Libro XVIII°
Censimento di Quirino
Libro XVIII:1 - I, I. - Quirino, senatore romano passato attraverso tutte le magistrature fino al consolato, persona estremamente distinta sotto ogni aspetto, giunse in Siria, inviato da Cesare affinché fosse il governatore della nazione e facesse la valutazione delle loro proprietà.
Libro XVIII:2 Anche Coponio, di ordine equestre, visitò la Giudea , fu inviato con lui per governare su di essi con piena autorità. Quirino visitò la Giudea , allora annessa alla Siria, per compiere una valutazione delle proprietà dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelao.
Libro XVIII:3 All'inizio i Giudei, sentendo parlare del censimento delle proprietà, lo accolsero come un oltraggio, gradualmente però acconsentirono, raddolciti dagli argomenti del sommo sacerdote Joazar, figlio di Boeto, a non proseguire nella loro opposizione; così quanti furono da lui convinti dichiararono, senza difficoltà, i beni di loro proprietà.
Rivolta ispirata da Giuda
Libro XVIII:4 Ma un certo Giuda, un Gaulanita della città chiamata Gamala, che aveva avuto l'aiuto di Saddoc, un fariseo, si gettò nel partito della ribellione, gridando che questo censimento ad altro non mirava che a mettere in totale servitù, e invitava la nazione a fare un tentativo di indipendenza.
Libro XVIII:5 Insistevano che in caso di successo, i Giudei avrebbero posto le fondamenta della prosperità; e qualora, invece, fallissero nella loro conquista, avrebbero guadagnato onore e rinomanza per la loro nobile aspirazione e la Divinità , d'altra parte, sarebbe stata il migliore aiuto e ne avrebbe favorito l'impresa fino al successo, tanto più se fermamente resisteranno con l'adesione del cuore e non indietreggeranno di fronte allo spargimento di sangue che potrà essere necessario.
Libro XVIII:6 E siccome la gente di buon grado accoglieva questi appelli, la congiura per l'astensione faceva seri progressi, e in tal modo questi uomini diffusero il seme di ogni genere di calamità che afflissero così tanto la nazione al punto che non vi sono parole atte a esprimerlo.
Libro XVIII:7 Quando le guerre sono scoppiate e si trovano al limite da sfuggire a ogni controllo, quando gli amici, con i quali era possibile alleviare le sofferenze, se ne sono andati, quando le scorrerie sono fatte da orde di briganti e vengono assassinate persone di grande stima, si pensa che ciò avvenga per mantenere il bene comune, ma proprio in quei casi la verità è che si tratta di vantaggi privati.
Libro XVIII:8 Costoro hanno gettato il seme dal quale sorse la lotta tra le fazioni, massacri di concittadini tra i più ragguardevoli personaggi col pretesto del riordino delle cose pubbliche, ma in fondo con la speranza di un privato guadagno. Per colpa loro ribollirono sedizioni e si sparse molto sangue civile sia per i massacri reciproci che facevano i nazionalisti fanatici desiderosi di non cedere ai loro nemici, sia per la strage che facevano dei loro avversari. Venne poi la carestia che li rese sfrenati in modo travolgente; seguirono lotte e razzie tra le città a tal punto che il santuario di Dio, in questa rivolta divenne preda del fuoco ostile.
Libro XVIII:9 Qui vi è una lezione su quanto innovazione e riforme delle tradizioni ancestrali pesino profondamente nella distruzione dell'insieme del popolo. In questo caso, certamente, Giuda e Saddoc diedero inizio tra noi a una astrusa scuola di filosofia, e quando acquistarono una quantità di ammiratori, subito riempirono il corpo politico di tumulto e vi inserirono ancora i semi di quei torbidi che in seguito lo sopraffecero; e tutto avvenne per la novità di quella filosofia finora sconosciuta che ora descrivo.
Libro XVIII:10 Il motivo per cui do questo breve resoconto è soprattutto perché lo zelo che Giuda e Saddoc ispirarono nella gioventù fu l'elemento della rovina della nostra causa.
Le quattro scuole
Libro XVIII:11 - 2. Dai tempi più remoti i Giudei hanno tre filosofie che fanno parte delle loro tradizioni; quella degli Esseni, quella dei Sadducei e in terzo
luogo quella detta dei Farisei. Certo, di esse ho parlato nel secondo libro della Guerra Giudaica, ciononostante anche qui ne farò una breve menzione.
Libro XVIII:12 - 3. I Farisei rendono semplice il loro modo di vivere non facendo alcuna concessione alla mollezza. Seguono quanto la loro dottrina ha scelto e trasmesso come buono, dando la massima importanza a quegli ordinamenti che considerano adatti e dettati per loro. Hanno rispetto e deferenza per i loro anziani, e non ardiscono contraddire le loro proposte.
Libro XVIII:13 Ritengono che ogni cosa sia governata dal Destino, ma non vietano alla volontà umana di fare quanto è in suo potere, essendo piaciuto a Dio che si realizzasse una fusione: che il volere dell’uomo, con la sua virtù e il suo vizio, fosse ammesso nella camera di consiglio del Destino.
Libro XVIII:14 Credono alla immortalità delle anime, e che sotto terra vi siano ricompense e punizioni per coloro che seguirono la virtù o il vizio: eterno castigo è la sorte delle anime cattive, mentre le anime buone ricevono un facile transito a una nuova vita.
Libro XVIII:15 Per questi (insegnamenti) hanno un reale ed estremamente autorevole influsso presso il popolo; e tutte le preghiere e i sacri riti del culto divino sono eseguiti conforme alle loro disposizioni. La pratica dei loro altissimi ideali sia nel modo di vivere sia nei ragionamenti, è l'eminente tributo che gli abitanti delle città pagano all'eccellenza dei Farisei.
Libro XVIII:16 - 4. I Sadducei ritengono che le anime periscano come i corpi. Non hanno alcun'altra osservanza all'infuori delle leggi; giudicano, infatti, un esercizio virtuoso discutere con i maestri sul sentiero dottrinale che essi seguono. Pochi sono gli uomini ai quali è stata fatta conoscere questa dottrina; e tuttavia costoro appartengono alla classe più alta.
Libro XVIII:17 Essi non compiono praticamente nulla (di loro autorità), poiché allorché assumono un ufficio, involontariamente e per forza, lo sottopongono, loro malgrado, a quanto dicono i Farisei; perché in altra maniera non sarebbero tollerati (dal popolo).
Libro XVIII:18 - 5. La dottrina degli Esseni è di lasciare ogni cosa nelle mani di Dio. Considerano l'anima immortale e credono di dovere lottare soprattutto per avvicinarsi alla giustizia.
Libro XVIII:19 Mandano offerte al tempio, ma compiono i loro sacrifici seguendo un rituale di purificazione diverso. Per questo motivo sono allontanati dai recinti del tempio frequentati da tutto il popolo e compiono i loro sacrifici da soli. Per il resto, sono uomini eccellenti che si dedicano unicamente all'agricoltura.
Libro XVIII:20 Sono ammirati da tutti per quella loro giustizia che mai fu trovata tra i Greci o tra i Barbari, neppure per breve tempo, mentre per loro è una pratica costante e mai interrotta, avendola adottata da tempi antichi. Perciò mantengono i loro averi in comune sia chi è ricco più degli altri, sia colui che non possiede nulla. Le persone che praticano questo genere di vita sono più di quattromila.
Libro XVIII:21 Costoro né introducono mogli nella comunità, né tengono schiavi, poiché ritengono che la pratica di quest'ultima abitudine favorisca l'ingiustizia e ritengono che la prima sia fonte di discordia. Essi invece vivono da soli e svolgono scambievolmente i servizi l'uno dell'altro.
Libro XVIII:22 Alzando le mani eleggono uomini onesti che ricevano le loro rendite e i prodotti della terra, e i sacerdoti per preparare pane e altro cibo. Il loro genere di vita non è diverso da quello dei cosiddetti Ctisti tra i Daci, ma chiuso il più possibile.
Libro XVIII:23 - 6. Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia. Questa scuola concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone. Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di chiamare un uomo “padrone”.
Libro XVIII:24 Ma la maggioranza del popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione in tali circostanze, che posso procedere oltre la narrazione. Perché non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione possa minimizzare l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene.
Libro XVIII:25 Questa frenesia iniziò ad affliggere la nazione dopo che il governatore Gessio Floro con le sue smisurate prepotenze e illegalità provocò una disperata ribellione contro i Romani. Tale è il numero delle scuole filosofiche tra i Giudei.
Governatori e sommi sacerdoti
Libro XVIII:26 - II, I. Quirino vendette i beni di Archelao, e nello stesso tempo ebbero luogo le registrazioni delle proprietà che avvennero nel trentasettesimo anno dalla disfatta di Azio, inflitta da Cesare ad Antonio. Essendo il sommo sacerdote Joazar sopraffatto da una sedizione popolare, Quirino gli tolse la dignità del suo ufficio e costituì sommo sacerdote Anano, figlio di Seth. (Anano: è il sommo sacerdote Anna che tenne il sommo sacerdozio dal 6 al 15 d. C., furono lui e Giuseppe, soprannominato Caifa, suo genero e sommo sacerdote dal 18 al 36 circa d. C. ad avere tanta parte nel tribunale che condannò Gesù. Dall'autorevole famiglia di Anna uscirono cinque sommi sacerdoti e fu in seguito annientata dagli Zeloti).
Libro XVIII:27 Intanto Erode e Filippo ebbero ognuno il possesso della propria tetrarchia; Erode fortificò Sefori, la eresse come ornamento di tutta la Galilea e la chiamò Autocratore, circondò di mura anche un altra città, Betarampta, che chiamò Giulia dal nome della moglie dell’imperatore.
Libro XVIII:28 Anche Filippo ingrandì Panea, la città vicino alle fonti del Giordano e la chiamò Cesarea; e la zona di Bethsaida sul lago di Genezareth la eresse al grado di città aumentandone gli abitanti e irrobustendone le fortificazioni; e la chiamò Giulia dal nome della figlia di Cesare.
Successione di eventi
Libro XVIII:29 - 2. Durante il periodo nel quale Coponio aveva l'amministra-zione degli affari della Giudea che, come ho detto, fu sostituito da Quirino, accadde l'evento che sto per riferire. Nella festa degli Azzimi che noi chiamiamo Pasqua, i sacerdoti sogliono aprire i portoni del tempio dopo mezzanotte.
Libro XVIII:30 Allora, dunque, non appena i portoni furono aperti, alcuni Samaritani, che di nascosto erano entrati in Gerusalemme, iniziarono a spargere ossa umane sotto i portici e dappertutto nel tempio. Di conseguenza i sacerdoti, sebbene non avessero mai compiuto una cosa del genere, esclusero tutti dal tempio, in attesa di prendere altre misure per una maggiore protezione del tempio.
Libro XVIII:31 Dopo breve tempo, Coponio ritornò a Roma. Nell'ufficio gli succedette Marco Ambivolo; durante la sua amministrazione morì Salome,
sorella del re Erode. Lei lasciò Giulia erede di Jamnia, del suo territorio, così anche di Fasaele, sulla pianura e di Archelaide ove si trova una grande piantagione di palme i cui datteri sono di eccellente qualità.
Libro XVIII:32 Il successore di Ambivolo fu Annio Rufo, la cui amministrazione fu segnata dalla morte di Cesare, secondo imperatore dei Romani che governò cinquantasette anni, sei mesi e due giorni: per quattordici tenne l'autorità con Antonio; morì che aveva settantasette anni.
Libro XVIII:33 Dopo Cesare, salì sul trono Tiberio Nerone, figlio di sua moglie Giulia; egli inviò Valerio Grato a succedere ad Annio Rufo quale governatore sui Giudei.
Libro XVIII:34 Grato depose Anano dal suo sacro ufficio e proclamò sommo sacerdote Ismaele, figlio di Fabi; dopo un anno lo depose e, in sua vece, designò Eleazaro, figlio del sommo sacerdote Anano. Dopo un anno depose anche lui e all'ufficio di sommo sacerdote designò Simone, figlio di Camitho.
Libro XVIII:35 L'ultimo menzionato tenne questa funzione per non più di un anno e gli successe Giuseppe, che fu chiamato Caifa. Dopo questi atti Grato si ritirò a Roma dopo essere stato in Giudea per undici anni. Venne come suo successore Ponzio Pilato.
La città di Tiberiade
Libro XVIII:36 - 3. Il tetrarca Erode aveva conquistato un posto così eminente tra gli amici di Tiberio che nella più bella regione della Galilea, sulla riva del lago di Genezareth, edificò una città alla quale diede il nome di Tiberia; non lungi da essa, in un paese detto Ammato, vi è una sorgente di acqua calda.
Libro XVIII:37 I nuovi abitanti erano gente promiscua, un contingente non piccolo era galileo; con costoro vi erano altri tratti dal territorio a lui soggetto e portati a forza alla nuova fondazione; alcuni di costoro erano magistrati. Erode accolse tra i partecipanti anche povera gente che era portata a unirsi agli altri, qualunque fosse la loro origine; vi era pure il dubbio se fossero veramente liberi;
Libro XVIII:38 ma costoro spesso e con larghezza li beneficava (imponendo loro la condizione di non abbandonare la città), li gratificava di case, a sue spese, con l'aggiunta anche di nuove donazioni in terreni. Egli sapeva che questo era un insediamento contrario alla legge e alla tradizione dei Giudei perché Tiberia era
stata costruita su di un sito cimiteriale spianato, e qualche sepolcro era ancora là. La nostra legge dice che chi abita tali insediamenti è impuro per sette giorni.
Regno dei Parti
Libro XVIII:39 - 4. Nell'intervallo ebbe luogo la morte di Fraate, re dei Parti. Fu vittima di una sedizione tesagli da Fraatace, suo figlio; il motivo sorse nelle seguenti circostanze.
Libro XVIII:40 Fraate, che aveva già figli legittimi, si innamorò di una giovane schiava italiana di nome Tesmusa che gli era stata mandata, con altri regali, da Giulio Cesare. Sull'inizio la trattava come concubina, ma era talmente affascinato dalla grande avvenenza di lei, del suo viso e del suo aspetto che da lei ebbe un figlio, Fraatace; dopo tale evento la dichiarò sua regale consorte e come tale l'onorò.
Libro XVIII:41 Quando lei giunse al punto in cui il re le concedeva ogni cosa, decise di fare di tutto perché suo figlio regnasse sui Parti. Ma comprese che questo poteva avvenire soltanto se prima trovava il modo di allontanare i figli legittimi di Fraate;
Libro XVIII:42 così lei lo persuase a mandare i figli legittimi a Roma come ostaggi. Fraate non seppe opporsi al volere di Tesmusa. Ma Fraatace, benché solo e senza rivali e fosse allevato per il regno, riteneva troppo lungo e gravoso aspettare il diadema dalle mani del padre. Così congiurò contro suo padre con l'aiuto della madre con la quale, si dice, avesse relazioni sessuali.
Libro XVIII:43 Era odiato per il doppio misfatto, per il parricidio e per il non meno abominevole incesto con la madre, sicché prima di assumere il potere fu catturato in una guerra civile, bandito dal trono e così morì.
Libro XVIII:44 I Parti appartenenti, per nascita, alla classe superiore erano unanimi nel ritenere che non era possibile alcuna forma di governo fuorché quella monarchica e che era quindi necessario che il trono fosse mantenuto nella linea degli Arsacidi, in quanto l'usanza non permetteva il governo di altri. Ma adesso ne avevano abbastanza dell’improvvisa degradazione alla quale era stato sottoposto il trono col matrimonio con la concubina italiana e con la sua discendenza. Gli anziani, dunque, inviarono un'ambasciata a offrire il trono a Orode che, sebbene il popolo non lo guardasse con buon occhio, tra l'altro per il
motivo che aveva qualche responsabilità per atti di estrema crudeltà, essendo un uomo aspro e dedito all'ira, era pur sempre di questa famiglia.
Libro XVIII:45 Tuttavia, secondo una versione, fu ucciso in una congiura tra tazze e vivande, poiché è tradizione che a raduni del genere ognuno portasse sempre il pugnale; ma secondo la voce comune fu adescato durante una partita di caccia.
Libro XVIII:46 Quando l'ambasciata giunse a Roma chiese uno degli ostaggi per loro re; fu scelto Vonone a preferenza dei suoi fratelli; e si mandò lui. In quanto egli parve degno della fortuna che gli offrivano i due più grandi imperi sotto il sole, uno il loro e l'altro straniero.
Libro XVIII:47 Ma un veloce rovescio di sentimenti intaccò i Barbari, che sono di indole disdegnosa, quando videro l'indegnità che dovevano inghiottire; poiché non volevano tollerare l'obbedienza a uno che era stato schiavo di un forestiero, termine che usavano in luogo di ostaggio, non vollero quindi sopportare l'obbrobrio trasmesso dall'epiteto. Poiché, dicevano, non era stato dato ai Parti come re per un verdetto di guerra, ma, molto peggio, in tempo di pace con un'offesa alla loro dignità.
