legione dei Celti.
Libro XIX:120 Un tratto nazionale che li caratterizza è una rabbia furiosa a un grado tale che raramente si incontra in altri Barbari, perché i Germani indugiano ben poco a calcolare le conseguenze dell'azione: fisicamente gagliardi, hanno grande successo al primo attacco contro quanti considerano nemici.
Libro XIX:121 Costoro, dunque, venuti a conoscenza della morte di Gaio, ne restarono molto addolorati perché non consideravano le cose dal punto di vista dell'interesse generale, ma dal loro proprio interesse; e Gaio fra loro era molto popolare per le donazioni in moneta con le quali compensava la loro benevolenza.
Libro XIX:122 Costoro, con le spade sguainate, attraversarono il palazzo alla ricerca degli assassini di Cesare: erano diretti da Sabino, tribuno militare che aveva avuto il comando di questi uomini, non per servizi resi né per nobiltà di natale; era infatti un gladiatore, ma per la sua forza fisica.
Libro XIX:123 Asprena fu il primo che incontrarono e fu questa una buona ragione per rovistarlo da tutte le parti: era lui che aveva l'abito tutto imbrattato dal sangue delle vittime, come dissi prima, e questo presagio non pronosticava
nulla di buono. Il secondo che capitò sul loro cammino fu Norbano, nobilissimo cittadino che tra i suoi antenati annoverava molti generali.
Libro XIX:124 Siccome i Germani non dimostravano alcun riguardo alla sua dignità, egli, fortissimo come era, si scagliò contro il primo degli assalitori, gli tolse il pugnale e si vedeva chiaramente che non sarebbe morto senza vendetta; ma, accerchiato da una moltitudine di altri assalitori, soccombette alle molte ferite.
Libro XIX:125 La terza vittima fu Anteio, uno dei senatori più distinti. Egli si imbatté casualmente nei Germani, come i suoi predecessori, ma fu attratto dall'amore per lo spettacolo e per il piacere di vedere, con i propri occhi, la scena di Gaio prostrato e appagare il proprio odio verso di lui. Gaio, infatti, aveva inviato in esilio il padre di Anteio, che portava lo stesso nome; e, non contento di questo, dopo mandò un manipolo di soldati a ucciderlo.
Libro XIX:126 Così Anteio, quando lo vide, se ne rallegrò. Ma allorché lo scompiglio scosse tutto il palazzo, egli cercò di nascondersi, ma non sfuggì all'attenta ricerca dei Germani, né alla selvaggia furia con la quale squartavano e colpevoli e innocenti. Questi tre uomini morirono, dunque, così.
Pareri diversi sulla uccisione di Gaio
Libro XIX:127 - 16. Quando si diffuse nel teatro la notizia della morte di Gaio, ci fu costernazione e incredulità. Chi salutava cordialmente l'assassinio e lo avrebbe considerato a lungo come una benedizione, per la paura, rimaneva incredulo.
Libro XIX:128 Per altri la notizia era contraria alle loro aspettative, in quanto non avevano alcun desiderio che un tal fatto accadesse a Gaio; e non lo credettero perché pareva loro impossibile che un essere umano avesse tanto coraggio da uccidere Gaio.
Libro XIX:129 Tra costoro vi erano donne sciocche, fanciulli, tutti gli schiavi e alcuni dell'esercito; questi ultimi perché si trattava di mercenari, e perciò facenti parte della sua tirannia, che, adulando la sua insolenza si guadagnavano onore e vantaggio ed erano perciò il terrore dei cittadini più nobili.
Libro XIX:130 Le donne e i fanciulli, alla maniera del volgo, erano accattivati dalle sue esibizioni e dalle lotte dei gladiatori che egli presentava per il piacere
della plebe, così pure era delle porzioni di carne che distribuiva. La ragione di tali elargizioni era dare provviste alla folla, ma la verità era che la selvaggia frenesia di Gaio si cibava di queste cose.
Libro XIX:131 Gli schiavi, finalmente, lo sostenevano perché con lui si trovavano in termini familiari: disprezzati dai loro padroni, avevano trovato nel suo intervento un rifugio dal rude trattamento dei padroni; per loro, infatti, era facile avere credito quando gli davano informazioni false sui possedimenti dei loro padroni, guadagnandosi, con tali denunzie, libertà e ricchezza, dato che il beneficio stabilito per l'informatore era l'ottava parte delle proprietà (degli accusati).
Libro XIX:132 Tra i patrizi, se qualcuno dava credito alla voce, era per la preconoscenza che aveva della congiura, altri perché intensamente la desideravano, ma tutti non solo custodivano in silenzio la loro gioia ma, all'annunzio, pretendevano di non averla neppure udita.
Libro XIX:133 Alcuni, per timore che, tornate vane le loro speranze, dovessero portare la pena della troppa fretta a manifestare il proprio pensiero; altri che erano già informati di tutto, in quanto membri della congiura, si guardavano ancor più dallo scoprirsi, perché non conoscevano quanti facevano parte della congiura e temevano che qualora ne parlassero, ci fosse quello al quale faceva comodo la tirannia e sarebbero stati denunziati e puniti qualora Gaio fosse rimasto in vita.
Libro XIX:134 S'era sparsa la voce che Gaio fosse sì ferito, ma non morto, ma vivo e nelle mani dei medici.
Libro XIX:135 Non v'era persona così fidata alla quale si osasse manifestare quello che si pensava; se quell'altro era un amico di Gaio, il suo pensiero si rendeva sospetto al tiranno, se l'odiava, questa sua stessa avversione toglieva credito al suo dire - qualora Gaio fosse ancora vivo - e sarebbe stato denunziato e punito.
Libro XIX:136 Da taluni si diceva - ed era questo che bandiva ogni ottimismo dall'animo dei patrizi - che, incurante del suo pericolo e, peggio ancora, delle sue ferite, sanguinante com'era, Gaio si era rifugiato nel Foro ad arringare la folla.
Libro XIX:137 Tali erano le sciocchezze inventate da coloro che avevano deciso di lasciare campo libero alle loro lingue; l'effetto sugli uditori dipendeva dalla loro inclinazione all'una o all'altra opinione. Ciononostante, nessuno
abbandonava il suo posto temendo ognuno le accuse che sarebbero lanciate verso chi per primo se ne fosse andato; sarebbero stati giudicati colpevoli o innocenti non per l'intenzione alla quale potevano richiamarsi ma per l'intenzione che sarebbe piaciuta agli accusatori e ai giudici.
Libro XIX:138 - 17 Ma quando lo squadrone dei Germani circondò il teatro, tra gli spettatori non ci fu nessuno che non temesse per la propria vita, e ognuno, entrando, era folgorato dal raccapriccio come se, in quel punto medesimo, dovesse essere tagliato a pezzi, se ne restavano allarmati e non tentavano di muoversi, e d'altronde non ritenevano sicuro rimanere nel teatro.
Libro XIX:139 Finalmente la truppa si lanciò nel teatro e il popolo che era dentro, esplose in grida che si trasformarono in suppliche e implorazioni ai soldati; tutti si dicevano ignari di tutto, dei disegni dei ribelli, se di una ribellione si era trattato, e dei fatti presenti,
Libro XIX:140 li risparmiassero e per un misfatto di altri non castigassero degli innocenti e abbandonassero l'idea di iniziare la ricerca di coloro che avevano agito, di qualsiasi cosa si trattasse.
Libro XIX:141 Dicevano queste e altre parole piangendo, battendosi la faccia e scongiurandoli di ascoltare e pregando come loro suggeriva l'imminente pericolo; e ogni uomo parlò come ogni uomo deve parlare quando si tratta della sua vita.
Libro XIX:142 A queste parole la collera dei soldati svanì e si vergognarono della loro intenzione di attaccare gli spettatori; questa sarebbe stata una crudeltà, così riconobbero anche loro, nonostante fossero inaspriti. Prima però posero sull'altare le teste di Asprena e degli altri.
Libro XIX:143 A questa vista, gli spettatori furono addolorati sia perché erano personaggi di grande considerazione sia perché era uno spettacolo compassionevole; onde anche nel loro cuore entrò una grande paura dei pericoli presenti e il dubbio se le loro disgrazie avessero mai una fine.
Libro XIX:144 E così anche coloro che spontaneamente e a ragione odiavano Gaio, alla sua morte rimasero privi di allegria e di gioia, perché si vedevano ormai prossimi a perire come lui, non avendo più alcuna fondata speranza di sopravvivere.
Libro XIX:145 - 18. Ora Evaristo Arunzio era uno dei banditori degli incontri e perciò era dotato di una voce possente; aveva accumulato tanto denaro quanto i più ricchi dei Romani e allora, come in seguito, in città faceva quello che voleva.
Libro XIX:146 Costui si era vestito come uno che prova il più profondo dolore; perché, pur odiando Gaio come gli altri, tuttavia gli insegnamenti dati dalla paura e la strategia necessaria per assicurarsi la sopravvivenza, gli fecero dimenticare ogni piacere del momento.
Libro XIX:147 E, indossati con ogni particolare gli abiti di lutto, come per la morte della persona più onorata, entrò nel teatro ove annunziò la morte di Gaio e pose fine all'agitazione della folla dovuta alla disinformazione di quanto accaduto.
Libro XIX:148 Allora Stela Arunzio chiamò a sé i Germani e i tribuni, li esortò a deporre le spade e comunicò il completo racconto sulla morte di Gaio.
Libro XIX:149 Certamente fu questo che salvò quelli che erano radunati nel teatro e tutti coloro che in qualsiasi modo erano venuti a contatto con i Germani; perché costoro fino a quando c'era qualche speranza che Gaio respirasse, non si astenevano da alcun crimine;
Libro XIX:150 tanta era la lealtà verso di lui, che avrebbero rischiato la loro stessa vita per assicurare (la sua) dai complotti ed evitare una così grande sciagura.
Libro XIX:151 Ma alla loro furiosa vendetta, fu posto fine non appena furono informati della morte di Gaio; perché era inutile palesare la loro ardente devozione, ora che colui che li avrebbe ricompensati era morto. Ebbero paura che, qualora seguitasse la loro condotta illegale, avrebbero attratto l'attenzione del senato nel caso riuscisse a prendere il potere o dell'autorità imperiale che prendesse il controllo.
