martedì 18 ottobre 2011

Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio Libro VIII° (8/20)

Libro VIII°

Cospirazione di Adonia
Libro VIII:1 - I, I. - In merito a Davide e al suo valore, ai molti benefici che arrecò ai suoi connazionali, come fu vittorioso nella guida di molte guerre e lotte, e morì in età avanzata, l'abbiamo scritto nel libro precedente.
Libro VIII:2 Suo figlio Salomone che, quando era ancora vivo - conforme alla volontà di Dio -, aveva proclamato signore del popolo, allorché assunse il regno e sedette sul trono era ancora giovane e tutta la moltitudine, come è solito all'inizio di un regno, lo salutò con liete acclamazioni e con la preghiera che al suo agire arridesse la fortuna ed egli avesse una lunga e felice vecchiaia.
Libro VIII:3 - 2. Adonia, che, ancora vivente suo padre, aveva cercato di usurpargli lo scettro; andò dalla madre del re, Bersabe, la salutò in maniera cortese, e, quando lei gli domandò se fosse venuto da lei per qualche bisogno e gli ordinò di manifestarglielo,
Libro VIII:4 poiché sarebbe stata lieta di assecondarlo; egli iniziò dicendo che lei stessa ben sapeva come la regalità spettava a lui, sia per ragioni d'età, sia per la preferenza della moltitudine, ma siccome per volere di Dio, essa è andata al figlio di lei, Salomone, egli è contento e ha caro di essere sottoposto a lui ed è soddisfatto dello stato presente degli affari.
Libro VIII:5 Le domandò, dunque, di volere intercedere per lui presso suo fratello e persuaderlo a concedergli in moglie Abisake, che era stata con suo padre; poiché, diceva, suo padre a motivo dell'età, non si era unito a lei, sicché era tuttora vergine.
Libro VIII:6 Bersabe promise di intercedere calorosamente per lui e portare il matrimonio a buon fine per due motivi: sia perché il re desiderava fargli un favore, sia perché lei lo avrebbe caldeggiato. Così Adonia se ne partì pieno di buone speranze per il matrimonio; mentre la madre di Salomone si recò subito da suo figlio per parlargli della promessa che aveva fatto in merito alla domanda di Adonia.
Libro VIII:7 E suo figlio le andò incontro, la abbracciò e la accompagnò nella camera ove, in quel tempo, si trovava il suo trono regale, si sedette su di esso e ordinò che si portasse alla sua destra un altro trono per sua madre. Quando fu seduta, Bersabe disse: “Ho da chiederti un favore, figlio; concedimelo, non essere duro e rigoroso negandomelo”.
Libro VIII:8 E quando Salomone la incoraggiò a domandare, poiché, diceva, è un sacro dovere fare ogni cosa per la madre, aggiunse pure una parola di rimprovero perché il modo col quale lei aveva esordito, era privo della ferma speranza di ottenere quanto chiedeva, ma aveva timore di ricevere un rifiuto; lei gli chiese di dare la vergine Abisake in sposa a suo fratello Adonia.
Salomone assicura il suo regno
Libro VIII:9 - 3. Alle sue parole il re si indignò e licenziò la madre, asserendo che Adonia aspirava a cose troppo grandi e che si stupiva che lei, chiedendogli Abisake in sposa per Adonia, non gli avesse chiesto di dargli anche il regno, dato che è il fratello più anziano e ha amici potenti nel comandante generale Joab e nel sacerdote Abiathar. Mandò quindi a chiamare Banaia, capitano della guardia del corpo e gli ordinò di uccidere suo fratello Adonia.
Libro VIII:10 Chiamò il sacerdote Abiathar e gli disse: “Devi la tua vita alle privazioni sopportate con mio padre e all'Arca che tu hai portato con lui. Io ti impongo i seguenti castighi perché ti sei posto al fianco ad Adonia e hai simpatizzato per lui. Non resterai più qui, tu non comparirai più in mia presenza; vattene nel luogo ove sei nato, vivi in campagna e quivi sia la tua vita fino alla morte; tu pure, infatti, hai peccato grandemente per potere restare oltre nel tuo ufficio”.
Libro VIII:11 E così la casa di Ithamar fu privata del privilegio sacerdotale per la motivazione su esposta, proprio come Dio aveva predetto ad Eli, nonno di Abiathar, e trasferito alla famiglia di Finees, a Sadoc.