Libro XVIII:48 Subito mandarono ad Artabano re della Media, della famiglia degli Arsacidi. Artabano accettò l'invito senza indugio e partì con un esercito. Vonone andò a incontrarlo; e dato che la maggioranza dei Parti era leale verso Vonone, sulle prime, ebbe la vittoria in battaglia e Artabano fuggì verso i confini della Media.
Libro XVIII:49 Ma non passò molto tempo prima che Artabano, con un nuovo esercito, affrontò Vonone e lo vinse. Vonone con pochi dei suoi a cavallo, si raccolse in Seleucia. Artabano, che per intimorire i Barbari, durante la ritirata, ne fece una carneficina, con la maggior parte della sua truppa si ritirò a Ctesifonte. E Artabano regnò sui Parti, mentre Vonone scappò nell'Armenia.
Libro XVIII:50 Dapprima il disegno di Vonone era di appropriarsi di quel territorio, e così mandò un'ambasciata ai Romani.
Libro XVIII:51 Ma siccome Tiberio non si degnò di ascoltarlo, parte perché Vonone era uomo infingardo, parte per le minacce del re dei Parti che aveva contattato la sua ambasciata e gli intimava la guerra, respinse la domanda. Non avendo alcun mezzo per assicurarsi il trono, perché gli abitanti lungo il Nifate che erano i popoli più valorosi dell'Armenia, si erano uniti ad Artabano,
Libro XVIII:52 Vonone si consegnò a Silano governatore della Siria; Vonone restò rifugiato in Siria per deferenza alla sua educazione in Roma. Artabano diede l'Armenia a Orode, uno dei suoi figli.
Libro XVIII:53 - 5. Quando morì Antioco, re di Commagene, sorse un conflitto tra il popolo e gli uomini eminenti. Ambedue le fazioni inviarono ambasciate a Roma per chiedere grandi cambiamenti di governo: gli uomini eminenti volevano che il regno fosse impostato come provincia romana; mentre la massa era per la tradizione monarchica degli antenati.
Libro XVIII:54 Il senato concluse che fosse inviato Germanico a mettere ordine tra gli affari d'Oriente. Ma la Fortuna ne andava preparando la rovina. Poiché, arrivato in Oriente e ordinato che ebbe ogni cosa, fu ucciso col veleno per opera di Pisone, come hanno spiegato altri scrittori.
Pilato e i busti dell'imperatore
a Gerusalemme
Libro XVIII:55 - III, I. - Pilato, governatore della Giudea, quando trasse l'esercito da Cesarea e lo mandò ai quartieri d'inverno di Gerusalemme, compì un passo audace in sovversione delle pratiche giudaiche, introducendo in città i busti degli imperatori che erano attaccati agli stendardi militari, poiché la nostra legge vieta di fare immagini.
Libro XVIII:56 E’ per questa ragione che i precedenti procuratori, quando entravano in città, usavano stendardi che non avevano ornamenti. Pilato fu il primo a introdurre immagini in Gerusalemme e le pose in alto, facendo ciò senza che il popolo ne avesse conoscenza, avendo compiuto l'ingresso di notte;
Libro XVIII:57 quando il popolo ne venne a conoscenza una moltitudine si recò a Cesarea e per molti giorni lo supplicò di trasferire le immagini altrove. Ma egli rifiutò, in quanto, così facendo, avrebbe compiuto un oltraggio contro l'imperatore; e seguitando a supplicarlo, nel sesto giorno armò e dispose le truppe in posizione, ed egli stesso andò sulla tribuna. Questa era stata costruita nello stadio per dissimulare la presenza dell'esercito che era in attesa.
Libro XVIII:58 Quando i Giudei incominciarono a rinnovare la supplica, a un segnale convenuto, li fece accerchiare dai soldati minacciando di punirli subito di morte qualora non ponessero fine al tumulto e ritornassero ai loro posti.
Libro XVIII:59 Quelli allora si gettarono bocconi, si denudarono il collo e protestarono che avrebbero di buon grado salutato la morte piuttosto che trascurare le ordinanze delle loro leggi. Pilato, stupito dalla forza della loro devozione alle leggi, senza indugio trasferì le immagini da Gerusalemme e le fece riportare a Cesarea.
Canalizzazione dell'acqua per
Gerusalemme
Libro XVIII:60 - 2. Egli poi prese dal sacro tesoro il denaro per la costruzione di un acquedotto per condurre l'acqua a Gerusalemme allacciandosi alla sorgente di un corso d'acqua distante di là ben duecento stadi. I Giudei però non aderirono alle operazioni richieste da questo lavoro e, raccoltisi insieme in molte migliaia, con schiamazzi gli intimavano di desistere da questa impresa. Taluni di costoro, urlavano insulti, ingiurie e villanie come suole fare l'adunanza di una folla.
Libro XVIII:61 Egli allora collocò un buon numero di soldati in abiti giudaici sotto i quali ognuno portava il pugnale, e li inviò a circondare i Giudei con l'ordine che si trattenessero. Quando i Giudei erano in un pieno torrente di villanie, diede ai soldati un segnale convenuto
Libro XVIII:62 ed essi li colpirono molto più di quanto ordinato da Pilato, colpendo ugualmente sia i tumultuanti sia i non tumultuanti; ma i Giudei non calmarono la loro fierezza, e così, colti disarmati com'erano, da uomini preparati all'attacco, molti rimasero ammazzati sul posto, mentre altri si salvarono con la fuga. Così terminò la sommossa.
Testimonium Flavianum
Libro XVIII:63 - 3. Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo.
Libro XVIII:64 Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose
meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani.
Paolina e i suoi amanti
Libro XVIII:65 - 4. Nello stesso periodo un altro orribile evento gettò lo scompiglio tra i Giudei e contemporaneamente avvennero azioni di natura scandalosa in connessione al tempio di Iside in Roma. Prima farò parola dell’eccesso dei seguaci di Iside, tornerò poi in seguito alle cose avvenute ai Giudei.
Libro XVIII:66 C'era una signora Paolina che, siccome discendeva da un nobile romano e siccome la sua pratica della virtù era tenuta in alta considerazione, godeva ancora del prestigio della ricchezza, aveva avvenenti fattezze ed era nell'età in cui le donne sono molto esuberanti e aveva indirizzato la propria vita a una buona condotta. Era sposata a Saturnino, uomo sotto ogni aspetto degnissimo della reputazione di lei.
Libro XVIII:67 Decio Mundo, persona distinta dell’ordine equestre, si invaghì di lei. Ma, siccome non era donna che si lasciasse vincere da donativi, anzi non si curava dei moltissimi doni che le aveva mandato, in lui crebbe sempre più la passione fino a prometterle duecento dracme attiche purché per una sola volta potesse condividere il letto di lei.
Libro XVIII:68 Ma ella non si piegò neppure a tanto, ed egli, non reggendo alla propria passione non corrisposta, pensò che era meglio finire la vita d'inedia, a motivo del male che lei gli faceva soffrire. Egli, dunque, si condannò a una morte del genere ed era in procinto di risolversi così.
Libro XVIII:69 Tuttavia Mundo aveva una donna libera di nome Ida, esperta in ogni genere di malvagità, che era stata emancipata da suo padre; lei non sopportava che il giovane avesse deciso di morire, perché era ovvio quello che lui voleva; andò da lui per consolarlo e dargli buone speranze promettendogli che lei sarebbe riuscita a fare sì che avesse successo nelle relazioni intime con Paolina.
Libro XVIII:70 Dopo che egli accolse con gioia l'opportunità, lei disse che le abbisognavano non meno di cinquantamila dracme per assicurarsi la donna. Le proposte incoraggiarono il giovane e lei ricevette la somma richiesta; ma la donna si avvide poi che quella signora non si poteva prendere con i denari e così
non si attenne alla strada che aveva concertato. Conoscendo la grande devozione che aveva verso Iside, Ida macchinò un altro stratagemma.
Libro XVIII:71 Ebbe un incontro con alcuni sacerdoti, promise loro la sicurezza e soprattutto diede subito venticinquemila dracme, ne promise altre venticinquemila una volta riuscito l'inganno; palesò loro la passione del giovane, incoraggiandoli a tentare ogni mezzo affinché il giovane rimanesse soddisfatto.
Libro XVIII:72 Colpiti e abbagliati dall'oro, essi lo promisero. Il più anziano di loro andò in fretta da Paolina: introdotto, domandò un'udienza segreta e, ottenutala, le disse di essere inviato dal dio Anubi; dio che si era innamorato di lei e voleva che andasse da lui. L'annunzio era quanto di meglio lei desiderasse.
Libro XVIII:73 Non solo lei si vantò con le signore sue amiche di tale invito di Anubi, ma comunicò a suo marito l'invito a cena e la comunione del letto con Anubi; ed egli acconsentì ben conoscendo quanto sua moglie fosse una donna pudica.
Libro XVIII:74 Andò al tempio. Dopo la cena, quando giunse il tempo per dormire, le porte del tempio furono chiuse dai sacerdoti e le lampade vennero spente. Mundo, che fino allora era stato nascosto, non fu respinto e ottenne la comunione con lei. Fu il servizio di una lunga notte avvenuta con la credenza che egli fosse il dio.
Libro XVIII:75 Lui se ne andò via prima che si muovessero i sacerdoti non consapevoli dell’inganno. Paolina, tornata per tempo a casa, narrò al marito l'apparizione di Anubi, e con le signore sue amiche ingrandì e si vantò del fatto.
Libro XVIII:76 Quelli che udivano, considerata la cosa in se stessa, restavano increduli; tuttavia, d'altra parte, valutata la pudicizia e la posizione sociale della donna, restavano stupiti.
Libro XVIII:77 Due giorni dopo il fatto, Mundo l'incontrò e le disse: “Paolina, tu mi hai fatto risparmiare duecentomila dracme, che avresti potuto aggiungere ai tuoi averi, e hai ancora portato alla perfezione il servizio che io desideravo compiere. Quanto alla tua voglia di burlare Mundo, io non mi interesso dei nomi, tuttavia per il piacere che mi è derivato dall'atto, ho adottato il nome di Anubi”. E con queste parole se ne andò.
Libro XVIII:78 Essa aprì finalmente gli occhi per conoscere la vile azione compiuta, si stracciò le vesti, manifestò al marito l'enormità della sua azione, e lo
supplicò di acconsentire a rimediare. Egli portò la cosa a conoscenza dell’imperatore.
Libro XVIII:79 Quando Tiberio accertò ogni cosa per mezzo dei sacerdoti, li fece crocifiggere tutti e due, loro e Ida, poiché questa era all'origine dell’azione diabolica ed era stata lei ad architettare tutto il complotto contro l'onore di una matrona. Indi abbatté il tempio e ordinò che la statua di Isis fosse gettata nel Tevere.
Libro XVIII:80 La condanna per Mundo fu l'esilio, giudicando che avesse peccato per la violenza della passione, perciò bastasse un tale castigo e non dovesse punirlo in modo più severo. Queste furono le azioni irrispettose, commesse dai sacerdoti del tempio di Isis. Ora ritorno a narrare la storia che ho promesso di raccontare su ciò che accadde ai Giudei in Roma.
Giudei di Roma, in Sardegna
Libro XVIII:81 - 5. C 'era un Giudeo, un vero fuggitivo, allontanatosi dal proprio paese perché accusato di trasgredire certe leggi, e per tale motivo temeva una punizione. Proprio in questo periodo costui risiedeva a Roma e svolgeva il ruolo di interprete della legge mosaica e della sua saggezza.
Libro XVIII:82 Costui arruolò tre mascalzoni suoi pari; e allorché Fulvia, una matrona d'alto rango, diventata una proselita giudea, incominciò a incontrarsi regolarmente con loro, la incitarono a inviare porpora e oro al tempio di Gerusalemme. Essi, però, prendevano i doni e se ne servivano per le proprie spese personali, poiché fin dall'inizio questa era la loro intenzione nel chiedere doni.
Libro XVIII:83 Saturnino, sollecitato dalla moglie Fulvia, riferì tutto a Tiberio, suo amico; per tale motivo egli ordinò a tutta la comunità giudaica di abbandonare Roma.
Libro XVIII:84 I consoli redassero un elenco di quattromila di questi Giudei per il servizio militare e li inviarono nell'isola di Sardegna; ma ne penalizzarono molti di più, che per timore di infrangere la legge giudaica, rifiutavano il servizio militare. E così per la malvagità di quattro persone, i Giudei furono espulsi dalla città.
Pilato disperde i Samaritani
Libro XVIII:85 - IV, I. - Anche la nazione samaritana non andò esente da simili travagli. Li mosse un uomo bugiardo, che in tutti i suoi disegni imbrogliava la plebe, e la radunò indirizzandola ad andare in massa sul Monte Garizin, che per la loro fede è la montagna più sacra. Li assicurò che all'arrivo avrebbe mostrato loro il sacro vasellame, sepolto là dove l'aveva deposto Mosé.
Libro XVIII:86 Essi, dunque, credendolo verosimile, presero le armi e, fermatisi a una certa distanza, in una località detta Tirathana, mentre congetturavano di scalare la montagna in gran numero, acclamavano i nuovi arrivati.
Libro XVIII:87 Ma prima che potessero salire li prevenne Pilato occupando, prima di loro, la cima con un distaccamento di cavalleria e di soldati con armi pesanti; affrontò quella gente e in una breve mischia, in parte li uccise e altri li mise in fuga. Molti li prese schiavi, tra questi Pilato mise a morte i capi più autorevoli e coloro che erano stati i più influenti dei fuggitivi.
Libro XVIII:88 - 2. Dopo questo scompiglio, il senato dei Samaritani si recò da Vitellio, uomo consolare e governatore della Siria, e al suo tribunale accusò Pilato di avere fatto una strage tra loro. Poiché dicevano che non come ribelli contro Roma si erano radunati a Tirathana, ma per sottrarsi alla persecuzione di Pilato.
Libro XVIII:89 Vitellio allora mandò Marcello, suo amico, ad amministrare la Giudea e ordinò a Pilato di fare ritorno a Roma per rendere conto all'imperatore delle accuse fattegli dai Samaritani. Così Pilato, dopo avere passato dieci anni nella Giudea, si affrettò a Roma obbedendo agli ordini di Vitellio, dato che non poteva rifiutassi. Ma prima che giungesse a Roma, Tiberio se n'era andato.
Vitellio a Gerusalemme
Libro XVIII:90 - 3. Intanto Vitellio giunse in Giudea e salì a Gerusalemme dove i Giudei stavano celebrando la loro festa tradizionale chiamata Pasqua. Accolto con sommi onori, Vitellio rilasciò in perpetuo agli abitanti della città tutte le tasse sulla vendita di prodotti agricoli, e acconsentì che l'abito del sommo pontefice, e con esso tutti i suoi arredi, fossero custoditi dai sacerdoti nel tempio, come era già stato un privilegio anche prima.
Libro XVIII:91 Allora gli abiti erano custoditi nell'Antonia, il nome di una fortezza, per le seguenti ragioni. Uno dei sacerdoti, Ircano, il primo con questo nome, costruì un'ampia casa vicino al tempio e quivi viveva la maggior parte del tempo. Come custode delle vesti, poiché solo a lui era concesso di indossarle, le custodiva là e, allorché discendeva in città, indossava i suoi abiti ordinari.
Libro XVIII:92 Anche i suoi figli e nipoti seguirono la stessa prassi. Erode, quando diventò re fece magnifici restauri a questo edificio, perché posto in luogo opportuno e lo chiamò Antonia per l'amicizia che aveva verso Antonio; egli ritenne qui le vesti, così come le aveva trovate, pensando che per questa ragione il popolo non avrebbe mai più fatto una insurrezione contro di lui.
Libro XVIII:93 Lo stesso fece il successore di Erode, suo figlio Archelao. Dopo che i Romani presero il governo, trattennero il controllo delle vesti del sommo sacerdote e le custodivano in un edificio di pietra, col sigillo dei sacerdoti e dei custodi del tesoro, ove il guardiano giorno dopo giorno accendeva la lampada.
Libro XVIII:94 Sette giorni prima di ogni festività, le vesti venivano consegnate ai sacerdoti dal guardiano: compiuta da essi la purificazione, il sommo sacerdote le indossava. Dopo il primo giorno della festività, le riportava all'edificio nel quale erano riposte prima. Questa era la procedura seguita tre volte all'anno per le tre festività e per il giorno del digiuno.
Libro XVIII:95 Vitellio fu guidato dalla nostra legge in merito alle vesti e diede istruzioni al custode di non preoccuparsi né dove fossero da riporsi né quando si dovevano usare. Dopo avere concesso questi benefici alla nazione rimosse dal suo sacro ufficio il sommo sacerdote Giuseppe, soprannominato Caifa, e designò al suo posto Gionata, figlio del sommo sacerdote Anano. Poi prese la via del ritorno ad Antiochia.
