domenica 16 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro V° (5/20)

Libro V°

Epoca di Giosuè; esploratori a Gerico
Libro V:1 - I, I. - Essendo stato allontanato Mosè nel modo anzidetto, compiuti tutti i riti di uso in suo onore e cessate le lamentazioni, Gesù fece bandire alla moltitudine, che l'esercito si preparasse alla partenza.
Libro V:2 Inviò dunque esploratori a indagare la forza e le intenzioni degli abitanti, mentre egli passava in rivista l'esercito, intendendo attraversare il Giordano alla prima occasione opportuna.
Libro V:3 Chiamati i principi della tribù di Ruben e i capi delle tribù di Gad e di Manasse, dopo che anche a metà di questa tribù era stato concesso di restare nella regione degli Amorrei, che forma la settima porzione della terra di Canaan, ricordò loro le promesse fatte a Mosè,
Libro V:4 e li esortò affinché grazie alla previdenza onde mai egli si stancò di pensare al loro bene, anche sul punto di morire, e al comune vantaggio, fossero pronti a rispondere alacremente ai suoi ordini: essi di buon grado gli apprestarono cinquantamila uomini in armi ed egli pare da Abele e percorse sessanta stadi verso il Giordano.
Libro V:5 - 2 Aveva appena piantato il campo che giunsero gli esploratori ai quali non era sfuggito nulla sulle condizioni dei Cananei. Sulle prime, infatti, non scoperti, esaminarono tranquillamente tutta intera la città: in parte, le mura erano sufficientemente robuste, in parte erano deboli e avrebbero facilitato l'ingresso di un esercito;
Libro V:6 le persone incontrate non fecero caso alla loro ispezione, attribuendo a una naturale curiosità di forestieri quell'interesse per ogni particolare della città, e in nessun modo a una intenzione ostile.
Libro V:7 Ma sul fare della sera si ritirarono in un alloggio vicino alle mura ove erano stati indirizzati per cenare.
Libro V:8 Ormai non pensavano che al ritorno, quando al re, che stava cenando, giunse voce che dall'accampamento degli Ebrei erano giunti certuni a spiare la città, e che ora si trovavano nell'alloggio di Raab profondamente ansiosi di
sfuggire alla cattura; allora diede subito ordini di arrestarli e portarli davanti a lui affinché con la tortura potesse scoprire il motivo della loro venuta.
Libro V:9 Ma quando Raab seppe del loro avvicinarsi, lei stava asciugando dei panni di lino sul tetto, coprì gli esploratori con quei panni, e ai messi del re disse che poco prima del calare del sole forestieri sconosciuti avevano cenato con lei, e proseguito per la loro via; ma se, a loro giudizio, rappresentavano qualche paura per la città e il re era incorso in qualche pericolo, quelli, se inseguiti, potevano essere presi senza difficoltà.
Libro V:10 Questi, aggirati così dalla donna, non sospettarono alcuna frode, e partirono senza neppure cercare alloggio; quelli dopo avere corso quelle strade dove, a loro avviso, era più probabile che quelli si trovassero, ma anche nelle strade che menavano al fiume, non ne trovarono traccia alcuna e ristettero dall'affannarsi.
Libro V:11 Quietatosi lo strepito, Raab trasse gli ospiti dal nascondiglio, notificò loro il rischio corso per salvarli; se fosse stata scoperta di averli celati, non soltanto non sarebbe sfuggita al castigo del re, ma sarebbe andata in rovina disgraziatamente con tutta la sua famiglia; li pregò di ricordarsene
Libro V:12 quando fossero diventati padroni della terra dei Cananei e in condizione, allora, di ricompensarla della presente salvezza. Lei ordinò loro di andarsene al loro posto dopo essersi obbligati con giuramento che, alla cattura della città, avrebbero veramente salvato lei e tutto quello che era suo, e avrebbero eliminato tutti i suoi abitanti, conforme al decreto da loro già fatto, poiché questo, disse, lei lo sapeva da certi segni mandategli da Dio.
Libro V:13 Per ora espressero la loro gratitudine a motivo dei favori presenti, e giurarono di ripagarla in futuro del debito verso di lei. Le consigliarono però che quando, in futuro, avesse visto che la città stava per essere presa, radunasse ogni suo avere e tutti i familiari in quell'alloggio, vi si chiudesse dentro e stendesse dei panni rossi sulle porte, affinché il loro comandante, riconosciuta la casa, si astenesse dal farle danni.
Libro V:14 Essi dissero ancora: “Noi, infatti, lo avvertiremo che dobbiamo le nostre vite alla tua prontezza; ma se qualcuno dei tuoi congiunti cadesse in battaglia, non farne colpa a noi, e preghiamo il Dio per il quale abbiamo giurato che non si sdegni verso di noi come se fossimo violatori del giuramento”.
Libro V:15 Fatto questo patto, essi se ne andarono calandosi con una corda dalle mura. Giunti sani e salvi dagli amici, narrarono le loro avventure in città. Giosuè parlò col sacerdote Eleazaro e col consiglio degli anziani, disse ciò che le spie avevano giurato a Raab: ed essi ratificarono il giuramento.
Transito del Giordano
Libro V:16 - 3. Ma l'esercito aveva paura di passare il fiume: la corrente era forte ed essi non potevano attraversarlo con ponti, poiché non ven'era mai stato gettato alcuno e se ora avessero voluto gettarne uno, pensavano che il nemico non ne avrebbe concesso la possibilità, e non disponevano di alcun traghetto: Dio promise loro di rendere il fiume transitabile scemandone la piena.
Libro V:17 Così Giosuè attese ancora due giorni e poi iniziò il trasferimento dell'esercito e di tutta la moltitudine, nel seguente modo. Andarono per primi i sacerdoti con l'arca, poi i Leviti portando la tenda e il vasellame usato nei sacrifici, dietro i Leviti seguiva, distinta per tribù, tutta la moltitudine con al centro i bambini e le donne per timore che fossero spazzati via dalla corrente.
Libro V:18 Allorché ai sacerdoti, che furono i primi a entrare, il guado del fiume parve agevole - come attestavano le pietruzze del fondo la corrente non era in piena, né tanto rapida da rendere insicuri i loro piedi, che invece poggiavano su di una base stabile - tutti gli altri attraversarono con fiducia la corrente constatando che era proprio come Dio aveva promesso di fare.
Libro V:19 I sacerdoti però stettero in mezzo al fiume fino a tanto che la moltitudine lo attraversò e giunse sulla terra ferma; quando tutti giunsero all'altra sponda, uscirono pure i sacerdoti lasciando che la corrente assumesse il suo corso naturale. Non appena gli Ebrei giunsero all'altra sponda, il fiume si ingrossò e ritornò alla sua naturale grandezza.
Libro V:20 - 4. Essi, intanto, si inoltrarono di cinquanta stadi e posero il campo a dieci stadi da Gerico; con le pietre che ogni capo tribù aveva tolto dal fondo del fiume, Gesù eresse un altare, conforme all'ordine di Mosè, a ricordo dell'arresto della corrente, e su di esso offrì un sacrificio a Dio. In questo luogo festeggiarono la Pasqua,
Libro V:21 tutti ormai provvisti, in abbondanza, di tutto quanto era loro mancato prima. Essi infatti raccolsero il grano dei Cananei, allora alle primizie, e presero ogni altro bottino che trovavano.
E fu allora che, dopo averli nutriti per quarant'anni, la manna cessò.
La caduta di Gerico
Libro V:22 - 5. Ora, nonostante queste azioni compiute dagli Israeliti, i Cananei non si mossero, se ne stavano anzi dentro le mura; Gesù allora decise di assediarli. Nel primo giorno della festa i sacerdoti, portando l’arca, circondata da un manipolo di uomini armati per proteggerla,
Libro V:23 mentre altri precedevano suonando sette corni e allertavano l'esercito, fecero il giro delle mura seguiti dal consiglio degli anziani. Semplicemente dopo questi suoni, al di fuori di questo non fecero altro, se ne tornarono all'accampamento.
Libro V:24 Questo fu ripetuto per sei giorni; nel settimo, Gesù convocò i soldati e tutto il popolo, e diede loro la buona notizia dell'imminente presa della città, poiché Dio l'avrebbe data nelle loro mani, e che spontaneamente e senza sforzo da parte loro, le mura sarebbero crollate.
Libro V:25 Li invitò dunque a uccidere quanti prendevano, non arrestandosi né per stanchezza né per pietà dal fare strage dei loro nemici, neppure attratti dalla cupidigia del bottino, e di non permettere al nemico di fuggire;
Libro V:26 dovettero mettere a morte ogni creatura vivente senza serbare nulla per profitto personale, mettendo però in un sol luogo l'oro e l'argento, riservandolo a Dio come primizia scelta dei loro successi, ottenuta con la cattura della prima città: dovevano salvare soltanto Raab e il suo parentado per i giuramenti che le erano stati fatti dagli esploratori.
Libro V:27 - 6. Ciò detto, mise in marcia l'esercito e lo condusse vicino alla città. Aggirarono nuovamente la città guidati dall'arca e dai sacerdoti che col suono dei corni incitavano le truppe all'azione. Compiuto il settimo giro si fermarono un poco: le mura caddero giù senza che gli Ebrei facessero uso di alcuna macchina o altro ordigno del genere.
Libro V:28 - 7. Entrati in Gerico, uccisero tutti quanti mentre erano storditi dalla paradossale caduta delle mura e privi di senno per difendersi. Perirono in ogni maniera: scannati per le strade e sorpresi nelle case.
Libro V:29 Nulla li risparmiava: tutti perivano, dalle donne ai bambini; la città fu ripiena di cadaveri e nessuno poté sottrarsi. Incendiarono l'intera città e i dintorni.
Libro V:30 Gli esploratori salvarono Raab con tutto il suo parentado che si era rifugiato nell'alloggio; e quando fu portata davanti a Gesù, questi le manifestò la sua gratitudine per la protezione accordata agli esploratori e l'assicurò che egli non sarebbe stato da meno nel ricompensarla di tale beneficio. Invero, le fece dono di campi e le dimostrò sempre una grande considerazione.
Libro V:31 - 8. Ogni parte della città che era rimasta risparmiata dal fuoco, egli la atterrò, e pronunciò l'anatema contro chiunque avesse riedificato e si fosse stabilito sulle rovine riedificate: colui che avesse eretto le fondamenta delle mura, perda il suo primogenito; e colui che avesse riedificato le mura resti privo del più giovane dei suoi figli. Questa maledizione non fu dimenticata dalla Divinità, e in seguito parleremo del destino che le riservò il futuro.
Libro V:32 - 9. Dalla caduta della città si ricavò una immensa quantità di oro, argento e bronzo: nessuno aveva trasgredito gli ordini, né alcuno ne ricavò profitto personale, anzi da esso si astennero come da cose già consacrate a Dio. E Gesù le consegnò ai sacerdoti perché le riponessero nel tesoro. Così dunque avvenne la fine di Gerico.
Violazione dell'anatema e sconfitta di Naja
Libro V:33 - 10. Ma un certo Achar, figlio di Zebedeo, della tribù di Giuda, trovato un manto regale tutto ricamato di oro e una verga d'oro puro del peso di duecento sicli, parendogli molto oneroso privarsi di un guadagno da lui trovato a costo di un grave pericolo, per offrirla a Dio che non ne ha bisogno, scavò un buco profondo nella propria tenda e quivi sotterrò il suo tesoro, credendo di eludere i propri compagni d'armi, e anche l'occhio di Dio.
Libro V:34 - 11. Ora il luogo nel quale Gesù pose l'accampamento si chiamava Galgala. Il nome significa “libero” perché, passato il fiume, essi si sentivano ormai liberi sia dagli Egiziani, sia dalle tribolazioni del deserto.
Libro V:35 - 12 Pochi giorni dopo la caduta di Gerico, Giosuè mandò tremila uomini in armi a prendere la città di Naja situata a nord di Gerico. Costoro attaccarono i Najetani, ma furono messi in fuga e persero trentasei uomini.
Libro V:36 Riferita agli Israeliti, la notizia causò grande dolore e profonda malinconia, non tanto per la perdita dei loro, sebbene i periti fossero tutti valenti persone e degne di rilievo, ma per la disperazione.
Libro V:37 Quando si credevano ormai padroni del paese e con l'esercito salvo, secondo le promesse fatte da Dio, vedevano ora inaspettatamente che i loro nemici si inorgoglivano. Così passarono quel giorno vestiti di sacco in pianti e lamentazioni senza neppure pensare al cibo, e nella loro tristezza ingrandivano in modo esagerato quanto era accaduto.
Libro V:38 - 13. Vedendo il suo esercito così abbattuto e in preda a tristi previsioni per tutta la futura campagna, Gesù si rivolse a Dio apertamente.
Libro V:39 “Non è con presunzione che noi siamo andati a conquistare questa terra con le armi; ma fu il Tuo servo Mosè che ci ha incitato, mentre Tu gli fornivi nuovi argomenti per sperare che ci avresti fatti padroni di questa terra, e che le nostre armi sarebbero state sempre vittoriose, non avrebbero mai ceduto di fronte al nemico.
Libro V:40 Alcune cose sono veramente accadute secondo le Tue promesse, ma ora sconfitti, al di là di ogni nostra aspettativa, e perdute, in parte, le nostre forze, siamo sconfortati di questa situazione, come se le Tue promesse e le predizioni di Mosè apparissero insicure; la nostra tristezza è ancora maggiore al pensiero del futuro, avendo sotto gli occhi l'esperienza funesta della nostra prima sconfitta.
Libro V:41 Ma Tu, padrone, puoi ben trovare un rimedio: deh, elimina con una piena vittoria il presente dolore, e la paura che abbiamo per il futuro”!
Libro V:42 - 14. Prostrato faccia a terra così Gesù rivolse la sua domanda a Dio. E da Dio venne la risposta che si alzasse e purificasse l'esercito dalla contaminazione che vi era stata introdotta, e dal furto di oggetti consacrati a Lui, poiché questa era la causa della recente disfatta; quando si fosse scoperto e punito l'autore, erano assicurati di una perpetua vittoria sui loro nemici.
Libro V:43 Gesù riferì tutto questo al popolo; e chiamato Eleazaro, sommo sacerdote, e i magistrati, iniziò a tirare la sorte per ogni tribù. Quando essa rivelò che il sacrilegio si era commesso nella tribù di Giuda, tirò ancora la sorte per le sue varie fratrie, risultò che la verità del misfatto si trovava nella parentela di Achar.
Libro V:44 Proseguendo l'inchiesta uomo per uomo presero Achar; ed egli non poté negare perché circoscritto troppo chiaramente da Dio, confessò il furto, e produsse i beni rubati davanti a tutti. Questo dunque fu messo a morte subito, e al cadere della notte ebbe l'ignominiosa sepoltura che si addice ai condannati.
Conquista di Naja
Libro V:45 - 15. Dopo aver purificato l'esercito, Gesù li condusse contro Naja: nella notte dispose agguati intorno alla città, e sul fare del giorno si scontrò con i nemici; e mentre questi avanzavano baldanzoso per la passata vittoria, Gesù finse di ritirarsi, e in tal modo li allontanò dalla città; essi immaginando di inseguire un nemico sconfitto, li schernivano reputandosi anticipatamente vittoriosi.