Libro VIII:12 Ora i membri della famiglia di Finees, conducevano vita privata dopo che il sommo sacerdozio era passato alla casa di Ithamar, di cui Eli era stato il primo a riceverlo; (i sacerdoti) erano i seguenti: Bokkia, figlio del sommo sacerdote Jesus, Jotham, figlio di Bokkia, Maraioth, figlio di Jotham, Arofai, figlio di Maraioth, Achitob, figlio di Arofai, e Sadoc, figlio di Achitob, che fu il primo a diventare sommo sacerdote durante il regno di Davide.
Libro VIII:13 - 4. Quando Joab, il comandante generale, seppe che Adonia era stato messo a morte, rimase profondamente spaventato, poiché era più in buoni rapporti con lui che col re Salomone; e sospettando, non senza ragione, che questa sua benevolenza gli poteva attirare qualche sinistro, si rifugiò presso l'altare dove riteneva di essere al sicuro a motivo della pietà del re verso Dio.
Libro VIII:14 Ma quando il re seppe il piano di Joab, mandò Banaia con l'ordine di allontanarlo e portarlo nell'aula del tribunale affinché facesse la propria difesa; ma Joab protestò che non avrebbe mai abbandonato il santuario e preferiva morire là piuttosto che in qualsiasi altro luogo.
Libro VIII:15 Quando Banaia riferì al re questa risposta, Salomone ordinò che là gli fosse troncata la testa, come egli voleva - questa era stata la pena sopportata dai due generali ampiamente uccisi da lui - e che il suo corpo fosse sepolto di modo che i suoi peccati non lasciassero mai (in pace) la sua stirpe, mentre Salomone stesso e suo padre sarebbero restati senza colpa per la fine di Joab.
Libro VIII:16 Adempiuti questi ordini, Banaia fu nominato comandante generale di tutto l'esercito, e il re fece di Sadoc l'unico sommo sacerdote in luogo di Abiathar fatto allontanare.
Libro VIII:17 - 5. A Sumuis ordinò di costruirsi una casa a Gerusalemme e di restare presso di lui, non gli diede il permesso di oltrepassare il torrente Cedron, e affermò che la penalità, nell'eventualità di disobbedienza, sarebbe stata la morte. Alla severità di questa minaccia, aggiunse l'obbligo di fare un giuramento.
Libro VIII:18 E così Sumuis, dicendosi lieto degli ordini datigli da Salomone, giurò di osservare, abbandonò il suo luogo natio e stabilì la sua dimora in Gerusalemme. Ma dopo tre anni, avendo udito che due suoi servi fuggiti da lui si trovavano a Gitta, si recò da loro.
Libro VIII:19 Quando ritornò con essi, il re lo venne a sapere; ritenendo che avesse preso alla leggera i suoi ordini e - peggio ancora - che non avesse avuto alcun riguardo del giuramento compiuto davanti a Dio, andò in collera, lo chiamò e gli disse: “Non hai tu giurato di non lasciarmi e di non andare fuori di questa città in un'altra?
Libro VIII:20 Per il tuo spergiuro, non sfuggirai alla pena: ti punirò come un perverso per questo crimine e anche per le villanie dette a mio padre durante la fuga, affinché tu sappia che i malfattori non traggono alcun vantaggio dal non essere puniti all'epoca dei loro crimini, ma, in tutto il periodo in cui si credono al sicuro e non accade loro nulla di male, il loro castigo si moltiplica e la pena diventa più severa di quella che avrebbero dovuto pagare subito dopo la loro mancanza”. Ordinò allora a Banaia di uccidere Sumuis.
Salomone a Ghibron chiede a Dio la sapienza
Libro VIII:21 - II, I. - Sentendosi in sicuro possesso del regno e puniti i suoi nemici, Salomone sposò la figlia di Faraothe, re degli Egiziani; ingrandì anche le mura di Gerusalemme e le rese più forti di quanto erano prima, resse gli affari pubblici con molta pace; dalla sua giovane età non ebbe nocumento la giustizia; osservò le leggi memore delle ingiunzioni che suo padre, morendo, gli aveva dato, e compì ogni dovere con grande scrupolosità come le persone di età più avanzata e di più matura saggezza.