Tiberio, Vitellio, Artabano re dei Parti
Libro XVIII:96 - 4. Ora Tiberio inviò una lettera a Vitellio invitandolo a stringere amicizia con Artabano re dei Parti; perché Artabano che gli era ostile e aveva distaccato l'Armenia, gli infondeva la paura che sarebbe stato causa di altre sommosse. Ma istruì Vitellio di porre fede in un trattato d'amicizia soltanto a condizione che gli consegnasse gli ostaggi, in particolare il figlio di Artabano.
Libro XVIII:97 Scrivendo questa lettera a Vitellio, Tiberio offriva grandi somme di denaro ai re degli Iberi e degli Albani per indurli a muovere guerra
senza difficoltà contro Artabano. Da parte loro, tuttavia, questi re si mantennero contrari a lui, ma diedero agli Alani il libero transito per le loro terre aprendo loro le porte del Caspio per muovere contro Artabano.
Libro XVIII:98 Così l'Armenia fu nuovamente tolta ai Parti e nel loro paese si estese la guerra, morì il fiore della nobiltà, e tutte le loro cose si rovesciarono; il figlio del re cadde ucciso con molte migliaia della sua gente.
Libro XVIII:99 Vitellio mandò del denaro ai parenti e amici del vecchio Artabano, e gli avrebbe pressoché tolta la vita con i regali, se Artabano non avesse capito che la trama sarebbe inevitabilmente riuscita, ordita com'era da molti grandi personaggi dell'alta società.
Libro XVIII:100 Egli avvertì anche che quanti sinceramente l'avevano sostenuto, già corrotti nell'animo, gli fingevano ingannevole benevolenza, e alla prima prova alla quale li avesse messi, si sarebbero aggiunti al numero dei ribelli. Egli dunque per salvarsi la vita fuggì in una delle satrapie superiori. In seguito radunò un esercito numeroso di Dai e Saci e con una azione militare contro i suoi avversari, assicurò il suo trono.
Libro XVIII:101 - 5. A queste notizie, Tiberio iniziò i passi per stringere amicizia con Artabano. Quando fu presentata l'offerta, i Parti furono lieti di discutere l'argomento; egli e Vitellio si incontrarono sull'Eufrate. Si gettò un ponte sul fiume e Artabano e Vitellio si incontrarono in mezzo al ponte, ognuno con la sua guardia del corpo.
Libro XVIII:102 Giunti al termine degli accordi, il tetrarca Erode diede una festa sotto una tenda da lui innalzata in mezzo al ponte con grande spesa.
Libro XVIII:103 E Artabano inviò suo figlio Dario a Tiberio come ostaggio, e con lui molti doni; tra questi un uomo alto sette cubiti, giudeo di stirpe, di nome Eleazaro, il quale per l'enorme sua statura era detto il Gigante. Sistemati questi affari Vitellio partì per Antiochia, e Artabano per Babilonia.
Libro XVIII:104 Ma Erode, desiderando essere il primo a comunicare all'imperatore la notizia che gli ostaggi erano stati ricevuti, scrisse una relazione precisa e completa e spedì corrieri con lettere che lo informassero esattamente e al governatore non lasciò più nulla di nuovo da comunicare all'imperatore.
Libro XVIII:105 Sicché, quando poi gli giunse il dispaccio di Vitellio, l'imperatore l'informò che conosceva già i fatti avendone avuto notizia da
Erode; Vitellio ne restò furioso e accolse l'offesa come più grande di quanto fosse in realtà; ma trattenne il suo sdegno fin a tanto che non se ne fosse vendicato. E ciò avvenne allorché Gaio fu imperatore dei Romani.
Morte di Filippo; guerra tra Areta ed Erode;
Giovanni Battista
Libro XVIII:106 - 6. Ora fu in questo tempo che morì Filippo, fratello di Erode, nel ventesimo anno di Tiberio, dopo avere governato per trentasette anni la Traconitide , la Gaulanitide e la tribù detta dei Batanei. Nel governo si dimostrò moderato, amante della modestia e della pace.
Libro XVIII:107 In verità egli passò tutto il tempo nel territorio a lui soggetto. Quando si muoveva lo faceva con poche e scelte persone. Il trono sul quale sedeva quando giudicava lo accompagnava ovunque andasse; così, se lo incontrava uno bisognoso della sua assistenza, subito, senza alcun indugio, veniva eretto il trono, ovunque si trovasse. Si sedeva e dava udienza: accordava castighi a chi li meritava, e rilasciava quanti erano ingiustamente accusati.
Libro XVIII:108 Morì in Giudea. Il suo corpo fu portato nella tomba che egli si era preparata; ebbe sontuosissimi funerali. Tiberio annesse il suo territorio alla provincia di Siria; ordinò tuttavia che i tributi raccolti nella tetrarchia quivi si ritenessero.
Libro XVIII:109 - V, I. - Intanto ebbe luogo una lite tra Areta re di Petra ed Erode; cercherò di raccontarne l'origine. Il tetrarca Erode aveva sposato la figlia di Areta e già da molto tempo viveva con lei. Nel viaggio che fece a Roma, albergò presso Erode suo fratello, nato da una madre diversa, cioè la figlia di Simone sommo sacerdote.
Libro XVIII:110 Il tetrarca si invaghì di Erodiade, moglie di suo fratello, lei era figlia del loro fratello Aristobulo e sorella di Agrippa il Grande, e osò parlarle di matrimonio; lei accettò, e convennero che tornando da Roma sarebbe passata da lui; tra queste convenzioni v'era pure quella che egli licenziasse la figlia di Areta.
Libro XVIII:111 Concluso l'accordo, egli navigò verso Roma. Compiuti gli affari che aveva a Roma, la moglie di lui, informata minutamente dei patti tra lui ed Erodiade, senza che lui fosse a conoscenza che a lei era gia noto tutto, chiese di andare a Macheronte, posto ai confini tra gli stati di Erode e di Areta, senza svelarne il motivo.
Libro XVIII:112 Erode, persuaso che ella nulla sapesse, acconsentì. Tempo prima lei aveva disposto ogni cosa e inviato messi al Macheronte, che in quel tempo era soggetto a suo padre, sicché allestito tutto l'occorrente per il viaggio di lei dal governatore, lei era pronta a partire per l'Arabia e non appena arrivò passò da un governatore all'altro che provvedevano al trasporto. Così giunse presto da suo padre e gli disse quello che Erode progettava di fare.
Libro XVIII:113 Areta partì di qui per una querela. C'era anche una lite a proposito del distretto di Gabala, e da una parte e dall'altra vi era stata la rassegna dei soldati, ed ora erano in guerra, ma essi mandavano altri come comandasti invece di andare essi stessi.
Libro XVIII:114 Nella battaglia che ne seguì, l'esercito di Erode era distrutto quando alcuni fuorusciti venuti dalla tetrarchia di Filippo si unirono all'esercito di Erode e tradirono.
Libro XVIII:115 Erode inviò un resoconto di questi eventi a Tiberio, il quale, sdegnato dall'arroganza di Areta, ingiunse a Vitellio di marciare contro di lui, inviarglielo in catene, qualora lo catturasse vivo, e, se morto, mandargli la testa. Queste furono le istruzioni che Tiberio inviò al governatore della Siria.
Libro XVIII:116 - 2. Ma ad alcuni Giudei parve che la rovina dell'esercito di Erode fosse una vendetta divina, e di certo una vendetta giusta per la maniera con cui si era comportato verso Giovanni soprannominato Battista.
Libro XVIII:117 Erode infatti aveva ucciso quest'uomo buono che esortava i Giudei a una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà verso Dio, e così facendo si disponessero al battesimo; a suo modo di vedere questo rappresentava un preliminare necessario se il battesimo doveva rendere gradito a Dio. Essi non dovevano servirsene per guadagnare il perdono di qualsiasi peccato commesso, ma come di una consacrazione del corpo insinuando che l'anima fosse già purificata da una condotta corretta.
Libro XVIII:118 Quando altri si affollavano intorno a lui perché con i suoi sermoni erano giunti al più alto grado, Erode si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a qualche forma di sedizione, poiché pareva che volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero. Erode, perciò, decise che sarebbe stato molto meglio colpire in anticipo e liberarsi di lui prima che la sua attività portasse a una sollevazione,
piuttosto che aspettare uno sconvolgimento e trovarsi in una situazione così difficile da pentirsene.
Libro XVIII:119 A motivo dei sospetti di Erode, (Giovanni) fu portato in catene nel Macheronte, la fortezza che abbiamo menzionato precedentemente, e quivi fu messo a morte. Ma il verdetto dei Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni, nel senso che Dio giudicò bene infliggere un tale rovescio a Erode.
Vitellio a Gerusalemme. Morte di Tiberio
Libro XVIII:120 - 3. Vitellio si allestì presto alla guerra contro Areta con due legioni di fanteria pesante e di fanteria leggera e cavalleria annessa a loro come ausiliare; procedendo dai regni che erano sotto il giogo dei Romani, marciò in direzione di Petra e occupò Tolemaide.
Libro XVIII:121 Quando incominciò a condurre l'esercito attraverso le terre della Giudea, i Giudei notabili andarono a incontrarlo per pregarlo di non attraversare la loro terra, essendo contrario alla loro tradizione permettere che immagini, e ce n'erano molte sui loro stendardi, attraversassero il loro suolo.
Libro XVIII:122 Accogliendo la loro supplica, egli abbandonò il suo piano originale e ordinò all'esercito di marciare lungo la Grande Pianura , mentre lui con Erode tetrarca e i suoi amici salì a Gerusalemme a offrire sacrifici a Dio durante la festa tradizionale che i Giudei stavano celebrando.
Libro XVIII:123 Al suo arrivo, fu salutato con speciale calore dalla moltitudine giudaica. Restò qui tre giorni durante i quali depose il sommo pontefice Gionata dal suo ufficio e pose al suo posto Teofilo, fratello di Gionata.
Libro XVIII:124 Nel quarto gli fu recapitata la lettera che gli annunziava la morte di Tiberio, ed egli condusse il popolo a giurare obbedienza a Gaio. Richiamò poi l'esercito, ordinando che ognuno rientrasse al proprio quartiere d'inverno poiché non era più autorizzato, come prima, a fare guerra all'estero ora che il comando era passato nelle mani di Gaio.
Libro XVIII:125 Si disse pure che Areta consultando il volo degli uccelli, quando giunse la notizia della spedizione di Vitellio, dichiarò che il suo esercito per nessun motivo sarebbe entrato a Petra: uno dei capi sarebbe morto o quello che aveva ordinato la guerra o quello che si era impegnato di eseguire la sua
decisione attaccando l'uomo contro il quale era stato radunato l'esercito. Vitellio dunque si ritirò ad Antiochia.
Libro XVIII:126 Intanto Agrippa, figlio di Aristobulo, quando si presentarono i mezzi, andò a Roma per trattare certi suoi affari con l'imperatore, un anno prima della morte di Tiberio, per avere qualche promozione a corte.
Discendenti di Erode il Grande
Libro XVIII:127 Ma voglio dare qualche notizia più ampia su Erode, sulla sua discendenza, sia perché ciò ha relazione con la storia presente, sia perché offre una prova della Provvidenza divina, mostrando che né il numero, né alcun altro vantaggio terreno può giovare senza atti di pietà verso la Potenza Divina.
Libro XVIII:128 Poiché dei molti discendenti di Erode, in un secolo, vivono ben pochi: tutti perirono. Questo può contribuire a un insegnamento morale dell’umanità, mostrando quante furono le loro sfortune; ma può anche edificare la narrazione della storia di Agrippa, degno della più alta ammirazione.
Libro XVIII:129 Assolutamente sprovvisto di ogni distinzione, e sorprendendo tutti coloro che lo conoscevano, salì così in alto ed ebbe una così possente esaltazione. Certo, ho già trattato di questo argomento, ma ora ne svilupperò i particolari.
Libro XVIII:130 - 4. Erode il Grande ebbe due figlie da Mariamme, figlia di Ircano; una di queste, Salampsio, fu sposata da suo padre a Fasaele, cugino di lei, figlio di Fasaele, fratello di suo padre; l'altra, Cipro, sposò anche lei un cugino, Antipatro, figlio di Salome, sorella di Erode.
Libro XVIII:131 Da Salampsio, Fasaele ebbe tre figli: Antipatro, Alessandro e Erode, e due figlie, Alessandra e Cipro; il marito di Cipro fu Agrippa, figlio di Aristobulo; Alessandra fu moglie di Timio, un cipriota di una certa importanza, e questa unione non ebbe figli.
Libro XVIII:132 Da Agrippa Cipro ebbe due figli, Agrippa e Druso, e tre figlie, Berenice, Mariamme e Drusilla; di questi fanciulli, Druso morì prima di raggiungere l'adolescenza.
Libro XVIII:133 Agrippa con i suoi fratelli Erode e Aristobulo furono allevati dal loro padre. Berenice, la figlia di Costobaro e di Salome sorella di Erode e questi figli di Aristobulo, figlio di Erode il Grande, furono allevati insieme.
Libro XVIII:134 Costoro furono lasciati in età infantile da Aristobulo ucciso dal padre insieme con suo fratello Alessandro, come ho detto in precedenza. Raggiunta l'età, si sposarono: Erode, fratello di Agrippa sposò Mariamme, la figlia di Olimpia, che era figlia del re Erode, e di Giuseppe, figlio di Giuseppe, fratello del re Erode: da essi nacque Aristobulo.
Libro XVIII:135 L'altro fratello di Agrippa, Aristobulo, sposò Jotape, figlia di Sampsigeramo, re di Emesa; ebbero una figlia, anch'essa di nome Jotape, che era sordo-muta. Costoro erano i figli (dei tre maschi di Aristobulo).
Libro XVIII:136 Erodiade, loro sorella, fu moglie di Erode, figlio di Erode il Grande, natogli da Mariamme, figlia del sommo sacerdote Simone. Essi ebbero una figlia, Salome, dopo la quale, Erodiade, agendo contro la legge dei nostri padri sposò Erode, fratello di suo marito, dello stesso padre, che era tetrarca della Galilea.
Libro XVIII:137 Salome poi, sua figlia, sposò Filippo, figlio di Erode, tetrarca della Traconitide, il quale morì senza figli; dopo la sua morte, lei sposò Aristobulo, figlio di Erode, fratello di Agrippa: nacquero loro tre figli: Erode, Agrippa, Aristobulo. Questa fu la discendenza di Fasaele e di Salampsio.
Libro XVIII:138 Cipro generò ad Antipatro una figlia chiamata Cipro, che divenne moglie di Alessa, soprannominato Elcia, figlio di Alessa ed ebbe anche lei una figlia chiamata Cipro. Erode e Alessandra che, come ho detto, erano fratelli di Antipatro, morirono senza figli.
Libro XVIII:139 Alessandro, figlio del re Erode e da lui condannato a morte, ebbe due figli, Alessandro e Tigrane dalla figlia di Archelao, re dei Cappadoci. Tigrane fu re dell'Armenia, morì senza figli, dopo che in Roma erano state mosse accuse contro di lui.
Libro XVIII:140 Ad Alessandro nacque un figlio al quale diede il nome di suo fratello Tigrane e da Nerone fu fatto re dell’Armenia: questo Tigrane ebbe un figlio di nome Alessandro, che sposò Jotape, figlia di Antioco, re di Commagene; e Vespasiano lo designò re dei Ceti in Cilicia.
Libro XVIII:141 La discendenza di Alessandro, fin dalla nascita, abbandonò le consuetudini di vita della terra giudaica e adottò le usanze della tradizione greca. Le altre figlie del re Erode morirono senza figli.
Libro XVIII:142 Ora che ho esposto quali furono i discendenti di Erode, ancora vivi allorché Agrippa il Grande ricevette la carica regia, procederò nella narrazione di tutte le vicissitudini sperimentate da Agrippa, come ne uscì e pervenne al grado più alto della dignità e del potere.
Agrippa a Roma, in Giudea e alla
corte di Tiberio
Libro XVIII:143 - VI, I. - Poco prima della morte del re Erode, Agrippa viveva a Roma. Era cresciuto e aveva grande familiarità con Druso, figlio dell'imperatore Tiberio; si guadagnò anche l'amicizia di Antonia, madre di Druso il Vecchio, perché sua madre Berenice godeva di alta stima tra gli amici di lei e le aveva domandato di promuovere gli interessi di lui.
Libro XVIII:144 Agrippa aveva uno spirito naturalmente nobile e munifico; fino a quando visse la madre, tenne celato la sua naturale inclinazione, per non incorrere nello sdegno che avrebbe provocato in sua madre.