Libro V:46 Ma allorché egli voltò indietro le sue forze, girandole con la faccia verso gli inseguitori, diede i segni prestabiliti a quelli che erano in agguato, e indirizzò anche questi nelle lotta, corsero subito nella città ove gli occupanti si erano recati intorno alle mura e altri erano totalmente intenti a guardare i loro amici fuori;
Libro V:47 e così, mentre gli altri mettevano sottosopra la città e uccidevano quanti incontravano, Giosuè spezzò i fianchi dei nemici obbligandoli a fuggire. Spinti in un settore della città che essi supponevano ancora salva, quando si avvidero che anch'essa era stata presa e data alle fiamme con le loro donne e i bambini, fuggirono per la campagna, incapaci, per il loro isolamento, di opporre resistenza.
Libro V:48 Tale fu la disavventura che colpì i Najetani: fu presa una folla di fanciulli, donne, schiavi oltre a un'immensa quantità di materiale. Gli Ebrei si impadronirono inoltre di greggi, bestiame e di molto denaro, perché la regione era ricca: Giosuè divise tutto questo tra i suoi soldati, mentre era in Galgala.
Alleanza con i Gabaoniti
Libro V:49 - 16. I Gabaoniti, che abitavano molto vicino a Gerusalemme, alla vista del disastro che si era abbattuto sugli abitanti di Gerico e di Naja, sospettando che anch'essi sarebbero stati visitati dal destino, decisero di implorare grazia da Gesù; ma non pensando di ottenere trattamenti tollerabili da uno che combatteva con l'intento di sterminare tutta la stirpe dei Cananei,
Libro V:50 invitarono i Keferiti e i Kariathiarimiti, loro vicini, ad allearsi con loro, dicendo che anch'essi non sarebbero scampati al pericolo qualora fossero attaccati per primi dagli Israeliti; qualora, invece, unissero la propria forza alla loro, potrebbero sfuggire alla loro violenza. Queste parole furono approvate;
Libro V:51 (i Gabaoniti) inviarono ambasciatore a Giosuè per fare con lui una lega di amicizia, scegliendo quei cittadini che giudicavano maggiormente capaci di agire nell'interesse della collettività.
Libro V:52 Ma questi, ritenendo rischioso confessarsi come Cananei, pensando di sfuggire al pericolo affermando che non avevano nulla in comune con i Cananei, ma vivevano molto lontano da essi, dichiararono che era la fama del loro valore che li aveva spinti là dopo un lungo viaggio; e a prova di questo addussero lo stato dei loro vestiti.
Libro V:53 I loro abiti (dicevano) erano nuovi, quando li avevano indossati, ed erano logorati per la lunghezza del viaggio: infatti, per fare credere quanto dicevano avevano indossato appositamente dei cenci.
Libro V:54 Stando, dunque, così in mezzo al campo, dicevano di essere stati inviati dai Gabaoniti e dalle città vicine, molto lungi da quella terra, per stringere con essi alleanza nei termini abituali ai loro padri; poiché avevano udito che per grazia e benevolenza di Dio la terra dei Cananei era stata donata in loro possesso: essi ne gioivano e domandavano di far parte della loro cittadinanza.
Libro V:55 Così dicendo, mostravano le prove del loro viaggio e chiedevano agli Ebrei di stringere un patto e una lega di amicizia. Giosuè prestò fede a quanto dicevano, ritenne che non fossero della stirpe dei Cananei, e strinse con loro una lega; Eleazaro, sommo sacerdote, e il consiglio degli anziani, giurarono di ritenerli amici e alleati, e che non tramavano alcuna azione contro di loro; e la moltitudine ratificò il giuramento.
Libro V:56 Ottenuto, con l'inganno, il loro scopo, gli inviati ritornarono al loro popolo. Intanto Giosuè avanzò verso le montagne di Canaan; e quando seppe che i Gabaoniti abitavano non lontano da Gerusalemme ed erano della stirpe dei Cananei, mandò a chiamare i loro magistrati e rinfacciò loro l'inganno.
Libro V:57 Allorché essi si scusarono protestando che non avevano altro modo di salvezza all'infuori di questo al quale si erano appigliati per forza, (Giosuè) convocò il sommo sacerdote Eleazaro e il consiglio degli anziani: per non violare
il giuramento, decisero che essi dovessero porsi al servizio pubblico, e li designarono per quei servizi. Costoro trovarono così protezione e sicurezza nell'imminenza di calamità.
Lega di re contro i Gabaoniti
Libro V:58 - 17. Ma il re dei Gerosolimitani indignato che i Gabaoniti fossero passati dalla parte di Gesù, esortò i re delle genti vicine a unirsi a lui in una guerra contro di essi. Allorché i Gabaoniti videro costoro avvicinarsi con lui, erano quattro di numero, e accamparsi vicino alla sorgente non lontano dalla loro città, e prepararsi ad assediarli, si volsero per aiuto a Giosuè.
Libro V:59 Le cose erano giunte così, che dagli abitanti della loro terra non potevano aspettarsi che sterminio, mentre da quelli che guerreggiavano per lo sterminio della stirpe dei Cananei si aspettavano la salvezza, per l'alleanza conclusa.
Libro V:60 Difatti Gesù corse subito con tutte le sue forze per soccorrerli, camminando giorno e notte, sul fare del giorno piombò sui nemici, li sbaragliò, li insegui in fuga per i dorsali della regione chiamata Bethoral. Anche qui Dio gli fece conoscere un saggio della sua cooperazione che si manifestò con tuoni e fulmini, e con un rovescio di grandine di straordinaria grandezza.
Libro V:61 Avvenne inoltre che il giorno si prolungò affinché non li sorprendesse la notte, smorzando l'impeto degli Ebrei; cosicché Gesù catturò ambedue i re sorpresi in una grotta, a Machida, ove si erano nascosti, e distrusse tutto il loro esercito. In quell'occasione la lunghezza del giorno si accrebbe e oltrepassò l'ordinaria misura, come attestano le Scritture riposte nel tempio.
Conquista del meridione e del settentrione
Libro V:62 - 18. Distrutta in tal modo la lega dei re che aveva preso le armi contro i Gabaoniti, Giosuè risalì la regione collinosa di Canaan e qui fece un gran massacro di abitanti; catturò il bottino, e fece ritorno all'accampamento di Galgala.
Libro V:63 La fama del valore degli Ebrei si diffuse tra i popoli vicini, e la costernazione invase tutti quanti udivano la quantità delle moltitudini uccise; perciò i re della regione del Monte Libano, che erano Cananei, si prepararono alla guerra contro di loro, così pure i Cananei abitanti la pianura, si unirono ai
Palestinesi e eressero il loro campo a Berothe, città dell'alta Galilea, non lungi da Kedese: altro sito della regione di Galilea.
Libro V:64 Tutto il loro esercito ammontava a 300.000 fanti, 10.000 cavalieri, e 20.000 carri, la moltitudine dei nemici intimorì Gesù e gli Israeliti, e l'eccesso di paura affievolì la loro speranza di successo.
Libro V:65 Ma Dio li rimproverò del timore e della poca fiducia che avevano nel Suo soccorso: promise la vittoria sui nemici e promise loro di rendere inutili i loro cavalli e di bruciare i loro carri; incoraggiato da queste promesse di Dio, (Giosuè) andò contro i nemici
Libro V:66 e dopo cinque giorni li incontrò e ingaggiò la battaglia; lo scontro fu atroce e la strage fu tale da apparire incredibile. Con un lungo inseguimento distrusse l'intero esercito nemico, salvo pochi, i re caddero tutti;
Libro V:67 e quando non c'erano più uomini da uccidere, egli squartò i cavalli e diede fuoco ai carri; poi attraversò tutta la regione senza più incontrare resistenza, siccome nessuno osava dargli battaglia, prese d'assedio le città e massacrò ognuno che incontrava.
Libro V:68 - 19. Era ormai trascorso il quinto giorno e non vi era più rimasto alcun Cananeo salvo qualcuno che aveva potuto rifugiarsi in un luogo fortificato. Così Giosuè tolse il campo da Galgala, lo trasferì nella regione collinosa e sistemò la tenda sacra nella città di Silo: il luogo, infatti, parve opportuno e bello fino a tanto che le circostanze avrebbero permesso l'erezione di un tempio.
Libro V:69 Partito di qui si diresse con tutto il popolo a Sikima ove eresse un altare sul luogo predetto da Mosè. Divise l'esercito in due, una metà la pose sul monte Garizin, l'altra metà sull'Hebel dove era stato messo anche l'altare con i Leviti e i sacerdoti.
Libro V:70 Dopo aver offerto i sacrifici e pronunciate le imprecazioni, che lasciarono anche scritte sull'altare, se ne ritornarono a Silo.
Conclusioni delle campagne e misurazione
delle regioni
Libro V:71 - 20. Gesù era ormai diventato vecchio, e constatò che non era facile espugnare le città dei Cananei - sia a motivo della asperità dei siti ove si trovavano sia per la solidità delle mura con le quali gli abitanti avevano circondato le loro città come difese naturali, pensando che i nemici avrebbero desistito dall'assediare quanto essi avevano disperato di catturare;
Libro V:72 i Cananei, infatti, quando vennero a sapere che gli Israeliti avevano compiuto il loro esodo dall'Egitto per distruggere loro, passarono tutto quel tempo a fortificare le città. Gesù radunò tutto il popolo e lo convocò nell'assemblea di Silo.
Libro V:73 Il popolo convenne alacremente, ed egli parlò loro dei successi ottenuti, delle gesta compiute, fece notare la loro magnificenza, come fossero degne della Divinità le azioni compiute, l'eccellenza delle leggi da loro seguite; ricordò come i trentuno re che avevano osato misurarsi con loro fossero stati sconfitti, e come quel grande esercito che una volta confidava pienamente nella propria forza, allorché scese in lotta contro di loro fosse stato interamente distrutto al punto che di loro non sopravvisse neppure una sola famiglia.
Libro V:74 Alcune città furono conquistate, ma la conquista di altre necessitava di tempo e di grandi mezzi d'assedio, essendo fortemente murate e difese da abitanti ostinati. Così fu del parere che quanti erano venuti dall'altra parte del Giordano per partecipare alle loro campagne e, come congiunti, avevano corso gli stessi rischi, dovessero ormai ritornare ai loro paesi, con un'espressione di riconoscenza per il loro aiuto nel lavoro svolto.
Libro V:75 “D'ora innanzi!, disse, “dobbiamo scegliere da ogni tribù un uomo di provata virtù, per misurare la terra lealmente, senza frode e onestamente, e riferire poi a noi le dimensioni”.
Libro V:76 - 21. Dette queste parole, e avuto l'assenso della moltitudine, Giosuè mandò uomini a misurare la loro regione, facendoli accompagnare da uomini esperti nelle misurazioni dai quali, in ragione della loro specialità, la verità non sarebbe nascosta; furono anche date loro istruzioni di registrare separatamente l'estensione dei terreni fertili da quelli meno fertili.
Libro V:77 La natura della terra di Canaan è tale che si possono vedere pianure di notevoli dimensioni, fertili, che producono ogni genere di raccolto (pianure che) messe a confronto con altri distretti si possono giudicare felicissime, ma confrontate alle regioni del popolo di Gerico e di Gerusalemme appaiono un nulla.
Libro V:78 Tuttavia il territorio di questa gente, pur essendo molto ridotto e in gran parte montagnoso, è di una straordinaria fertilità e bellezza, non inferiore ad alcun altro. Di qui il motivo per cui Giosuè fu d'avviso che la distribuzione si dovesse regolare non tanto in base alla estensione quanto in base alla stima; spesso, infatti, un solo acro vale quanto mille.
Libro V:79 Così gli uomini che erano stati mandati, dieci di numero, percorsero la terra, ne fecero la stima, e nel settimo mese ritornarono da Giosuè in Silo, dove avevano eretto la Tenda.
Ripartizione della terra alle nove tribù e mezzo
Libro V:80 - 22. Allora Giosuè prese Eleazaro, il consiglio degli anziani, i capi tribù e procedette alla distribuzione di tutto (il territorio) tra le nove tribù e la metà della tribù di Manasse, facendo in modo che le parti rispondessero alla grandezza di ciascuna tribù.
Libro V:81 Quando gettò le sorti, la tribù di Giuda ebbe in sorte tutta la regione a settentrione che si estende (in lunghezza) fino a Gerusalemme e, in larghezza, giunge fino al lago di Sodoma; in questa parte erano comprese le città di Arcalon e Gaza.
Libro V:82 Quella di Simeone fu la seconda che ebbe in sorte la regione dell'Idumea confinante con l'Egitto e l'Arabia. I Beniamiti ebbero la regione che dal Giordano si allunga fino al mare e abbraccia, in larghezza, il tratto che da Gerusalemme va a Bethel. Questa era la porzione più piccola di tutte a motivo dell'eccellenza del suolo, dato che comprende Gerico e la città dei Gerusalemiti.
Libro V:83 La tribù di Efraim ebbe la regione che, in lunghezza, si stende dal Giordano fino a Gazara, e in larghezza da Bethel su fino alla grande pianura. La mezza tribù di Manasse ebbe dal Giordano alla città di Dora e in larghezza si stendeva fino alla città di Bethesana, oggi chiamata Scitopoli.
Libro V:84 Dopo questo venne Issachar, col Monte Carmelo e il fiume come confini, nella lunghezza, e il Monte Itabirio come confine nella larghezza. Quelli di Zabulon la terra che iniziando dal (Lago di) Genesar, si estende fino al Carmelo e al mare.
Libro V:85 La regione che incomincia al Carmelo, chiamata Valle per la sua conformazione, fu ottenuta dagli uomini di Aser; tutta questa parte, è rivolta verso Sidone, e di essa faceva parte la città di Arce detta pure Ecdeipo.
Libro V:86 Il territorio sito a oriente fino alla città di Damasco, con l'alta Galilea, fu occupato dagli uomini di Neftali fino ai monti del Libano e le fonti del Giordano, che sorgono da questa montagna, donde discendono i confini settentrionali della vicina città di Arce.
Libro V:87 I Daniti ebbero la parte della vallata che guarda a ponente, con Azoto e Dora come confini; ebbero ancora l'intera Jamnia e Gitta, e da Accaron fino alle montagne ove inizia la tribù di Giuda.
Libro V:88 - 23. In tal modo Gesù divise le sei nazioni che portano i nomi dei figli di Canaan, e diede la loro terra in possesso delle nove tribù e mezzo;
Libro V:89 giacché l'Amoritide, essa pure chiamata così da un figlio di Canaan, era già stata presa e assegnata da Mosè alle due tribù e mezzo, come ho riferito prima. Ma i territori di Sidone, come quelli degli Arucei, Amathei e Aridei non furono assegnati.
Libro V:90 - 24. Gesù, non potendo portare a termine i suoi disegni sia perché ormai impedito dalla vecchiaia, sia perché coloro che presero il comando dopo di lui si dimostravano custodi incuranti del bene comune, fece carico a ciascuna tribù di non lasciare alcun resto della stirpe dei Cananei nell'ambito del territorio assegnato a ognuna; poiché la loro sicurezza e l'osservanza delle patrie istituzioni dipendeva unicamente da questo. Lo aveva già detto Mosè e lui stesso ne era persuaso.
Libro V:91 Essi inoltre avevano da assegnare ai Leviti trentotto città, questi infatti, ne avevano già ricevute altre dieci nella regione degli Amorrei. Tre di queste città, egli le assegnò per abitazione dei fuggitivi, si atteneva scrupolosamente all'esecuzione delle ordinanze di Mosè: Ebron appartenente alla tribù di Giuda; Sikima a quella di Efraim; Kedese a quella di Neftali, quest'ultima è una località che si trova nell'alta Galilea.