Libro XIX:152 A ogni modo fu così che i Germani, seppure con malinconica scappatoia, deposero la rabbia che li aveva invasi alla morte di Gaio.
Situazione dei congiurati
Libro XIX:153 - 19. Cherea, intanto, molto allarmato che Viniciano incontrasse i rabbiosi Germani e venisse ucciso, andava tra i soldati e li pregava
singolarmente che prendessero ogni precauzione per la salvezza di Viniciano e facessero molte ricerche per accertare se era ancora vivo.
Libro XIX:154 Nel mentre Viniciano era condotto davanti a Clemente che lo rimise in libertà; Clemente, infatti, e con lui parecchi altri senatori, testimoniava la giustizia di quanto era accaduto, il coraggio di coloro che avevano preparato i piani e li avevano eseguiti senza debolezza.
Libro XIX:155 “Perché”, diceva, “la tirannide motivata dal piacere invincibile per la violenza, ha un tempo limitato. Come vediamo, la vita del tiranno non ha una fine felice, giacché i virtuosi lo odiano;
Libro XIX:156 non solo, ma incorre in quei disastri che colpirono Gaio, il quale complottò contro se stesso prima che avesse luogo la sollevazione e l'organizzazione dell'attacco. Erano lezioni che dava a quanti non potevano sopportare le sue violazioni e per mezzo della sua abolizione della protezione legale, insegnò ai suoi più cari amici a fare guerra contro di lui. Ed ora, sebbene siano detti assassini di Gaio, in realtà egli è caduto vittima dei suoi propri disegni”.
Libro XIX:157 - 20. Ormai gli spettatori del teatro si alzavano dai loro seggi, la guardia che all'inizio era stata così crudele, era rilassata; la persona responsabile degli spettatori concesse di uscire, e così fu sollecito il medico Alcione, il quale era stato preso e portato fuori affinché avesse cura di persone ferite; egli, poi, mandò via quanti si trovavano con lui come se dovessero andare a prendere delle provviste necessarie per la cura dei pazienti, ma lo scopo reale era l'allontanamento dal pericolo che li sovrastava.
Libro XIX:158 Nel mentre si teneva un'adunanza al senato, e anche il popolo era riunito nel Foro, ove abitualmente teneva le sue assemblee: ambedue erano impegnati nella ricerca degli assassini di Gaio. Il popolo era pienamente sollecito, il senato faceva soltanto parvenza di zelo.
Libro XIX:159 Valerio Asiatico, uomo di classe consolare, presiedeva l'assemblea popolare e mentre il popolo rumoreggiava indignato che fossero ancora ignoti gli assassini dell'imperatore; e a ognuno che domandava con insistenza chi avesse commesso il fatto, rispose: “Volesse il cielo che fossi io!”.
Libro XIX:160 I consoli proposero un decreto con accuse contro Gaio e ordinarono al popolo e ai soldati di ritirarsi nei loro quartieri, dando al popolo totale assicurazione che avrebbero ricevuto qualche sussidio, e i soldati
avrebbero ricevuto delle ricompense purché mantenessero la solita disciplina e non si abbandonassero a violenze; i consoli, infatti, temevano che, inaspriti i loro animi, la città avesse da soccombere a qualche sinistro, e i cittadini si dessero a saccheggi e ruberie nei templi.
Libro XIX:161 Ora tutto il senato era convocato, in particolare coloro che avevano complottato l'assassinio di Gaio. Costoro erano pieni di fiducia e di grandi idee, e per la loro posizione elevata e pensavano che il governo ora si trovava nelle loro mani.
L'elezione di Claudio
Libro XIX:162 - II, I. - La scena politica era così quando Claudio fu improvvi-samente rapito da casa sua. I soldati, infatti, avevano tenuto un'assemblea ed esaminato che cosa si doveva fare; videro che per una democrazia era fuori questione il controllo di una così grande potenza. E anche se avesse avuto successo, non sarebbe stato per loro vantaggioso.
Libro XIX:163 D'altra parte, se un singolo individuo doveva conquistarsi l'autorità suprema, sarebbe stato comunque dannoso per loro non avere partecipato alla stabilizzazione del suo governo.
Libro XIX:164 Perciò ora che le cose erano ancora indecise, era meglio scegliere Claudio come imperatore. Era zio del defunto e tra quanti erano uniti nel senato, non v'era alcuno più eccelso di lui sia per la distinzione dei suoi antenati, sia per la sua formazione;
Libro XIX:165 e una volta elevato a imperatore, li avrebbe ricompensati con gli abituali privilegi e ripagati con donazioni. Non appena si accordarono su questi piani, li mandarono a effetto. Claudio venne dunque rapito dai soldati.
Libro XIX:166 Intanto Gneo Sanzio Saturnino, sebbene gli fosse giunta la voce del rapimento di Claudio, e, nonostante l'apparente contrarietà, in realtà aveva gradito e accettato, e andava bene per il trono, ciononostante, si alzò nel senato e per nulla intimorito, pronunciò parole di esortazione, come era giusto nel caso presente, a persone libere e nobili.
Libro XIX:167 - 2. Disse: “Per quanto possa apparire incredibile, dopo un periodo così lungo, in modo inaspettato, godiamo della dignità di essere liberi. Non possiamo dire quanto tempo questo durerà: è un argomento che sarà
precisato dagli dèi che ci concedettero questo dono; tuttavia quanto oggi abbiamo, è sufficiente per rallegrarci, e anche se ne dovremo restare privi, il fatto di possederlo è già una felicità.
Libro XIX:168 Certo alle persone che apprezzano la virtù è sufficiente vivere un'ora sola con la libertà di pensare come si vuole, in un paese che è soggetto al suo proprio senso del diritto e si regola con la costituzione sotto la quale una volta diventò uno stato fiorente.
Libro XIX:169 Per parte mia, pur non potendo ricordarmi dell'era di libertà di una volta, perché sono nato dopo quell'epoca, mi sono immerso, tuttavia, nella nostra libertà presente e considero invidiabili i nati ed educati in quell'era, e ritengo degni d'onore non meno degli dèi questi uomini che vivono qui, in questo tardo periodo, in questa nostra era, e ci hanno offerto il sapore della libertà affinché noi ne possiamo almeno conoscere il gusto.
Libro XIX:170 Anelo a che la sicurezza della nostra presente libertà duri a lungo nell'avvenire. Ma anche questo solo giorno può bastare per quelli di noi che sono giovani, mentre per quanti hanno già raggiunto la tarda età seguiti per tutta la vita: che i più anziani se ne vadano almeno con qualche esperienza della sua gioia, mentre per i giovani valga come una lezione che fu la gloria degli uomini dai quali noi proveniamo.
Libro XIX:171 Ora, dunque, godendo noi dell'ora presente, nulla ci giova più del vivere in modo virtuoso, perché solo la virtù riflette e trova il sentiero della libertà.
Libro XIX:172 Poiché gli avvenimenti passati, li conosco dalla tradizione, ma è dall'evidenza dei miei propri occhi che ho imparato con quali mali le tirannidi infestino uno stato: annullano ogni virtù, rivestono la libertà del proprio umore orgoglioso e aprono una scuola al servilismo e al terrore, in quanto lasciano il governo non in mano alla saggezza delle leggi, ma al capriccio di coloro che hanno il potere.
Libro XIX:173 Fin da quando Giulio Cesare decise di abbattere la democrazia e stravolgere il buon ordine delle leggi, sconvolse la repubblica ponendosi al posto della giustizia, e in realtà divenne uno schiavo delle sue brame e la città fu sottoposta a ogni male.
Libro XIX:174 Quelli che in seguito gli succedettero nell'impero, fecero a gara a chi più si allontanava dalle patrie usanze, e spegnevano nell'animo dei cittadini
gli spiriti generosi; erano persuasi di contribuire alla propria sicurezza, riprendendo l'uso della forza, e che non era meglio diminuire, anche di poco, la gloria di quanti credevano di eccellere nella virtù, ma decretarne la completa estinzione.
Libro XIX:175 Ma per quanto grande sia il numero dei tiranni e la cospicua intollerabile oppressione delle loro azioni, Gaio, che oggi giace, con la sua sola persona, assaliva i nostri occhi con maggiore offesa di tutti gli altri; egli scaricava il suo sdegno non solo sui suoi concittadini, ma anche su parenti e amici, poiché a tutti, in modo uguale, inflisse mali peggiori di quelli inflitti da persone ingiustamente passionali nell'esigere vendetta; si infuriava come un selvaggio ugualmente contro uomini e dèi.
Libro XIX:176 Poiché il tiranno non è soddisfatto dei più ingiusti castighi, non è pago dell'assalto alle proprietà e alle vedove: vuole arrivare fino alla totale distruzione dei suoi nemici e dell'intera loro famiglia.
Libro XIX:177 Per il tiranno, ogni uomo libero è un nemico; ed è impossibile trarre da lui sensi di umanità quantunque ci si comporti in modo pacifico e ci si occupi dei trattamenti malvagi inferti ad altri. Il tiranno, infatti, sa quanti danni abbia arrecato ad alcuni e l'inutile generosità con la quale disprezza gli sfortunati, non può tuttavia tenere nascoste le sue malvagità e solo allora si sentirà sicuro, quando riuscirà a spegnere del tutto i suoi nemici.
Libro XIX:178 Ora finalmente alleviati da tanti mali e ottenuto un governo nel quale non avete altri obblighi se non quelli reciproci - garantiti da tutte le forme di governo - al presente con la lealtà e, in futuro, con l'immunità da ogni intrigo come si conviene alla fama e prosperità di una città ben governata, il vostro dovere, ora, è di essere prudenti nelle proposte per il bene comune e fare delle controproposte qualora ve ne fosse qualcuna non di vostro gradimento.
Libro XIX:179 Ormai non v'è più pericolo nella opposizione, poiché a capo dello Stato non vi è più un despota che possa impunemente opprimere la città o fare vendetta a suo capriccio contro colui che avrà parlato francamente.