Libro XVIII:145 Ma quando Berenice morì, e fu lasciato in balia dei suoi capricci, spese molto del suo denaro per il lusso quotidiano nel quale viveva, per le spese che faceva a dismisura in regali offrendo senza misura; ma la maggior parte delle spese le faceva per i liberti dell'imperatore, sperando nel loro aiuto. E così si ridusse in povertà, e ciò era un impedimento per mantenersi a Roma.
Libro XVIII:146 A questi si aggiunse il divieto di Tiberio agli amici del figlio morto, di fargli visita, perché la loro presenza gli ricordava il figlio inasprendo il suo ricordo.
Libro XVIII:147 - 2. Per tutte queste ragioni Agrippa salpò per la Giudea. Era malinconico e triste sia per la perdita dei denari, che prima aveva, sia perché non trovava i mezzi per soddisfare i suoi creditori, che erano molti e non gli consentivano un momento di respiro. E così non sapendo cosa fare e per la vergogna che sentiva, si ritirò in una torre a Malata, in Idumea, ove pensava di suicidarsi.
Libro XVIII:148 Ma sua moglie, Cipro, lesse i suoi pensieri e studiava ogni via per impedirne l'esecuzione. Tra l'altro scrisse a Erodiade sorella di lui, moglie di Erode, tetrarca, spiegandole la determinazione presa da Agrippa e la necessità che lo aveva spinto a un tale passo e pregava Erodiade di volere soccorrere un suo congiunto: “Tu vedi, le diceva, quanta cura ho di sollevare in ogni modo il marito, benché le mie risorse non siano proprio come le tue”.
Libro XVIII:149 Così Erodiade e il marito mandarono da lui, gli assegnarono come abitazione Tiberiade, gli garantirono una pensione per vivere e lo elevarono all'ufficio di commissario dei mercati di Tiberiade.
Libro XVIII:150 Ma Erode non resse per molto tempo in questa sistemazione, sebbene anche questa assistenza fosse insufficiente. Una volta che si trovavano in compagnia a Tiro, sotto l'influsso del vino si scambiarono reciproci sarcasmi, Erode gli rinfacciò la sua povertà e la dipendenza dalla sua carità per il pane quotidiano; rimprovero che Agrippa trovò impossibile da sopportare; così ricorse a Flacco, proconsole, che prima, a Roma, gli era stato molto amico ed era allora governatore della Siria.
Libro XVIII:151 - 3. Fu ben accolto da Flacco e stette da lui, presso il quale viveva già Aristobulo, che, quantunque fosse fratello di Agrippa, non andava d'accordo con lui. Questa loro differenza non era tale che dall'amicizia del proconsole non ritraessero entrambi l'onorevole trattamento dovuto.
Libro XVIII:152 Ma Aristobulo non addolcì la propria animosità verso Agrippa fino a che non lo mise in lite con Flacco. L'occasione che colse per mostrare la sua ostilità fu la seguente.
Libro XVIII:153 Vi era una contesa tra il popolo di Damasco e quello di Sidone a proposito dei confini: quando Flacco era in procinto di sentire il caso dei Damasceni, saputo che Agrippa avrebbe avuto una notevole influenza su di lui, pregarono Agrippa di favorire la loro causa e gli promisero una notevole somma di denaro.
Libro XVIII:154 Egli dunque si adoperava con tutti i mezzi per aiutare i Damasceni; Aristobulo, per il quale non era un segreto che gli fosse stato promesso del denaro, lo denunziò a Flacco; quando, disaminato il caso, Flacco trovò che era proprio così, infranse l'amicizia con Agrippa.
Libro XVIII:155 Precipitato nella più oscura miseria, Agrippa andò a Tole-maide e, sprovvisto di mezzi per andare a vivere da qualche parte, decise di
navigare verso l'Italia. Ma trovandosi fermo per mancanza di fondi, ricorse a Marsia, suo liberto, che con qualche artificio gli facesse, comunque, un prestito.
Libro XVIII:156 Marsia, dunque, ricorse a Proto, liberto di Berenice, madre di Agrippa e ora, per testamento di lei, sottoposto ad Antonia; e lo pregò di darglielo sotto obbligazione scritta.
Libro XVIII:157 Proto, tuttavia, si doleva che Agrippa l'avesse defraudato di non so qual somma, e obbligò Marsia a sottoscrivere una cedola di ventimila dracme attiche, ma, (accontentarsi) di riceverne duemilacinquecento in meno; e quello cedette non avendo alternative.
Libro XVIII:158 Ricevuto questo denaro, Agrippa si rifugiò ad Antedone, dove impegnò una nave ed era sul punto di partire, quando Erennio Capitone, procuratore di Jamnia, saputo ciò, mandò dei soldati a esigere da lui trecentomila dracme d'argento delle quali era debitore al tesoro imperiale a Roma e lo obbligarono a restare.
Libro XVIII:159 Egli simulò di obbedire agli ordini, ma, calata la notte, tagliò gli ormeggi e si diresse ad Alessandria; qui pregò Alessandro, l'alabarca, di fargli un prestito di duecentomila dracme. Alessandro rifiutò di accordargli questo prestito, ma non lo rifiutò a Cipro, perché si stupiva dell’amore di lei verso suo marito e di tante altre sue buone qualità.
Libro XVIII:160 Lei promise che avrebbe restituito; e così Alessandro diede loro cinque talenti in Alessandria e promise di fagli avere il restante quando sarebbero arrivati a Dicearchia, poiché non si fidava della sfrenata prodigalità di Agrippa. Cipro lasciò partire suo marito per l'Italia e lei ritornò in Giudea con i suoi figli.
Libro XVIII:161 - 4. Agrippa, sbarcato a Pozzuoli, scrisse una lettera a Tiberio che allora viveva a Capri, comunicandogli di essere venuto per incontrarlo, rendergli omaggio e domandargli grazia di recarsi a Capri.
Libro XVIII:162 Senza esitare, Tiberio gli scrisse una risposta cortese esprimendo il proprio piacere per il suo ritorno a Capri. Quando Agrippa arrivò, Tiberio gli attestò una benevolenza non minore di quella dimostrata nella lettera e lo ospitò presso di sé.
Libro XVIII:163 Il giorno appresso l'imperatore ricevette una lettera da Erennio Capitone che l'informava come Agrippa avesse avuto un prestito di
trecentomila dracme e, giunto il tempo di restituirle, se n'era sottratto fuggendo dalle terre soggette alla sua giurisdizione, togliendo così a lui ogni mezzo per riaverle.
Libro XVIII:164 Letta questa lettera, l'imperatore ne fu addoloratissimo e diede ordine che Agrippa non fosse introdotto alla sua presenza fino a che non avesse pagato il suo debito. Agrippa non ebbe paura dell'ira dell'imperatore, e ricorse ad Antonia, madre di Germanico e del futuro imperatore Claudio, per un prestito di trecentomila dracme affinché potesse non perdere l'amicizia di Tiberio.
Libro XVIII:165 Antonia, ricordandosi sia di Berenice, madre di lui, con la quale aveva stretto una grande amicizia, sia del fatto che egli era stato educato col suo Claudio, gli diede la somma; estinto così il suo debito, non aveva più alcuno ostacolo all'amicizia con Tiberio.
Libro XVIII:166 In seguito l'imperatore Tiberio lo raccomandò a suo nipote ingiungendogli che, qualora uscisse di casa, gli fosse sempre a fianco. Quando Agrippa fu ricevuto da Antonia come amico, si volse a Gaio, nipote di lei e da lei tenuto in grande onore per la popolarità goduta da suo padre.
Libro XVIII:167 Ora, c'era un certo Samaritano di origine e liberto dell’imperatore. Agrippa si adoperò per avere da lui il prestito di un milione di dracme per restituire il denaro avuto da Antonia; il denaro restante lo spese al servizio di Gaio, dal quale, di conseguenza, ottenne un favore sempre più grande.
Libro XVIII:168 - 5. L 'amicizia di Agrippa con Gaio fece grandi progressi. Una volta, mentre erano insieme in carrozza, il discorso cadde su Tiberio, e Agrippa espresse la preghiera, i due infatti erano soli, che Tiberio abbandonasse al più presto il suo ufficio in favore di Gaio, più competente di lui sotto ogni aspetto. Queste parole furono udite dal cocchiere Eutico, liberto di Agrippa, che per il momento le tenne per sé.
Libro XVIII:169 Ma quando egli fu accusato di avere rubato alcuni abiti ad Agrippa, ed era proprio lui che aveva compiuto l'azione, si diede alla fuga ma fu preso. Portato dinanzi a Pisone, prefetto della città, gli domandarono il perché della fuga; rispose che aveva un messaggio segreto per l'imperatore che riguardava la sua sicurezza personale. Pisone lo inviò in catene a Capri, dove risiedeva Tiberio secondo la sua abitudine, poiché non c'era re o tiranno che prolungasse le ferie più di lui, e lo tenne prigioniero.
Prassi dilatoria di Tiberio
Libro XVIII:170 Non aveva, infatti, alcuna premura di ricevere ambasciate né rimpiazzava governatori o procuratori posti da lui, a meno che morissero nei loro posti. Così non dimostrava diligenza nell'udire le cause dei prigionieri:
Libro XVIII:171 e, interrogato dai suoi amici, perché tali cose andavano così a rilento, rispose che le ambasciate le lasciava attendere perché, se sbrigava presto i loro affari, potevano venire eletti i nuovi ambasciatore e passare da lui, obbligandolo a ricevere e licenziare ambasciate con molta seccatura da parte sua.
Libro XVIII:172 “I governi, poi, li lascio in mano a chi da me è stato designato e ciò in considerazione del sentimento dei sudditi; poiché è una legge naturale che i governatori siano propensi ai guadagni”. Quando non vi erano designazioni a lungo termine, ignorando quanto sarà il tempo loro concesso, e quando saranno rimossi, l'incentivo alle speculazioni sarà ancora maggiore;
Libro XVIII:173 se, invece, i governatori conserveranno il posto più a lungo, si sazieranno delle loro ruberie e, per il guadagno che avranno tratto, rallenteranno l'incitamento naturale; qualora, invece, (i governatori) avessero un successore alle spalle, i popoli loro sottoposti non sarebbero una preda sufficiente ad accontentare la loro avarizia e calmare la cupidigia prima di godere di un momento felice, giunge l'ora della partenza.
Libro XVIII:174 Come illustrazione di tutto questo, narrò la seguente favola. Un uomo ferito giaceva per terra e uno sciame di mosche svolazzava sulle sue ferite. Un passante ebbe pietà del meschino e, credendo che per debolezza fosse incapace di alzare la mano, gli si avvicinò per scacciarle. Ma il ferito lo pregò di non farlo;
Libro XVIII:175 e, interrogato del motivo per cui non si curasse di liberarsi del male che lo infestava, “Peggio faresti”, rispose, “se me le togliessi. Esse, infatti, hanno fatto il pieno di sangue, e non hanno più la forza di darmi fastidio. Se altre venissero con un appetito fresco e fameliche, disfarrebbero il mio debole corpo e sarebbe veramente la mia morte”.
Libro XVIII:176 Per lo stesso motivo, egli (Tiberio) ebbe la precauzione di non cambiare spesso i governatori ai popoli assoggettati, a volte portati alla rovina
da tanti ladri: i governatori, infatti, che spesso li spingono alla completa rovina, assomigliano tanto alle mosche. Tanto più se all'avidità di guadagno, alla quale sono portati per natura, si aggiunge il timore di restare presto digiuni da tale piacere.
Libro XVIII:177 La condotta di Tiberio è una testimonianza del suo umorismo nel trattare questi argomenti. Nei ventidue anni che fu imperatore, furono solo due le persone mandate da lui ai Giudei a governare la nazione, cioè Grato e Pilato che fu suo successore.
Libro XVIII:178 Né solo verso i Giudei si comportava così e in maniera diversa verso gli altri sudditi. Anzi, di qui si spiega come rimandasse a lungo l'udienza dei prigionieri e la giustificazione che adduceva col dire che ai condannati a morte la stessa morte sarebbe stata un sollievo ai loro mali perché incontrerebbero una fortuna non dovuta ai loro meriti; mentre, il farli aspettare, nella loro sventura, rendeva più grave l'infelicità.
Libro XVIII:179 - 6. E’ per questa ragione che Eutico non otteneva udienza ed era custodito in catene. Col passare del tempo Tiberio partì da Capri per il Tuscolo, distante forse cento stadi da Roma; Agrippa scongiurò Antonia di fare i primi passi per un'udienza, qualunque fossero le accuse addotte contro Eutico.
Libro XVIII:180 Antonia era tenuta in grande stima da Tiberio, sia perché, come moglie di suo fratello Druso, era sua parente, sia perché era una donna virtuosa e pudica. A dispetto, infatti, della sua gioventù, rimase vedova e ricusò di sposarsi di nuovo nonostante l'insistenza dell’imperatore che l'esortava a risposarsi. Ella mantenne la sua vita lungi da qualsiasi rimprovero; e si rese ampiamente benemerita presso Tiberio.
Libro XVIII:181 Infatti il suo amico Seiano aveva ordito una grande congiura, proprio lui che aveva un grande potere in quanto prefetto delle coorti pretoriane. Molti senatori e liberti seguivano il suo partito, l'armata era sedotta e così la congiura fece notevoli progressi. A dir il vero Seiano sarebbe riuscito se Antonia non avesse avuto tanto coraggio e non fosse stata più accorta della malvagità di Seiano.
Libro XVIII:182 Appena venne a conoscenza della congiura contro Tiberio, gli scrisse accuratamente ogni cosa, consegnò la lettera a Pallante, il più fedele dei suoi servi, lo mandò da Tiberio a Capri. Tiberio, dopo che fu informato, uccise sia Seiano, che i suoi cospiratori. Quanto ad Antonia, che già prima di questo
godeva della sua grande stima, egli ora la tenne in maggiore considerazione e ripose in lei una totale fiducia.
Libro XVIII:183 Sollecitato da Antonia a esaminare il caso di Eutico, Tiberio rispose: “Se veramente Eutico ha fatto false accuse contro Agrippa, la punizione che io gli ho inflitto è sufficiente; ma se dopo un ulteriore esame si scoprisse che ha detto il vero, Agrippa stia attento che la eccessiva avidità di punire il suo liberto, non attiri piuttosto un castigo sul suo capo”.
Libro XVIII:184 Quando Antonia riferì queste parole ad Agrippa, questi prese a insistere ancora di più sull'urgenza di un esame di tutta la materia; Antonia colse l'opportunità, come qui esporrò.
Libro XVIII:185 Una volta che Tiberio si trovava in lettiga e aveva davanti Gaio, nipote di lei, e Agrippa che avevano appena mangiato, Antonia, che camminava affianco alla sua lettiga, prese a pregarlo che si chiamasse Eutico e lo si esaminasse.
Libro XVIII:186 “Gli dèi mi sono testimoni, Antonia”, disse, “che non per mio volere, ma in forza delle tue preghiere, io farò ciò che sono in procinto di fare”. Così dicendo ordinò a Macrone, successore di Seiano, di introdurre Eutico. E, senza indugio, questi fu introdotto. Tiberio allora gli domandò che cosa avesse da dirgli contro l'uomo che gli aveva dato la libertà.
Libro XVIII:187 << O mio padrone >>, disse, << Gaio e Agrippa erano insieme in carrozza, ed io sedevo ai loro piedi. Dopo molti discorsi fatti sull'una e l'altra parte, Agrippa disse a Gaio: “Spero che verrà un giorno nel quale questo vecchio lascerà la scena e ti designerà capo dell'Ecumene. No, non ci darà troppa noia il nipote di Tiberio, poiché tu te ne libererai uccidendolo. L'Ecumene allora avrà la felicità e io più di essa” >>.
Libro XVIII:188 Tiberio non ebbe dubbi sulla verità di questo e rivisse un antico sdegno contro Agrippa, poiché, malgrado gli fosse ordinato da Tiberio di seguire il nipote dell’imperatore, figlio di Druso, dimenticando i suoi ordini, non l'aveva curato e stava sempre di fianco a Gaio.
Libro XVIII:189 “Macrone”, disse, “costui sia messo in catene”. Parte perché Macrone non era sicuro di che persona parlasse, parte perché non si sarebbe mai aspettato che avesse riservato un tale trattamento per Agrippa, indugiò per accertarsi dell’esatto significato dell'ordine. Ma allorché l'imperatore, aggi-randosi nel circo si incontrò con Agrippa che stava ancora là,
Libro XVIII:190 disse: “Non ti avevo ordinato, Macrone, che costui fosse messo in catene?”. Macrone gli replicò: “quale uomo?” ed egli rispose: “Agrippa, no!”.
Libro XVIII:191 Agrippa, allora, si volse, ricordandogli che era stato allevato con suo figlio e che aveva aiutato ad allevare Tiberio. Ma a niente valsero le sue preghiere e così, com'era, vestito di porpora, fu condotto in prigione.