Libro V:92 Egli inoltre distribuì quanto era ancora rimasto del bottino - si trattava di una grande quantità - e tutti, collettivamente e individualmente, si trovarono carichi di molte ricchezze: oro, argento, indumenti e ogni genere di suppellettili; e al di là di questo vi era ancora una tale moltitudine di bestiame che non è possibile numerare.
Saluto alle tribù al di là del Giordano
Libro V:93 - 25. Dopo radunò l'esercito in assemblea, e rivolto a coloro che erano stanziati al di là del Giordano nella Amorrea, - alcuni dei 50.000 uomini in armi, avevano preso parte alle loro campagne belliche - indirizzò loro le seguenti parole: “Siccome Dio, Padre e Signore della stirpe degli Ebrei, ci ha concesso di conquistare questa terra, e, una volta conquistata, ci ha promesso di conservarcela per sempre,
Libro V:94 e siccome, al Suo comando, noi abbiamo chiesto il vostro soccorso e voi di buon grado ci avete dato il vostro aiuto in tutto, è ben giusto che non restandoci più nulla di arduo, voi ormai abbiate il vostro riposo mantenendo la vostra devozione; certi, come siamo di riaverla prontamente ogni volta che se ne presentasse il bisogno, e che le fatiche sostenute non vi hanno resi meno volonterosi.
Libro V:95 Noi perciò vi rivolgiamo il nostro ringraziamento per avere partecipato a quei pericoli con noi; noi vi saremo grati per sempre, e non solo oggi, poiché siamo pronti a ricordare i nostri amici e a serbare memoria dei vantaggi venutici da essi e come per amor nostro voi avete differito il godimento dei vostri ottimi possedimenti, e avete deciso che avreste finalmente partecipato alle vostre proprietà solo dopo avere condotto a termine quello che, per grazia di Dio, ora abbiamo raggiunto.
Libro V:96 Tuttavia, per aumentare quei beni che già possedete, con i travagli sopportati con noi vi siete guadagnata una ricchezza straordinaria: prenderete un ricco bottino di oro e argento e, quello che è più di tutto, la nostra amicizia e la pronta disponibilità che abbiamo di ricambiarvi in tutto quanto desiderate. Giacché non avete mancato in nulla di quanto ha ordinato Mosè, non avete disdegnato la sua autorità nonostante egli non ci sia più, né vi è cosa alcuna di cui non dobbiamo esservi grati.
Libro V:97 Partite dunque per le vostre eredità, e vi preghiamo di non pensare che la nostra parentela abbia dei confini, anche se tra noi scorre il fiume, non guardateci come stranieri, ma come Ebrei. Tutti, infatti, siamo della discendenza di Abramo, sia che viviamo qui sia di là, e vi è un solo Dio che ha tratto all'esistenza i nostri e i vostri antenati;
Libro V:98 prestate attenzione al Suo culto e osservate l'organizzazione che Egli istituì per mezzo di Mosè e seguite ogni precetto con grande lealtà nella certezza che fino a tanto che rimarrete fedeli, Dio pure si dimostrerà benevolo in tutto; mentre se lo trascurate, imitando le altre genti, anch'Egli si distoglierà dalla vostra stirpe”.
Libro V:99 Ciò detto, salutò i capi uno per uno e tutta la loro moltitudine, e poi lui rimase là. Il popolo li accompagnava, non senza lacrime, lungo il loro cammino e a stento si separarono gli uni dagli altri.
L'erezione dell'altare sulla riva del Giordano
Libro V:100 - 26. Passato il fiume, la tribù di Ruben, quella di Gad e tutti quelli di Manasse, che li accompagnavano, eressero un altare sulla riva del Giordano come monumento per le future generazioni della loro relazione con gli abitanti dell'altra sponda.
Libro V:101 Ma quelli al di là del fiume avendo udito che gli emigranti avevano eretto un altare, ignorando il motivo che li aveva spinti a erigerlo, pensarono a un disegno di rivolta e all'introduzione di divinità straniere, erano riluttanti a credere alla notizia; di più, giudicando questa una credibile calunnia in merito al culto divino, sorsero in armi con l'intenzione di passare il fiume e vendicare coloro che avevano eretto l'altare e per punirli a motivo di questa perversione dei costumi dei padri.
Libro V:102 Stimavano, infatti, di non dover tenere in alcun conto la loro parentela e il rango degli incriminati, ma solo la volontà di Dio e la maniera nella quale Egli ha piacere di essere onorato.
Libro V:103 Mossi, dunque, da indignazione, si preparavano alla spedizione; ma Giosuè, Eleazaro, sommo sacerdote, e gli anziani li trattennero consigliandoli ad esplorare, prima, l'intenzione dei loro fratelli e, qualora riscontrassero che il loro scopo era cattivo, allora soltanto procedessero contro con le armi.
Libro V:104 Perciò inviarono loro degli ambasciatori, Finees, figlio di Eleazaro, e con lui altri dieci tra i più ragguardevoli degli Ebrei, per esplorare che cosa intendessero con l'erezione di quell'altare sulla sponda del fiume, dopo il loro transito.
Libro V:105 Così, passato il fiume e giunti da loro, radunarono l'assemblea, si alzò Finees e disse che il loro peccato era troppo grave per essere punito con parole, ammonizioni e avvertimenti per il futuro; con tutto ciò, vista l'enormità del crimine, essi stessi non si auguravano di passare subito alle armi e a mezzi violenti, ma - in vista della loro parentela e della possibilità che le parole possano bastare a riportarli alla ragione, essi avevano intrapreso questa ambasciata,
Libro V:106 “affinché dopo avere compreso il motivo che vi ha indotto a erigere questo altare, da una parte non siamo giudicati precipitosi, passando subito alle armi contro di voi - qualora aveste avuto una pia ragione per erigerlo - e, d'altra parte, possiamo fare una giusta vendetta, nel caso in cui l'accusa si rivelasse vera.
Libro V:107 Noi, infatti, non possiamo concepire che voi, con le prove avute del volere di Dio, voi che siete stati uditori di quelle leggi che Egli stesso ci ha dato, partiti da noi ed entrati nella eredità che vi è venuta in sorte grazie a Dio e alla Sua provvidenza che ha cura di noi, Lo abbiate dimenticato e, abbandonando la tenda e l'arca e l'altare dei nostri padri, abbiate introdotto divinità straniere e siate passati ai vizi dei Cananei.
Libro V:108 A ogni modo non sarete giudicati colpevoli, se vi pentite e non seguiterete più oltre questa pazzia, dimostrerete di agire in senso contrario e di ricordarvi delle leggi dei vostri padri; se però voi insisterete nei vostri errori, noi non scanseremo alcun travaglio per la difesa di quelle leggi, ma - attraversato il Giordano - verremo in difesa di esse e dello stesso Dio, non ponendo distinzione alcuna tra voi e i Cananei, distruggendovi al pari di essi.
Libro V:109 Non pensate che attraversando il fiume, siate sfuggiti alla potenza di Dio. No: ovunque siete sotto il Suo dominio, sfuggire alla Sua autorità e alla Sua vendetta è impossibile. Ma se considerate che la vostra venuta qui sia un impedimento al vivere saggiamente, nessuno ci impedisce di fare un'altra distribuzione della terra e di abbandonare questa al pascolo delle pecore.
Libro V:110 Nondimeno, rinsavite, cambiate le vostre vie, correggete i vostri recenti errori; noi vi supplichiamo per i vostri figli e le vostre mogli a non costringerci alla necessità di ricorrere alla forza. Dunque, come se da questa assemblea dipendesse la vostra salvezza e quella di coloro che vi sono più cari, consigliatevi, riflettendo che è meglio essere sconfitti dalle parole che aspettare di esserlo dai fatti e dalla guerra”.
Libro V:111 - 27. Quando Finees pose fine al suo dire, i capi dell'assemblea e tutta la moltitudine iniziarono a discolparsi dei crimini loro attribuiti asserendo che essi non avevano rinunziato alla parentela con i loro fratelli, né avevano eretto l'altare con intenti di rivolta;
Libro V:112 ma riconoscevano un solo Dio comune a tutti gli Ebrei, e l'altare di bronzo davanti alla tenda sul quale si dovevano offrire i sacrifici; quello che avevano eretto presentemente e aveva fatto sorgere in loro il sospetto contro di essi, non era stato eretto per finalità cultuali: “No! ma come simbolo e segno perpetuo della nostra parentela con voi, e come un motivo che ci vincolasse ai nostri doveri e alla perseveranza nelle leggi dei nostri padri, e non, come voi sospettate, perché fosse un inizio di trasgressione.
Libro V:113 Che tale sia stato il nostro intento nell'erigere questo altare, ci basta la testimonianza di Dio! Abbiate perciò un'opinione migliore di noi e non accusateci di quei crimini che rendono giustamente rei di essere estirpati, essendo della stirpe di Abramo, che ci mettono su vie nuove che pervertono i nostri costumi”.
Gesù all'assemblea di Sikima
Libro V:114 - 28. Lodatili per quanto avevano detto, Finees se ne ritornò da Gesù e riferì al popolo la loro risposta. Gesù si rallegrò che non ci fosse alcun bisogno di impugnare le armi, né di condurli a spargere sangue e a fare la guerra contro i parenti, e per tutto questo offrì a Dio sacrifici di ringraziamento.
Libro V:115 Congedata la moltitudine alle loro diverse eredità, Gesù se ne stette a Sikima. Venti anni dopo, in estrema vecchiaia, convocò i capi notabili delle città con i magistrati e gli anziani, unì tutta la moltitudine che era possibile radunare, e quando furono presenti ricordò loro tutti i benefici di Dio, e molti erano coloro che da misera condizione erano stati condotti a tanta gloria e ricchezza,
Libro V:116 e li esortò a mantenere immutata la benevolenza di Dio verso di essi, con la pietà si può mantenere l'amicizia di Dio. Per sé, disse, era bene andarsene dalla vita, e lasciare loro in eredità questa ammonizione, e li invitò a non dimenticare mai questa esortazione.
Morte di Gesù e di Eleazaro
Libro V:117 - 29. Dopo avere parlato così ai presenti, egli morì. Era vissuto centodieci anni; dieci di questi li passò in compagnia di Mosè ricevendone un'utile istruzione. Dopo la morte del suo maestro, fu comandante in capo per venticinque.
Libro V:118 Un uomo non privo di intelligenza, né di abilità nell'esporre saggiamente le sue idee alle moltitudini, anzi valentissimo in ambedue: coraggioso e ardito nelle grandi imprese e nei pericoli, molto accorto, in tempo di pace, negli affari, adattandosi mirabilmente a ogni occasione.
Libro V:119 Fu sepolto nella città di Tamna nella tribù di Efraim. Intorno allo stesso tempo morì anche Eleazaro, sommo sacerdote, lasciando il sacerdozio al figlio Finees; il suo monumento sepolcrale e la tomba sono nella città di Gabatha
Epoca dei Giudici
Libro V:120 - II, I. - Dopo la fine di questi capi, Finees, secondo il volere di Dio, profetò che per lo sterminio della stirpe dei Cananei fosse affidato il comando alla tribù di Giuda. Il popolo infatti desiderava ardentemente sapere quale fosse il volere di Dio; questa tribù ingaggiò l'aiuto della tribù di Simeone a condizione che quando una si fosse liberata dal tributo ai Cananei, quella prestasse lo stesso aiuto contro quelli che erano nella sorte dell'altra.
Conquiste nel sud
Libro V:121 - 2. Ma i Cananei che in quel tempo erano in floride condizioni, li attendevano a Bezek con un grande esercito il cui comando era stato affidato ad Adonizebek", re dei Zebekeniani, il suo nome significa “signore dei Zebekeniani”, perché adoni, nella parlata degli Ebrei significa “Signore”, e speravano di sconfiggere gli Israeliti, poiché Giosuè era morto.
Libro V:122 Ma gli Israeliti delle due tribù menzionate, scontratisi con loro, combatterono in modo brillante col risultato che ne uccisero più di diecimila, misero in fuga i rimasti e nell'inseguimento catturarono Adonizebek; il quale, dopo che gli furono mozzate le mani e i piedi, esclamò:
Libro V:123 “Dunque non ero destinato a sfuggire per sempre all'occhio di Dio, avendo ora lo stesso destino che, un tempo, non mi vergognai di infliggere a settantadue" re”.
Libro V:124 Essi lo portarono ancora vivo a Gerusalemme e, alla sua morte, gli diedero sepoltura. Attraversarono poi le città, ne conquistarono parecchie, e strinsero d'assedio Gerusalemme; all'epoca, si impadronirono della parte bassa della città e ne uccisero tutti gli abitanti; ma la parte alta si dimostrò troppo difficile da conquistare sia per la solidità delle mura sia per la natura del sito.
Libro V:125 - 3. Mossero poi il campo verso Ebron, conquistarono la città e squartarono gli abitanti; qui era rimasta una stirpe di giganti che a motivo della grande corporatura e per le loro sembianze del tutto diverse dagli altri uomini costituivano uno strano spettacolo e qualcosa di orribile all’orecchio; ancora oggi se ne mostrano le ossa che non assomigliano a nulla di quanto si conosce.
Libro V:126 Questa città la diedero ai Leviti, come dono scelto, con l'aggiunta di mille cubiti del terreno circostante; ma della terra restante, secondo l'ordine di Mosè, fecero un regalo a Caleb che era stato uno degli esploratori mandati da Mosè in Canaan.
Libro V:127 Ai discendenti di Jetro, il Madianita, suocero di Mosè, diedero un territorio per abitarvi: questi, infatti, abbandonata la loro patria, si erano uniti ad essi e si erano accompagnati a loro lungo il deserto.
Libro V:128 - 4. Le tribù di Giuda e di Simeone si impadronirono, dunque, delle città della parte collinosa di Canaan, di quelle nella pianura e di quelle sulla riva del mare, Ascalon e Azoto. Sfuggirono loro Gaza e Akkaron, perché, poste in pianura e dotate in abbondanza di carri, resistevano arditamente ai loro assalti. Così queste due tribù estremamente ricche, per le campagne belliche, si ritirarono nelle loro città e posarono le armi.
Libro V:129 - 5. I Beniamiti, ai quali apparteneva Gerusalemme concessero agli abitanti di pagare loro il tributo; così tutti a riposo, gli uni dall'uccidere, gli altri dai pericoli, si dedicarono tutti a coltivare il suolo con cura. Le altre tribù imitavano la tribù di Beniamino: si accontentavano dei tributi che erano loro pagati, e sopportavano che i Cananei se ne vivessero in pace.
Libro V:130 - 6. La tribù di Efraim, nell'assedio di Bethel non poteva ottenere alcun risultato proporzionato al tempo che vi spendevano e alle fatiche che sostenevano;
Libro V:131 ma alla fine riuscirono a catturare un abitante della città che era uscito in cerca di provviste, gli diedero la parola che, se avesse tradito la città, avrebbero risparmiato la vita a lui e ai suoi parenti; ed egli, a queste condizioni,
giurò di consegnare la città nelle loro mani. Con questo tradimento, egli salvò se stesso e la sua famiglia, ed essi uccisero tutti gli abitanti e si impadronirono della città.
Libro V:132 - 7. Dopo questi eventi, gli Israeliti si riposarono dalla lotta contro i nemici per dedicarsi alla coltivazione della terra e ai relativi lavori. Crescevano le loro ricchezze e sotto l'egemonia del lusso e della sensualità iniziarono a dimenticare la costituzione e non erano più custodi diligenti delle loro leggi.