Libro XIX:180 Questa tirannia non era rinvigorita da altro all'infuori dell'indolenza, e dalla nostra mancanza di esprimerci contro gli altrui capricci.
Libro XIX:181 Abbiamo ceduto alla seduzione della pace e abbiamo imparato a vivere come prigionieri vinti. Se noi stessi subivamo irrimediabili disastri od osservavamo solamente le calamità dei nostri vicini, è stato solo il timore di
morire da onesti cittadini che ci fece essere pazienti allorché eravamo scannati con la più vile degradazione.
Libro XIX:182 Il nostro primo dovere è rendere i più alti onori a coloro che hanno eliminato il tiranno, in particolare a Cassio Cherea: poiché con l'aiuto degli dèi, quest'uomo, al di sopra di tutti, con il consiglio e con l'azione, si è dimostrato il dispensatore della nostra libertà.
Libro XIX:183 Ora che siamo liberi, è giusto che non dimentichiamo che lui, in tempo di tirannide, tracciò i piani per la nostra libertà e fu il primo a porsi a rischio con le proprie azioni; in tempo di libertà noi dobbiamo decretargli gli onori; sia questo il nostro primo atto spontaneo.
Libro XIX:184 Fu un'azione nobilissima, così diventammo uomini liberi e ricompensiamo il nostro benefattore: tale si è dimostrato quest'uomo per noi tutti. Egli non si può paragonare a Cassio e Bruto uccisori di Giulio Cesare; costoro soffiavano soltanto sul fuoco della sedizione e della guerra civile, mentre quest'uomo non solo ha ucciso il tiranno, ma ha pure liberato la città dagli orrori da lui causati”.
Libro XIX:185 - 3. Tale fu l'indirizzo di Senzio, cordialmente approvato da tutti i senatori e cavalieri presenti. A questo punto si alzò Trebellio Massimo e tolse dalla mano di Senzio l'anello che, sulla pietra, portava scolpita l'immagine di Gaio; come Trebellio supponeva, Senzio era totalmente interessato al suo discorso e ai suoi piani di azione, da non avvertirne la presenza (dell'immagine): e così l'immagine fu infranta.
Libro XIX:186 Ora, essendo notte inoltrata, Cherea domandò ai consoli la parola d'ordine ed essi risposero “Libertà”. Il fatto parve loro meraviglioso e rimasero quasi increduli.
Libro XIX:187 Poiché nell'anno centesimo dalla sottrazione della democrazia, la parola d'ordine era ridata ai consoli. Prima che la città cadesse sotto la tirannide, erano essi che avevano il comando dei soldati.
Libro XIX:188 Cherea, ricevutala, la comunicò ai soldati a lato del Senato: vi erano, in tutto, quattro coorti che alla tirannide anteponevano la libertà come più onorevole.
Libro XIX:189 Queste coorti partirono con i tribuni; e di lì a poco si ritirò anche il popolo, lieto per le speranze date e pieno di coraggio perché avevano acquisito l’autonomia e non erano più sottoposti a un padrone. Per loro Cherea era tutto.
Sorte della famiglie di Gaio
Libro XIX:190 - 4. Cherea era allarmato che sopravvivessero sia la figlia sia la moglie di Gaio e che tutta la sua famiglia non fosse partecipe della stessa rovina; poiché ognuno di costoro, lasciato vivo sarebbe stato una minaccia per la città e per le leggi. A ogni modo egli era ben determinato a mandare a effetto il compito completamente e appagare in modo totale il suo odio contro Gaio. Così inviò uno dei tribuni militari, Giulio Lupo, a uccidere la moglie e la figlia di Gaio.
Libro XIX:191 Per questa missione fu proposto Lupo perché parente di Clemente affinché, in qualche modo, divenisse complice del tirannicidio, fosse glorificato agli occhi dei cittadini, godesse della stima di persona valente e fosse considerato un confederato di coloro che per primi avevano organizzato tutta la cospirazione.
Libro XIX:192 Alcuni dei cospiratori giudicarono troppo crudele questo procedere contro la moglie di Gaio, poiché Gaio seguiva il proprio istinto, non le suggestioni di lei in tutto ciò che faceva portando la città all'esaurimento con il peso delle calamità e alla distruzione del fiore dei cittadini.
Libro XIX:193 Ma altri la accusavano di responsabilità politica che aveva prodotto tali effetti e addossavano su di lei tutto il biasimo delle malefatte di Gaio, affermavano che era stata lei a dargli un veleno opportuno per renderlo schiavo del suo pensiero, eccitandone la passione per lei e in tal modo l'aveva condotto alla pazzia; addossavano su di lei l'intero complesso di torbidi abbattutosi sulle fortune di Roma e sull'ecumene a loro soggetta.
Libro XIX:194 In fine si decise di metterla a morte perché gli oppositori, nonostante il loro zelo, furono incapaci di renderle un buon servizio: e si inviò Lupo. Da parte sua, egli, sollecito, non ritardò un istante l'esecuzione degli ordini, attento a non incorrere in alcuna censura nell'adempimento di un atto di pubblico interesse.
Libro XIX:195 Entrando nel palazzo incontrò Cesonia, moglie di Gaio, che giaceva per terra ai piedi del cadavere del marito, e priva di tutto quello che si è soliti concedere ai defunti; tutta lorda dal sangue delle ferite di lui, in uno stato
di miseria profonda, mentre la figlia si era gettata al fianco di lei. In una scena del genere, non si udiva alcuna parola a eccezione del rimprovero di lei a Gaio perché non aveva creduto alla sua predizione più volte ripetuta.
Libro XIX:196 Sull'interpretazione di queste parole, le opinioni furono divergenti: oggi le opinioni di coloro che le sentono ripetere si bilanciano, ognuno pesandole a modo suo. Alcuni ritengono che le parole significavano che lei lo aveva messo in guardia affinché desistesse dalla sua barbara pazzia verso i cittadini e li reggesse con moderazione e clemenza e non seguitasse la sua inclinazione perché sarebbe andato incontro alla propria rovina per mano loro.
Libro XIX:197 Altri ritengono che si fosse divulgata qualche voce sulla congiura dei cospiratori, e lei avesse ordinato a Gaio di farli fuori immediatamente senza alcuna remissione, anche se innocenti, in maniera da mettersi al sicuro e restare fuori da ogni rischio: questo, dicono, era il significato del rimprovero, il fatto cioè che lui si dimostrava troppo tenero nell'adempimento totale di un compito, quando lei gli aveva predetto il risultato.
Libro XIX:198 Tali erano le parole di Cesonia e tali furono i giudizi ai quali gli uomini le passarono. Quando vide che Lupo si avvicinava, lei gli indicò il corpo di Gaio e con pianti e sospiri lo invitò a farsi più vicino,
Libro XIX:199 ma quando si accorse che Lupo era ben determinato e procedeva senza alcun segno che l'azione gli fosse sgradita, lei comprese lo scopo della sua venuta, gli offrì prontamente la gola innalzando grida di orrore, come ci si può aspettare da uno la cui speranza di vita è così chiaramente perduta e ordinandogli di non differire l'atto finale del dramma da loro ordito per la caduta della famiglia reale.
Libro XIX:200 Così lei andò coraggiosamente incontro alla morte per mano di Lupo e la sua giovane figlia dopo di lei. E Lupo si affrettò per essere il primo a portare la notizia a Cherea e agli altri.
Giudizio conclusivo su Gaio
Libro XIX:201 - 5. Questa fu la fine di Gaio, dopo essere stato imperatore dei Romani per quattro anni meno quattro mesi. Già prima della successione al trono aveva dimostrato di avere un carattere sinistro, giunto in seguito all'apice della perversione: schiavo del piacere e amico della calunnia, spaventato nel pericolo e sanguinario verso coloro dei quali non aveva paura, era avido di
potere con l'unico scopo di malmenare chi non gli era gradito, magnanimo, quando gli conveniva, compiva la sua vendetta per mezzo di massacri e ingiustizie.
Libro XIX:202 Sempre sollecito di apparire e di essere giudicato superiore alla religione e alla legge, non aveva però la forza di resistere alle lodi del volgo e giudicava virtuosa ogni cosa disapprovata dalla legge e soggetta a pena.
Libro XIX:203 Dimenticava gli amici, fossero pure strettissimi e di alto rango, punendoli quando con essi si adirava ferocemente per colpe leggerissime. Considerava nemico ogni amante della virtù e pretendeva che nessuno gli fosse contrario e si opponesse a tutto ciò che gli dettava il suo capriccio.
Libro XIX:204 Aveva relazioni sessuali con sua sorella: la sua condotta era il motivo per cui l'odio dei cittadini cresceva sempre di più. Perché questo misfatto, inaudito nei tempi passati, attirò sull'autore odio e incredulità.
Libro XIX:205 Non eseguì nessuna grande opera, non si può citare neppure una fortezza che sia stata costruita da lui a beneficio sia dei contemporanei che della posterità, salvo il porto vicino a Reggio e alla Sicilia che egli progettò per ricevervi il naviglio recante il grano proveniente dall'Egitto.
Libro XIX:206 Per comune ammissione, fu veramente una grande opera e di grandissima utilità per i naviganti.
Libro XIX:207 Tuttavia non fu portata a termine ma lasciata a metà a motivo della perdita di tempo dietro a cose inutili e dello sperpero di denaro per piaceri goduti solo da lui; di qui gli venne la perdita graduale di ogni ambizione per il compimento che, senza dubbio, sarebbe stato assai più grande.
Libro XIX:208 Era per altro un valentissimo oratore, espertissimo della lingua greca e latina; sapeva come rispondere a discorsi pronunciati da altri, dopo lunga preparazione, e mostrarsi presto più persuasivo di altri, anche quando si dibattevano argomenti di grande interesse. Tutto ciò proveniva da un'attitudine naturale per cose del genere, e perché a tale attitudine aggiungeva la pratica acquisita con il continuo esercizio.