Libro VIII:22 Decise di andare a Ghibron per sacrificare a Dio sull'altare di bronzo costruito da Mosè e offrì in olocausto mille vittime: Fatto questo, ritenne di avere reso un grande onore a Dio, che di fatti gli apparve, nel sonno, durante quella notte e gli ordinò di scegliere quale dono avrebbe desiderato per la sua pietà.
Libro VIII:23 Salomone domandò il più eccellente e il più grande dei doni, quello che Dio concede più volentieri e per l'uomo è il più benefico che possa ricevere: egli infatti non domandò che gli desse oro, argento o ricchezza come avrebbe potuto fare un uomo e un giovane, cose che la maggior parte degli uomini considera quasi come le sole degne di essere desiderate e come doni di Dio, ma disse: “Dammi, Padrone, una mente equilibrata e buon senso affinché io possa giudicare il popolo con verità e giustizia”.
Libro VIII:24 La domanda piacque a Dio e gli promise di concedergli, oltre a quello che aveva scelto, anche altre cose che aveva tralasciato: ricchezza, onore, vittoria sui nemici e, soprattutto, intelligenza e sapienza, tali che nessun altro uomo, sia re sia persona privata, mai ebbe. Gli promise anche che avrebbe mantenuto il regno per i suoi discendenti per lungo tempo, purché seguitasse a mantenersi giusto e imitasse suo padre in quelle cose nelle quali eccelleva.
Libro VIII:25 Udite da Dio tali cose, Salomone balzò subito dal letto e lo venerò. Ritornò poi a Gerusalemme e dopo avere offerto grandi sacrifici davanti alla tenda, fece festa con tutti i Giudei.
Le due prostitute
Libro VIII:26 - 2. In quei giorni gli fu portata davanti una questione di difficile soluzione. Penso sia necessario esporre il fatto dal quale sorse la controversia, affinché i miei lettori possano farsi un'idea della difficoltà del caso e coloro che si trovano nelle stesse circostanze, dall'accortezza del re, possano trarre esempio sul come riuscire facilmente a sciogliere le questioni.
Libro VIII:27 Due donne che vivevano da prostitute vennero da lui; e quella che appariva l'offesa, iniziò a parlare per prima, dicendo: “Abito, o re, in una cameretta insieme a questa donna; e avvenne che partorissimo tutte e due un maschio nello stesso giorno e nella stessa ora.
Libro VIII:28 Nel terzo giorno questa donna, dormendo col suo bambino, lo soffocò, rapì il mio bambino dal mio seno e lo portò al suo fianco, e mise il bambino morto tra le mie braccia mentre io dormivo.
Libro VIII:29 Al mattino, quando volli dare il petto al bambino, non trovai mio figlio, ma vidi che affianco mi giaceva il figlio morto di questa donna: io lo osservai attentamente e riconobbi di chi era. Perciò chiesi indietro il mio figlio,
ma non l'ottenni. Sono venuta da te, padrone, per essere aiutata; lei, fidandosi della circostanza che eravamo sole, che non c'è alcuno che le incuta paura e la persuada, persiste nel negare”.
Libro VIII:30 Dopo che lei ebbe parlato così, il re interrogò l'altra donna per vedere che cosa aveva da contestare alle affermazioni della prima: lei negò che le cose fossero andate così, affermò che il bambino vivo era il suo, mentre quello morto era dell'avversaria. Mentre nessuno poteva decidere, essendo tutti ugualmente ciechi, come davanti a un indovinello, alla ricerca di una soluzione, solo il re decise il piano seguente:
Libro VIII:31 ordinò che gli portassero ambedue i bambini, il morto e il vivo, disse alla guardia del corpo di prendere la spada e tagliare a metà ambedue i bambini, di modo che ognuna delle due donne potesse avere metà del morto e metà del vivo.
Libro VIII:32 A questo punto tutto il popolo, sottovoce, scherniva il re come un ragazzo. Ma subito, mentre la donna che aveva richiesto il bambino, ed era la sua vera madre, gridò a gran voce che questo non si doveva fare, ma si doveva dare il bambino all'altra come se fosse suo; lei si sarebbe accontentata di saperlo vivo e guardarlo, anche se appariva di un'altra; l'altra donna, invece, era pronta a vederlo diviso e chiedeva che anch'essa fosse sottoposta alla tortura.
Libro VIII:33 Il re comprese che le parole di ambedue erano dettate dai loro veri sentimenti e aggiudicò il bambino a quella che aveva gridato, perché lei ne era veramente la madre, e condannò l'altra per la sua malvagità, sia per avere ucciso il proprio bimbo, sia perché si studiava di eliminare il bimbo dell'amica.