Libro XVIII:192 Correva allora un'estate calda e, siccome alla sua mensa non aveva avuto molto vino, si sentiva bruciare dalla sete. In quel momento vide uno schiavo di Gaio, di nome Taumasto, che aveva una brocca d'acqua e gli chiese da bere.
Libro XVIII:193 Lo schiavo porse subito la brocca ad Agrippa, il quale, dopo aver bevuto di buona voglia, osservò: “O ragazzo, il tuo servizio mi farebbe proprio piacere, qualora potessi sfuggire a questi lacci, e io non indugerò un momento a trattare con Gaio la tua emancipazione, poiché tu non giudicasti vile rendere un servizio a me prigioniero, servizio che mi avresti reso se avessi avuto l'abito conveniente alla mia dignità”.
Libro XVIII:194 Non lo ingannò, ma lo ripagò bene, giacché, più tardi, quando divenne re, ricevette Taumasto da Gaio, che era diventato imperatore, e subito lo rese libero e lo costituì procuratore di tutti i suoi beni; e quando Agrippa morì, lo lasciò a suo figlio Agrippa e a sua figlia Berenice che servì con la stessa diligenza. Taumasto tenne questa posizione fino a quando morì in età avanzata. Ma questo ebbe luogo più tardi.
Libro XVIII:195 - 7. Agrippa intanto se ne stava incatenato di fronte al palazzo insieme a molti altri prigionieri, accasciato triste sotto un albero; in quel momento un uccello che i romani chiamano “bubone” si posò sull'albero contro il quale era accasciato Agrippa.
Libro XVIII:196 Uno dei prigionieri, un Germano, alla vista di Agrippa, domandò al soldato di guardia chi fosse l'uomo vestito di porpora. Quando seppe che il suo nome era Agrippa, Giudeo di stirpe, e che era uno degli uomini più rispettabili della Giudea, domandò al soldato al quale era ammanettato che gli fosse permesso di avvicinarlo e di parlargli, poiché intendeva porgli domande sui costumi dei Giudei.
Libro XVIII:197 Dopo che la sua domanda fu accolta, egli andò a sedersi presso Agrippa e, tramite l'interprete, disse: “O giovanotto, tu sei disperato per questo
improvviso cambiamento di fortuna che di colpo ti ha sopraffatto. Difficilmente crederai all'affermazione di un interprete della Divina Provvidenza che ti predice la liberazione dalla presente difficoltà.
Libro XVIII:198 Sii certo, tuttavia, ch'io giuro per gli dèi dei miei padri e per quelli della terra di coloro che ci hanno stretto con queste catene di ferro, che io ti dirò ogni cosa non per il piacere di essere loquace, né con l'intenzione di blandirti con false speranze;
Libro XVIII:199 in verità, in cose di questo genere, allorché gli eventi si realizzano diversi dalle predizioni, causano più tristezza di quanto fu il piacere che diedero quando furono annunciati; con mio rischio io però ho creduto mio dovere palesarti quanto ti preannunziano gli dèi.
Libro XVIII:200 Senza dubbio alcuno sarai liberato da queste catene quanto prima ed elevato alla somma dignità del potere, fino a essere oggetto di invidia a quanti ora compatiscono il tuo stato; morirai felice per i tuoi figli ai quali lascerai il tuo benessere. Ma ricorda, quando vedrai nuovamente questo uccello, cinque giorni dopo, avverrà la tua morte.
Libro XVIII:201 Queste cose accadranno nel modo indicato da Dio con l'invio di questo uccello. Io non giudicai giusto privarti di una precognizione, affinché tu sappia giovarti del benessere futuro e non rendere gravosa la condizione presente. Ma quando avrai questa buona fortuna nelle tue mani, ricordati di me liberandomi dalla sfortuna nella quale ora siamo compagni”.
Libro XVIII:202 Il Germano che faceva queste predizioni parve ridicolo agli occhi di Agrippa, come più tardi parve degno di ammirazione. Antonia, oltremodo addolorata per questa disgrazia, vedeva purtroppo che parlare a Tiberio in favore di Agrippa era inutile;
Libro XVIII:203 lei però ottenne da Macrone le seguenti concessioni per lui: che i soldati che gli erano di guardia e il centurione che aveva la responsabilità di loro, fosse incatenato a lui, che lo trattassero umanamente, che gli fosse permesso di prendere il bagno ogni giorno e ricevere la visita di liberti e amici; e che godesse di altri conforti corporali.
Libro XVIII:204 Il suo amico Silla e due suoi liberti, Marsia e Stoecheo, lo visitavano ogni giorno, gli recavano le vivande che più gli andavano a genio e avevano somma cura di lui. Costoro gli portavano anche panni sotto la parvenza di venderli, ma quando arrivava la notte gli facevano un letto con la connivenza
dei soldati che avevano l'ordine da Macrone di fare così. Queste cose durarono per sei mesi. Tale era la situazione di Agrippa.
Malattia e morte di Tiberio
Libro XVIII:205 - 8. Nel ritorno a Capri, Tiberio si ammalò. Da principio la malattia parve leggera, ma in seguito si aggravò ed egli, disperando della propria vita, ordinò a Evodio, il più ragguardevole dei suoi liberti, di condurgli i suoi due figli perché desiderava parlare con loro prima di morire.
Libro XVIII:206 Egli però non aveva figli legittimi, perché Druso, l'unico figlio, era già morto. Ma a Tiberio erano rimasti il figlio di Druso, soprannominato Gemello e Gaio, figlio di Germanico e nipote del fratello dell’imperatore. Gaio era allora giovane ma aveva ricevuto un'educazione completa e godeva della benevolenza del popolo grazie alle buone doti del padre Germanico.
Libro XVIII:207 Questi fu sommamente onorato da tutti come persona amabile per la compostezza dei suoi costumi e la cortesia del suo tratto e anche perché, pur nell'altissimo suo grado, voleva essere uguale a ogni altro.
Libro XVIII:208 Così avveniva che non solo dal senato e dal popolo, ma anche da tutte le nazioni soggette era tenuto in grande stima. Quanti avevano goduto della sua compagnia furono affascinati dalla affabilità del suo tratto, mentre gli altri erano conquistati da quanto riferivano coloro che l'avevano incontrato.
Libro XVIII:209 Fu quindi universale il dolore che si sentì all'annunzio della sua morte. E non era una finta adulazione, ma un rammarico reale, poiché ognuno faceva propria quella sventura e tutti ne consideravano la perdita come una personale disgrazia. Tanto era socialmente gradito l'incontro con lui.
Libro XVIII:210 Da questa popolarità suo figlio ereditò un grande vantaggio per tutti gli uomini. L'esercito ne era particolarmente entusiasta tanto che giudicava un onore dare la vita, se necessario, affinché diventasse imperatore.
Libro XVIII:211 - 9. Dopo la commissione data ad Evodio che il giorno appresso, all'alba, gli introducesse i figli, iniziò a pregare gli dèi della patria affinché gli indicassero con qualche segno ben visibile chi sarebbe stato il suo successore come imperatore. Le sue brame miravano veramente a trasmettere il governo al figlio di suo figlio, ma poneva maggiore fiducia nella rivelazione del loro futuro da parte di un dio piuttosto che nella sua decisione e nella sua scelta.
Libro XVIII:212 Perciò propose che ciò avvenisse per opera di un augure: l'impero sarebbe andato al primo che il giorno appresso sarebbe entrato per primo da lui. Dopo avere deciso questo, mandò ordini al tutore di suo nipote che portasse il fanciullo al sorgere del sole, non pensando che dio avrebbe prestato alcuna attenzione alla sua manovra. Ma il giudizio di dio annullò la scelta di Tiberio.
Libro XVIII:213 Con questi pensieri in mente, appena si fece giorno, Tiberio ordinò a Evodio di introdurre il primo dei giovani che era arrivato. Evodio uscì e trovò Gaio di fronte alla stanza. Tiberio non c'era perché la sua prima colazione non era finita. Siccome Evodio non sapeva nulla delle preferenze del suo padrone, disse: “Tuo padre ti chiama”, e introdusse Gaio.
Libro XVIII:214 Non appena Gaio si presentò, per la prima volta ebbe idea della grandezza della potenza divina; si vide completamente privato del potere di confermare la propria scelta di un successore al suo ufficio imperiale, dato che dall'alto non gli era stato concesso.
Libro XVIII:215 Profondamente sconcertato perché impotente a dare valida sanzione alla sua decisione preliminare, e perché il suo nipote Tiberio, non solo aveva fallito nell'impresa di ottenere l'impero, ma non era sicuro della sua vita, in quanto la sua sopravvivenza dipendeva da altri più potenti di lui, che avrebbero giudicato cosa intollerabile associarsi a lui; i suoi consanguinei sarebbero stati incapaci di aiutarlo, egli sarebbe stato intimorito e odiato dal loro padrone, in parte perché primo nella linea alla successione, ma anche perché non avrebbe desistito mai di complottare contro il capo, sia per la propria sopravvivenza, sia per affermare il suo diritto al governo.
Libro XVIII:216 Tiberio si appassionava anche a trarre indizi dagli oroscopi, traeva da essi risultati precisi in una scala più grande di quanti fanno di essi la professione della loro vita. Ad esempio, una volta, vedendo Galba andare da lui, disse ai suoi amici più stretti che stava arrivando un uomo che un giorno vorrà essere comandante dei Romani.
Libro XVIII:217 Credeva che ogni cosa connessa con la divinazione fosse attendibile; poiché le rivelazioni che ne derivavano erano vere, egli vi ricorreva per i suoi affari, più degli altri imperatori.
Libro XVIII:218 Ed anche ora era sconvolto per quel disgraziato evento e se ne doleva come se suo nipote fosse già morto; rimproverava a se stesso il desiderio
di prevedere il futuro, poiché, mentre avrebbe potuto morire libero da tristezze ignorando il futuro, doveva morire tormentato perché aveva la preconoscenza del disastro che avrebbe colpito le persone che più amava.
Libro XVIII:219 Ma nonostante il dolore che aveva nel dare l'impero a una persona non scelta da lui, pure riluttante e contro la sua volontà, disse a Gaio queste parole: “Figlio mio, sebbene Tiberio sia per me un parente più stretto di quanto tu sia, per mia propria decisione e col suffragio degli dèi, è a te che affido e consegno l'impero romano.
Libro XVIII:220 Quando ti sarai familiarizzato col tuo ufficio, ti prego di non dimenticare né il mio amore che ti ha posto così in alto,
Libro XVIII:221 né la parentela che ti stringe a Tiberio; sii conscio che è con l'aiuto degli dèi e dopo averli consultati ho preso la decisione di affidare a te una tale felicità. Il mio dono cordiale ispiri in te lo stesso sentimento. Nello stesso tempo abbi un pensiero per Tiberio perché è tuo parente e soprattutto perché vedi che il sopravvivere di Tiberio sarà un muro difensivo per il tuo impero e per la tua salvezza personale, ma che se se ne andrà, sarà preludio di sfortuna.
Libro XVIII:222 Troppo pericolosa è la solitudine per chi ha raggiunto un'altezza di potere così sublime; né gli dèi lasciano impuniti gli atti contrari alla giustizia e annullano la legge con ingiustizie ad essa contrarie”.
Libro XVIII:223 Così parlò Tiberio, ma Gaio, nonostante la promessa di attenersi alle sue raccomandazioni, non fece così. Poiché, posto che fu sul trono, mise a morte il giovane Tiberio, proprio come il vecchio aveva pronosticato. Poco tempo dopo fu ordita una congiura contro Gaio e in essa egli incontrò la morte.
Libro XVIII:224 - 10. Dopo avere creato Gaio suo successore nell'impero, Tiberio visse ancora pochi giorni. Morì dunque dopo avere mantenuto il comando imperiale per ventidue anni, cinque mesi e tre giorni. Gaio fu il quarto imperatore.
Libro XVIII:225 Udita la morte di Tiberio, i Romani si rallegrarono della lieta notizia. Ciononostante c'era ansietà a credere a queste notizie, avrebbero infatti pagato per assicurarsi che queste parole fossero vere, perché temevano che qualora, per calunnia di una persona, le notizie non lo fossero, quell'esultanza potesse tramutarsi nella loro distruzione.
Libro XVIII:226 Poiché egli solo tra tutti aveva maltrattato i patrizi romani; aveva infatti una natura implacabilmente biliosa; qualche volta gli si accendevano le furie dell'odio senza motivo; si infuriava contro quanti stimolavano il suo capriccio e, precipitoso, dava pene di morte per colpe di nessun rilievo.
Libro XVIII:227 Perciò, sebbene si godesse a dismisura di questo annunzio, restava il timore dei danni, qualora questa speranza risultasse delusa; e questo timore impediva di sfogare quell'allegria che pure bramavano.
Agrippa dalla prigione al trono
Libro XVIII:228 Marsia, liberto di Agrippa, saputo della morte di Tiberio, si affrettò a darne il lieto annunzio ad Agrippa. Lo trovò sulla via che lo portava al bagno; gli fece un cenno col capo e gli disse in ebraico: “Il leone è morto”.
Libro XVIII:229 Agrippa intese il significato e, fuor di sé dalla gioia, disse: “Illimitate grazie a te per tutto il tuo servizio e per la felice notizia. Spero soltanto che sia vera!”.
Libro XVIII:230 Il centurione che comandava la guardia di Agrippa, vista la premura di Marsia e la gioia di Agrippa, non appena sentì il messaggio, ebbe il sospetto che qualcosa di nuovo fosse avvenuto, e domandò loro di che si trattava.
Libro XVIII:231 Per un poco essi si schernirono; ma alle sue istanze, Agrippa non poté resistere e, deposto ogni dubbio, poiché ormai erano amici, gli disse la verità senza alcuna riserva; egli a questa notizia si unì alla loro gioia perché era a vantaggio di Agrippa e gli offrì un pranzo.
Libro XVIII:232 E mentre stavano mangiando e bevendo allegramente, venne uno a dire che Tiberio era vivo e tra pochi giorni si sarebbe recato in città. A tale notizia il centurione restò sbalordito, poiché la pena per le cose che egli stava facendo, cioè mangiare col prigioniero e gioire per la morte dell’imperatore, era la morte; precipitò allora Agrippa giù dal letto e disse: “Tu volevi darmi a intendere che l'imperatore è morto e non volevi pagare ciò con la tua testa?”.
Libro XVIII:233 Dopo tali parole ordinò di mettere le manette ad Agrippa, sebbene fosse stato proprio lui a toglierle poco prima, e che la guardia fosse più stretta di prima.
Libro XVIII:234 Così Agrippa passò quella notte in angustie. Ma il giorno appresso andò diffondendosi per la città la voce che Tiberio era morto. Il popolo ora dimostrava di avere il coraggio di parlare senza timore e alcuni offrivano perfino sacrifici. Quand'ecco giungere due lettere da Gaio: una informava il Senato della morte di Tiberio e di essere stato scelto a succedergli nell'ufficio;
Libro XVIII:235 l'altra a Pisone, governatore di Roma nella quale, dopo questa notizia gli ordinava di trasferire Agrippa dall'accampamento militare alla casa nella quale aveva vissuto prima dell’imprigionamento. Dopo questo non ebbe più alcun motivo di temere, perché, sebbene fosse tuttora sotto custodia e vigilato, poteva tranquillamente osservare le sue quotidiane attività.
Libro XVIII:236 Dopo che Gaio arrivò a Roma col corpo di Tiberio, gli allestì uno splendido funerale nel costume dell’antica Roma, fu poi sollecito, nello stesso giorno, a liberare Agrippa. Ma Antonia gli si oppose, non perché volesse fare un torto al prigioniero, era invece interessata che Gaio non commettesse una scorrettezza, liberando così in fretta una persona imprigionata da Tiberio e dando così l'impressione di accogliere con gioia la morte di Tiberio.
Libro XVIII:237 Qualche giorno dopo fece chiamare Agrippa in casa sua, gli fece tagliare i capelli e cambiare gli abiti e dopo questo gli impose sul capo il diadema e lo dichiarò re della tetrarchia di Filippo, donandogli anche la tetrarchia di Lisania; inoltre in cambio della sua catena di ferro gliene diede una nuova d'oro di uguale peso. A comandare la cavalleria in Giudea mandò Marullo.
Libro XVIII:238 - 11. Nel secondo anno di regno dell’imperatore Gaio, Agrippa gli chiese il permesso di andarsene a ordinare le faccende del suo regno e in seguito sarebbe ritornato. L'imperatore assentì ed egli partì.
Libro XVIII:239 Tutti restarono stupiti nel vederlo nella sua condizione di re. A quanti fecero il confronto tra la precedente miseria e la sua presente prosperità, diede una lezione di quanto possa la fortuna sull'umanità. Alcuni lo chiamavano fortunato perché non era mai venuto meno alle sue speranze, mentre altri erano ancora increduli su quanto era avvenuto.