Libro XIX:209 Come pronipote di Tiberio, al quale successe, si sentì nella costrizione di dedicarsi agli studi per la singolare eccellenza che, in questi, aveva lo zio; Gaio lo seguì nell'attaccamento a una così nobile ricerca cedendo alle
esortazioni di colui che era e suo parente e suo capo supremo. Così divenne il migliore tra i cittadini suoi coetanei.
Libro XIX:210 Tutti i vantaggi derivanti da questa educazione non valsero a trattenerlo dalla corruzione che lo colpì con la sua salita al potere: tanto è dura la virtù della moderazione per coloro che possono agire senza la necessità di rendere conto ad alcuno dei fatti propri.
Libro XIX:211 A motivo della sua educazione e per la fama degli studi superiori che seguiva, da principio coltivava con cura l'amicizia di persone che erano degne di riguardo sotto ogni aspetto; ma a motivo della sua crescente insolenza, alla fine, la loro lealtà lo abbandonò e quando al suo posto crebbe l'odio, essi mirarono alla congiura che gli costò la vita.
Dagli eventi nel teatro all'acclamazione
di Claudio
Libro XIX:212 - III, I. - Come detto sopra, Claudio abbandonò la via presa da Gaio e siccome il palazzo era in tumulto per la morte di Cesare, non gli era rimasto alcun mezzo per assicurare la propria salvezza. Così si trovava tagliato fuori e nascosto in un passaggio molto angusto, sebbene non scorgesse alcun motivo di allarme al di fuori della sua nobile origine.
Libro XIX:213 Nella vita privata fu sempre modesto e soddisfatto di quello che aveva; intento agli studi, particolarmente alle lettere greche, si astenne completamente da ogni genere di azioni che gli potevano arrecare qualche disturbo.
Libro XIX:214 Ora il popolo era in rivolta e nel palazzo c'erano soldati arrabbiati e furiosi, le guardie del corpo dell'imperatore erano sconvolte dalla paura e dalla mancanza di disciplina come i civili. Questa milizia, che era il nerbo dell'esercito e si chiamava “guardia pretoriana”, era radunata a consiglio ed esaminava quale sarebbe stata la prossima mossa. I presenti si interessavano ben poco di vendicare Gaio, pensando che giustamente era andato incontro al suo destino, stavano piuttosto esaminando che piega avrebbero preso gli avvenimenti a loro vantaggio.
Libro XIX:215 Le truppe germaniche, più che a vendicarsi degli assassini, erano impegnate a soddisfare la propria ferocia, non a promuovere il bene di tutti.
Libro XIX:216 Claudio, inquieto per tutte queste cose, e allarmato per la propria salvezza, specialmente dopo aver visto lo spettacolo delle teste di Asprena e dei suoi compagni portate qua e là, se ne stava in una nicchia, alla quale si saliva con pochi gradini, facendosi piccolo più che poteva, nel buio.
Libro XIX:217 Grato, uno della guardia del palazzo, lo vide; ma non riuscendo a rappresentarselo con sufficiente chiarezza, pur essendo certo che si trattava di un uomo, si avvicinò e quando Claudio gli domandò di ritirarsi, gli saltò addosso, lo afferrò e, riconosciutolo, prese a gridare verso coloro che lo seguivano: “Qui c'è Germanico! Tiriamolo fuori e facciamolo imperatore”.
Libro XIX:218 Visto che erano pronti a tirarlo fuori e temendo che lo potessero uccidere per l'assassinio di Gaio, domandò loro di risparmiarlo ricordando che mai li aveva offesi e che non aveva avuto alcuna parte nella progettazione degli eventi in corso.
Libro XIX:219 Grato, sorridendo, lo prese per mano e gli disse: “Non parlare così vilmente per avere salva la vita, ora innalza il tuo cuore a grandi cose, all'impero; gli dèi l'hanno tolto a Gaio e dato a te, per il tuo valore, poiché intendono promuovere il benessere dell'ecumene. Vieni e accetta il trono dei tuoi antenati, trono che spetta a te”.
Libro XIX:220 Lo sostenne perché Claudio era totalmente incapace di camminare, abbattuto com'era dalla paura non meno che dalla gioia che gli aveva dato Grato.
Libro XIX:221 - 2. Allora molte guardie del corpo si affollarono attorno a Grato; e quando videro Claudio costretto a camminare in fretta, apparentemente trascinato alla punizione, salutarono con sguardi minacciosi che un uomo come quello fosse condotto al castigo, mentre egli, per tutta la vita, aveva evitato di immischiarsi nei pubblici affari e sotto il governo di Gaio aveva corso non pochi pericoli; e alcuni insistevano affinché il suo caso fosse deferito ai consoli.
Libro XIX:222 Crescendo il numero dei soldati accorsi, la folla iniziò a fuggire, ma Claudio non aveva modo di proseguire a motivo della sua debolezza fisica; e quando era stato preso erano fuggiti anche i suoi lettighieri per salvare se stessi, disperando ormai della vita del loro padrone.
Libro XIX:223 Ma giunti all'aria aperta sul Palatino, secondo la leggenda questo è il primo sito della città di Roma che ebbe un insediamento, mentre stavano per
arrivare alla Tesoreria, trovarono un gruppo di soldati ancora più numeroso sovraeccitati alla vista di Claudio e decisi a proclamarlo imperatore a motivo della popolarità di suo fratello Germanico che aveva lasciato dietro di sé una vastissima reputazione in tutti coloro che l'avevano conosciuto.
Libro XIX:224 Rifletterono sulla rapacità di potenti membri del senato e sugli errori che il senato aveva commesso prima, quando aveva il potere.
Libro XIX:225 Presero in considerazione il fatto che quando trattava gli affari pubblici il senato era inaccessibile, considerarono pure che se il governo fosse passato nuovamente nelle mani di un solo capo, avrebbero corso un rischio in quanto una persona avrebbe preso il trono da sola, quando invece era possibile che Claudio lo ricevesse su loro proposta e con il loro supporto. Allora Claudio avrebbe dimostrato il suo gradimento con un onorario adeguato a un tale servizio.
Libro XIX:226 - 3. Esposero l'un l'altro le proprie opinioni, ognuno le esaminò, infine le riportarono a ogni gruppo. Ascoltato il rapporto, accolsero volentieri l'invito all'azione. Strinsero le file attorno a Claudio, lo circondarono e si avviarono all'accampamento, e presero la sua lettiga sulle spalle affinché non venisse interposto qualche ostacolo alla loro decisione.
Libro XIX:227 La volontà del popolo e la volontà dei senatori non concordavano. Questi ultimi desideravano riconquistare il loro antico prestigio e lo bramavano ardentemente, in quanto, dopo molti anni, ora avevano l'opportunità di sfuggire alla schiavitù piombata su di loro per l'insolenza dei tiranni;
Libro XIX:228 ma il popolo era astioso verso il senato e riconosceva negli imperatori un freno all'avarizia dei senatori e un rifugio per se stesso; il popolo gioiva per il rapimento di Claudio e sperava che, posto sul trono, avrebbe allontanato quel fuoco di guerra civile che stava per accendersi come al tempo di Pompeo.
Libro XIX:229 Venuto a conoscenza che Claudio era stato portato dai soldati all'accampamento, gli mandò i personaggi più ragguardevoli perché gli facessero impressione e ottenessero che non ricorresse alla forza per ottenere l'impero; al contrario, si sarebbe sottomesso al Senato, dicevano, di cui egli era membro e sempre lo sarebbe stato, lasciando alle leggi l'organizzazione dell'impero;
Libro XIX:230 e si sarebbe ricordato degli errori compiuti dai precedenti tiranni contro lo Stato e a quali pericoli lui stesso e tutti loro erano stati sottoposti da Gaio; e siccome egli detestava la crudeltà della tirannide praticata dall'insolenza degli altri, non avrebbe voluto compiere atti temerari e indulgere ad azioni violente contro la sua patria.
Libro XIX:231 Se egli si fosse arreso ai voleri del senato e avesse seguita costantemente l'antica buona maniera di vivere, rifiutando ogni torbido, avrebbe ottenuto onori che gli sarebbero dati dai liberi cittadini, perché, comandando come vuole la legge, si sarebbe guadagnato il plauso per la sua condotta virtuosa sia come suddito sia come capo.
Libro XIX:232 Se, tuttavia, fosse temerario e la morte di Gaio non gli avesse insegnato saggezza, essi certamente non gli avrebbero permesso di agire così, erano sostenuti dalla larga maggioranza dell'esercito, erano ben forniti di armi e avevano una moltitudine di schiavi.
Libro XIX:233 La speranza e la Fortuna , sottolineavano, sono un grande aiuto, e gli dèi assecondano solo gli sforzi di coloro che lottano per vincere senza sacrificare la virtù e il bene. Questi sono coloro che combattono per la libertà della patria.
Libro XIX:234 - 4. Tale fu il messaggio consegnato dagli ambasciatori Veranio e Brocco, ambedue tribuni della plebe, i quali si prostrarono ai suoi piedi e lo supplicarono che per nessun motivo abbandonasse la città a guerre e calamità; essi avevano visto Claudio sotto la protezione di un numeroso esercito e i consoli erano come un nulla di fronte a lui.
Libro XIX:235 Ritornarono dicendo che se egli veramente voleva il trono, lo avrebbe ricevuto dal senato, come un dono; poiché lo avrebbe esercitato sotto i migliori auspici e in maniera più fortunata, qualora lo avesse ottenuto non con la violenza, ma con la buona grazia dei donatori.
Azione di Agrippa su Claudio
e per il Senato
Libro XIX:236 - IV, I. - Claudio conosceva l'ostinazione di chi aveva mandato gli ambasciatori, ma al presente era mosso dalle loro intenzioni a una grande moderazione. Tuttavia si era ripreso dalla paura e per l'azione coraggiosa dei
soldati e per il consiglio del re Agrippa di non lasciarsi cadere di mano un compito venutogli incontro spontaneamente.
Libro XIX:237 Agrippa fece per Gaio quanto si poteva aspettare da uno che da lui era stato tenuto in grande onore: lo distese su di un letto, lo coprì col materiale che aveva a portata di mano, andò dalle guardie del corpo e annunziò che Gaio era vivo ma sofferente per le gravi ferite e sarebbero giunti i medici per aiutarlo.