Libro V:133 Provocato da questo, Dio li mise in guardia, prima con un oracolo perché risparmiando i Cananei agivano in modo contrario alla Sua volontà, ed in fine perché quei nemici avrebbero colto l'occasione per trattarli senza pietà.
Libro V:134 Nonostante l'avvertimento di Dio essi proseguivano lentamente nella lotta perché avevano guadagnato molto dai Cananei e il lusso li aveva resi deboli per sopportare le fatiche;
Libro V:135 e questa loro aristocrazia li stava corrompendo: non avevano eletto un consiglio degli anziani né nessun'altra di quelle magistrature già ordinate dalla legge, ma vivevano nei loro campi, schiavi del piacere del guadagno. E così, a motivo di questa indifferenza, li assalì nuovamente una grave discordia e furono coinvolti in una reciproca lotta civile, per il seguente motivo.
Un Levita e la moglie nella Città di Gaba
Libro V:136 - 8. Un Levita di rango inferiore, della regione toccata in sorte a Efraim e quivi residente, sposò una donna di Bethlemme, località della tribù di Giuda; profondamente innamorato della sua donna e conquistato dalla sua bellezza aveva la sventura di non essere da lei riamato.
Libro V:137 Lei lo guardava freddamente e in lui cresceva sempre più ardente la sua passione; e così tra loro crescevano di continuo i litigi; in fine la donna, stanca di questi, nel quarto mese abbandonò il marito e ritornò dai propri genitori. Ma il marito, profondamente addolorato a causa dell'amore che aveva verso di lei, andò a visitarla dai suoi genitori, riparò i suoi torti e si riconciliò con lei;
Libro V:138 poi si fermò quattro giorni, trattato gentilmente dai genitori di lei; nel quinto giorno decise di tornasene a casa. Si mise in cammino al tramonto del sole, perché i suoceri erano indecisi nel separarsi dalla figlia, e intanto il giorno
passava. Solo un servo li accompagnò, e avevano un asino sul quale cavalcava la donna.
Libro V:139 Giunti nelle vicinanze di Gerusalemme, percorsi ormai trenta stadi, il servo consigliò che si fermassero da qualche parte, perché viaggiando di notte non incappassero in qualche sventura, tanto più che non erano lungi da persone nemiche, e in quell'ora sono spesso pericolosi e sospetti anche gli amici.
Libro V:140 Ma a lui non piacque l'idea di arrestarsi presso dei forestieri, la città, infatti, era in mano ai Cananei, e preferiva proseguire ancora venti stadi e alloggiare in una città degli Ebrei; prevalse il parere di giungere fino a Gaba, nella tribù di Beniamino, quando ormai era giunta la sera.
Libro V:141 Nella piazza non trovò nessuno che gli desse ospitalità; incontrò solo un vecchio che ritornava dalla campagna, pur essendo della tribù di Efraim, abitava in Gaba, che gli domandò chi fosse e perché avesse atteso fino a notte inoltrata per provvedere alla cena.
Libro V:142 Rispose che era un Levita e accompagnava la propria moglie di ritorno dai genitori a casa sua e l'informò di abitare nella terra di Efraim. Allora il vecchio, sia per la comune stirpe, sia per l'appartenenza alla medesima tribù e sia per il fortuito incontro, gli diede ospitalità in casa propria.
Libro V:143 Ma alcuni giovani di Gaba videro la donna in piazza e ne ammirarono l'avvenenza; quando seppero che alloggiava presso il vecchio, contando sulla sua debolezza e sulla pochezza dell'albergatore, si presentarono alla sua porta. E quando il vecchio li supplicò di non passare alla violenza e agli oltraggi, essi pretesero che consegnasse la forestiera se non voleva noie.
Libro V:144 Il vecchio replicò che si trattava di un parente Levita e che essi si sarebbero resi colpevoli di un crimine se per amore del piacere avessero violato le leggi; essi si schernivano della giustizia, la desideravano e lo minacciavano di ucciderlo qualora si opponesse alle loro voglie.
Libro V:145 Messo alle strette e non sopportando di vedere abusare dei suoi ospiti, offrì loro la propria figlia, affermando che per essi sarebbe stato più sopportabile soddisfare così le loro brame che violentare i suoi ospiti; credeva in tale modo di risparmiare l'affronto a quelli che aveva accolto in casa propria.
Libro V:146 Ma in nessun modo calmarono la loro passione per la forestiera, e insistevano nel volere lei; e mentre egli insisteva ancora implorando che non
commettessero alcuna scelleratezza, essi rapirono la donna e, cedendo al dominio della loro passione, la portarono nelle loro case; e, dopo averla oltraggiata per tutta la notte, la licenziarono sul fare del giorno.
Libro V:147 Lei, piena di affanno per quanto le era capitato, si rifugiò nella casa del suo ospite, dove per il dolore di quanto aveva dovuto patire, e per vergogna, non osando comparire in presenza del marito, prevedendo che ne sarebbe rimasto inconsolabile, venne meno ed esalò lo spirito.
Libro V:148 Ora il marito, pensando che la moglie fosse sprofondata nel sonno, non sospettava alcuna disgrazia, e tentò di svegliarla e consolarla ricordandole che non aveva ceduto agli abusi di sua volontà, ma che essi erano venuti a rapirla nella casa ove era ospite portandola via.
Libro V:149 Ma quando si avvide che era morta, di fronte all'enormità del delitto, agì saggiamente: caricò le spoglie della donna morta sopra un giumento, la portò a casa sua, poi la divise in dodici parti, ne mandò una in ciascuna tribù e ingiunse ai portatori di palesare a tutti chi erano stati coloro che avevano causata la morte di sua moglie e raccontare la dissolutezza della tribù.
Libro V:150 - 9. Ed essi tristemente commossi dallo spettacolo e dal racconto di una violenza finora sconosciuta, mossi da un'ira giusta e intensa, si radunarono a Silo: trovatisi tutti insieme davanti alla tenda, erano impazienti di passare alle armi e di trattare quelli di Gaba come nemici.
La vendetta sulla tribù di Beniamino
Libro V:151 Ma gli anziani li trattennero facendo presente che non si doveva fare guerra, così frettolosamente, ai propri fratelli prima di averli incontrati e parlato del loro delitto: la legge non consente il ricorso alle armi, neppure contro gli stranieri, senza avere prima inviato un'ambasciata e fatto altri tentativi del genere atti a portare a pentimento i supposti malfattori.
Libro V:152 E’ dunque meglio, in ottemperanza alla legge, inviare dei messi ai Gabaoniti domandando la consegna dei colpevoli; e qualora li consegnino, accontentarsi della punizione dei singoli; qualora invece rifiutassero, si facesse ricorso alle armi.
Libro V:153 Inviarono, dunque, una ambasciata a Gaba accusando i giovani di quanto era avvenuto alla donna e domandandone la consegna, per la punizione,
di quanti avevano commesso un'azione così infame che la legge condanna con la morte.
Libro V:154 Ma i Gabaoniti rifiutarono la consegna dei giovani giudicando indegno sottomettersi al volere degli altri per timore della guerra, non sentendosi inferiori ad alcuno, né in numero né in valore. Si diedero così ad allestire grandi preparativi col resto della loro tribù, che si era unita ad essi per un'impresa disperata, pensando di respingere gli aggressori.
Libro V:155 - 10. Quando fu annunziato agli Israeliti la risposta degli uomini di Gaba, giurarono che nessuno di loro avrebbe dato la propria figlia a un uomo di Beniamino, e che avrebbero marciato contro di essi, essendo indignati verso loro molto più di quanto, si dice, lo fossero i nostri antenati contro i Cananei.
Libro V:156 E contro di essi allestirono subito il loro esercito forte di 400.000 uomini armati; le forze dei Beniamiti contavano circa 25.000 tra i quali vi erano 500 esperti nell'uso della fionda con la mano sinistra.
Libro V:157 Iniziò così una lotta vicino a Gaba: i Beniamiti misero in fuga gli Israeliti stendendone sul campo 22.000 circa; per la verità, i feriti sarebbero stati ancora di più, se non fosse giunta la notte a separare i combattenti;
Libro V:158 i Beniamiti rientrarono contenti nella città, e gli Israeliti, abbattuti dalla sconfitta, nel loro accampamento. Il giorno dopo ripresero la lotta, e i Beniamiti furono nuovamente vittoriosi; perirono 18.000 Israeliti, i quali, intimoriti per la carneficina, abbandonarono l'accampamento.
Libro V:159 Si ritirarono a Bethel, la città più vicina, e il giorno appresso – dopo avere digiunato - supplicarono Dio, tramite il sommo sacerdote affinché volesse placare la Sua collera contro di loro e, soddisfatto delle due disfatte da loro subite, li rendesse vittoriosi e li facesse dominare sui loro nemici. Dio promise loro di esaudire le loro domande per bocca di Finees, Suo interprete.
Libro V:160 - 11. Così, diviso l'esercito in due parti, nottetempo ne posero metà in agguato attorno alla città; l'altra metà affrontò i Beniaminiti e cedette al primo urto; i Beniaminiti li inseguivano e gli Ebrei si ritiravano poco alla volta a una notevole distanza, desiderando allontanarli dalla città: incalzavano il nemico in fuga
Libro V:161 in modo tale che persino i vecchi e i fanciulli lasciati in città, perché inabili, corressero tutti fuori col desiderio di mettere anch'essi le mani sul
nemico. Ma quando giunsero un buon tratto lontani dalla città, gli Ebrei arrestarono la propria fuga, si voltarono e si prepararono alla battaglia, dando il segno convenuto agli amici in agguato
Libro V:162 e questi, balzati fuori con grande schiamazzo, assaltano i nemici; costoro si videro ingannati e non sapevano che fare: presi alle strette, cacciati in una valle angusta, furono massacrati e perirono tutti salvo 500;
Libro V:163 costoro, raccolti e uniti tutti insieme, si spinsero attraverso il nemico, si rifugiarono nelle vicine montagne e qui si stabilirono; tutti gli altri, circa 25.000, perirono.
Libro V:164 Intanto gli Israeliti incendiarono Gaba e uccisero le donne e i maschi in tenera età; allo stesso modo trattarono le altre città dei Beniaminiti: tanta era la misura del loro sdegno che alla città di Jabes, della Galadite, che non li aveva aiutati nella guerra contro i Beniaminiti, inviarono 12.000 uomini con l'ordine di distruggerla.
Libro V:165 Il distaccamento fece strage di quanti vi erano in età militare oltre ai fanciulli e alle donne, salvo 400 che ancora non erano sposati. Tanta era la collera che li esasperava sia per quello che avevano fatto passare alla donna sia per la perdita dei loro uomini in armi.
La ripresa della tribù di Beniamino
Libro V:166 - 12. Alla fine, tuttavia, furono presi dal rimorso per la disgrazia dei Beniaminiti e bandirono un digiuno in loro favore, pur essendo persuasi che la pena fosse giusta poiché avevano mancato contro le leggi. Inviarono dei messi a chiamare quei 600 uomini che erano scampati e si tenevano nascosti su di una rupe chiamata Rhoa nel deserto.
Libro V:167 Gli inviati deploravano la disgrazia che aveva colpito non soltanto i Beniaminiti, ma se stessi perché le vittime erano loro congiunti: li esortavano a sopportare con pazienza, ad andare a unirsi a loro, che erano lungi dal pronunciare una sentenza di totale estinzione contro la tribù di Beniamino; dicevano: “Noi vi concediamo il territorio dell'intera tribù e tutto il bottino che potete portarvi via”.
Libro V:168 Essi, allora, pentiti, riconobbero che le loro sfortune erano dovute a un decreto di Dio contro la loro iniquità, accolsero l'invito e ritornarono alla
tribù dei loro padri. Gli Israeliti diedero loro in mogli quelle 400 vergini di Jabes; deliberarono poi a proposito dei 200 uomini, di come, cioè dare loro mogli dalle quali potessero avere figli.
Libro V:169 Ora, siccome prima della guerra avevano prestato un giuramento ai Beniaminiti, alcuni ritennero che di tale giuramento non si dovesse tenere conto, poiché era fatto sotto un impeto d'ira, senza consiglio e avvedutezza; inoltre, che non dovevano compiere nulla di contrario a Dio, fino a tanto che era in loro potere salvare una intera tribù in pericolo di estinguersi; inoltre, tenendo presente che gli spergiuri sono gravi e rischiosi non quando fatti per necessità, ma soltanto quando fatti in modo sconsiderato e con cattiva intenzione.
Libro V:170 Tuttavia gli anziani protestarono solo all'udire parlare di spergiuro, uno di loro domandò se non v'era modo di dare mogli a questi uomini senza rompere il giuramento. Interrogato sul suo piano, disse: “Quando ci raduniamo a Silo tre volte all'anno per le festività, siamo accompagnati da mogli e figlie;
Libro V:171 lasciamo che i Beniaminiti rapiscano per loro mogli quante possono di queste ragazze senza il nostro assenso e senza il nostro divieto; se i loro genitori avessero qualcosa da dire e richiedessero una punizione, risponderemo che sono piuttosto loro da biasimare essendo stati negligenti nel custodire le proprie figlie, e che dobbiamo lasciar cadere il risentimento contro i Beniaminiti verso i quali nel passato abbiamo ecceduto”.
Libro V:172 Persuasi da queste parole, ritennero che alle nozze dei Beniamiti si provvedesse col ratto. Giunta la festività, i duecento si appostarono, a due o tre, presso la città, attendendo l'arrivo delle ragazze, nelle vigne e in luoghi nei quali potevano sfuggire ai loro occhi.
Libro V:173 Festanti, dunque, e senza alcun sospetto di quanto stava per accadere, giunsero tutte tranquillamente quando, all'improvviso, sbucarono gli uomini e le afferrarono mentre esse fuggivano qua e là; in tal modo costoro si sposarono e si volsero poi ai lavori della terra e indirizzarono i loro sforzi alla riconquista della antica prosperità.
Libro V:174 La tribù di Beniamino corse così il rischio di completa estinzione, e fu salvata dall'accortezza degli Israeliti nella maniera sopraddetta; presto fiorì e fece rapidi progressi sia nel numero che nel resto. Così, dunque, ebbe fine la guerra.
L'emigrazione dei Daniti
Libro V:175 - III, I. - Una simile vicenda ebbe a sopportare anche la tribù di Dan, e la causa che la portò a questo punto è la seguente.
Libro V:176 Abbandonato ormai l'esercizio delle armi avevano posto ogni loro impegno nei lavori della terra; i Cananei li consideravano con disprezzo, e allestirono un esercito, non perché si aspettassero qualche attacco contro di loro, ma, fiduciosi di potere sconfiggere gli Ebrei, si ripromettevano ormai una abitazione sicura nelle loro città.
Libro V:177 Così procedevano ad equipaggiare i carri, adunare truppe, le loro città cospiravano con concordia e distolsero Ascalon Akkaron e molte altre città della pianura dalla tribù di Giuda, costrinsero i Daniti a ritirarsi sulle montagne perché non avevano lasciato loro un palmo di terreno in pianura.
Libro V:178 Incapaci di combattere, sprovvisti di una terra bastevole a loro, inviarono cinque di loro all'interno alla ricerca di luoghi ove potessero emigrare; essi giunsero a un luogo non lontano dal monte Libano e dalle sorgenti minori del Giordano, al di sopra della grande pianura, a una giornata dalla città di Sidone, videro una terra pienamente fertile e buona ne riferirono ai loro fratelli; e questi si recarono colà, bene in armi, e vi fondarono una città chiamata Dan, dal nome del figlio di Giacobbe, che era poi il nome della stessa tribù.