Libro VIII:34 Tutta la moltitudine considerò (questo) un grande segno e una prova della prudenza e della saggezza del re, e da quel giorno lo ascoltarono come persona dotata di una mente divina.
Ufficiali del regno
Libro VIII:35 - 3. - I generali e governatori dell'intera regione erano così disposti: sul territorio di Efraim c'era Ures; sulla toparchia di Bithiéme c'era Dioklero; il distretto di Dora e la costa erano sotto Abinadab che aveva sposato la figlia di Salomone;
Libro VIII:36 la grande pianura era sotto Banaia, figlio di Achilos che reggeva ancora tutta la campagna fino al Giordano; tutta la Galadite e la Gaulanite fino ai monti del Libano erano governate da Gabares, che aveva sotto il suo governo sessanta città grandi e ben fortificate; Achinadab governava tutta la Galilea fino a Sidone, anche costui aveva sposato una figlia di Salomone di nome Basima;
Libro VIII:37 la costa intorno ad Ake era sotto Banakate; a Safate erano affidati il monte Itabyrion, il monte Carmelo e tutta la bassa Galilea fino al fiume Giordano; a Sumui era affidata la reggenza del territorio di Beniamino; Gabares aveva la regione al di là del Giordano. A questi a loro volta sovraintendeva un solo capo.
Libro VIII:38 Dal popolo degli Ebrei fu raggiunto un meraviglioso progresso, e così dalla tribù di Giuda, essendosi tutti dedicati alla cura e coltivazione del suolo, poiché godevano la pace non erano distratti da guerre e turbolenze; godevano anche della più ampia libertà, lungamente desiderata, e ognuno si dedicò ad accrescere e a moltiplicare il suo valore.
Libro VIII:39 - 4. Il re aveva anche altri governatori che reggevano la terra dei Siri e dei non-Ebrei dal fiume Eufrate fino all'Egitto, e raccoglievano per lui i tributi dalle nazioni.
Libro VIII:40 Costoro inoltre contribuirono ogni giorno alla mensa del re con trenta kor (omer) di farina scelta, sessanta di farina, dieci buoi ingrassati, venti buoi da pascolo e cento agnelli ingrassati - tutto questo in aggiunta alla selvaggina: cervi, bufali, uccelli, pesci che erano portati al re ogni giorno dagli stranieri.
Libro VIII:41 Oltre a questo, Salomone aveva un gran numero di carri e quarantamila stalle per i cavalli aggiogati. Oltre a questi aveva dodicimila cavalieri, metà dei quali attendevano al re a Gerusalemme, mentre il resto era diviso tra i villaggi reali e quivi abitavano. Lo stesso governatore che sopraintendeva alla mensa del re, provvedeva anche al necessario per i cavalli, portandolo nel posto ove risiedeva il re.
Sapienza di Salomone e dominio sui demoni
Libro VIII:42 - 5. La prudenza e la saggezza che Dio aveva dato a Salomone erano così grandi che sorpassavano gli uomini antichi; anche gli Egiziani dei
quali si dice che, per intelligenza, sorpassassero tutti gli uomini, paragonati a lui, non si distanziavano di poco, ma apparivano lontanissimi dalla prudenza del re.
Libro VIII:43 Egli sorpassava in saggezza ed eccelleva su quanti nel suo tempo, tra gli Ebrei, avevano reputazione di grande abilità, e dei quali non tralascerò i nomi; erano: Athano, Aiman, Chalkeo e Dardan, figli di Emaon.
Libro VIII:44 Compose pure millecinque libri di odi e canti, e tremila libri di parabole e similitudini, poiché compose parabole per ogni genere di piante, dall'issopo al cedro, e allo stesso modo per gli uccelli e per ogni genere di creature terrestri, per quelle che nuotano e per quelle che volano. Non c'era nessuna forma naturale che non conoscesse o che non sottomettesse ad accurato esame; egli le studiò tutte in modo filosofico, e manifestò completa conoscenza delle varie proprietà.
Libro VIII:45 Dio gli concesse la conoscenza dell'arte da usare contro i demoni a sollievo e vantaggio degli uomini; compose formule magiche per curare le infermità, e lasciò varie forme di esorcismi con i quali si scacciano i demoni da coloro che ne sono posseduti, e non ritornano più.