Sfortuna dell'orgogliosa Erodiade e di
Erode tetrarca
Libro XVIII:240 - VII, I. - Erodiade, sorella di Agrippa e moglie di Erode, tetrarca della Galilea e della Perea, invidiava l'ascesa del fratello a un potere molto superiore allo stato di cui godeva suo marito. Una volta lui si era sottratto con la fuga perché non aveva i soldi per pagare i debiti, ed ora, eccolo di ritorno, elevato a una eccelsa dignità e tanta fortuna.
Libro XVIII:241 Le pareva doloroso e insopportabile un cambiamento così grande, soprattutto quando lo vedeva passeggiare tra la gente con l'abito regio, restava senza fiato e sentiva dentro di sé una infelice invidia. Stuzzicava il marito, lo incitava a imbarcarsi per Roma per impetrare gli stessi onori.
Libro XVIII:242 Non era tollerabile, asseriva, che un figlio di quell'Aristobulo condannato a morte dal padre, mendico e cascante per la fame al punto da non avere di che vivere che si affidò alla discrezione dei venti per fuggire ai creditori, ora si veda girare come un re, mentre lo stesso Erode, figlio di un re, che per la sua nascita regale era chiamato a uguale onore, si accontentasse di vivere come un comune cittadino fino al termine della vita.
Libro XVIII:243 “Anche se, o Erode”, lei asseriva, “in passato non ti angustiò l'essere meno del padre che ti diede la vita, almeno adesso, ti imploro, muoviti alla ricerca dell’alta posizione nella quale sei nato; non sopportare che un uomo già mantenuto a tue spese, salga al di sopra di te; non fare credere al mondo che egli, nella sua miseria, abbia saputo adoprarsi in maniera più valorosa di noi nella nostra abbondanza; né pensare che sia cosa da non fare sentire vergogna, stare al di sotto di una persona, che tra l'altro, viveva a spese della tua pietà.
Libro XVIII:244 Or dunque, via, andiamocene a Roma, non guardiamo le fatiche, i risparmi d'oro e d'argento, poiché non v'è alcun uso per il quale ammassarli, se non spenderli per l'acquisto di un regno”.
Libro XVIII:245 - 2. Per un po’ egli resistette e cercò di farle cambiare quei pensieri; era contento nella sua tranquillità ed era diffidente per il trambusto di Roma. Ma tanto più lei lo vedeva lontano. maggiormente insisteva istigandolo a non tralasciare alcun tentativo per la ricerca di un trono a ogni costo.
Libro XVIII:246 Né mai desistette fino a che l'ebbe condotto forzatamente al suo parere, giacché non gli restava altra via per rompere l'ostinazione della moglie. Fatti dunque prodigalmente i preparativi senza badare a spese, si pose in viaggio per Roma, accompagnato da Erodiade.
Libro XVIII:247 Ma Agrippa non appena venne a conoscenza del loro piano e dei loro preparativi, fece pure i suoi preparativi. Quando seppe che erano partiti, inviò a Roma Fortunato, uno dei suoi liberti, carico di regali per l'imperatore e con lettere contro Erode; gli ingiunse inoltre, che, qualora gli si presentasse l'occasione favorevole, narrasse la sua storia allo stesso Gaio.
Libro XVIII:248 Fortunato, messosi in cammino sulle orme di Erode, ebbe un viaggio felice e restò di poco dietro a Erode, sicché, allorché questi ebbe udienza da Gaio, egli sbarcò e gli consegnò le lettere. Ambedue sbarcarono al porto di Dicaearchia e trovarono Gaio a Baia.
Libro XVIII:249 Questa è una piccola città della Campania situata a circa cinque stadi da Dicaearchia; quivi vi sono residenze reali di splendida magni-ficenza perché ogni imperatore aveva l'ambizione di superare i suoi predecessori. La località offriva anche bagni caldi la cui acqua sgorgava spontaneamente dal sottosuolo e aveva virtù curative per quanti le frequentavano, senza parlare delle facilitazioni che offriva al vivere felice.
Libro XVIII:250 E proprio mentre stava salutando Erode, che era giunto primo, Gaio scorreva le lettere di Agrippa composte come un'accusa contro di lui. Le lettere accusavano Erode di cospirazione con Seiano contro il governo di Tiberio, e ora con Artabano, il Parto, contro il governo di Gaio;
Libro XVIII:251 a prova di questa accusa, le lettere informavano che le armerie di Erode erano sufficienti per settemila soldati di armatura pesante. Colpito da queste parole, Gaio domandò a Erode se era vero ciò che si diceva sulle armi.
Libro XVIII:252 E quando Erode rispose che le armi c'erano - gli era infatti impossibile negarlo davanti all'evidenza - Gaio gli tolse la tetrarchia e la annesse al regno di Agrippa; così pure diede ad Agrippa le proprietà di Erode e condannò Erode all'esilio perpetuo in Lione, città della Gallia.
Libro XVIII:253 Quando Gaio seppe che Erodiade era sorella di Agrippa, le concedette di mantenere tutte le sue proprietà personali e le disse di considerare il fratello il baluardo che la liberava dal crudele destino del marito.
Libro XVIII:254 Lei rispose: “Veramente, tu imperatore, hai parole generose e tali da dare gloria al tuo alto ufficio, ma il godere dei tuoi doni cortesi, mi toglie la lealtà verso mio marito, non essendo corretto che, dopo avere condiviso la sua prosperità, lo abbandoni in braccio alle sue sventure”.
Libro XVIII:255 Gaio si sdegnò di fronte alla orgogliosa alterigia della donna: esiliò anche lei con Erode e dei suoi beni fece dono ad Agrippa. Così Dio punì Erodiade per l'astio che aveva verso suo fratello, ed Erode per la eccessiva arrendevolezza al carattere frivolo di una donna.
Libro XVIII:256 Nel primo e nel secondo anno, Gaio resse l'impero con grande saggezza. La sua moderazione gli conquistò grande popolarità sia tra i Romani sia tra i loro sudditi. Ma venne il tempo in cui cessò di considerarsi uomo e si immaginò di essere un dio: a motivo della grandezza del suo impero fu mosso a trascurare la potenza divina e tutti i suoi atti ufficiali.
Sollevazione dei Giudei di Alessandria e
di Gerusalemme
Libro XVIII:257 - VIII, I. - In quel tempo scoppiò, in Alessandria, una guerra civile tra gli abitanti giudei e i greci. Furono eletti tre delegati, uno per ogni fazione, perché si presentassero davanti a Gaio. Uno dei delegati alessandrini era Apione, che insultò i Giudei con linguaggio scurrile asserendo tra l'altro che trascuravano di rendere gli onori dovuti all'imperatore.
Libro XVIII:258 Poiché mentre tutti i popoli sudditi dell'impero romano avevano dedicato altari e templi a Gaio e gli avevano dato, sotto ogni aspetto, la stessa attenzione che avevano verso gli dèi, solo questo popolo disdegnava di onorarlo con statue e di giurare in suo nome.
Libro XVIII:259 Apione pronunciò molte parole piene di ira con le quali sperava di muovere Gaio, come si poteva aspettare. Filone che era a capo della delegazione giudaica, uomo di grandissimo onore, fratello dell’alabarca Alessandro e non inesperto in filosofia, si preparava a intervenire in difesa contro le accuse.
Libro XVIII:260 Ma Gaio tagliò corto, e gli disse di uscire fuori, e colmo di collera diede chiaramente a vedere che aveva qualche pessima risoluzione contro di loro. Filone, trattato in maniera così ingiuriosa, uscì dalla sala dicendo ai Giudei che l'accompagnavano di farsi coraggio, perché la collera di Gaio era solo questione di parole, in realtà impegnava Dio contro se stesso.
Libro XVIII:261 - 2. Sdegnato di essere trattato così soltanto dai Giudei, Gaio inviò Petronio come suo legato in Siria perché succedesse a Vitellio in questo ufficio. I suoi ordini furono di portare in Giudea una grande forza e, se i Giudei
acconsentissero ad accoglierlo, innalzasse un'immagine di Gaio nel tempio di Dio; se, invece, si ostinassero contro di lui, li sottomettesse con le armi.
Libro XVIII:262 Petronio assunse l'amministrazione della Siria e studiava di eseguire gli ordini dell’imperatore. Radunò tutta la possibile quantità di ausiliari e, a capo di due legioni dell’esercito romano, prese la via di Tolemaide con l'intenzione di svernare là, e attaccare senza fallo la guerra all'inizio della primavera. Scrisse a Gaio quanto aveva in mente di fare. Ed egli rispose lodando la sua prontezza, gli ordinò di non rallentare nulla, ma attaccare guerra in modo deciso contro di essi qualora persistessero nel disobbedire.
Libro XVIII:263 Migliaia di Giudei andarono da Petronio in Tolemaide, supplicando che non li costringesse a trasgredire iniquamente la loro legge tradizionale:
Libro XVIII:264 Dissero: “Se tu ti proponi fermamente di introdurre e innalzare l'immagine, fallo pure, ma prima dovrai uccidere tutti noi, poiché per noi non è possibile sopravvivere di fronte ad azioni vietate da decisioni del nostro legislatore e dai nostri antenati che emisero queste misure come leggi morali”.
Libro XVIII:265 Petronio, adirato, rispose: “Se io fossi imperatore e intendessi compiere questa azione di testa mia, voi avreste diritto di parlare in questi termini. Ma siccome io sono un funzionario di Cesare e costretto ad attuare le decisioni che egli ha già preso, la disobbedienza mi attirerebbe un inevitabile castigo”.
Libro XVIII:266 “Poiché tu, Petronio, sei risoluto”, ripresero i Giudei, “a non trasgredire gli ordini di Gaio, noi siamo decisi a non trasgredire le dichiarazioni della legge. Noi abbiamo posto la nostra fiducia nelle promesse di Dio e nei travagli dei nostri antenati, che finora non abbiamo mai trasgredito. Né sarà mai che ci inoltriamo in tanta malvagità da trasgredire con le nostre azioni la legge che ci lega al nostro bene, per paura della morte.
Libro XVIII:267 Per custodire la legge dei nostri padri, sopporteremo pazientemente tutto quello che ci aspetta, nella fiducia che per tutti coloro che sono determinati ad azzardare, vi è pure la speranza di prevalere; poiché Dio starà dalla nostra parte, se noi accogliamo il male per la Sua gloria. Nelle umane faccende la fortuna, a volte, è da una parte, a volte dall'altra.
Libro XVIII:268 D'altronde l'obbedienza a te attirerebbe su di noi l'accusa di vigliaccheria, poiché equivarrebbe a coprire la nostra trasgressione della legge e allo stesso tempo incorreremmo nella severa collera di Dio; ed Egli ai nostri occhi ha un peso assai più grande del potere di Gaio.
Libro XVIII:269 - 3. Dalle loro parole, Petronio vide che non era facile fiaccare il loro spirito e che per lui sarebbe stato impossibile, senza una battaglia, portare a termine gli ordini di Gaio e innalzare la sua immagine. E, invero, sarebbe stato un grande massacro. Radunò amici e servi e andò a Tiberiade, volendo quivi esaminare da vicino la situazione della nazione dei Giudei.
Libro XVIII:270 Pur considerando quale rischio, nella sua grandezza, implicava uno scontro bellico con i Romani, i Giudei decisero che il rischio della trasgressione della Legge era più grande. E, come era avvenuto prima, decine di migliaia affrontarono Petronio al suo arrivo a Tiberiade.
Libro XVIII:271 Scongiurarono con ogni mezzo affinché non li riducesse al punto di contaminare la città erigendovi una statua. “Volete entrare in guerra con Cesare?”, disse Petronio, “senza tenere conto del suo potere e della vostra pochezza?”. Risposero: “Per nessun motivo noi combatteremo, ma noi moriremo piuttosto che violare le nostre leggi”; e mettendosi bocconi a terra e scoprendosi il collo si dicevano pronti a essere uccisi.
Libro XVIII:272 Questo confronto durò quaranta giorni; non si curavano di coltivare i campi, nonostante si avvicinasse il tempo della semina. Si tenevano fermi nella loro determinazione e pronti a morire piuttosto che vedere l'erezione della statua.
Libro XVIII:273 - 4. Le cose erano a questo punto quando Aristobulo, fratello del re Agrippa, insieme a Elcia, l'Anziano, e altri membri autorevoli di questa casa, insieme ai capi civili si presentò davanti a Petronio e si appellò a lui,
Libro XVIII:274 poiché aveva visto il profondo sentimento del popolo, a non incitarlo alla disperazione, ma a scrivere a Gaio dicendogli quanto fosse irremovibile l'opposizione del popolo a ricevere una statua e come avesse abbandonato i campi per la protesta e non avesse scelto la guerra, dato che non avrebbe potuto combattere, ma sarebbe stato pronto a morire piuttosto che trasgredire le sue leggi. Aggiungendo che siccome la terra non era seminata, pretendere il raccolto sarebbe stata un'azione da banditi, perché veniva meno il necessario per il tributo.
Libro XVIII:275 Forse, a tale notizia, Gaio avrebbe messo da parte ogni severità o non avrebbe adottato un piano così crudele come lo sterminio della nazione. Ma se fosse rimasto fermo nella presente politica di guerra, Petronio allora poteva pure procedere con le operazioni.
Libro XVIII:276 Questo fu il consiglio che Aristobulo e quanti erano con lui diedero a Petronio; egli ne restò impressionato, ma, trattandosi di una questione di tanta importanza, si impegnò con ogni mezzo per uscirne bene;
Libro XVIII:277 teneva presente l'ostinata determinazione dei Giudei di resistere, e pensò che fosse una cosa terribile la morte di tante migliaia di persone per portare avanti gli ordini pazzi di Gaio, considerarli colpevoli per la loro reverenza verso Dio e passare il resto della vita infelice. Decise che era molto meglio inviare una lettera a Gaio e sopportare l'inesorabile collera che ne sarebbe venuta per non avere eseguito subito gli ordini.
Libro XVIII:278 Sperava di persuaderlo. Tuttavia, qualora Gaio avesse insistito nella sua pazza risoluzione, egli avrebbe iniziato la guerra contro i Giudei. Ma se, in fondo, Gaio avesse rovesciato parte della sua collera contro lui, persona che stima la virtù, sarebbe tornato a suo onore avere dato la vita per un grande numero di persone. E così decise di riconoscere la forza di persuasione dei supplicanti.
Libro XVIII:279 - 5. Egli dunque radunò i Giudei a Tiberiade ove giunsero molte decine di migliaia, si pose in alto davanti a tutti e spiegò che la presente spedizione non era una scelta sua, ma un ordine dell'imperatore, la cui collera si sarebbe rovesciata subito, senza alcun indugio su coloro che osavano disobbedire ai suoi ordini. “Ed è giusto che uno al quale fu conferita una posizione così alta dall'imperatore non gli si opponga in nulla:
Libro XVIII:280 tuttavia io non giudico giusto azzardare la mia salvezza e la mia posizione per salvare dalla distruzione voi che siete così numerosi. Voi avanzate i precetti della vostra Legge che difendete come vostra eredità e servite obbedendo il sovrano di tutti, Dio onnipotente, il cui tempio io non avrei il coraggio di veder cadere in balia dell’insolenza dell'autorità imperiale.
Libro XVIII:281 Mando piuttosto un dispaccio a Gaio spiegando completamente la vostra determinazione, e difendendo in qualche modo la mia accondiscendenza, contraria al suo decreto, con l'oggetto da voi proposto. Dio vi assista, visto che il Suo potere è al di sopra di ogni umana ingenuità o forza;
possa Egli conservarvi nella custodia e osservanza delle vostre leggi tradizionali senza privarLo mai, per congiure di umani capricci, dei Suoi tradizionali onori.
Libro XVIII:282 Qualora Gaio, amareggiato, farà di me un oggetto della sua inesorabile collera, io sosterrò ogni danno e ogni genere di sofferenza che possa essere inflitta al mio corpo, e riterrò piuttosto mia fortuna che non sia distrutto un popolo così numeroso per azioni virtuose.
Libro XVIII:283 Andate, dunque, ognuno alle proprie occupazioni e ai lavori della terra. Io manderò a Roma un messaggio e non metterò in opera alcuna azione sia a vantaggio mio sia dei miei amici”.
Libro XVIII:284 - 6. Con queste parole congedò l'assemblea dei Giudei e pregò quelli in autorità affinché pensassero ai lavori agricoli e dessero al popolo buone speranze. E così egli fece il meglio che c'era da fare per incoraggiare la folla. Dio, da parte Sua, mostrò a Petronio che Egli era con lui, e gli avrebbe concesso il Suo aiuto in ogni cosa.
Libro XVIII:285 Non appena Petronio finì di parlare ai Giudei, Dio inviò un improvviso acquazzone, che nessuno si aspettava; quel giorno, fin dal mattino, si era mantenuto chiaro, ma il cielo non aveva dato alcun segno di pioggia; lungo tutto l'anno il tempo era stato secco fino a ridurre gli uomini alla disperazione per la mancanza di acqua, benché qualche volta il cielo si fosse mostrato coperto.