Libro XIX:238 Saputo dai soldati del rapimento di Claudio, Agrippa si affrettò a recarsi da lui; e trovatolo molto perplesso e sul punto di rimettersi al Senato, lo incoraggiò e lo persuase a compiere un tentativo per l'impero.
Libro XIX:239 Dopo queste parole a Claudio, Agrippa se ne tornò a casa. Convocato dal Senato, si profumò il capo con unguenti per apparire come se arrivasse da una cena interrotta improvvisamente, e, apparso davanti a loro, domandò ai senatori che cosa avesse fatto Claudio.
Libro XIX:240 Gli parlarono degli affari presenti e a loro volta gli domandarono che cosa ne pensasse di tutta la situazione. Rispose di essere pronto a morire per l'onore del Senato, ma ordinò loro di riflettere su che cosa sarebbe stato opportuno, e di mettere da parte ogni valutazione personale.
Libro XIX:241 Perché, osservò, chi intende governare lo Stato necessita di armi e di soldati per la difesa, in caso contrario, se inizia impreparato, va incontro a un errore fatale.
Libro XIX:242 I senatori risposero che quanto alle armi erano ben provvisti e che vi era il denaro necessario, che di soldati ce n'erano nelle vicinanze e, in parte, avrebbero provveduto dando la libertà agli schiavi. “Potreste avere fortuna, senatori”, rispose Agrippa, “e arrivare a quello che desiderate, ma io devo parlare con schiettezza perché le mie parole devono tornare a profitto della vostra sicurezza.
Libro XIX:243 Di certo sapete che l'esercito combatterà per Claudio e ha un lungo addestramento alle armi, mentre i nostri saranno una ciurmaglia, improvvisamente tolta dalla schiavitù e di conseguenza difficilmente controllabile.
Libro XIX:244 Combatteremo contro gente esperta, con persone che non sapranno neppure come si impugna la spada. Perciò, a mio giudizio, si ha da
mandare una deputazione da Claudio a persuaderlo a rinunciare al suo ufficio; io sono pronto a fare l'ambasciatore”.
Libro XIX:245 - 2. Piacque la sua proposta e lo mandarono insieme ad altri. Egli raccontò privatamente a Claudio la confusione del Senato e lo esortò a rispondere in modo piuttosto duro, con la dignità di uno che ha autorità.
Libro XIX:246 Claudio pertanto disse di non stupirsi che il senato non gradisse la prospettiva di sottomettersi a una autorità, poiché erano stati oppressi dalla brutalità di coloro che in precedenza tennero l'ufficio imperiale. Promise però di comportarsi con tale clemenza da fare sì che essi stessi gustassero il sapore di una condotta veramente leale, di un'era nuova; di un'era nella quale solo nominalmente il governo sarà suo, ma in realtà sarà aperto a tutti in comune; dato che egli stesso era passato per molte alterne vicende della fortuna, davanti ai loro occhi farebbero bene a fidarsi di lui.
Libro XIX:247 Conciliati da queste parole, gli ambasciatori uscirono. Claudio intanto convocò l'esercito e si rivolse ai soldati obbligandoli, sotto giuramento, a restargli fedele; premiò la guardia pretoriana con cinquemila dracme ognuno, gli ufficiali con una somma proporzionata e promise agli eserciti somme uguali, ovunque si trovassero.
Libro XIX:248 - 3. I consoli, intanto, convocarono il senato nel tempio di Giove Vincitore mentre era ancora notte. Alcuni senatori, rimasti dubbiosi, quando seppero della convocazione, si nascosero in città; altri si ritirarono nelle loro ville in attesa di come le cose sarebbero andate a finire; questi ultimi disperavano della libertà e pensavano che fosse meglio vivere fuori dei pericoli, nell'ozio e senza fatica, piuttosto che mantenere la dignità dei loro padri, e avere la sicurezza di sopravvivere.
Libro XIX:249 Nondimeno, non più di un centinaio, si radunarono; e mentre si stavano consultando sugli affari presenti, si alzò improvviso il grido dei soldati, che erano per lui, che imponeva al senato di scegliere un imperatore per non condurre l'impero alla rovina consegnandolo all'egemonia di molti.
Libro XIX:250 Il Senato rispose di essere d'accordo nell'affidare il governo non in mano di tutti, ma di un uomo singolo, però doveva vedere chi mettere in quella carica, non uno qualsiasi, ma uno che fosse degno di un compito così eminente. Così la posizione dei senatori era molto più penosa, perché non avevano conservato la libertà per loro tanto eloquente e perché avevano timore di Claudio.
Libro XIX:251 Tuttavia vi erano alcuni che aspiravano a quel trono, sia per nobiltà di natali, sia per parentela contratta da unioni matrimoniali; così Marco Vinicio lo desiderava, sia per la nobiltà dei natali, sia per avere sposato Giulia, sorella di Gaio; costui era impaziente di competere per la più alta carica, ma era trattenuto dai consoli che adducevano contro di lui un pretesto dopo l'altro.
Libro XIX:252 Lo stesso desiderio l'aveva Valerio Asiatico, ma era trattenuto da Viniciano che era stato uno degli assassini di Gaio; e ne sarebbe sorto un massacro non inferiore a nessun altro, se ai pretendenti fosse stato concesso di confrontarsi con Claudio.
Libro XIX:253 Al di sopra di tutti vi era il considerevole numero dei gladiatori, e i soldati della guardia notturna della città e i rematori della flotta che si riversavano nell'accampamento. E così dei candidati alla carica, alcuni erano esclusi per risparmiare la città, altri per reciproco timore.
Libro XIX:254 - 4. Sul primo far del giorno, Cherea e i suoi compagni uscirono per tentare di parlamentare con i soldati. La maggioranza dei soldati, non appena li videro alzare le mani per richiamare l'attenzione pronti a rivolgersi a loro, protestarono rumorosamente non permettendo loro di parlare, poiché erano tutti d'accordo di venire governata da un solo capo; di conseguenza chiesero il loro capo per il futuro; e mostrarono che non avrebbero tollerato indugi.
Libro XIX:255 Il Senato era incapace sia di governare sia di decidere in che modo dovevano essere governati. Da una parte i soldati rifiutavano il Senato, dall'altra parte gli assassini di Gaio non permettevano che si cedesse ai soldati.
Libro XIX:256 In questa situazione Cherea, non potendo frenare il suo sdegno per la richiesta dei soldati per un imperatore, promise che avrebbe dato loro un capo se qualcuno gli avesse portato la parola d'ordine da Eutico.
Libro XIX:257 Questo Eutico era l'auriga del cosiddetto “prasino”, grande favorito di Gaio; e i soldati erano stanchi perché per le scuderie dei cavalli erano stati assegnati loro delle stalle indegne.
Libro XIX:258 Questo, e molte altre cose del genere, Cherea gettava loro in faccia e ordinava di portare la testa di Claudio: poiché era mostruoso, diceva, che dopo essere stati comandati da un pazzo, passassero l'impero a uno stupido.
Libro XIX:259 I soldati non si spaventarono a queste parole, ma, tratte le spade e innalzate le insegne, andarono da Claudio per fare causa comune con quelli che gli avevano giurato fedeltà. Il senato rimase privo di sostenitori e i consoli non avevano maggiore autorità dei privati cittadini.
Libro XIX:260 Dappertutto vi fu costernazione e tristezza, perché il Senato non sapeva che parte prendere, tanto più che Claudio era irritato contro di esso: gli uni proferivano villanie contro gli altri, ed erano spiacenti per quanto avevano fatto.
Libro XIX:261 Allora Sabino, uno degli assassini di Gaio andò in mezzo a loro minacciando di uccidersi piuttosto che innalzare Claudio a capo e vedere il paese in preda a un governo di schiavi; rimproverò Cherea di viltà se dopo avere dimostrato disprezzo per Gaio, era il primo a considerare la vita come un bene quando, anche per questa via, non era possibile restaurare la libertà per la patria.
Libro XIX:262 Cherea rispondeva di non avere alcuna esitazione a morire, ma intendeva controllare le intenzioni di Claudio.
Libro XIX:263 - 5. Tale era la situazione nel Senato. Intanto da tutte le parti si correva all'accampamento per rendergli onore. Uno dei due consoli, Quinto Pomponio, era accusato specialmente dalla milizia di avere convocato il Senato per la causa della libertà; tratte le spade, si affrettarono contro di lui e lo avrebbero ucciso se non fosse intervenuto Claudio;
Libro XIX:264 il quale, liberatolo dal pericolo, lo fece sedere al suo fianco. Ma non accolse con uguale onore i senatori che accompagnavano Quinto; alcuni di essi, infatti, ebbero persino spintoni dai soldati che respinsero i loro tentativi di ottenere un'udienza con lui. Aponio si ritirò ferito, e tutti corsero dei pericoli.
Libro XIX:265 Il re Agrippa allora si avvicinò a Claudio e lo pregò di trattare meno duramente i senatori, poiché se fosse avvenuto qualche infortunio al Senato, non avrebbe avuto sudditi ai quali comandare.
Libro XIX:266 Claudio ne fu persuaso e convocò il Senato sul Palatino, ove si recò portato attraverso la città, scortato dai soldati, che trattavano la folla molto duramente.
Libro XIX:267 Quanto agli assassini di Gaio, Cherea e Sabino, ora andavano avanti più apertamente, ma le istruzioni di Pollione, che Claudio poco prima aveva scelto come prefetto pretoriano, impedirono di avanzare.
Libro XIX:268 Quando Claudio arrivò sul Palatino, invitò i suoi compagni a dare il voto sul caso di Cherea: il verdetto fu che l'impresa era stata splendida, ma l'autore fu accusato di slealtà e giudicarono corretta una punizione come deterrente per il futuro.
Libro XIX:269 Cherea, dunque, fu giustiziato e con lui Lupo e parecchi altri Romani. Si dice che Cherea abbia accolto il suo destino con molta dignità, come era evidente non solo dal suo imperturbabile comportamento, ma anche per i rimproveri che fece a Lupo che piangeva.