Libro VIII:46 E questo genere di terapia ha molto potere anche ai nostri giorni: io ho visto un certo Eleazaro, mio connazionale, il quale in presenza di Vespasiano, dei suoi figli, dei tribuni e di quantità di soldati, liberava i posseduti dai demoni; e le modalità della terapia erano queste:
Libro VIII:47 avvicinava al naso dell'indemoniato un anello che aveva sotto il suo sigillo una delle radici prescritte da Salomone; e nell'atto che l'uomo fiutava, espelleva il demonio dalle sue narici, e subito, quando l'uomo cadeva, egli, parlando in nome di Salomone e recitando formule magiche da lui composte, scongiurava il demonio di non ritornare mai più.
Libro VIII:48 Volendo poi persuadere gli astanti e mostrare loro che aveva tale potere, Eleazaro pose lì vicino una tazza o un catino pieno d'acqua e ordinò al demonio che, uscendo dall'uomo, lo rovesciasse, facendo così vedere agli spettatori di avere lasciato l'uomo.
Libro VIII:49 Il fatto dimostrò chiaramente la sagacia e la saggezza di Salomone, per la quale siamo stati indotti a parlare di queste cose, affinché tutti possano conoscere la grandezza della sua natura, quanto Dio lo favorì, e affinché nessuno, sotto il sole, ignori lo straordinario potere di ogni genere che il re aveva.
Preparativi per il tempio: Salomone al re di Tiro
Libro VIII:50 - 6. Quando Eirom, re dei Tirii, seppe che Salomone era succeduto a suo padre nel regno, ne fu lieto poiché era amico di Davide; gli inviò saluti e congratulazioni per il buon stato delle cose. Salomone gli mandò una lettera il cui contenuto era il seguente:
Libro VIII:51 “Il re Salomone al re Eirom. Sappi che mio padre voleva erigere un tempio a Dio, ma ne fu impedito da guerre e continue spedizioni, poiché ebbe sempre da affrontare nemici fintanto che li assoggettò tutti a pagare tributi.
Libro VIII:52 Io poi rendo grazie a Dio per la pace che godo al presente, e avendo tempo a disposizione voglio erigere la casa a Dio: Egli, infatti, predisse a mio padre che questa sarebbe stata edificata da me. Perciò ti chiedo di mandare uomini, con i miei, sul Monte Libano a tagliare legname. E il compenso che tu mi fisserai, lo darò ai tagliatori”.
Libro VIII:53 - 7. Quando Eirom lesse la lettera, gli piacque la richiesta e rispose a Salomone: “Il re Eirom al re Salomone”. giusto lodare Dio di avere dato l'egemonia paterna a te, uomo saggio e dotato di ogni virtù. Lieto di questo, io ti assisterò in ogni cosa menzionata nella tua lettera.
Libro VIII:54 Farò tagliare dai miei molto e grande legname di cedri e di cipressi e lo manderò giù al mare, ordinerò ai miei di allestire una nave da carico, di alzare le vele e consegnarlo in qualsiasi luogo della tua regione che designerai, poi i tuoi lo porteranno a Gerusalemme. Tu, in contraccambio, abbi cura di provvedere a noi grano, di cui noi, che viviamo in un'isola, abbisogniamo”.
Libro VIII:55 - 8. Le copie di queste lettere si conservano a tutt'oggi, non solo nei nostri libri, ma anche presso i Tirii, sicché, qualora qualcuno desiderasse conoscerne il tenore, ne può fare ricerca presso i custodi del pubblico archivio dei Tirii, e troverà che i loro documenti concordano con quanto abbiamo riferito.
Libro VIII:56 Ho dato questi particolari perché voglio che i miei lettori sappiano che non abbiamo detto nulla più di quanto è vero, né abbiamo cercato di evadere la ricerca critica, inserendo nella storia tratti plausibili e allettanti, con l'intento di intrattenere e affascinare, domandando ogni momento di essere creduti; né ci
reputeremmo irreprensibili se ci allontanassimo da quanto è proprio di una narrazione storica; chiediamo, al contrario, che non ci si dia alcun ascolto, allorché non possiamo dimostrare la verità con testimonianze convincenti.