Libro XVIII:286 Anzi, quando quel grande rovescio d'acqua eccezionale e inaspettato si rovesciò sulla terra, i Giudei erano fiduciosi che le suppliche innalzate per loro da Petronio non sarebbero rimaste inefficaci; lo stesso Petronio rimase stordito quando vide l'innegabile evidenza con la quale la provvidenza di Dio era sopra i Giudei e come Egli aveva dimostrato la Sua presenza in modo così abbondante, non soltanto coloro che avevano già preso la soluzione opposta, ma anche gli altri non avevano più coraggio di discutere.
Libro XVIII:287 Onde, tra le cose di cui scrisse a Gaio inserì anche questo per supplicarlo e persuaderlo in ogni modo a non precipitare tante migliaia di persone nella disperazione; e certo essi non sarebbero andati contro la loro antica religione senza una guerra; sarebbero venute meno le entrate e lui sarebbe venuto a trovarsi sotto una maledizione per tutti i tempi.
Libro XVIII:288 Disse, pertanto, che la Divinità che li proteggeva aveva dimostrato come la Sua potenza fosse indivisibile e non avesse lasciato ad altri l'uso di questa Sua potenza. Così era per Petronio.
Agrippa a Roma. Morte di Gaio
Libro XVIII:289 - 7. Il re Agrippa in quel tempo si trovava a Roma e ogni giorno progrediva la sua amicizia con Gaio. Decise un giorno di offrirgli un banchetto con l'intento di superare tutti sia nelle spese del banchetto sia nel provvedere piaceri agli ospiti.
Libro XVIII:290 Voleva ottenere un successo così grande da non venire superato da alcuno, neppure dallo stesso Gaio, ma neppure paragonato, e tanto meno sorpassato qualora ne volesse organizzare uno anche lui. Preparò così tante cose affinché i suoi preparativi fossero superiori a quelli di ogni altro, immaginando e provvedendo per Cesare ogni cosa.
Libro XVIII:291 Gaio si stupì grandemente della magnificenza, delle prove estreme che gli dimostrò per compiacerlo e della profusione di denaro, anche al di là dei suoi mezzi. Gaio perciò volle imitare l'ambiziosa parata allestita da Agrippa per fargli piacere. Mentre, durante il banchetto si stava rilassando con il vino e il suo umore era insolitamente mite, quando Agrippa l'invitò a bere, disse:
Libro XVIII:292 “Agrippa, io ero ben consapevole del rispetto che avevi verso di me e come tu mi hai dimostrato la tua grande lealtà anche in mezzo ai pericoli che ti accerchiavano a causa di Tiberio. Eppure non cessi mai di dimostrare la tua gentilezza verso di noi, anche al di là dei tuoi mezzi. Perciò sarebbe cosa indegna dell’onore in cui ti tengo, che il tuo zelo mi sorpassasse in cortesia, è mio volere fare ammenda delle deficienze passate.
Libro XVIII:293 Quello che finora ti ho concesso è veramente poco. Quanto, dunque, può concorrere alla tua felicità te lo concedo subito e stabilmente con tutto il mio cuore e potere”. Dette queste parole, pensava che Agrippa gli domandasse la concessione di qualche territorio da aggiungere al suo o i tributi di qualche città.
Libro XVIII:294 Al contrario, rispose immediatamente a Gaio che non si trattava dell’attesa di qualche beneficio, perché lui, in passato, lo aveva corteggiato nonostante gli ordini di Tiberio; né si trattava dell'attesa di qualche beneficio personale;
Libro XVIII:295 disse che i regali fattigli da Gaio erano grandi e al di là delle aspettative che poteva accarezzare. “Poiché anche se fossero state inferiori alla tua capacità, oltrepassano i miei pensieri e le mie aspirazioni come colui che riceve”.
Libro XVIII:296 Gaio, stupito del suo comportamento, insisteva ancora di più nel domandargli che cosa poteva dargli per compiacerlo. Agrippa rispose: “Siccome, mio padrone, nella tua gentilezza mi giudichi degno di doni, io non chiedo nulla che mi possa arricchire; mi onorano grandemente i doni che già mi hai fatto.
Libro XVIII:297 Ma chiedo una cosa che ti darà fama di uomo religioso e indurrà la Divinità ad aiutarti in ogni tuo bisogno; e darà a me la fama di non avere mai mancato di ottenere quanto desideravo dalla tua autorità. Ti chiedo dunque di abbandonare ogni pensiero di erigere quella statua che Petronio, per ordine tuo, vuole introdurre nel tempio dei Giudei”.
Libro XVIII:298 - 8. La domanda era ardita: se Gaio, infatti, non l'avesse presa con favore, non poteva aspettarsi altro che la morte; tuttavia, siccome giudicava importante la domanda, come era in realtà, in questa occasione scelse di giocare d'azzardo.
Libro XVIII:299 Gaio era attratto dalle attenzioni di Agrippa verso di lui. Inoltre, se avesse subito ritirato l'offerta fatta, giudicò inverosimile mancare alla parola davanti a così tanti testimoni allorché aveva generosamente fatto forza su Agrippa affinché facesse la sua richiesta;
Libro XVIII:300 allo stesso tempo ammirava il comportamento di Agrippa, il quale, anziché ingrandire le sue piccole risorse aumentando la sua personale autorità o accrescendo le sue entrate o altri privilegi, tenne presente la felicità dell’ecumene dando la precedenza alla religione e alle leggi. Così gli concedette subito la grazia e scrisse a Petronio lodandolo di avere adunato l'esercito e di avergli inviato un'ambasciata su questo argomento.
Libro XVIII:301 “Or dunque, gli scrisse, se hai già collocato la mia statua, ci stia. Se però non l'hai ancora inaugurata, non ti preoccupare, licenzia l’esercito e vai là dove ti ho mandato da principio per gli affari che ti ho assegnato. Io, infatti, non ho più interesse all'erezione di questa statua, favorendo in questo Agrippa, persona che io tengo in alta considerazione e mai più mi opporrò alla sua domanda e al suo invito”.
Libro XVIII:302 Gaio scrisse questo a Petronio prima che gli capitassero le lettere che lo informavano come i Giudei erano sul punto di ribellarsi a motivo di una statua e che il loro comportamento indicava che si trattava di una minaccia di vera guerra contro i Romani.
Libro XVIII:303 Ricevuta questa lettera, rimase molto rattristato che essi avessero osato mettersi contro la sua autorità. Essendo egli una persona sempre incline al peggio, ma forte nell'affrontare l'esigenza di un ideale, uno che si scagliava con rabbia contro quanto non gli andava a genio senza alcun controllo e si considerava felice soltanto quando assecondava il proprio sdegno, scrisse a Petronio come segue:
Libro XVIII:304 “Siccome hai tenuto i doni che ti hanno dato i Giudei in maggiore pregio dei miei ordini e hai presunto di comportarti in ogni cosa a piacer tuo, fai il giudice di te stesso, tu infatti ti sei attirato il mio malcontento. Tu sarai citato come esempio da tutti gli uomini presenti e anche dai futuri perché da te imparino che non si possono vanificare gli ordini dell'imperatore”.
Libro XVIII:305 Così era la lettera che scrisse a Petronio. Ma Petronio non la ricevette durante la vita di Gaio, poiché il viaggio di coloro che la portavano fu lungamente ostacolato dal mare ed ebbe tanto ritardo che a Petronio giunse prima una lettera con la notizia della morte di Gaio.
Libro XVIII:306 Dio, infatti, non avrebbe mai potuto dimenticare i rischi ai quali s'era esposto Petronio per il favore accordato ai Giudei e per l'onore reso a Dio; anzi, la rimozione di Gaio fu un castigo per la celerità con cui pretese onori divini, e ricompensa di Dio a Petronio. Infatti, Roma e tutto l'impero, specialmente i senatori più eminenti per merito, erano in favore di Petronio; e contro di loro Gaio si era infuriato ferocemente.
Libro XVIII:307 Morì, dunque, poco dopo avere scritto questa lettera a Petronio consegnandolo alla morte; la causa della morte di Gaio e l'organizzazione del complotto, la esporrò nel corso della mia opera.
Libro XVIII:308 Così Petronio ebbe prima la lettera che gli annunziava chiaramente la morte di Gaio e dopo poco tempo quella che gli ordinava di togliersi la vita; e gioì della coincidenza dell'improvvisa morte di Gaio
Libro XVIII:309 e si stupì della provvidenza di Dio che rapidamente e puntualmente lo aveva ripagato onorando il tempio e venendo a sollievo dei
Giudei. Così in un modo difficilmente prevedibile svanì la minaccia di morte contro Petronio.
I Giudei di Mesopotamia
Libro XVIII:310 - IX, I. - Ora i Giudei che abitavano la Mesopotamia e special-mente coloro che abitavano in Babilonia incontrarono un disastro terribile e incomparabile e furono massacrati in un numero così alto che prima d'allora non era mai avvenuto nella storia. Io narrerò tutta questa storia nei particolari premettendo le cause che furono occasione della loro sfortuna.
Libro XVIII:311 Nearda è una città in Babilonia assai popolata e di ampio e fertile territorio che oltre ad altri vantaggi, è pure densamente popolata. Perciò non è esposta a facile invasione nemica perché cinta dall'Eufrate e tutta circondata da mura.
Libro XVIII:312 Circondata dal corso dello stesso fiume c'è pure la città di Nisibi. Di conseguenza i Giudei, confidando nella naturale difesa di questi luoghi solevano depositare qui le monete di due dracme che sono il contributo nazionale di tutti da pagare a Dio come qualunque altra offerta dedicatoria. Così queste città erano la loro banca deposito.
Libro XVIII:313 Di là le offerte erano mandate a Gerusalemme nel tempo debito. Molte migliaia di Giudei scortavano il convoglio di queste monete perché temevano le ruberie dei Parti ai quali Babilonia era soggetta.
Libro XVIII:314 Vi erano due fratelli Asineo e Anileo nativi di Nearda; avevano perso il loro padre e la madre aveva insegnato loro a dedicarsi al commercio della tessitura; cosa non disdicevole presso gli abitanti di quel paese, perché gli uomini filano la lana. L'uomo che sovraintendeva a questo lavoro, dal quale essi avevano imparato il loro commercio, li richiamò al lavoro perché arrivati tardi e li punì con battiture.
Libro XVIII:315 Giudicando tale castigo indegno di una persona, si impossessarono di una quantità delle armi che erano custodite nei magazzini e si recarono in un distretto che si chiamava “Divisione dei fiumi”; quivi si trovavano ottimi pascoli e biade da immagazzinare per tutto l'inverno. Ragazzi della classe più povera si radunarono intorno a loro e questi li armarono e divennero i loro capitani e le loro guide senza alcuna difficoltà.
Libro XVIII:316 Quando divennero inespugnabili e si costruirono una cittadella, incominciarono a dare ordine ai pastori di pagare dai loro greggi taglie sufficienti a mantenere. A quelli che obbedivano offrivano la loro amicizia e la difesa contro tutti i loro nemici, con la minaccia di distruggere i loro greggi qualora rifiutassero.
Libro XVIII:317 Gli abitanti non avendo altra alternativa, obbedivano e inviavano le taglie. Questo li fortificò ancora più e li pose in condizione di gettarsi improvvisamente contro chi volevano. Tutti quanti si sottomettevano a loro poiché erano fonte di terrore per chiunque pensasse di attaccarli. E così la loro rinomanza crebbe al punto da giungere alle orecchie del re dei Parti.
Scontro dei fratelli con le
forze dei Parti
Libro XVIII:318 - 2. Il satrapo di Babilonia decise di stroncare sul nascere quel movimento prima che da esso sfociasse un danno maggiore. Raccolse un numeroso esercito di Persiani e di Babilonesi e marciò contro costoro; era suo intento sorprenderli e annichilirli prima ancora che giungesse loro la notizia che stava preparando un esercito.
Libro XVIII:319 Dispose i suoi uomini in posizione di marcia e non fece alcuna mossa. Il giorno dopo per i Giudei era sabbato, giorno di riposo e astensione da ogni lavoro. Supponendo che il nemico non avesse il coraggio di resistergli e potesse venire preso senza combattimento e fatto prigioniero, avanzò poco a poco, fiducioso che il suo attacco sarebbe stato inaspettato.
Libro XVIII:320 Intanto Asineo se ne stava seduto con i compagni e le armi affianco. D'improvviso esclamò: “Uomini, giunge alle mie orecchie un nitrire di cavalli non alla pastura ma di cavalli con sul dorso i cavalieri poiché colgo pure il suono delle briglie; temo che il nemico ci abbia circondato senza che noi ce ne accorgessimo. Qualcuno vada, dunque, in esplorazione per darci in seguito un rapporto veritiero su quanto ci aspetta. E possano le mie parole essere senza fondamento”!
Libro XVIII:321 Tosto alcuni si mossero per vedere quanto stava accadendo; e ritornarono in fretta dicendo: “La tua congettura non ti ha ingannato, ma ti ha fatto vedere correttamente quanto il nemico sta facendo. Abbiamo saputo che i nemici non ci permetteranno più di insultarli.
Libro XVIII:322 Siamo stati colti in inganno come animali al pascolo. Tutti questi cavalieri si stanno avvicinando, e le nostre mani sono oziose perché la nostra antica legge ci ordina di non compiere alcun lavoro”.
Libro XVIII:323 Ma Asineo, a quanto pareva, non aveva intenzione di attenersi alla decisione dell’esploratore. Pensava se fosse meglio osservare la legge e rallegrare il nemico con la propria morte senza fare nulla, o prendere in mano il coraggio - lasciare cadere le difficoltà nelle quali era caduto l'esploratore, scusare la violazione della legge - e morire, se così era necessario, per ottenere una giusta vendetta. Così si armò e incoraggiò i suoi compagni a emulare il suo valore.
Libro XVIII:324 In tal modo affrontarono i nemici in battaglia e ne uccisero molti, dato che avanzavano in maniera sprezzante quasi che la preda fosse già loro, e il restante si desse alla fuga.
Seguito della fortuna dei fratelli
Libro XVIII:325 - 3. Quando la notizia della battaglia giunse alle orecchie del re dei Parti, rimase stupito dell’audace avventura dei fratelli e bramò di vederli e parlare con loro; mandò così le più fedeli guardie del corpo con questo messaggio:
Libro XVIII:326 “Il re Artabano, nonostante i danni che avete fatto attaccando i suoi domini - facendo conto più del vostro valore che del suo sdegno - mi ha mandato a offrirvi un impegno solenne. Vi concede un salvacondotto e un transito sicuro, perché desidera conoscervi come amici, senza scaltrezza e senza inganni; promette di darvi doni e un ufficio che, col prestigio delle vostre presenti imprese, varrà come un beneficio della sua autorità”.
Libro XVIII:327 Da parte sua Asineo rimandò un viaggio da quelle parti e inviò il fratello Anileo con tutti i regali che poté radunare. Questo partì e fu subito ammesso alla presenza del re Artabano; osservato che Anileo era venuto solo, domandò come mai Asineo non fosse venuto.
Libro XVIII:328 Informato che era rimasto nella palude perché aveva paura, Artabano giurò per le sue patrie divinità che non avrebbe mai fatto loro alcun male, se lo visitavano fidandosi della sua garanzia e gli diede la mano destra che per i Barbari di quelle parti è la più alta promessa di sicurezza quando si fanno visite.
Libro XVIII:329 Nessuno si dimostrò falso dopo avere dato la mano destra, né alcuno esita ad avere fiducia una volta che ha ricevuto questo pegno di sicurezza. Compiuto questo passo, Artabano mandò Anilao a persuadere suo fratello e ritornare poi con lui.
Libro XVIII:330 Lo scopo del re in questo era di servirsi dell’abilità dei fratelli giudei per tenere a freno e assicurare la fedeltà delle sue satrapie, perché alcune si stavano già ribellando e altre meditavano la ribellione, ed egli era in procinto di marciare contro di esse.
Libro XVIII:331 Perciò temeva che mentre era trattenuto in guerra contro questi Parti e soggiogava i ribelli, Asineo si rafforzasse molto e, o prendesse la sua giurisdizione su Babilonia o, qualora non giungesse a tanto, gli infliggesse un danno ancora più grande.
Libro XVIII:332 - 4. Aveva in mente questo calcolo allorché rimandò Anileo. Questo ebbe la meglio sul fratello: gli raccontò, tra l'altro, la benevolenza del re e il giuramento che aveva fatto. Si affrettarono così ad andare da Artabano.
Libro XVIII:333 Al loro arrivo il re diede loro il benvenuto e rimase stupito di fronte al coraggio dimostrato da Asineo quando osservò che la sua corporatura era a prima vista piccola e insignificante per quanti lo vedevano, trascurabile e di nessun conto; tanto che il re disse ai suoi amici che Asineo aveva un'anima più grande del corpo. E una volta, mentre bevevano, indicò Asineo ad Abdagase, suo generale, dandogli il suo nome e un completo racconto delle sue prodezze in guerra.