Libro XIX:270 Quando Lupo si tolse il vestito, prese a lamentarsi per il freddo; Cherea osservò che “il freddo non può far male al lupo”. Li seguiva una moltitudine di persone curiose di vedere lo spettacolo. Allorché Cherea giunse al luogo dell'esecuzione, domandò al soldato se aveva pratica dell'esecuzione o se quella era la prima volta che afferrava una spada, e ordinò che gli si portasse la spada con la quale egli aveva fatto fuori Gaio. Ebbe la fortuna di essere ucciso al primo colpo;
Libro XIX:271 mentre Lupo, per mancanza di coraggio, non ebbe molta fortuna nella sua fine: furono necessari parecchi colpi per troncargli il collo.
Libro XIX:272 - 6. Pochi giorni dopo, quando si offrivano i sacrifici per i morti, il popolo romano portò offerte ai suoi parenti defunti e onorarono anche Cherea con porzioni gettate tra le fiamme, pregandolo che fosse con loro benevolo e non vendicativo per la ingratitudine verso di lui. Tale fu la fine della vita di Cherea.
Libro XIX:273 Sabino, non solo fu prosciolto da Claudio ma gli fu concesso pure di mantenere il posto di prima; tuttavia gli parve cosa indegna non tenere fede ai suoi compagni cospiratori, e si uccise lasciandosi cadere sulla spada fino a tanto che l'elsa raggiunse la ferita.
Claudio e Agrippa
Libro XIX:274 - V, I. - Claudio eliminò sollecitamente l'esercito da tutti i militari che non gli davano fiducia; poi promulgò un editto col quale confermava Agrippa nel comando che gli era stato dato da Gaio, e pronunciò un panegirico
sul re. Ai domini di Agrippa aggiunse tutte le altre terre che erano state governate dal re Erode, suo nonno, cioè la Giudea e la Samaria.
Libro XIX:275 Gli restituì queste terre come un debito verso la famiglia di Erode; ma aggiunse ancora Abila, che era stata governata da Lisania e tutta la regione montagnosa del Libano, come regalo fuori dal suo territorio, in fine strinse con Agrippa un trattato in mezzo al Foro nella città di Roma.
Libro XIX:276 Privò Antioco del regno che teneva e gli diede una parte della Cilicia e Commagene; liberò inoltre Alessandro, l'alabarca, suo vecchio amico, che era stato tutore di sua madre Antonia, e Gaio, in un momento d'ira, aveva imprigionato: il figlio di Alessandro sposò Berenice, figlia di Agrippa;
Libro XIX:277 e costei, dopo la morte di Marco, figlio di Alessandro, che era stato il suo primo marito, Agrippa diede a suo fratello Erode, dopo aver chiesto a Claudio di dargli il regno di Calcide.
Intervento di Claudio nella lite tra
Giudei e Greci
Libro XIX:278 - 2. Intanto in questo tempo, nella città di Alessandria, scoppiò una grande lite tra Giudei e Greci; poiché alla morte di Gaio i Giudei - che sotto il suo governo erano stati umiliati e penosamente maltrattati dagli Alessandrini - subito si ripresero e si armarono.
Libro XIX:279 Claudio ordinò al prefetto d'Egitto di far cessare la faziosa sedizione; a ciò aggiunse un decreto che, su istanza dei re Agrippa ed Erode, mandò ad Alessandria e alla Siria, con il seguente risultato:
Libro XIX:280 “Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico col potere tribunizio, dice:
Libro XIX:281 Sapendo che da gran tempo i Giudei di Alessandria, detti Alessandrini, fin dai primissimi tempi coabitarono con gli Alessandrini e ricevettero dai re uguali diritti civili come attestano i documenti e gli editti in loro possesso;
Libro XIX:282 e dopo che Alessandria fu sottomessa da Augusto al nostro impero, i loro diritti furono mantenuti dai prefetti inviati di tempo in tempo, tali diritti non furono mai contestati dai loro successori.
Libro XIX:283 Perciò quando Aquila era ad Alessandria e morto l'etnarca dei Giudei, Augusto non vietò che continuasse la creazione di nuovi etnarchi, volendo che le varie nazioni fossero sì soggette, ma con le loro usanze, che non fossero obbligate a violare la religione dei loro padri;
Libro XIX:284 e saputo che gli Alessandrini si erano levati contro i Giudei, abitanti tra loro, nel tempo di Gaio Cesare che per la sua grande stoltezza e pazzia volle umiliare i Giudei perché rifiutavano di trasgredire la religione dei loro padri volgendosi a lui come a un dio;
Libro XIX:285 io voglio che nessuno dei diritti dei Giudei vada perso per la pazzia di Gaio, non solo, ma che siano preservati anche gli antichi privilegi, purché non si discostino dalle loro usanze; e ad ambedue le parti comando che pongano la più grande preoccupazione affinché, dopo l'affissione del mio editto, non sorga una qualsiasi agitazione”.
Libro XIX:286 - 3. Tale era il tenore dell'editto inviato ad Alessandria in favore dei Giudei; quello a tutto l'ecumene era così:
Libro XIX:287 “Claudio Cesare Augusto Germanico Pontefice Massimo col potere tribunizio, eletto console per la seconda volta, dice:
Libro XIX:288 i re Agrippa ed Erode, miei carissimi amici, avendomi chiesto che gli stessi privilegi di cui gode Alessandria siano concessi e mantenuti per tutti i Giudei sotto l'impero romano, io molto volentieri acconsento, non semplicemente per fare piacere ai richiedenti,
Libro XIX:289 ma anche perché, a mio modo di vedere, i Giudei meritano che la loro domanda sia accolta a motivo della loro lealtà e amicizia verso i Romani. In particolare, ritengo giusto che nessuna città, anche greca, sia privata di tali privilegi, tenendo conto che di fatto furono loro garantiti al tempo del divino Augusto.
Libro XIX:290 Perciò è bene che i Giudei, in tutto il mondo a noi sottoposto, custodiscano gli usi dei loro padri, senza alcuna opposizione. Sappiano però avvalersi di questa mia benevola concessione con spirito ragionevole e non deridano le credenze sugli dèi seguite da altri popoli, ma osservino le proprie leggi.
Libro XIX:291 Voglio che questo mio decreto sia trascritto dai governatori delle città, delle colonie, dei municipi in Italia e fuori d'Italia, dai re e dalle autorità per opera dei loro ambasciatori e che in non meno di trenta giorni sia posto (in un luogo) ove si possa leggere facilmente da chiunque”.
Gloriosa fine delle traversie di Agrippa
Libro XIX:292 - VI, I. - Con questi editti mandati ad Alessandria e a tutta l'ecumene, Claudio Cesare mostrò quale fosse il suo giudizio sui Giudei. Licenziò poi Agrippa e con onori più splendidi di prima, lo inviò a riprendere il regno, dandogli istruzioni scritte per i governatori delle province e per i procuratori affinché lo trattassero come un favorito speciale.
Libro XIX:293 Naturalmente, trattandosi di uomo salito a una notevole fortuna, il suo ritorno fu molto sollecito. Entrato a Gerusalemme, offrì sacrifici di ringraziamento senza trascurare cosa alcuna prescritta dalla nostra legge.
Libro XIX:294 Fece in modo che un considerevole numero di Nazirei fosse rasato; e fece appendere nel sacro recinto, sopra la camera del tesoro, la catena d'oro datagli da Gaio, di uguale peso di quella di ferro con la quale gli erano state legate le mani, quale ricordo della sua amara fortuna e testimonianza del capovolgimento in bene, di modo che potesse essere prova di tutt'e due le cose: che la grandezza qualche volta si può spezzare e che Dio solleva le fortune cadute.
Libro XIX:295 Infatti la dedicazione della catena era un simbolo che indicava a tutti come il re Agrippa per motivi di poca importanza, fosse stato messo in prigione e spogliato del suo grado e come non molto dopo fosse tratto dalle catene e innalzato a governare come re, con una gloria maggiore di prima.
Libro XIX:296 Queste cose ci portano a riflettere come sia proprio dell'umana natura che ogni grandezza sia facilmente sdrucciolevole e che l'umile torni nuovamente a risplendere.
Prime azioni di Agrippa
Libro XIX:297 - 2. Compiuti pienamente i suoi doveri verso Dio, Agrippa rimosse Teofilo, figlio di Anano, da sommo pontefice, e nel suo alto ufficio mise Simone figlio di Boeto, soprannominato Cantera. Simone aveva due fratelli e il padre Boeto; la figlia di Simone era sposata al re Erode, come ho detto sopra.
Libro XIX:298 Simone, come i suoi fratelli e suo padre, ottennero il sommo pontificato, come era avvenuto ai tre figli di Simone, figlio di Onia, sotto il governo dei Macedoni, come abbiamo riferito in precedenza.
Libro XIX:299 - 3. Dopo essersi preso cura del sommo pontefice, il re premiò gli abitanti di Gerusalemme per la loro benevolenza verso di lui, condonando loro il tributo su ogni casa, giudicando corretto ripagare con amore paterno, l'affetto dei suoi sudditi. Creò poi Sila comandante di tutto l'esercito; gli era stato compagno fedelissimo in molti pericoli.
Libro XIX:300 Dopo breve tempo, certi giovani di Dora, che anteponevano la tracotanza alla santità, e avevano un'indole naturalmente temeraria, portarono un'immagine di Cesare nella sinagoga dei Giudei, e quivi l'innalzarono.
Libro XIX:301 Il fatto esasperò fortemente Agrippa, perché equivaleva alla distruzione delle leggi dei suoi padri. Senza indugio si recò a visitare Publio Petronio, governatore della Siria e denunciò il popolo di Dora;
Libro XIX:302 e anch'egli non ne fu meno sdegnato di questa azione, perché giudicava un sacrilegio la violazione della legge; e adirato scrisse come segue ai capi di Dora.