Le tribù sotto un re “Assiro”
Libro V:179 - 2 - Ma lo stato degli Israeliti andava di male in peggio a motivo della loro trascuratezza e negligenza verso la Divinità. Dopo avere, infatti, tralasciato il loro ordine di governo, presero a vivere secondo il loro piacere, secondo il loro capriccio, fino a contaminarsi dei vizi comuni tra i Cananei.
Libro V:180 Così Dio era in collera con loro, e tutta la felicità che si erano conquistata con tanti travagli, ora la perdettero vivendo mollemente. Cusarsato, re degli Assiri, marciò contro di loro ed essi perdettero; in grande numero furono assediati e fatti prigionieri a viva forza,
Libro V:181 mentre altri sopraffatti dalla paura si arresero spontaneamente, pagarono un tributo al di sopra delle loro possibilità, sopportarono villanie di ogni genere per otto anni, dopo dei quali vennero liberati dall'oppressione nel modo seguente.
Libro V:182 - 3. Un uomo vigoroso, nobile di spirito, di nome Keniazo, della tribù di Giuda, avvertito da un oracolo di non permettere che gli Israeliti seguitassero oltre in quella profonda miseria, ma iniziassero a vendicare la loro libertà, si associò ad altri che lo aiutassero nella difficile impresa - erano pochi quelli che avevano vergogna del misero stato in cui si trovavano ed erano decisi a cambiare;
Libro V:183 iniziò massacrando la guarnigione imposta loro da Cusarsato; poi, vista la riuscita del primo tentativo, crebbero i compagni scesi in campo contro gli Assiri, li stravinsero e li costrinsero a ritirarsi al di là dell'Eufrate.
Libro V:184 Dopo avere dato prove concrete della sua prodezza, Keniazo fu elevato dalla moltitudine al grado di capo affinché giudicasse il popolo; dopo avere comandato per quarant'anni pose fine ai suoi giorni.
Sotto il re di Moab
Libro V:185 - IV, I. Dopo la sua morte la condizione degli Israeliti ebbe nuovamente da soffrire per anarchia, mentre la loro assenza di omaggio a Dio e di obbedienza alle Sue leggi aggravò ancor più il malessere.
Libro V:186 Così, sprezzando il disordine imperante, Eglon, re di Moab, andò in guerra contro di loro; dopo averli sconfitti in molte battaglie, li soggiogò tutti, dimostrando più coraggio degli altri, umiliò la loro forza e impose loro il tributo;
Libro V:187 pose la sua reggia a Gerico e non tralasciò alcun mezzo per angariare la moltitudine riducendola alla miseria per diciotto anni.
Dio, però, ebbe compassione degli Israeliti, delle pene in cui si trovavano, e mosso dalle loro suppliche, li liberò dall'oppressione dei Moabiti. Li liberò nel modo seguente.
Libro V:188 - 2. Un giovane della tribù di Beniamino, di nome Giuda, figlio di Ghera, coraggiosissimo nell'affrontare pericoli, dalle membra agilissime e tolleranti la fatica, più gagliardo con la (mano) sinistra dalla quale traeva tutta la sua forza, risiedeva anch'egli a Gerico;
Libro V:189 quivi diventò familiare a Eglon corteggiandolo e adulandolo con doni, così si ingraziò anche i familiari del re.
Libro V:190 Ora un giorno, mentre con due suoi attendenti recava dei doni al re, si cinse, segretamente, un pugnale al fianco destro, e si presentò a lui così. La stagione era estiva e la giornata era a mezzodì, le guardie si rilassavano sia per il caldo sia perché pensavano al pranzo.
Libro V:191 Il giovane, dunque, offerti i suoi doni a Eglon, che se ne stava in una stanza ben adatta per l'estate, si pose a ragionare con lui; erano soli, poiché il re aveva licenziato anche i servi come intrusi, dato che si intratteneva con Giuda.
Libro V:192 Egli sedette sul trono, e Giuda temeva fortemente che il colpo non fosse giusto e la ferita non fosse mortale;
Libro V:193 lo fa alzare in piedi dicendo che voleva svelargli un sogno da parte di Dio; ed egli per la gioia di udirlo balzò subito dal trono, e Giuda gli trapassò il cuore lasciandovi dentro il pugnale e andò via, chiudendo la porta dietro di sé. Gli attendenti se ne stettero zitti pensando che il re si fosse addormentato.
Libro V:194 - 3. Nel mentre Giuda ne diede segretamente notizia agli abitanti di Gerico e li esortò a lottare per la libertà; essi accolsero con gioia le notizie, diedero mano alle armi e inviarono messi per la regione a darne il segnale col suono dei corni di montone; vi era, infatti, l'uso antico di convocare la moltitudine con questi strumenti.
Libro V:195 I cortigiani di Eglon rimasero a lungo all'oscuro della disgrazia a lui capitata; ma al calare della notte, temendo che gli fosse accaduto qualcosa di straordinario, entrarono nella camera, e, trovato il cadavere, rimasero stranamente perplessi; e prima che si radunasse la guarnigione, venne su di essi la moltitudine degli Israeliti.
Libro V:196 Alcuni furono massacrati sul posto, altri fuggirono cercando scampo nella terra di Moab, il numero superava i diecimila. Però gli Israeliti che nel mentre avevano occupato il passo del Giordano, li inseguirono e uccisero: molti furono massacrati proprio al passo, e nessuno scampò dalle loro mani.
Libro V:197 Così gli Ebrei furono liberi dalla schiavitù dei Moabiti. Per questo Giuda fu onorato col comando di tutte le moltitudini, morì dopo ottant'anni di governo; anche a prescindere dall'impresa anzidetta, fu uomo meritevole di lode. Dopo di lui fu eletto al comando Sanagar, figlio di Anath, ma morì nel primo anno di governo.
Debora e Barak
Libro V:198 - V, I. - Dalle disavventure passate, gli Israeliti non impararono a essere migliori, né veneravano Dio, né osservavano le leggi. Prima che avessero un poco di respiro dopo la servitù sotto i Moabiti, caddero sotto il giogo di Jabin, re dei Cananei.
Libro V:199 Costui proveniva dalla città di Asor, posta sopra il lago Semachonitis, aveva un esercito di 300.000 soldati, 10.000 cavalli, e possedeva 3.000 carri. Di queste forze era capitano Sisare che aveva il primo posto nel favore del re: nel primo scontro che gli Israeliti ebbero con lui, furono battuti e costretti a pagare il tributo.
Libro V:200 - 2. Per vent'anni restarono sotto questo giogo, incapaci di imparare dalle avversità, mentre Dio voleva domare la loro insolenza, più ancora, la loro ingratitudine verso di Lui, affinché mutassero quella condotta e passassero alla saggezza. Ma allorché impararono che le loro calamità erano dovute alla loro non osservanza delle leggi, si rivolsero a una certa profetessa, Dabora, nome che nella lingua degli Ebrei significa “ape”,
Libro V:201 affinché pregasse Dio di avere pietà di loro e non permettesse che fossero annientati dai Cananei. Dio promise loro la salvezza, e scelse come capo Barak, della tribù di Neftali: “barak” nella lingua degli Ebrei significa “fulmine”.
Libro V:202 - 3. Dabora, dunque, chiamò Barak e lo incaricò di scegliere diecimila giovani e marciare contro il nemico; questo numero è sufficiente, lei disse, avendolo stabilito Dio e promesso la vittoria.
Libro V:203 Ma Barak ricusò il comando se lei non l'avesse condiviso con lui; lei indignata rispose: “Tu cedi a una donna il posto che Dio ha dato a te! Io, certo, non lo rifiuto”. Radunati i diecimila, si accamparono sul monte Itabirio.
Libro V:204 Per ordine del re, andò a incontrarli Sisare e accampò il suo esercito non lontano dai nemici.
Gli Israeliti e Barak si spaventarono alla vista di quella moltitudine di nemici, e pensavano di ritirarsi, ma Dabora li trattenne ordinando di dare battaglia quello stesso giorno, poiché avrebbero riportato vittoria e che Dio li avrebbe aiutati.
Libro V:205 - 4. Si attaccò, dunque: e nel pieno della mischia venne una grande tempesta con torrenti di pioggia e grandine; il vento spinse la pioggia contro il viso dei Cananei oscurando la loro vista al punto da rendere inutili archi e frecce e, dal freddo, i fanti non potevano fare uso delle spade.
Libro V:206 Gli Israeliti, invece, erano meno impediti dalla tempesta, che avevano alle spalle, e incoraggiati dal pensiero che Dio li aiutava, si lanciarono in mezzo ai nemici, ne uccisero molti, altri caddero per mano degli Israeliti, altri della loro cavalleria; molti furono schiacciata dai propri carri.
Libro V:207 Ma quando vide il suo esercito in rotta, Sisare fuggì fino a che trovò rifugio presso una donna dei Keniti di nome Iale la quale, a sua richiesta, gli concesse un nascondiglio, e quando chiese da bere gli diede del latte già forte:
Libro V:208 ne bevve a dismisura, e si addormentò. Iale, allora, mentre lui dormiva, prese un chiodo di ferro, l'introdusse attraverso la bocca e la gola e con un martello, lo spinse fino a inchiodarlo al suolo; e quando giunsero, poco dopo, quelli di Barak, lei glielo mostrò inchiodato a terra.
Libro V:209 Così, come aveva predetto Dabora, questa vittoria tornò a gloria di una donna. Ma Barak, marciando contro Asor, uccise Jabin che era andato a scontrarlo e, caduto il comandante, egli spianò la città dalle fondamenta; e tenne poi il comando degli Israeliti per quarant'anni.
Gedeone
Libro V:210 - VI, I. Morti nello stesso periodo Barak e Dabora, i Madianiti chiamarono in aiuto gli Amaleciti e gli Arabi, e attaccarono gli Israeliti, sconfissero in battaglia tutti gli oppositori, saccheggiarono i raccolti e asportarono il bestiame;
Libro V:211 e ripetendosi questo per sette anni, la maggior parte degli Israeliti si ritirò sulle montagne e abbandonò il piano: per salvarsi si servirono di passaggi e di caverne; così si salvavano quanti sfuggivano al nemico.
Libro V:212 I Madianiti, infatti, facevano le incursioni nel pieno detestate, consentendo così agli Israeliti di lavorare durante l'inverno, per trarre dai loro lavori qualcosa da devastare. Così vi era fame e scarsezza di cibo, ed essi si volsero a Dio con suppliche, implorandolo di salvarli.
Libro V:213 - 2. Ora Gedeone, figlio di Jas, uno dei pochi della tribù di Manasse, soleva portare di nascosto i covoni del grano in cantina e quivi li batteva: a causa dei nemici, aveva paura di compiere questo apertamente nell'aia. Gli apparve un fantasma sotto forma di un giovane che lo chiamò felice e caro a Dio; egli rispose dicendo: “Il fatto che io ora mi serva della cantina invece dell'aia, è veramente un segno attestante in Suo favore”.
Libro V:214 Ma fu incoraggiato a farsi animo e a tentare di riconquistare la libertà; rispose che ciò era impossibile perché la tribù alla quale apparteneva non era numerosa, ed egli era giovane e inesperto per imprese tanto grandi; Dio stesso però gli promise di supplire alle sue deficienze e dare la vittoria agli Israeliti, ma egli stesso doveva mettersi in capo a loro.
Libro V:215 - 3. Narrando questo ad alcuni giovani suoi amici, Gedeone fu incaricato: subito ci fu un esercito di 10.000 uomini pronti. Dio apparve, però, a Gedeone in sogno indicandogli che la natura umana è amica di sé stessa: avversa a quanti meritatamente la sorpassano, lontana dall'attribuire una vittoria a Dio, facile, invece, ad attribuirla a sé stessa a motivo dell'ampiezza dell'esercito e della capacità di stare di fronte al nemico.
Libro V:216 Affinché, dunque, imparassero che era il suo aiuto a compiere l'opera, gli suggerì che quando il caldo era più intenso conducesse il suo esercito al fiume; coloro che per bere si inginocchiavano egli li ritenesse coraggiosi, quanti invece correvano a dissetarsi con impazienza e avidità, li giudicasse pusillanimi e paurosi di fronte ai nemici.
Libro V:217 Gedeone si comportò secondo questo consiglio di Dio, e trovò che trecento con timore portavano l'acqua alle labbra con le mani: Dio gli ordinò di prendere questi per attaccare il nemico. Costoro posero il campo sulla (sponda) del Giordano con l'intento di attraversarlo il giorno appresso.
Libro V:218 - 4. Ma Gedeone era timoroso perché Dio gli aveva ordinato di assalire (il nemico) durante la notte; tuttavia volendo Dio sgombrargli l'animo dalla paura, gli impose di prendere uno dei suoi soldati e di accostarsi alle tende dei Madianiti: da loro, infatti, avrebbe attinto coraggio e fiducia.
Libro V:219 Persuaso, se ne andò dopo avere preso il suo servo Phruras; e, avvicinatosi a una tenda, trovò che gli occupanti erano svegli e che uno di essi raccontava ai compagni un sogno in maniera tale che Gedeone poteva sentirlo. Ora il sogno era così: gli pareva che una pagnotta d'orzo, troppo vile per essere
consumata da parte degli uomini, girando per il campo, rovesciasse la tenda del re e poi quella di tutti i soldati.
Libro V:220 Il compagno interpretò la visione come presagio della rovina dell'esercito ed esponeva che cosa glielo faceva dedurre: “Di tutti i semi, disse, quello che si chiama orzo è considerato il più vile: e tra tutti gli Asiatici, gli Israeliti, come si può vedere, sono ora diventati spregevoli, proprio com'è della natura dell'orzo.
Libro V:221 E in questo momento, tra gli Israeliti, lo spirito illuminato non può essere che Gedeone e i suoi compagni d'armi. Siccome tu dici d'aver visto quella pagnotta rovesciare le nostre tende, temo che Dio abbia concesso a Gedeone la vittoria su di noi”.
Libro V:222 - 5. Gedeone, udito il sogno, pieno di speranza e di fiducia, ordinò ai suoi uomini di tenersi pronti a combattere, dopo avere riferito loro la visione raccontata dal nemico; ed essi erano pronti a obbedire ai suoi ordini, esaltati da quanto era stato detto loro.
Libro V:223 E così, intorno alla quarta vigilia, Gedeone fece avanzare il suo esercito che aveva già diviso in tre parti, ognuna di 100 uomini: portavano tutti delle brocche dentro le quali vi erano torce accese, per impedire al nemico di scoprire le loro mosse; con la mano destra reggevano un corno di montone che serviva loro da tromba.
Libro V:224 Grande era la regione coperta dall'esercito nemico, perché avevano numerosi cammelli; essi erano divisi secondo le etnie e tutti racchiusi in un cerchio.
Libro V:225 Avvicinandosi al nemico, gli Ebrei avevano ricevuto l'ordine di suonare le trombe, era un segnale dato per rompere le brocche e poi lanciarsi con i lumi e grandi schiamazzi nella mischia col grido di guerra: “Vittoria, Dio aiuta Gedeone!” e così fecero.