Libro XVIII:334 Abdagase allora gli domandò la licenza di vendicare i tanti oltraggi che costui aveva compiuto contro il regno dei Parti: “Ma no, disse il re, non ti posso concedere nulla contro quest'uomo che ha fiducia nel mio giuramento: gli ho dato la mia mano destra e ho conquistato la sua fiducia giurando per gli dèi.
Libro XVIII:335 Se tu sei veramente un uomo prode in guerra, non hai bisogno ch'io infranga il mio giuramento, vendica tu stesso le offese fatte all'onore della Parthia. Quando lui andrà a casa, attaccalo con le tue forze e abbi la meglio, senza ch'io lo sappia”.
Libro XVIII:336 Ma al mattino dopo, all'alba, chiama Asineo e gli dice: “E’ -tempo ormai, giovanotto, che tu vada nel tuo territorio affinché protraendo oltre
la tua dimora non si scateni la collera dei miei generali e compiano attentati contro la tua vita, a mia insaputa.
Libro XVIII:337 Affido nelle tue mani la terra di Babilonia affinché sotto la tua cura sia mantenuta libera da ladrocini e da ogni abuso; è ben giusto che tu sia con me benevolo e cortese in contraccambio della fiducia che io ho avuto in te trattando (con te) di affari non leggeri, dei mezzi per preservare la tua vita”.
Libro XVIII:338 Con queste parole diede regali ad Asineo e lo mandò via subito. Mentre raggiungeva il suo territorio, Asineo eresse fortezze e rafforzò quelle che già c'erano, sicché, in breve, raggiunse grande potenza; non c'era nessuno che da simili inizi fosse giunto a tanta potenza.
Libro XVIII:339 I generali persiani spediti nel suo territorio cercavano il suo favore, poiché l'onore che gli era stato riconosciuto dai Babilonesi con l'estensione del suo territorio sembrava pari al suo merito. E così egli godeva di dignità e di autorità: da lui dipendevano tutti gli affari della Mesopotamia, e in quindici anni la prosperità dei fratelli fu sempre in crescita.
Lento decrescere della fortuna
Libro XVIII:340 - 5. Mentre il loro successo aveva raggiunto il massimo splen-dore, la situazione iniziò a deteriorarsi per il motivo seguente. Le loro grandi qualità che li avevano innalzati a tanto splendore e potenza, degeneravano in sopraffazione, capricci e prepotenze e li precipitarono a violare il codice giudaico. Le noie ebbero inizio allorché incontrarono un Parto giunto come comandante in quelle regioni.
Libro XVIII:341 Costui era accompagnato dalla moglie, donna di eccellenti qualità e di grandi meriti al di sopra di qualsiasi altra donna, ma era la sua bellezza meravigliosa che le dava un effettivo controllo su di lui.
Libro XVIII:342 Sia che Asileo, fratello di Asineo, avesse conosciuto la sua bellezza per averne sentito parlare oppure per averla vista con i propri occhi, ne divenne subito il suo amante e suo nemico. Nemico, parzialmente, perché non sperava di giungere in altra maniera a unirsi con lei prendendola in suo potere, come prigioniera, considerava infatti insuperabile la propria passione.
Libro XVIII:343 Perciò suo marito fu dichiarato subito un nemico e uomo predestinato, “morto”, e, costretto a lottare, cadde. Dopo che fu ucciso. la sua
vedova fu catturata e divenne moglie del suo appassionato spasimante. Tuttavia il suo ingresso nella famiglia non avvenne senza una catena di gravi disastri. Ne riferirò uno che riguarda sia Anileo, sia Asineo.
Libro XVIII:344 Allorché, dopo la morte del marito, lei cadde prigioniera, secondo la legge ancestrale, lei prese le immagini degli dèi appartenenti a suo marito e anche a se stessa: secondo l'uso di tutta la popolazione di quel paese è normale avere in casa gli oggetti della propria religione e portarli con sé quando si va fuori. Perciò, seguendo l'osservanza del proprio paese in questa materia, segretamente li portò con sé. Sulle prime li venerò senza particolare attrazione, ma quando le fu dato lo stato di moglie, lei seguitò a venerarli nella maniera abituale con il rituale che le era solito durante la vita del suo precedente marito.
Libro XVIII:345 Sulle prime, le persone più autorevoli alla corte dei due fratelli, dissero semplicemente ad Anileo che le sue azioni erano proprio contrarie al costume ebraico, non consone alle loro leggi, in quanto aveva preso una donna gentile, una che trasgrediva le strette norme dei sacrifici e dei riti alle quali erano abituati; stesse attento che la troppo grande sensualità non gli facesse perdere l'autorità guadagnata con la condotta decorosa e il potere che fino ad allora era stato accresciuto dal favore di Dio.
Libro XVIII:346 Il richiamo, tuttavia, era inutile: aveva persino fatto uccidere un uomo di altro grado perché gli aveva parlato in modo molto franco: e morendo per la lealtà verso le leggi e per vendetta contro il suo uccisore, pronunciò una maledizione, augurando una morte simile alla sua, contro Anileo, contro Asineo e contro tutti i loro compagni,
Libro XVIII:347 perché erano diventati maestri nella trasgressione delle leggi, e gli altri perché non si erano levati in sua difesa quando avevano visto come era trattato lui che difendeva la legge; costoro erano sì angustiati da questo fatto, ma non fecero nulla per lui, poiché non dimenticavano che la loro presente prosperità non la dovevano ad altri che alla decisione e al potere di questi due fratelli.
Libro XVIII:348 Ma quando udirono che si prestava culto agli dèi venerati dai Parti considerarono insopportabile l'offesa alla Legge che veniva compiuta da Anileo: andarono in gran numero da Asineo inveendo contro Anileo.
Libro XVIII:349 Dissero che non aveva importanza il fatto che egli, in precedenza, non avesse capito da solo quello che di meglio poteva fare, ma ora certamente doveva rendersi conto del fatto prima che risultasse colpevole della
sua rovina e di quella degli altri. Dissero che lo sposalizio di Anileo con quella donna, avvenuto senza il loro consenso, non concordava con le leggi che essi erano soliti seguire, e che il culto praticato da quella donna oltraggiava il Dio da essi onorato.
Libro XVIII:350 Anche Asineo conosceva la mancanza del fratello e sapeva bene che in avvenire sarebbe stata causa di molti guai. D'altra parte non lo trattenne giudicando troppo grandi i vincoli del sangue e giudicando scusabile il comportamento del fratello dominato da una passione irresistibile.
Libro XVIII:351 Ma quando giorno dopo giorno si radunavano in numero sempre maggiore e le loro grida divennero sempre più forti, finalmente si indusse a trattare l'argomento col fratello, rimproverandolo per le azioni precedenti e insistendo affinché in futuro vi ponesse fine e rimandasse la donna ai suoi parenti.
Libro XVIII:352 Egli però non fece nulla dopo queste parole. In seguito, la donna si rese conto che il popolo mormorava a causa sua, e temendo che Anileo potesse incorrere, per amor suo, in qualche disavventura, pose veleno nel cibo di Asineo. Lei così tolse impunemente la vita dell’uomo, dato che arbitro del suo destino sarebbe stato il suo amante.
Libro XVIII:353 - 6. Anileo, trovatosi solo sul trono, condusse l'esercito contro le regioni di Mitridate, uno dei capi dei Parti che aveva sposato la figlia del re Artabano; saccheggiò i villaggi, da essi ottenne grande quantità di denaro, bestiame e molte altre cose che aumentano la prosperità di quanti le possiedono.
Libro XVIII:354 Casualmente Mitridate si trovava in quelle regioni e, venuto a conoscenza della presa di quei villaggi, fu indignato che Anileo, senza alcuna provocazione, avesse preso l'iniziativa di compiere quell'azione senza tenere conto del suo alto grado. Raccolse perciò tutta la cavalleria che gli fu possibile, dal numero scelse la parte migliore, ed era pronto a iniziare il confronto con le forze di Anileo; si accampò in uno degli ultimi villaggi con l'intenzione di attaccare battaglia il giorno seguente che era un sabbato, giorno nel quale i Giudei si astengono dal lavoro.
Libro XVIII:355 Ma Anileo venne a conoscenza di tutto questo da uno straniero della Siria abitante in un altro villaggio che gli aveva narrato tutto dettagliatamente, compreso il luogo nel quale Mitridate avrebbe cenato; Anileo cenò quindi per tempo, e con una marcia notturna attaccò i Parti ignari di quanto stava accadendo.
Libro XVIII:356 Intorno alla quarta vigilia, fu su di loro liquidandone alcuni nel sonno e obbligando altri alla fuga. Catturò vivo Mitridate e lo condusse a casa nudo su un asino, cosa che dai Parti è considerata la disgrazia più infamante.
Libro XVIII:357 Quando lo portò nel bosco in questa maniera così ignobile, gli amici di Anileo lo supplicavano di uccidere Mitridate, ma egli sosteneva accanitamente il contrario; affermando che non era una bella idea uccidere un uomo appartenente alla prima famiglia dei Parti, e anche perché il suo matrimonio lo imparentava col re.
Libro XVIII:358 Quanto avvenuto finora era tollerabile. Perché, sebbene Mitridate fosse stato offeso, tuttavia la garanzia della vita era un favore che egli avrebbe ricordato a vantaggio di coloro che gliela avevano garantita.
Libro XVIII:359 Ma Mitridate aveva da sopportare un incurabile destino: il re non si sarebbe calmato fino a quando non avesse fatto un grande massacro dei Giudei in Babilonia. Onde era giusto che risparmiassero questi Giudei sia per la loro parentela con essi sia perché questi Giudei non avrebbero avuto alcun rifugio qualora su di loro si rovesciasse un disastro e perissero coloro che erano all'inizio della vita.
Libro XVIII:360 Quando espose i suoi pensieri davanti all'assemblea, li conquistò tutti e Mitridate fu liberato. Ma quando giunse a casa, la moglie gli disse villanie perché, genero del re, qual era, non si curava di vendicarsi dei torti subiti
Libro XVIII:361 e si accontentava della libertà dopo essere stato prigioniero dei Giudei. “E adesso”, lei diceva, “riprendi il tuo valore, o io giuro per gli dèi che il vincolo che mi unisce a te come sposa, si spezzerà”.
Libro XVIII:362 Alla fine non potendo da una parte reggere al peso dei quotidiani rimproveri e, d'altra parte, temendo che l'animo orgoglioso della donna, irritato, arrivasse a spezzare il matrimonio, riluttante e malvolentieri, raccolse quanta gente poteva e allestì un numerosissimo esercito. Egli stesso non riusciva a capacitarsi come lui, un Parto, potesse ancora sopravvivere superato da un Giudeo.
Libro XVIII:363 - 7. Quando Anileo seppe che Mitridate si stava avvicinando contro di lui con un grande esercito, ritenne cosa ingloriosa incontrarlo in mezzo alle paludi invece di uscire incontro al nemico in modo franco, e, sperando nella
buona fortuna come in passato e aspettandosi che il successo in battaglia arridesse sempre a coloro che sono fieri e mai paurosi, fece avanzare le sue forze.
Libro XVIII:364 In più, questa volta si erano aggiunte altre persone al suo esercito, anche chi aveva la speranza di prendere beni di un altro popolo e chi pensava di sbalordire il nemico con la sola presenza.
Libro XVIII:365 Una volta inoltratosi per circa novanta stadi, si sentirono proprio oppressi dalla sete perché lungo la strada da loro percorsa non c'era assolutamente acqua ed era mezzogiorno: improvvisamente comparve Mitridate e si gettò su di loro, che non avevano proprio nulla da bere ed erano incapaci di portare le armi sia per la sete sia per l'ora del giorno. Di conseguenza sul seguito di Anileo pesò una disgraziata sconfitta: erano esausti e stanchi ed erano assaliti da soldati freschi.
Libro XVIII:366 La carneficina fu grande, caddero decine di migliaia di uomini; Anileo e tutti quanti si erano stretti attorno a lui fuggirono nel bosco, concedendo a Mitridate il grande piacere della vittoria su di loro.
Libro XVIII:367 Intanto, attorno ad Anileo, si affollò una moltitudine di furfanti che non facevano alcun conto della loro vita pur di guadagnarsi un momentaneo benessere. Questi nuovi arrivati rimpiazzavano la moltitudine di coloro che erano periti; tuttavia per la mancanza di esercitazione, non avevano le qualità di coloro che erano caduti.
Libro XVIII:368 Ciononostante anche con costoro egli saccheggiò villaggi babilonesi, tutto quanto vi era nella regione fu messo a soqquadro dalla violenza e furore di Anileo.
Libro XVIII:369 Allora i Babilonesi e coloro che si trovavano impegnati in questa guerra, mandarono ambasciatori ai Giudei di Nearda affinché fosse consegnato loro Anileo; allorché i Neardesi rifiutarono questa richiesta - non si trovavano infatti nella condizione di consegnarlo anche se lo avessero voluto - gli ambasciatori li invitarono a fare la pace; replicarono che anch'essi desideravano un trattato di pace, e mandarono uomini con i Babilonesi per negoziare la pace con Anileo.
Libro XVIII:370 I Babilonesi, intanto, per mezzo di una ricognizione, scoprirono il luogo ove erano acquartierati Anileo e i suoi uomini e d'improvviso, di notte, si
gettarono su di loro mentre erano ubriachi e sprofondati nel sonno, e uccisero impunemente quanti si pararono loro innanzi, compreso lo stesso Anileo.
Libro XVIII:371 - 8. I Babilonesi erano liberi ormai dalla tensione imposta per opera di Anileo che aveva frenato il loro odio verso i Giudei con i quali, in generale, erano sempre in litigio per il contrasto con le loro leggi, e qualsiasi parte uno tenesse, vi era sempre la contrarietà dell’altra. Perciò ora che non c'era più né Anileo né i suoi uomini, i Babilonesi iniziarono ad attaccare i Giudei.
Libro XVIII:372 Questi ultimi erano indignati per l'insolente comportamento dei Babilonesi, giacché in battaglia erano incapaci di far fronte a loro né giudicavano tollerabile vivere con essi. Così, certuni di loro erano andati in Seleucia, la città più importante della regione, fondata da Seleuco Nicatore abitata da molti Macedoni, in maggioranza Greci, e non pochi Siri che mantenevano i diritti civili.
Libro XVIII:373 Quivi, dunque, si rifugiarono i Giudei e vi restarono per cinque anni senza molestie, ma nel sesto anno dacché erano stati spogliati in Babilonia e formati nuovi insediamenti, lasciata la città se ne andarono a Seleucia, e quivi furono colti da una più grave sventura della quale riferirò qui la causa.
Libro XVIII:374 - 9. A Seleucia la vita era contrassegnata, in generale, da discordie e rotture tra Greci e Siri, ma i più forti erano i Greci. Quando però i Giudei andarono a vivere nella città ove la discordia era continua, i Siri iniziarono a essere i più forti perché sostenuti dai Giudei, uomini avventurosi che si unirono con piacere alle schiere in lotta.
Libro XVIII:375 I Greci, emarginati in questo conflitto civile, videro che restava loro soltanto una possibilità di riprendere l'antico prestigio, spezzare cioè l'alleanza tra Giudei e Siri; e a questo scopo i vari gruppi di Greci si incaricarono di trattare con i Siri con i quali prima avevano avuto relazioni strette, offrendo loro promesse di pace e amicizia. I Siri assentirono di buon grado.
Libro XVIII:376 Da una parte e dall'altra venivano fatte proposte, e persone di primo piano, dalle due parti, raggiunsero molto presto una riconciliazione e strinsero un accordo. Una volta che le due parti convennero, furono d'accordo che la migliore prova di reciproca lealtà era la dimostrazione di inimicizia verso i Giudei. Essi dunque convennero di attaccarli improvvisamente, e ne uccisero
più di cinquantamila. In verità perirono tutti eccetto pochi che scapparono e si salvarono per la pietà di amici o vicini.
Libro XVIII:377 Costoro che fuggirono si rifugiarono a Ctesifonte, città greca situata vicino a Seleucia, ove ogni anno sverna il re e ove è riposta la maggior parte dei suoi bagagli. Ma fu senza prudenza che si rifugiarono qui, poiché gli abitanti di Seleucia non avevano rispetto per l'autorità della corona.
Libro XVIII:378 Tutti i Giudei di questa regione avevano paura e dei Babilonesi e degli abitanti di Seleucia perché tutti i Siri che erano cittadini di questa località si univano a quelli di Seleucia, e facevano guerra contro i Giudei.
Libro XVIII:379 Così la maggior parte dei Giudei si ritirò a Nearda e a Nisibi ove si trovavano al sicuro perché queste città erano fortificate e inoltre popolate da uomini che erano abili combattenti. Così è la storia dei Giudei abitanti in Babilonia.