Libro XIX:303 “Publio Petronio Augusto Germanico, legato di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, ai primi cittadini di Dora, dice:
Libro XIX:304 Poiché alcuni di voi con audacia temeraria, nonostante l'ordinanza di un editto di Claudio Cesare Augusto Germanico che concedeva ai Giudei il permesso di osservare gli usi dei loro padri, non hanno obbedito,
Libro XIX:305 ma, al contrario, hanno impedito ai Giudei di avere una sinagoga trasportando in essa un'immagine di Cesare, non solo hanno mancato contro la legge dei Giudei, ma anche contro l'imperatore, la cui immagine era meglio fosse portata nel suo tempio, piuttosto che in un altro specie poi in una sinagoga, perché la legge naturale vuole che ognuno sia signore nel suo luogo, conforme al decreto di Cesare.
Libro XIX:306 Giacché è ridicolo ch'io mi riferisca a un mio decreto, dopo avere fatto menzione dell'editto dell'imperatore che permette ai Giudei di seguire i loro propri costumi e ciò nonostante, si noti, ordini che vivano come i cittadini greci, loro compagni.
Libro XIX:307 Quanto a coloro che, sfidando il decreto di Augusto, hanno agito così presto - anche persone considerate tra i primi cittadini protestano indignate asserendo che non fu fatto perché qualcuno deliberatamente e personalmente l'abbia proposto, ma sotto l'ondata di un tumulto - io ho dato ordini che, costoro, siano condotti davanti a me per mano del centurione Proclo Vitellio affinché rendano ragione delle loro azioni.
Libro XIX:308 Ai più eccellenti dei magistrati io do questo avvertimento: se non vogliono che si creda che l'errore sia stato commesso con il loro assenso, devono indicare le persone responsabili al centurione, non trascurando alcuna occasione che conduca a risse e tumulti; a mio modo di vedere è proprio a questo che essi sperano di giungere con simili azioni.
Libro XIX:309 Poiché ambedue, il re Agrippa, mio onoratissimo amico, e io di nulla siamo più solleciti che impedire che i Giudei non colgano l'occasione e col pretesto di autodifesa, si radunino in un luogo e procedano ad azioni disperate.
Libro XIX:310 Ma affinché siate meglio informati su che cosa pensa l'Augusto a proposito di tutte queste cose, aggiungo i suoi editti pubblicati ad Alessandria. Sebbene mi sembri che siano universalmente noti, il re Agrippa, mio onoratis-simo amico, li lesse davanti al mio tribunale quando perorava la causa dei Giudei che non devono essere privati dei privilegi concessi loro da Augusto.
Libro XIX:311 Per il futuro, vi ordino di non cercare pretesti per sedizioni e turbolenze, ma che ognuno pratichi separatamente la propria religione”.
Libro XIX:312 - 4. Queste furono le precauzioni prese da Petronio per rettificare la frattura della legge che era avvenuta, e per prevenire ogni offesa simile contro di loro (i Giudei).
Libro XIX:313 Il re Agrippa privò poi Simone Cantera del sommo pontificato e propose di restituirlo a Gionata, figlio di Anano, riconoscendo che era più degno di tale onore; ma a Gionata la riassunzione di questo onore non parve opportuna e declinò con le seguenti parole:
Libro XIX:314 “Sono lieto, o re, di essere onorato da te, e cordialmente apprezzo l'alto premio che mi offri, sebbene Dio mi abbia giudicato degno in alcun modo del sommo pontificato. Sono lieto di averne indossato gli abiti una volta, ma allora avevo una disposizione più santa per prenderlo di quanto abbia al presente per riprenderlo.
Libro XIX:315 Ora se tu desideri che una persona più degna di me riceva questo onore e lo vuoi sapere da me, io ho un fratello puro da qualsiasi peccato contro Dio e contro di te, o re. Raccomando questo come adatto a tale onore”.
Libro XIX:316 Al re piacquero queste parole; rispettò il consiglio di Gionata, e diede il sommo pontificato a suo fratello Mattia. A Petronio, in seguito, successe Marso, come governatore della Siria.
Agrippa e Sila
Libro XIX:317 - VII, I. - Sila, il generale del re, gli era rimasto sempre fedele in ogni vicissitudine della fortuna, non aveva mai rifiutato di correre con lui ogni pericolo, e più volte si era sottoposto ai compiti più azzardati. Aveva piena fiducia in se stesso, perché riteneva che non ci può essere una solida amicizia senza uguaglianza.
Libro XIX:318 Quindi non riferiva mai nulla al re, ma parlava con franchezza e indipendenza in ogni conversazione, e non gli riferiva nulla. Nelle riunioni conviviali, si dimostrava pesante, decantando disordinatamente le proprie lodi e ricordando le passate sfortune del re, che gli davano l'opportunità di fare mostra della sua devozione verso di lui; e incessantemente si dilungava a riferire quante volte aveva sostenuto il re.
Libro XIX:319 Queste stucchevoli ripetizioni sembravano un rimprovero, e il re vedeva malvolentieri la illimitata libertà di quest'uomo. Poiché non è piacevole né gradita la memoria di episodi ingloriosi ed è sciocco colui che ripete incessantemente i servizi resi.
Libro XIX:320 Alla fine, Sila scatenò una decisa collera del re, il quale, assecondando più la collera che il tornaconto, non solo rimosse Sila dal comando, ma lo spedì nella sua regione e lo mise in cattività.
Libro XIX:321 Ma quando la collera sbollì, ripensò spassionatamente a tutti i travagli sostenuti da quell'uomo per amore suo. E nel giorno in cui celebrava il suo compleanno e i suoi sudditi partecipavano ad allegri banchetti, mandò a chiamare Sila con l'ordine che venisse a partecipare alla sua mensa.
Libro XIX:322 Sila era un uomo di indole troppo franca e credette di avere un motivo ragionevole per essere risentito col re e non lo nascose a quelli venuti a prenderlo, dicendo:
Libro XIX:323 “Che onore intende farmi il re con questo invito, che presto mi sarà micidiale? Non mi ha neppure concesso la ricompensa per la fedeltà che gli ho mostrato, ma in maniera capricciosa me ne ha spogliato.
Libro XIX:324 Crede che io abbia perso la mia abitudine di dire quello che penso? No, io la mantengo e dirò a gran voce ciò che ho nel cuore, dirò da quanti pericoli l'ho sottratto, quanti stenti ho sofferto per salvarlo con onore, e come ricompensa ebbi catene e carcere tenebroso.
Libro XIX:325 Queste cose non le dimenticherò mai. Forse la mia anima, quando si separerà dal mio corpo, porterà con sé il ricordo delle mie prodezze”. Pronunciate queste parole ad alta voce, ordinò ai messaggeri di ripeterle al re. Il re tuttavia, constatato che la sua malattia non aveva rimedio, decise nuovamente di lasciarlo in prigione.
Opere pubbliche di Agrippa
Libro XIX:326 - 2. Agrippa fortificò, a pubbliche spese, le mura di Gerusalemme, nel lato della Città Nuova, aumentandone sia la larghezza che l'altezza: sarebbe riuscita un'opera inespugnabile per ogni umana potenza, se Marso, governatore della Siria, per lettera non avesse informato Claudio Cesare di quello che si stava facendo.
Libro XIX:327 E Claudio, sospettando che si stesse preparando qualcosa di rivoluzionario, avvertì seriamente, con una lettera, di desistere dall'innalzare mura: e Agrippa giudicò che era meglio non disobbedire.
Carattere generoso di Agrippa
Libro XIX:328 - 3. Ora il re Agrippa aveva sortito dalla natura un'indole generosa nei regali ed era per lui un punto d'onore accattivarsi gli animi dei gentili; e con la spesa di larghissime somme si guadagnò una grande fama. Gli piaceva elargire favori, godeva della popolarità; il suo carattere non era simile a quello di Erode, il re che lo precedette.
Libro XIX:329 Costui aveva un carattere cattivo, inesorabile nella vendetta, spietato nell'agire contro le persone che odiava; in generale, come lui stesso confessava, era più favorevole ai Greci che ai Giudei. Per esempio, abbelliva le città dei forestieri dando loro denaro, costruendo bagni e teatri, in alcune erigendo templi, in altre portici; mentre non c'era una sola città dei Giudei che abbia considerata degna anche del più piccolo restauro o di alcun dono considerevole.
Libro XIX:330 Agrippa, al contrario, aveva una disposizione indulgente ed era benefico ugualmente verso tutti: era benevolo verso quelli di altre nazioni e mostrava loro la sua generosità; ma verso i suoi compatrioti era più generoso e indulgente.
Libro XIX:331 Risiedeva volentieri in Gerusalemme; vi abitò in modo costante; scrupolosamente osservava le tradizioni del suo popolo; non trascurava alcun rito di purificazione, e per lui non passava giorno senza il sacrificio prescritto.
Esempio di perdono
Libro XIX:332 - 4. E qui (a Gerusalemme) ci fu un uomo di carattere eccezionale. Nativo di Gerusalemme, di nome Simone, una fama di scrupolosa religiosità; un giorno che il re era assente in Cesarea, convocò il popolo a una pubblica assemblea ed ebbe l'audacia di denunciarlo come non santo e affermava che, correttamente, era da escludere dal tempio, poiché l'ingresso era permesso soltanto a coloro che erano ritualmente puri.
Libro XIX:333 L'ufficile comandante della città riferì, con una lettera, che Simone aveva fatto pubblicamente tali affermazioni. Perciò il re lo mandò a chiamare e, mentre sedeva al teatro, ordinò a Simone di sedere al suo fianco; poi calmo e gentile, gli domandò: “Dimmi che cosa c'è di contrario alla legge di quanto si sta facendo qui”.
Libro XIX:334 Egli, non avendo nulla da dire, domandò perdono. Perciò il re gli accordò subito la sua grazia, più presto di quanto si aspettava: infatti, considerava la clemenza un tratto regale più della collera ed era convinto che ai grandi è più confacente l'umanità che lo sdegno; e prima di licenziare Simone, gli fece un regalo.