Libro V:226 Panico e confusione si impadronirono di quegli uomini ancora sonnolenti; poiché era notte e Dio voleva così. Ben pochi caddero per mano nemica; la maggior parte fu colpita dai propri compagni, a motivo della diversità di linguaggio; una volta esplosa la confusione, uccidevano tutti quelli che incontravano pigliandoli per nemici, e ne derivò una grande carneficina.
Libro V:227 Tra gli Israeliti si diffuse la notizia della vittoria di Gedeone, ed anch'essi sorsero in armi all'inseguimento dei nemici, e raggiunti in una valle circondata da fossi invalicabili, li chiusero e li uccisero tutti con due dei loro re, Oreb e Zeb.
Libro V:228 I capi restanti spinsero i soldati scampati, erano circa 18.000, e si accamparono a notevole distanza dagli Israeliti. Gedeone, tuttavia, non rinunciò alla lotta: li inseguì con tutto l'esercito, attaccò battaglia e li annientò tutti e prese prigionieri i due capitani superstiti, Zebes e Zarmunes.
Libro V:229 In questa battaglia tra Madianiti e loro alleati Arabi, caddero circa 120.000 uomini; copioso fu il bottino fatto dagli Ebrei: oro, argento, drapperie, cammelli, bestie da soma. Al suo ritorno a Efra, sua patria, Gedeone mise a morte i due re madianiti.
Libro V:230 - 6. La tribù di Efraim, rattristata per il successo di Gedeone decise di levare le armi contro di lui, offesi perché egli non l'aveva informata del suo proposito di attaccare il nemico. Tuttavia, Gedeone, essendo un uomo equilibrato e modello di ogni virtù, rispose che non era stata una sua decisione del momento, quella di attaccare il nemico senza di loro, bensì un ordine di Dio; e la vittoria, aggiunse, era loro non meno che di quelli che avevano combattuto con lui.
Libro V:231 Con queste parole calmò la loro collera e rese agli Ebrei un servizio maggiore dei suoi successi militari: egli, infatti, evitò loro una sedizione civile che era sul punto di scoppiare. Comunque questa tribù pagò pena di una tale propensione insolente: ne parleremo a suo tempo.
Libro V:232 - 7. Gedeone avrebbe voluto lasciare il comando, ma fu costretto a mantenerlo, e seguitò ad amministrare la giustizia ancora per quarant'anni. Gli uomini affidarono a lui le proprie divergenze di giudizio, e le decisioni da lui prese erano ritenute buone. Morì in matura vecchiaia e fu sepolto a Efra, sua patria.
Abimelech
Libro V:233 - VII, I. - Ora egli lasciò settanta figli legittimi avuti da molte mogli, e uno illegittimo nato dalla concubina Druma, di nome Abimelech. Quest'ultimo, dopo la morte del padre, si ritirò nella famiglia della madre a Sichem, patria di
lei; avendo avuto da essi molto denaro (aveva assoldato certi sfaccendati che erano notoriamente conosciuti per una quantità di soperchieria)
Libro V:234 ritornò con essi alla casa paterna, e uccise tutti i suoi fratelli ad eccezione di Jotham, il quale ebbe la fortuna di salvarsi fuggendo. Abimelech trasformò il governo in tirannia ponendo se stesso al di sopra di chicchessia, facendo quello che voleva a dispregio delle leggi e ostentando un'amara animosità contro coloro che sostenevano le parti della giustizia.
Libro V:235 - 2. Un giorno che a Sichem vi era una festività pubblica e si trovava qui unito tutto il popolo, Jotham, suo fratello - che come abbiamo detto era sfuggito - salì sul Garizin, collina che sovrasta la città di Sichem, alzò la voce in modo da essere udito dalla folla che volesse sentirlo tranquillamente, e la pregò di volere ascoltare quanto stava per dire.
Libro V:236 Fattosi silenzio, disse: “Quando le piante erano dotate di voce umana, tennero un'adunanza e chiesero al fico di dominarle; al suo rifiuto, perché era soddisfatto della stima che gli veniva dai suoi frutti, una stima tutta sua e non conferitagli dall'esterno, da altri,
Libro V:237 le piante non rinunciarono alla loro intenzione di avere un capo, e ritennero bene offrire questa dignità alla vite: e la vite, una volta eletta, per le stesse ragioni addotte dal fico, declinò la sovranità; e lo stesso fece l'ulivo; gli alberi, allora, domandarono a un cespuglio spinoso di accettare la regalità; essendo buono a dare legno per accendere il fuoco egli promise di adempiere al suo compito e di agire energicamente,
Libro V:238 ma era necessario che gli si raccogliessero attorno per godere della sua ombra, affinché qualora complottassero la sua rovina venissero distrutti dal fuoco che è in lui.
Libro V:239 “Non vi dico questo”, asserì, “per ridere, ma perché, nonostante i molteplici benefici che avete ricevuto da Gedeone, sopportate che Abimelech tenga la sovranità di tutti gli affari, dopo averlo aiutato a uccidere i fratelli. Troverete che non è diverso dal fuoco”. Ciò detto se ne andò e visse nascosto tra le colline per tre anni nella paura di Abimelech.
Libro V:240 - 3. Non molto tempo dopo la festa, i Sichemiti si pentirono della strage fatta dei figli di Gedeone, espulsero Abimelech dalla loro città e dalla tribù: ed egli architettava di compiere del male contro la città. Così, quando
giunse la stagione della vendemmia essi avevano paura di uscire a raccogliere il frutto per tema che Abimelech facesse loro del male.
Libro V:241 Ma in occasione della visita di Gual, uno dei loro capi con un seguito di soldati e di parenti, i Sichemiti lo pregarono di accordare loro protezione durante la vendemmia; e allorché egli accolse la loro domanda, uscirono accompagnati da Gual a capo dei suoi soldati.
Libro V:242 Raccolto il frutto al sicuro, durante una cena in compagnia, incominciarono apertamente a villaneggiare Abimelech; e i capi nascosti nei dintorni della città, catturarono e uccisero molti seguaci di Abimelech.
Libro V:243 - 4. Ma uno dei capi sichemiti, un certo Zabul, vecchio amico di Abimelech, inviò dei messaggeri a riferirgli quanto aveva fatto Gual per attizzare il popolo, e gli suggerì di andare ad appostarlo intorno alla città, mentre avrebbe indotto Gual a muovere contro di lui: fatto questo egli (Zabul) avrebbe promosso la sua riconciliazione con i cittadini.
Libro V:244 Così Abimelech se ne stava alla macchia, mentre Gual si tratteneva nei sobborghi completamente senza guardia, e Zabul con lui. Scorgendo gente armata affrettarsi verso di lui, Gual disse a Zabul che quella gente armata veniva contro di loro; ma egli rispose che erano ombre delle rupi.
Libro V:245 Ma approssimandosi a Gual, li scorse perfettamente, e rispose che quelle non erano ombre, ma una squadra di uomini. Zabul disse: “Non sei tu quello che dai del codardo ad Abimelech? Perché, dunque, non mostri l'altezza del tuo valore incontrandoti in combattimento con lui?”
Libro V:246 Gual, sbigottito, affrontò gli uomini di Abimelech, perse alcuni dei suoi e si ritirò in città col resto. Zabul quindi si adoperò accortamente per la sua espulsione dalla città accusandolo di troppa fiacchezza nel combattere i soldati di Abimelech.
Libro V:247 Intanto avuta notizia che i Sichemiti stavano per uscire nuovamente per la vendemmia, Abimelech dispose delle imboscate attorno alla città; poi - dopo che erano usciti - una terza parte delle sue forze presidiò le porte per tagliare ai cittadini la possibilità di rientrare, con il resto (delle forze) inseguì quelli che si erano sparsi nella campagna, e in ogni parte ci fu una carneficina.
Libro V:248 Poi, rasa al suolo la città, non poté infatti resistere all’assedio, sparse sale sulle rovine e proseguì: così perirono tutti i Sichemiti. Quelli tra loro
che si erano sparpagliati per la campagna ed erano sfuggiti al pericolo, si raccolsero su una rocca molto ben difesa e quivi si stabilirono accingendosi a fortificarla con mura;
Libro V:249 ma Abimelech, saputolo, prevenne le loro intenzioni, venne su di essi con le sue forze e con le sue mani collocò fascine di legno secco attorno al luogo e ordinò ai suoi soldati di fare lo stesso. La rocca fu presto circondata ed essi appiccarono il fuoco alle fascine con materiali molto infiammabili e ne seguì un immenso incendio.
Libro V:250 Nessuno di quelli della rocca scampò: perirono tutti con donne e fanciulli; gli uomini erano circa 1.500, oltre a una grande moltitudine. Tale fu la calamità che colpì i Sichemiti, calamità troppo profonda per non venire compatita se non fosse stata una giusta sorte per gli aspiratori di un crimine così insano contro un benefattore.
Libro V:251 - 5. Abimelech avendo terrorizzato gli Israeliti con il miserabile destino dei Sichemiti, diede a vedere che mirava ben più in alto e non avrebbe posto limite alla sua violenza fino a quando non li avesse sterminati tutti. Marciò, dunque, alla volta di Theba e prese la città al primo assalto; ma in essa vi era una grande torre ove si era rifugiato tutto il popolo ed egli faceva i preparativi per assediarla.
Libro V:252 E mentre si avvicinava alle porte, una donna lasciò cadere il frammento di una macina e lo colpì alla testa; atterrato dal colpo, Abimelech pregò lo scudiero di ucciderlo, affinché non si credesse che la sua morte fosse opera di una donna: ed egli eseguì il comando.
Libro V:253 Questo fu il castigo con il quale pagò l'empietà usata verso i suoi fratelli, e la barbarie con la quale trattò i Sichemiti; costoro poi incontrarono la sciagura predetta loro da Jotham. L'esercito di Abimelech in seguito, con la caduta del capo, si smembrò e ciascuno ritornò a casa sua.
Il giudice Jair
Libro V:254 - 6. La guida degli Israeliti fu presa da Jair, il Galadeno, della tribù di Manasse; uomo sotto ogni aspetto felice, in particolare per l'ottima figliolanza: trenta figli, tutti bravissimi cavallerizzi, a ognuno dei quali fu affidato il governo di una città della Galadene. Costui governò per ventidue
anni, morì in età avanzata, ed ebbe l'onore della sepoltura in Kamon, città della Galadene.
Il giudica Jefte
Libro V:255 - 7. Ma tutte le cose degli Ebrei andavano sempre più verso il disordine, la superbia contro Dio e contro le leggi; così, non facendone alcun conto, Ammoniti e Palestinesi invasero la loro regione con un grande esercito, e dopo avere occupato tutta la Perea, si promettevano ormai di passare il fiume per la conquista del resto.
Libro V:256 Gli Ebrei, tornati in se stessi, per tali sinistri, si rivolsero a Dio con suppliche, Gli offrirono sacrifici, Lo invocarono affinché ascoltasse le loro richieste e volesse attenuare il Suo sdegno. E Dio si volse a più miti consigli ed era in procinto di soccorrerli.
Libro V:257 - 8. Quando poi gli Ammoniti invasero la Galadene, la popolazione della regione si preparava ad affrontare sulle colline, prima che ci fosse un capitano. Ora vi era un certo Jefte, uomo potente sia per il valore dimostrato da suo padre sia per le proprie truppe mercenarie che egli manteneva a sue spese.
Libro V:258 A lui, dunque, ricorsero pregandolo di aiutarli con la promessa di conferirgli il comando per sempre. Ma egli declinò la loro preghiera, rimproverandoli di non averlo aiutato allorché era manifestamente maltrattato dai suoi fratelli.
Libro V:259 Egli non era della stessa loro madre, ma era di un'estranea, una madre imposta loro dalla passione amorosa del padre, ed essi l'avevano cacciato con disprezzo e senza sostenerlo;
Libro V:260 così viveva nella regione detta Galaadite accogliendo quanti a lui ricorrevano da qualsiasi parte venissero e pagando loro un salario. Essi (gli Ebrei) tuttavia lo pregarono caldamente e giurarono che gli avrebbero conferito il comando per sempre; ed egli assunse il comando.
Libro V:261 - 9. Dispose subito ogni cosa, sistemò l'esercito nella città di Masfa, inviò un'ambasciata all'Ammonita accusandolo dell'incursione; questi gli rispose con un'altra ambasciata con la quale rimproverava agli Israeliti la loro uscita dall'Egitto ed esigendo da loro che lasciassero l'Amorrea, antichissima eredità dei suoi padri.
Libro V:262 Al che Jefte replicò che non era giusto il motivo di lagnanza a proposito degli antenati del suo popolo in merito all'Amorrea, e dovevano anzi essere grati a loro che avevano lasciato loro l'Ammonitide di cui Mosè avrebbe potuto spogliarli; e ordinò loro di ritirarsi da quella terra che Dio aveva conquistato per essi e della quale erano in possesso da trecento anni; e dichiarò che avrebbe combattuto contro di loro.
Libro V:263 - 10. Così dicendo congedò gli inviati. In seguito dopo aver pregato per la vittoria e promesso che qualora fosse ritornato indenne a casa sua, avrebbe offerto in sacrificio tutto ciò che avrebbe incontrato per primo. Iniziata la guerra, sconfisse pienamente il nemico, lo massacrò e l'inseguì fino alla città di Maniathe, si inoltrò poi nell'Ammonite, distrusse molte città, prese un abbondante bottino, e liberò i suoi dalla schiavitù che avevano sopportato per diciotto anni.
Libro V:264 Ma al ritorno gli capitò una sfortuna ben lontana dalle gesta compiute; fu infatti sua figlia quella che gli andò incontro per prima, la sua unica figlia, ancora vergine. A questo incontro, dal dolore, alzò un altissimo grido, si dolse con la figlia e per la fretta che aveva avuto a incontrarlo: perché l'aveva promessa a Dio.
Libro V:265 Lei non si rammaricò del proprio destino perché, morendo, lasciava il padre vittorioso e i propri concittadini liberi. Lei però gli domandò che le concedesse due mesi per piangere la sua giovinezza con i suoi concittadini, e dopo si sarebbe sottoposta all'esigenza del suo voto.
Libro V:266 Egli acconsentì al tempo richiesto; e al termine sacrificò la figlia in olocausto, sacrificio non sancito dalla legge, né a Dio gradito: perché in antecedenza non aveva riflettuto su che cosa poteva accadere né quale poteva essere la valutazione di quanti sarebbero venuti a conoscenza della sua azione.
Libro V:267 - 11. Ora la tribù di Efraim prese le armi contro di lui, perché non l'aveva fatta partecipe della sua spedizione contro gli Ammoniti, e così lui solo si godeva il bottino e la gloria dell'impresa. Egli replicò affermando anzitutto che essi erano al corrente della spedizione dei fratelli, e quando fu loro chiesto aiuto, questo non venne; mentre la conoscenza della questione era sufficiente per prendere le armi;
Libro V:268 aggiunse ancora che era ben strano, da parte loro che, dopo non aver avuto il coraggio di affrontare il nemico, si scagliassero contro i fratelli;
infine li minacciò che, con l'aiuto di Dio, si sarebbe vendicato di loro qualora non fossero divenuti ragionevoli.
Libro V:269 Non potendo ridurli a ragione, quando vennero, si scontrò con loro forte di un esercito raccolto dalla Galadene; operò una grande carneficina, inseguì i fuggitivi, spedì innanzi una squadra al passaggio del Giordano e ne uccise molti, in tutto 240.000.
Libro V:270 - 12. Dopo aver comandato sei anni, morì e fu sepolto nel luogo natio, in Sebee, nella terra di Galaad.