Libro VIII:57 - 9. Il re Salomone, ricevendo la lettera del re dei Tirii, ne lodò la prontezza e il buon animo, e gli inviò annualmente quanto chiedeva, mandandogli ventimila kor di frumento e altrettanti bath di olio - il bath conteneva settantadue sestari. Gli diede pure un'uguale misura di vino.
Libro VIII:58 Così aumentò l'amicizia tra Eirom e Salomone, e giurarono che sarebbe durata per sempre. Intanto il re impose a tutto il popolo un tributo di trentamila lavoratori con i quali fece l'opera con meno fatica dividendola saggiamente tra tutti: ne assegnò diecimila a tagliare legna per un mese sul Monte Libano, e poi ritornati a casa, loro si riposavano per due mesi fino a che gli altri ventimila avevano terminato il loro lavoro nel tempo stabilito.
Libro VIII:59 Così avveniva che al quarto mese subentravano al lavoro i primi diecimila. Il sovrintendente a questo tributo era Adoramos. Tra i forestieri lasciati da Davide, ve n'erano settantamila portatori di pietre e d'altro materiale, ottantamila tagliapietre, e inoltre tremila e trecento sovrintendenti.
Libro VIII:60 Egli ordinò loro di tagliare delle pietre grandi per le fondamenta del tempio, e, sistemate e messe insieme sul monte, fossero trasportate così lavorate, giù in città. Questo fu eseguito non soltanto dai muratori nativi, ma anche dagli artigiani mandati da Eirom.
Inizio della costruzione
Libro VIII:61 - III, I. - Salomone iniziò la costruzione del tempio nel quarto anno del suo regno, nel secondo mese, che i Macedoni chiamano Artemisio e gli Ebrei Iar, cinquecentonovantadue anni dopo l'esodo degli Israeliti dall'Egitto, milleventi anni dopo l'ingresso di Abramo in Canaan dalla Mesopotamia, millequattrocentoquaranta anni dal diluvio;
Libro VIII:62 dalla creazione di Adamo, il primo uomo, fino al tempo in cui Salomone edificò il tempio, passarono complessivamente tremilacentodue anni. E nel tempo in cui si iniziò la costruzione del tempio, in quello stesso anno, Eirom era già nell'anno undicesimo del suo regno a Tiro: dalla sua (di Tiro) fondazione all'edificazione del tempio ci fu l'intervallo di duecentoquaranta anni.
Libro VIII:63 - 2. Quando il re gettò le fondamenta per il tempio, in terra molto profonda, il materiale era pietra viva e possente, capace di resistere al logorio del tempo; esse (le fondamenta) poi dovevano salire fino al suolo ed essere la base per sostenere la struttura che sarebbe stata eretta su di esse, e con la loro forza sotterranea dovevano reggere senza difficoltà la grande massa elevantesi fino ai preziosi ornamenti, il cui peso non sarebbe stato inferiore a quello delle altre parti progettate, con magnificenza e splendore, altezza e possanza.
Libro VIII:64 Lo innalzò fino al tetto di marmo bianco: la sua altezza di sessanta cubiti, la lunghezza di eguale misura, la larghezza di venti cubiti. Sopra di questo ne eresse un altro di uguali proporzioni; sicché l'altezza totale del tempio era di centoventi cubiti. La facciata era rivolta verso Oriente.
Libro VIII:65 Di fronte a esso posero un portico di venti cubiti lungo quanto era largo l'edificio; alla sua larghezza diedero dieci cubiti, e ne portarono l'altezza a centoventi cubiti. Tutt'intorno al tempio elevò trenta piccole camere che lo circondavano dall'esterno e gli davano compattezza sia col loro spessore sia col loro numero. Fece ad esse gli ingressi che immettevano da una (camera) all'altra.
Libro VIII:66 Ognuna di queste camere era larga cinque cubiti, aveva la stessa misura in lunghezza, e venti cubiti in altezza. Sopra queste camere ne furono costruite ancora delle altre di uguale numero e proporzione, sicché tutta l'altezza di queste corrispondeva alla parte bassa dell'edificio: il piano più alto non aveva camere attorno a sé.
Libro VIII:67 Sopra di esse distese un soffitto di cedro; ma ogni camera aveva il proprio distinto soffitto che non si estendeva sulla vicina, mentre il restante edificio aveva un comune soffitto composto da lunghe travi incrociate che raggiungevano ogni lato, di modo che i muri di mezzo, uniti dagli stessi travi di legno, erano resi più forti.