Liberalità di Agrippa
Libro XIX:335 - 5. Eresse molti edifici in varie altre località, ma singolari furono i favori concessi al popolo di Beirut. Eresse loro un teatro che in ricchezza e bellezza sorpassava molti altri; con notevole spesa, edificò anche un anfiteatro con accanto bagni e portici: e in nessuna di queste opere permise mai che si lesinasse sulla bellezza o sulla grandiosità, benché le spese fossero molto alte.
Libro XIX:336 Fu liberale e magnifico a dismisura nella preparazione e inaugurazione: nel teatro presentò spettacoli, introdusse musiche di ogni genere e tutto quanto era opportuno alla varietà del trattenimento; e nell'anfiteatro fece mostra della sua grandezza d'animo esibendo spettacoli di molti dei gladiatori:
Libro XIX:337 in quest'ultima occasione, volendo gratificare gli spettatori schierando un grande numero di concorrenti l'uno contro l'altro, ne mise in campo settecento contro altri settecento. Tutti costoro erano malfattori messi da parte per questa impresa, così, mentre essi venivano puniti, queste feste di guerra erano fonte di divertimento in tempo di pace. In tale maniera egli portò tutti questi uomini alla quasi completa annichilazione.
Ammirazione da parte degli altri re;
rottura con il governatore
Libro XIX:338 - VIII, I. - Terminate le cerimonie anzidette a Beirut, si trasferì a Tiberiade, città della Galilea. Ora, egli era evidentemente ammirato dagli altri re. Venne a visitarlo Antioco, re di Commagene, Sampsigeramo, re di Emesa, e Coti, re dell'Armenia Minore, Polemone, signore del Ponto, Erode, fratello di Agrippa, signore di Calcide.
Libro XIX:339 A tutti fece accoglienze cortesi e fastose, dando prova di animo generoso che giustificava l'onore dimostratogli dalle visite reali.
Libro XIX:340 Ma quando ancora si intratteneva con loro, arrivò Marso, governatore della Siria. Perciò il re uscì fuori dalla città per lo spazio di sette stadi per incontrare i Romani.
Libro XIX:341 Di qui però ebbe principio la rottura con Marso: perché Agrippa aveva portato con sé nel cocchio gli altri re, che sedevano al suo fianco. Marso si insospettì di quella concordia e intima amicizia tra loro; in quanto l'accordo di uomini potenti poteva non tornare gradito ai Romani. Mandò subito via gli associati con l'ordine che ogni re se ne andasse senza indugio nella sua regione.
Libro XIX:342 Il fatto dispiacque molto ad Agrippa e di qui cominciarono i suoi dissapori con Marso. Tolse a Mattia il sommo sacerdozio e in suo luogo pose Elioneo, figlio di Cantera.
Agrippa agli spettacoli di Cesarea.
Sua morte
Libro XIX:343 - 2. Alla fine del terzo anno di regno su tutta la Giudea , Agrippa si recò nella città di Cesarea, che precedentemente si chiamava Torre di Stratone; e qui celebrò spettacoli in onore di Cesare, sapendo che erano stati istituiti come una festa per la salute di Cesare; in questa occasione aveva luogo un ampio raduno di persone che svolgevano uffici importanti o erano state promosse di grado nel regno.
Libro XIX:344 Nel secondo giorno degli spettacoli, egli andò nel teatro indossando un manto meraviglioso intessuto interamente d'argento. L'argento, illuminato dai primi raggi del sole nascente, sprigionava scintille meravigliose il cui lampeggiamento incuteva timore e paura in coloro che lo fissavano.
Libro XIX:345 Gli adulatori, da varie parti, alzarono subito voci, piuttosto di malaugurio, indirizzandosi a lui come a un dio: “Sii a noi propizio!” e, aggiungevano “finora ti abbiamo temuto come un uomo, ma d'ora in avanti concordiamo nel tenerti al di sopra di un (semplice) mortale”.
Libro XIX:346 Il re non li rimproverò e non respinse, come empia, la loro adulazione; ma di lì a poco guardò in alto e vide un gufo posarsi su una fune al di sopra della sua testa. Subito lo riconobbe come nunzio di tristi presagi, come un'altra volta lo fu di liete notizie, e sentì una fitta al cuore. Sopraggiunse anche un dolore allo stomaco che subito si diffuse dappertutto, acutissimo fin dall'i-nizio. Sussultando, prese a dire ai suoi amici:
Libro XIX:347 << Io, “il vostro dio”, ora sono costretto ad abbandonare la vita, poiché il fato respinge in modo immediato le parole bugiarde dette, or ora, da voi. Da voi sono detto immortale, ed eccomi ora condannato a morire. Io, però, debbo accettare la mia sorte come Dio vuole. In realtà non ho vissuto un'esistenza ordinaria, ma un'esistenza in grande stile, salutata come una vera benedizione”.
Libro XIX:348 Mentre pronunciava queste parole era sopraffatto da un dolore sempre più profondo. Si affrettarono quindi a trasportarlo al palazzo; e presso tutti corse voce che era sul punto di morire.
Libro XIX:349 Immediatamente il popolo, con donne e bambini, secondo la loro usanza ancestrale, sedettero vestiti di sacco supplicando Dio per il re; e ovunque risuonavano pianti e lamenti. Il re, che giaceva nella sua vasta camera da letto, guardava giù il popolo prostrato e non poté trattenere le lacrime.
Libro XIX:350 Straziato dal dolore al ventre, dopo cinque giorni morì. Aveva cinquantaquattro anni d'età e sette di regno.
Libro XIX:351 Regnò quattro anni sotto Gaio Cesare: per un triennio resse la tetrarchia di Filippo con l'aggiunta di quella di Erode nel quarto anno; regnò poi ancora tre anni sotto l'imperatore Claudio Cesare, durante i quali, oltre alla regione suddetta, ricevette pure la Giudea , la Samaria e Cesarea.
Libro XIX:352 Da tutti questi territori traeva rendite amplissime, formanti la somma di dodici milioni di dracme; molto tuttavia era quanto si era fatto imprestare a motivo della sua generosità, le sue stravaganti spese sorpassavano le entrate, e la sua ambizione non conosceva limiti.
Libro XIX:353 - 3. Mentre la folla ignorava ancora che egli aveva esalato l'ultimo respiro, Erode, signore della Calcide, ed Elcia prefetto della cavalleria e amico del re, cospirarono assieme ed entrambi, d'accordo, mandarono Aristone, il più valente dei suoi attendenti, a uccidere Sila, loro nemico, con la pretesa di avere ricevuto ordini dal re.
Libro XIX:354 - IX, I. - Così fu l'ultima scena della vita del re Agrippa. Lasciò un figlio, Agrippa che era nel suo diciassettesimo anno e tre figlie: una di queste, Berenice, di sedici anni, era sposata a Erode, fratello di suo padre, e due, Mariamme e Drusilla, rispettivamente di dieci e sei anni, erano libere;
Libro XIX:355 dal padre erano state promesse in matrimonio: Mariamme a Giulio Archelao, figlio di Elcia e Drusilla a Epifane, figlio di Antioco, re di Commagene.
Libro XIX:356 Ma quando si sparse la voce della morte di Agrippa, il popolo di Cesarea e di Sebaste, dimentico dei benefici ricevuti, si comportò in modo ostile.
Libro XIX:357 Poiché innalzò contro di lui insulti indegni di essere riferiti; e quanti allora prestavano il servizio militare, era un numero considerevole, andarono a casa loro, presero le immagini delle figlie del re, e di comune accordo le portarono in un lupanare, dove le posero sui tetti, fecero ogni sorta possibile di affronti attuando cose che sarebbe indecente riferire.
Libro XIX:358 Poi, sedutisi in luoghi pubblici, innalzarono banchetti per tutto il popolo, portavano ghirlande e si ungevano di profumi, versavano libagioni a Caronte e brindavano l'un l'altro festeggiando la morte del re.
Libro XIX:359 Non solo non rammentavano più la grandissima generosità di Agrippa, ma anche quella di suo nonno Erode, che aveva edificato la loro città, eretto il porto e i templi con molte spese.
Cuspio Fado procuratore
della Giudea
Libro XIX:360 - 2. In questo tempo, Agrippa, figlio del deceduto, si trovava a Roma ove veniva allevato alla corte di Claudio Cesare.
Libro XIX:361 Venuto a conoscenza della morte di Agrippa e degli insulti lanciati contro di lui dal popolo di Sebaste e di Cesarea, Cesare ne fu addolorato per lui e adirato per l'ingratitudine dei suoi sudditi.
Libro XIX:362 Decise subito di inviare il giovane Agrippa a prendere possesso del regno, volendo allo stesso tempo mantenere il trattato stretto con lui. Ma ne fu dissuaso da liberti e amici che avevano grande ascendente su di lui e dicevano che era rischioso lasciare un regno così importante a una persona molto giovane che non aveva ancora passato la fanciullezza, e non avrebbe potuto sostenere le necessità del governo; anche per un uomo fatto, dicevano, un regno è una grave responsabilità. E Cesare decise che i loro argomenti erano plausibili.
Libro XIX:363 Perciò mandò Cuspio Fado come procuratore della Giudea e di tutto il regno, onorando in tal modo il morto, non aprendo a Marso, che sapeva in dissapore con Agrippa, la porta della capitale del suo regno.
Libro XIX:364 Prima di ogni altra cosa, decise di intimare a Fado di biasimare il popolo di Cesarea e di Sebaste per gli insulti fatti al deceduto e per gli indecenti comportamenti tenuti verso le figlie viventi
Libro XIX:365 e trasferire nel Ponto la schiera di cavalleria composta da uomini di Cesarea e di Sebaste e le cinque coorti, affinché prestassero servizio là, e arruolare un proporzionato numero di soldati dalle legioni romane in Siria, per colmare il loro posto.
Libro XIX:366 Tuttavia le truppe non furono trasferite, come era stato ordinato, perché esse inviarono una deputazione a rappacificare Claudio, e ottennero che fossero lasciate in Giudea. Nel periodo seguente questi uomini furono fonte dei più gravi disastri per i Giudei; perché, sotto Floro, gettarono i semi che fomentarono la guerra. E questo è il motivo per cui Vespasiano, non appena salito al trono, come riferiremo, le trasferì dalla provincia.