Apsane, Elon, Abdon
Libro V:271 - 13. Alla morte di Jefte il comando passò ad Apsane della tribù di Giuda e della città di Bethlemme. Costui aveva sessanta figli: trenta figli e altrettante figlie, che (alla sua morte) lasciò tutti vivi, queste già sposate e quelli ammogliati. In sette anni di governo non fece nulla degno di menzione. Morì in età avanzata e fu sepolto nella sua patria.
Libro V:272 - 14 Morto Apsane, gli successe Elon della tribù di Zabulon; tenne il governo per dieci anni ed anch'egli non fece nulla degno di menzione.
Libro V:273 Abdon, figlio di Elan, della tribù di Efraim, della città di Faraton, fu designato a guida del governo dopo Elon; non è forse da ricordare per altro se non per la sua felice paternità, dato che grazie alla situazione di pace e tranquillità anch'egli non compì alcuna azione di rilievo.
Libro V:274 Ebbe quaranta figli e da questi nacquero trenta nipoti: era solito cavalcare con questa famiglia di settanta persone, tutte abilissimi cavalieri. Egli, morente, li lasciò tutti vivi dopo di sé; morì in età avanzata e fu sepolto con onore a Faraton.
Annunzio della nascita di Sansone
Libro V:275 VIII, I. Dopo la sua morte i Palestinesi assoggettarono gli Israeliti e per quarant'anni esigettero da loro il tributo. Da questa miseria si liberarono nel modo seguente.
Libro V:276 - 2. Un certo Manoch, gran notabile tra i Daniti e senza dubbio il primo nella sua patria, aveva una moglie straordinariamente avvenente che
eccelleva tra le donne del suo tempo. Ma non aveva da lei figli, e questa mancanza lo angustiava; nelle sue frequenti visite nei dintorni con la moglie, ove vi era una vasta pianura, aveva l'abitudine di supplicare Dio affinché desse un frutto al loro matrimonio.
Libro V:277 Era pazzamente innamorato di sua moglie e (smodatamente) geloso. Ora, un giorno che la moglie era sola, le apparve un fantasma da parte di Dio, sotto la forma di un grazioso giovane d'alta statura, annunziandole la lieta notizia che, secondo la benevola provvidenza di Dio, sarebbe nato un figlio bello e illustre per la forza e che, giunto alla maturità, col suo valore avrebbe oppresso i Palestinesi.
Libro V:278 Le ingiunse inoltre di non tosargli mai la chioma e che, secondo il volere di Dio, doveva astenersi dal bere qualsiasi bevanda che non fosse soltanto acqua. Ciò detto, il visitatore, adempiuto il volere di Dio, se ne andò.
Libro V:279 - 3. Quando giunse il marito gli riferì dell'angelo esaltando la bellezza e la statura del giovane in modo tale che, nella sua gelosia, agitato da quelle lodi, fu portato a immaginare quei sospetti che suole suscitare la passione.
Libro V:280 Lei però volendo levare dal marito quell'irragionevole dolore supplicò Dio che le mandasse di nuovo l'angelo di modo che lo potesse vedere anche il marito. E per grazia di Dio l'angelo venne nuovamente mentre essi erano nei dintorni della città, e apparve alla donna quando si trovava lontana dal marito; lei allora lo supplicò di sostare affinché potesse condurre il marito: avutone l'assenso, lei andò alla ricerca di Manoch.
Libro V:281 Ma egli, pur vedendolo, non desistette dai suoi sospetti, e gli domandò di ripetere anche a lui tutto quello che aveva rivelato alla donna; l'angelo replicò che bastava che fosse noto solo a lei; gli domandò chi fosse, affinché alla nascita del bambino essi lo potessero ringraziare e fargli un regalo.
Libro V:282 Egli replicò di non avere bisogno di nulla, giacché egli aveva soltanto annunziato la buona notizia della nascita di un bambino; e nonostante Manoch l'avesse invitato di restare e gradire l'ospitalità, non volle trattenersi; nondimeno, alle sue insistenti preghiere, si persuase a restare purché gli fosse offerto un segno di ospitalità.
Libro V:283 Manoch scannò un montone, ordinò alla moglie di cuocerlo, e quando tutto fu pronto, l'angelo comandò che carne e pani si disponessero sopra una pietra, senza vasellame.
Libro V:284 Ciò fatto, egli toccò la carne col bastone che aveva, e balenò un fuoco che le consumò con il pane, mentre l'angelo fu da loro veduto salire in cielo col fumo come su di un cocchio. Manoch allora ebbe paura che da questa visione di Dio derivasse qualche sinistro evento, ma sua moglie lo rincuorò in quanto era per il loro bene che fu dato loro di vedere Dio.
Libro V:285 - 4. La donna concepì e si attenne bene agli ordini che le erano stati dati. Quando nacque il fanciullo lo chiamarono Sansone, nome che significa “forte”. In breve crebbe, e dalla semplicità del suo vitto e dalla sua sciolta capigliatura appariva chiaro che sarebbe stato un profeta.
Sansone e il leone
Libro V:286 - 5. Essendo andato con i suoi genitori in Tamna, città dei Palestini, durante la celebrazione di una festa si innamorò di una fanciulla e domandò ai genitori di prendergli la fanciulla in sposa; essi erano sulla negativa in quanto lei non era della loro stirpe; nei disegni di Dio questo matrimonio però era ordinato all'interesse degli Ebrei, e così vinse, fidanzandosi con la vergine.
Libro V:287 Nel corso delle sue frequenti visite ai genitori di lei, si incontrò con un leone e, disarmato com'era, ingaggiò lotta con lui, e con le sue mani lo strangolò e ne gettò il cadavere nei cespugli ai bordi della strada.
Libro V:288 - 6. Un altro giorno, nei suoi viaggi alla fanciulla vide uno sciame di api che avevano figliato nel ventre del leone: onde colse tre favi di miele e con altri regali che aveva seco li portò alla fanciulla.
Libro V:289 Ora, in occasione del banchetto nuziale, al quale erano stati invitati tutti i Tamniti, temendo la forza del giovane, gli presentarono trenta dei più robusti che avevano, in apparenza come compagni, nella realtà come guardie nel caso desse in escandescenze; e quando dal bere era prevalsa l'allegria, come si usa in queste occasioni, Sansone disse:
Libro V:290 “Su, venite, vi preparerò un indovinello, e, se entro i sette giorni che concedo alla vostra ricerca, lo scioglierete, ricompenserò la sagacia di ognuno con tele di lino fino e vestiti”. Quei giovani, impazienti di dimostrarsi sagaci e di riceverne il compenso, insistevano perché lo enunciasse; egli dunque disse: “L'onnivoro produsse da sé un cibo gradevole, pur essendo profondamente sgradevole”.
Libro V:291 Passati tre giorni, erano incapaci di trovarne il significato, e facevano pressione sulla fanciulla affinché lo scoprisse dal marito e lo riferisse a loro; e minacciarono di bruciarla nel caso non assecondasse il loro desiderio: Sansone, supplicato dalla fanciulla di rivelarglielo, sulle prime resistette;
Libro V:292 siccome lei insisteva e scoppiava in lacrime e protestava che il suo rifiuto di dirglielo era prova della sua mancanza d'amore verso di lei, egli rivelò la storia; aveva ucciso un leone e dalla sua carcassa aveva preso i tre favi di miele che le aveva portato.
Libro V:293 Non sospettando l'inganno, egli le rivelò tutto; e lei lo manifestò a quelli che l'avevano interrogata. Giunto il settimo giorno nel quale era fissata la data per la loro risposta all'indovinello, al sorgere del sole si radunarono e dissero: “Nulla è più sgradevole di incontrare un leone, né più gradito del gusto del miele”.
Libro V:294 E Sansone aggiunse: “Né più ingannevole di una donna che a voi manifestò le nostre conversazioni”. E diede loro quanto aveva promesso, dopo avere spogliato certi Ascaloniti che aveva incontrato per via, anch'essi erano Palestinesi.
Poi rinunziò a quelle nozze, e la ragazza, incurante del suo sdegno, si sposò con l'amico di lui che gli era stato paraninfo.
Sansone e le volpi
Libro V:295 - 7. Infuriato per questo affronto, Sansone giurò vendetta contro di lei e contro tutti i Palestinesi. Così, quando giunse l'estate e le biade erano pronte per la raccolta, egli catturò trecento volpi, unì torce accese alle loro code e le lasciò libere per i campi dei Palestinesi: in tal modo rovinò il loro raccolto.
Libro V:296 I Palestinesi accortisi di questa azione di Sansone e del motivo per cui l'aveva compiuta, inviarono i loro capi a Thamna e bruciarono vivi quella che era stata sua moglie e i suoi parenti, essendo stati la causa del loro disastro.
Sansone e una mascella d'asino
Libro V:297 - 8. Sansone, dopo aver ucciso in pianura una moltitudine di Palestinesi, si ritirò in Aeta fortezza rocciosa nella tribù di Giuda; ma i Palestinesi presero le armi contro quella tribù; e questa si lamentava, ritenendo
ingiusto che fossero vendicati su di essi, che pagavano il tributo, i misfatti di Sansone. Ma i Palestinesi replicavano che se non volevano averne colpa consegnassero loro Sansone.
Libro V:298 Volendo mantenersi fuori di ogni rimprovero si recarono alla rocca con tremila uomini armati: prima si dolsero con lui della prepotenza praticata verso i Palestinesi, popolo forte e capace di infliggere gravi danni a tutta la stirpe degli Ebrei, in seguito gli dissero che erano venuti per prenderlo e consegnarlo a loro, supplicandolo di sottomettersi di sua libera volontà.
Libro V:299 Avuto il giuramento che non avrebbero fatto null'altro che consegnarlo ai nemici, scese dalla rocca e si arrese, consegnandosi ai rappresentanti della tribù; questi lo legarono con due corde e lo presero per consegnarlo ai Palestinesi.
Libro V:300 Ma allorché giunsero al luogo che oggi, a motivo dell'impresa compiuta da Sansone, è detto Mascella e prima non aveva nome, non lungi dall'accampamento dei Palestinesi andati loro incontro festosi con grida pensando di avere raggiunto il loro scopo, Sansone ruppe i suoi lacci, prese una mascella d'asino che era ai suoi piedi e si scagliò sui suoi nemici, colpendoli con quest'arma: ne uccise un migliaio e mise gli altri in fuga.
Orgoglio di Sansone
Libro V:301 - 9. Tuttavia, per questo fatto, Sansone si inorgoglì più di quanto era conveniente: non disse che quello era avvenuto per l'assistenza che Dio gli aveva dato, ma attribuì il risultato al suo valore, l'avere, cioè, con una mascella abbattuto alcuni suoi nemici e messo in fuga altri dal terrore che aveva incusso loro.
Libro V:302 Assalito da una rabbiosa sete, riconobbe che il valore umano è una cosa da nulla, capì che tutto doveva essere attribuito a Dio e l'implorò di non sdegnarsi per le sue parole e non consegnarlo nelle mani dei suoi nemici, ma porgendogli l'aiuto di cui aveva bisogno in quel duro momento liberarlo da quella pena.
Libro V:303 Mosso dalle suppliche, Dio fece scaturire, da una roccia, una sorgente di acqua buona e abbondante; donde Sansone chiamò quel luogo Mascella, nome che porta tuttora.
Sansone a Gaza
Libro V:304 - 10. Dopo questa lotta Sansone, disprezzando i Palestinesi, se ne andò a Gaza e prese alloggio in una taverna. I capi dei Gaziti venuti a conoscenza della sua presenza in città, gli tesero un'imboscata ponendo degli uomini davanti alle porte per impedire che se ne andasse senza che essi lo sapessero;
Libro V:305 Sansone, che ignorava le loro trame, levatosi intorno alla mezzanotte, si lanciò contro le porte, le sollevò, stipiti, catenacci, legname, tutto sulle spalle e le portò nella collina che sovrasta Ebron e quivi le depose.
Sansone e Dalila
Libro V:306 - 11. Ma trasgredì le leggi dei suoi padri e abbassò la propria norma di vita a imitazione delle costumanze straniere: e di qui ebbe inizio la sua rovina. Innamorato di una prostituta tra i Palestinesi, di nome Dalila, si associò a lei.
Libro V:307 I reggitori della comunità dei Palestinesi vennero da lei per indurla, con larghe promesse, a scoprire da Sansone il segreto di quella forza che lo rendeva invulnerabile ai suoi nemici. Così tra il bere e gli amplessi, con l'ammirazione delle sue gesta, lei giunse con artifizi a scoprire con quali mezzi era pervenuto a così straordinario valore.
Libro V:308 Sansone, il cui senno era tuttora vigoroso, ricambiò l'inganno di Dalila con un altro, dicendole che qualora venisse legato a più giri con sette tralci, sarebbe stato il più fiacco di tutti.
Libro V:309 Per il momento lei se ne stette quieta; ma dopo ne parlò con i capi dei Palestinesi, appostò segretamente alcuni soldati in nascondigli, e quando Sansone fu ubriaco, lo legò, con i tralci più forte che si poteva,
Libro V:310 poi lo svegliò dicendogli che gli veniva addosso della gente; ma egli, rotti i tralci, era pronto a difendersi quasi che ci fosse chi lo assaliva. E la donna, con la quale Sansone conversava continuamente, gli espresse il proprio dispiacere che egli mostrasse di fidarsi molto poco del suo amore per lui tanto da non confidargli quello che lei desiderava, quasi che non fosse capace di tacere su una cosa che, nell'interesse di lui, non era da divulgare.
Libro V:311 E ancora una volta egli la ingannò, dicendole che qualora venisse legato con sette corde avrebbe perso la propria forza; ma allorché ella provò anche questo senza risultato, le indicò, la terza volta, che gli dovevano intrecciare i “riccioli” in una sola treccia.
Libro V:312 E anche con questo esperimento non si scopra la verità; in fine, alle suppliche di lei, Sansone, che doveva pur cadere vittima volontaria per Dalila, disse: “Sono sotto la protezione di Dio e dalla nascita, sotto la Sua provvidenza, curo questi riccioli avendomi ordinato Dio di non tagliarli in quanto la mia forza dipende dalla loro crescita e conservazione”.
Libro V:313 Imparato il segreto, lei gli tagliò furtivamente la chioma e la consegnò ai suoi nemici. Impotente ormai a respingere i loro assalti, essi gli cavarono gli occhi e lo consegnarono in catene perché fosse condotto in prigione.
La fine di Sansone
Libro V:314 - 12. Con l'andar del tempo la chioma di Sansone crebbe: e una volta che i Palestinesi tenevano una pubblica festa, i loro capi e le persone più notabili si trovavano assieme nello stesso luogo: una sala a due colonne che reggevano il tetto. A loro richiesta Sansone venne introdotto al simposio affinché tra i loro brindisi lo potessero svillaneggiare.
Libro V:315 Ora lui, assai più di ogni male, era bruciato dal fatto che non poteva vendicare quelli insulti. Parlandogli della sua stanchezza e del bisogno che aveva di riposare, indusse il garzone che l'aveva guidato per mano a condurlo affianco alle colonne.
Libro V:316 E quando si avvicinò, si scagliò su di esse con tutto il suo peso e, abbattendo le colonne, fece crollare la casa sopra tremila uomini: perirono tutti, e tra essi anche Sansone. Così ebbe fine, dopo avere governato gli Israeliti per vent'anni.
Libro V:317 E’ giusta l'ammirazione per l'uomo a motivo del suo valore, della sua forza, del coraggio col quale chiuse i suoi giorni, dell'ira con la quale perseguì i suoi nemici fino alla morte. Che egli sia stato preda di una donna è da imputare all'umana natura soggetta all'errore; ma in complesso gli si deve un riconoscimento per l'eccellenza del suo valore. I suoi parenti tolsero il suo corpo e lo seppellirono in Sarasa, ove era nato, con i suoi antenati.
Da Ruth alla famiglia di Davide
Libro V:318 - IX, I. - Dopo la morte di Sansone, la guida degli Israeliti fu il sommo sacerdote Eli. Nei suoi giorni la regione fu colpita da carestia; Abimelech di Bethlemme, città della tribù di Giuda, non potendo più reggere a quelle angustie, prese sua moglie Naamis e i figli avuti da lei, Chellion e Malaon, ed emigrò nella terra di Moab.
Libro V:319 Quivi i suoi affari prosperavano secondo i suoi voleri, e per i suoi figli prese mogli dalle donne di Moab: Orfa per Chellion, Ruth per Malaon. Passarono dieci anni e Abimelech morì, e non molto dopo anche i suoi figli.
Libro V:320 Naamis oltremodo triste per la sua sfortuna e incapace di sopportare il lutto, aveva sempre davanti agli occhi la perdita delle persone più care, per amore delle quali aveva lasciato il suo paese; pensò di farvi nuovamente ritorno, perché aveva saputo che ora tutto stava andando bene.
Libro V:321 Ma le sue nuore non avevano cuore di vedersi separate da lei, e nonostante le sue insistenza, non riuscivano a indurla a restare; insistette ancora esortandole a trovare nozze più felici di quelle avute sposando i suoi figli, e ottenere tutti gli altri beni.
Libro V:322 Vedendo la situazione in cui lei si trovava, le pregava di restare dov'erano e a non rischiare di partecipare alle sue incerte fortune lasciando la loro terra natia. Ofra si fermò, ma Ruth non poté persuadersi; allora lei la prese con sé come compagna di tutto quanto poteva accaderle.
Libro V:323 - 2. Ruth giunse con la suocera nella città di Bethlemme; e Boaz, parente di Abimelech, le diede ospitalità. Allorché la gente si rivolgeva a Naamis con questo nome, lei diceva: “E’ più giusto che mi chiamiate “Mara”, nella lingua ebraica Naamis significa felicità, e Mara “dolore”.
Libro V:324 Era allora tempo di mietitura. Ruth, con la licenza della suocera, uscì a spigolare per il loro sostentamento; e casualmente andò nel campo di Boaz. Di lì a poco, venne Boaz e, vista la giovane, domandò al sorvegliante dei campi chi fosse la ragazza, ed egli, che ne aveva saputo la storia, proprio da lei, ne informò il suo padrone;
Libro V:325 ed egli, per lealtà verso la suocera di lei e per ricordo di quel suo figlio al quale lei era stata unita, le diede il benvenuto e le augurò ogni bene;
però, non volle che spigolasse, le permise di mietere e portare via tutto quello che poteva; e ordinò al sorvegliante dei campi di non ostacolarla in alcun modo e di porgerle da mangiare e da bere quando passava a rifocillare i mietitori.
Libro V:326 Ruth intanto serbò per la suocera la farina d'orzo avuta da lui: gliela portò al suo ritorno assieme alle spighe. Naamis, dal canto suo, aveva salvato per lei una parte delle vivande che i vicini le avevano amorevolmente offerto. Ruth le raccontò anche quello che Boaz le aveva detto.
Libro V:327 Saputo dalla suocera che egli era suo parente e che forse per compassione si dava pensiero di loro, anche nei giorni seguenti andò a cogliere le spighe con le ragazze di servizio di Boaz.
Libro V:328 - 3. Dopo non molti giorni andò lo stesso Boaz e siccome le biade erano state sventolate, si pose a dormire sull'aia. Saputo questo, Naamis escogitò il modo di mettere Ruth al fianco di lui pensando che sarebbe stato utile per loro l'intimità con la fanciulla; e così mandò la fanciulla a dormire ai piedi di lui.
Libro V:329 Lei, giudicando un pio dovere non contraddire sua suocera, se ne andò là; sul momento Boaz non se ne accorse, essendo sprofondato nel sonno; ma destatosi intorno alla mezzanotte, accortosi della presenza della donna che gli stava a lato, volle sapere chi era.
Libro V:330 Lei disse il proprio nome e lo pregò di perdonarla, qual suo padrone; ed egli, sul momento, non disse nulla. Ma sul fare del giorno, prima che i servi si muovessero per i loro lavori, la svegliò, le ordinò di prendere tutto il grano che era capace di portare e di andare da sua suocera, prima che qualcuno si accorgesse che lei aveva dormito là; era saggio, infatti, guardarsi da uno scandalo del genere, tanto più che non era successo nulla.
Libro V:331 “In merito a tutto questo”, disse, “le cose procederanno così: Colui che, per parentela, ti è più vicino di me, verrà interrogato se vuole averti in moglie; se dice di sì, devi seguire lui; se rifiuta, io ti prenderò come mia legittima sposa”.
Libro V:332 - 4. Allorché narrò questo alla suocera, furono contente ambedue, nella speranza che Boaz le prendesse sotto la sua protezione. Egli, intorno a mezzogiorno scese giù in città, radunò gli anziani mandò a chiamare Ruth, convocò pure il parente e, quando fu presente gli domandò:
Libro V:333 “Sei tu che detieni l'eredità di Abimelech e dei suoi figli?” “Sì”, ammise, “le leggi me lo concedono in virtù della prossimità della parentela”. “Allora”, proseguì Boaz, “non devi ricordare solo metà delle leggi, ma eseguire tutto quanto prescrivono. La giovane moglie di Malaon è giunta qui: se tu vuoi tenere quelle terre tu devi sposarla in conformità delle leggi”.
Libro V:334 Egli disse di avere già moglie e figli, e cedette sia l'eredità sia la moglie a Boaz, anche lui parente del morto.
Libro V:335 Boaz, dopo avere chiamato gli anziani a testimoniare, ordinò alla donna di sciogliere la scarpa dell'uomo, di avvicinarsi a lui come prescrive la legge e di sputargli in faccia. Fatto questo, Boaz sposò Ruth, e dopo un anno nacque da loro un bimbo maschio;
Libro V:336 questo fu allattato da Naamis e dietro consiglio delle donne lo chiamò Obed che nella lingua degli Ebrei significa “colui che serve”. Da Obed nacque Jesse, e da lui Davide che divenne re, e che lasciò il regno a tutti i suoi discendenti per ventun generazioni.
Libro V:337 Fui costretto a narrare queste vicende dal desiderio di porre in luce la potenza di Dio e di dimostrare quanto sia facile per Lui innalzare anche gente ordinaria a condizioni tanto illustri come quella alla quale pervenne Davide, sorto da tali antenati.
Eli e Samuele
Libro V:338 - X, I. - Le vicende degli Ebrei erano in declino e mossero di nuovo guerra contro i Palestinesi, per il seguente motivo. Eli, il sommo sacerdote, aveva due figli Ofnie e Finees;
Libro V:339 costoro crescevano ambedue insolenti verso gli uomini ed empi verso Dio, non si astenevano da alcuna scelleratezza dai sacrifici prendevano alcune parti come premio per il loro ufficio, altre invece le sottraevano come ladri; disonoravano le donne che andavano per il culto facendo violenza ad alcune e seducendone altre con regali; in breve, il loro comportamento non differiva dalla tirannide.
Libro V:340 Così il padre si trovava in grande imbarazzo; si aspettava di vederli, in breve, colpiti dai castighi di Dio per i loro misfatti; e il popolo ne era molto scontento.
E quando Dio annunziò a entrambi, a Eli e al profeta Samuele, allora ancora fanciullo, la triste fine riservata ai suoi figli, allora Eli pianse apertamente sui figli.
Libro V:341 - 2. Ma vorrei narrare prima quanto riguarda il profeta, e ragionare in seguito dei figli di Eli e della sciagura che venne addosso a tutto il popolo degli Ebrei.
Libro V:342 Alkane, levita di mediocre condizione della tribù di Efraim, abitante nella città di Armata, era sposato con due donne, Anna e Fenenna. Dall'ultima aveva avuto figli, mentre l'altra, benché sterile, restava la prediletta del marito.
Libro V:343 Ora, quando Alkane con le sue donne andò nella città di Silo a offrire sacrifici, qui, infatti, era stata eretta la tenda di Dio, come abbiamo detto sopra, mentre distribuiva le porzioni di carne alle sue donne e ai figli, Anna guardò i figli dell'altra moglie che sedevano ai lati della madre, e scoppiò in lacrime deplorando la sua sterilità e solitudine.
Libro V:344 E siccome il suo dolore era ben più grande della consolazione che gli dava il marito, andò nella tenda, e pregò Dio che le concedesse il dono della prole e la rendesse madre, promettendo che il suo primogenito l'avrebbe consacrato al servizio di Dio, e che la sua condotta sarebbe stata diversa da quella di uomini ordinari.
Libro V:345 Siccome lei protraeva a lungo le sue preghiere, il sommo sacerdote Eli, che sedeva all'ingresso della tenda, la prese per ubriaca e le ordinò di andarsene. Ma lei rispose di non avere bevuto altro che acqua e che il suo dolore era la mancanza di figli, e per questo supplicava Dio: egli allora l'esortò a farsi coraggio assicurandole che Dio le avrebbe dato figli.
Libro V:346 - 3. Ritornata da suo marito, piena di fiducia, prese cibo con gioia, e al ritorno al paese nativo lei iniziò a concepire; nacque loro un fanciullo al quale diedero nome “Samuele” che è come dire “chiesto da Dio”. Si presentarono, dunque, nuovamente a offrire sacrifici per la nascita del bambino e portarono anche le decime.
Libro V:347 La donna, memore del voto fatto a proposito del figlio, lo diede a Eli offrendolo a Dio affinché diventasse un profeta. Così la sua capigliatura cresceva libera e la sua bevanda era l'acqua; Samuele viveva ed era allevato nel santuario; Alkane ebbe da Anna ancora altri figli e tre figlie.
Libro V:348 - 4. Samuele aveva dodici anni allorché iniziò a profetare. Una notte, mentre dormiva, Dio lo chiamò per nome; ed egli, supponendo di essere chiamato dal sommo sacerdote, si recò da lui. Ma il sommo sacerdote gli rispose che non l'aveva chiamato. Dio fece così per tre volte.
Libro V:349 Allora Eli, illuminato, gli disse: “No, Samuele, io me ne sono stato zitto come prima! E’ Dio che ti chiama. Tu rispondigli eccomi!”. Quando Dio lo chiamò di nuovo, Samuele, uditolo, Lo pregò di parlare che sarebbe stato pronto a servirlo per qualsiasi cosa desiderasse.
Libro V:350 E Dio: “Siccome”, disse, “tu ascolti, sappi che una calamità che oltrepassa ogni espressione e immaginazione, sta per colpire gli Israeliti; i figli di Eli moriranno nello stesso giorno e il sacerdozio passerà alla casa di Eleazaro. Perché Eli ha amato teneramente più i suoi figli che il mio servizio: e non per il loro benessere”.
Libro V:351 Eli costrinse il profeta con giuramento a rivelargli tutto questo giacché Samuele era restio a rattristarlo dicendoglielo - ed ebbe così maggiore certezza di prima della perdita dei figli. Intanto cresceva sempre più la fama di Samuele, giacché si verificava tutto quanto aveva predetto.
Confronto dei Palestinesi con gli Ebrei e sconfitta
Libro V:352 - XI, I. - Era questo il periodo nel quale i Palestinesi, combattendo contro gli Israeliti, posero il campo nelle vicinanze della città di Amfeca. Gli Israeliti uscirono presto contro di loro, il confronto armato ebbe luogo nel giorno seguente, e vinsero i Palestinesi: uccisero circa quattromila Ebrei e inseguirono il resto della moltitudine fin dentro l'accampamento.
Libro V:353 - 2. Temendo un completo disastro, gli Ebrei si rivolsero al consiglio degli anziani e al sommo sacerdote affinché si portasse l'arca di Dio di modo che la sua presenza li incoraggiasse a resistere e vincere il nemico, non riflettendo che Colui che li aveva condannati a perire era più potente dell'arca: ed invero era a Lui che essa doveva il suo essere.
Libro V:354 Arrivò così l'arca e con essa i figli del sommo sacerdote, che dal padre avevano ricevuto l'ordine tassativo che, se volevano sopravvivere, non si avventurassero ad andarle davanti, qualora l'arca fosse catturata. Finees
esercitava già l'ufficio del sommo sacerdote, cedutogli dal padre a motivo dell'età.
Libro V:355 La fiducia suscitò un grande risveglio tra gli Ebrei, i quali credevano che con l'avvento dell'arca avrebbero presto vinto i nemici; il nemico era invece costernato, temendo la presenza dell'arca tra gli Israeliti. Tuttavia l'evento non corrispose alle attese di tutti e due.
Libro V:356 Poiché quando iniziò lo scontro, la vittoria che si aspettavano gli Ebrei, andò ai Palestinesi e la disfatta che, questi paventavano, colpì gli Ebrei, che ignoravano quanto fosse vana la loro fiducia nell'arca: non appena venne lo scontro col nemico, voltarono le spalle e persero circa trentamila uomini e con essi caddero anche i figli del sommo sacerdote. E l'arca venne catturata dai nemici.
Libro V:357 - 3. Quando giunse a Silo la notizia della sconfitta e della cattura dell'arca, notizia portata da un giovane Beniaminita che era stato presente all'azione, tutta la città fu avvolta da lamentazioni.
Libro V:358 Il sommo sacerdote Eli che se ne stava seduto a una delle due porte sopra una sedia alta, udendo le lamentazioni, arguì che fosse accaduto qualche grave disastro ai suoi, e mandò a chiamare il giovane; udito l'esito della battaglia, sopportò, senza soverchio rammarico, il destino dei figli e quanto era accaduto all'esercito; e infatti già gli era stato notificato da Dio e li aveva avvertiti su quanto sarebbe avvenuto: gli uomini, infatti, si abbattono allorché i mali giungono inaspettati.
Libro V:359 Ma quando sentì che l'arca era stata catturata dai nemici, per l'improvvisa disgrazia ne fu talmente addolorato che cadde dalla sedia e spirò. Visse in tutto novantotto anni, per quaranta dei quali tenne il potere supremo.
Libro V:360 - 4. Nello stesso giorno morì pure la moglie di Finees, non avendo la forza di sopravvivere alla disgrazia del marito. Lei era incinta quando le fu riferita la disgrazia, e partorì un bambino di sette mesi: essendo vivo, lo chiamarono Jochabes, nome che vuol dire “inglorioso”, per l'ignominia di cui fu allora colpito l'esercito.
Libro V:361 - 5. Eli fu il primo sommo sacerdote della casa di Ithamar, il secondo dei figli di Aaronne; la casa di Eleazaro tenne per prima a sommo sacerdozio, dignità che discende da padre in figlio.
Libro V:362 Eleazaro la passò a Finees, suo figlio, dopo di lui l'ebbe Abiezer, suo figlio, che la passò a Bokki dal quale l'ereditò Ozis, suo figlio; fu dopo di lui che Eli, del quale stiamo parlando, tenne il sommo sacerdozio, e così i suoi discendenti fino ai tempi del regno di Salomone. Allora la ripresero nuovamente i discendenti di Eleazaro.