Libro VIII:68 Sotto ai troni aveva fatto un soffitto diviso a intagli d'oro. Ricoprì le pareti di tavolati di cedro ricoperti d'oro, sicché tutto il tempio scintillava da ogni parte e, dallo splendore dell'oro, tutte le parti risplendevano abbagliando gli occhi di quanti entravano.
Libro VIII:69 Tutto l'edificio del tempio era composto con molta arte per mezzo di pietre accuratamente tagliate e accostate con una corrispondenza così precisa che, guardandole attentamente non si scopriva né l'azione del martello né di
altro strumento: pareva che tutti i materiali si fossero adattati in quel modo naturalmente, senza bisogno di strumenti come se la loro connessione fosse stata spontanea, e non voluta dall'arte.
Libro VIII:70 Il re poi trovò nello spessore del muro una salita alle camere superiori, perché non avevano, a oriente, la porta grande, come le più basse, ma ingressi laterali molto stretti. Coprì pure il tempio da ambo le parti, dentro e fuori, con assi di cedro unite da grosse spranghe, che lo rendevano più forte e robusto.
Libro VIII:71 - 3. Divise il tempio in due parti: dello spazio più interno, di venti cubiti ne fece un Aditon (impenetrabile); il restante, lungo quaranta cubiti, lo destinò a Sacro tempio. Aprì il muro che divideva una parte dall'altra e vi fece porte di cedro rivestite d'oro e di intagli.
Libro VIII:72 Davanti a esse distese un panno di candido e finissimo lino dal colore abbagliante: giacinto blu, porpora e scarlatto. Nell'Aditon, largo venti cubiti e lungo altrettanto, sistemò due cherubini di oro massiccio, ognuno dell'altezza di cinque cubiti e con un'apertura d'ali di cinque cubiti;
Libro VIII:73 non li sistemò lontani l'uno dall'altro, ma in modo che con un'ala toccassero la parete meridionale dell'Aditon e con l'altra la parete settentrionale, mentre le ali interne si congiungevano l'una all'altra in modo da formare una copertura per l'arca posta tra loro. Nessuno può dire o immaginare come fossero gli stessi cherubini.
Libro VIII:74 Egli lastricò il pavimento del tempio con lamine d'oro, e alla porta del tempio mise degli usci proporzionati all'altezza dei muri: venti cubiti di larghezza e anche questi ricopre d'oro.
Libro VIII:75 In una parola, non lasciò parte alcuna del tempio, sia dentro che fuori, che non fosse d'oro. Anche a questa porta appese delle cortine come aveva fatto all'altra interna. Ma la porta del pronao non ebbe nulla di questo.
Suppellettili del tempio
Libro VIII:76 - 4. Dopo, Salomone mandò la richiesta ad Eirom affinché inviasse un artigiano da Tiro, chiamato Cheiròm che da parte di madre era Neftalita - lei veniva, infatti, da quella tribù -, e il padre di lei si chiamava Uria di stirpe israelita. Costui era espertissimo in ogni mestiere, e particolarmente valente
nella lavorazione dell'oro, dell'argento e del bronzo: e fu lui che eseguì ogni cosa riguardante il tempio secondo il volere del re.
Libro VIII:77 Fu questo Cheiròm che innalzò le due colonne di bronzo dello spessore di quattro dita, l'altezza era di diciotto cubiti, e dodici di circonferenza; sul capitello di ognuna vi era un giglio di metallo fuso che si elevava all'altezza di cinque cubiti, attorno stava una reticella intrecciata a fogliame di bronzo che copriva i gigli:
Libro VIII:78 e da questa pendevano duecento melograne disposte in due file. Una di queste colonne la collocò allo stipite destro del vestibolo, e la chiamò Jachein, collocò l'altra allo stipite sinistro e la chiamò Abaiz.
Libro VIII:79 - 5. Fuse ancora il Mare di bronzo a foggia di emisfero: questo vaso di bronzo fu chiamato mare a motivo della sua capacità. Era, infatti, un catino fuso del diametro di dieci cubiti e dello spessore di un palmo; era sostenuto da una spirale innestata nel cuore del vaso, che girava in dieci volute, e aveva il diametro di un cubito.
Libro VIII:80 Attorno al mare stavano dodici buoi con la faccia rivolta ai quattro venti, tre per ogni direzione, e tenevano la parte posteriore abbassata di modo che l'emisfero poggiasse sopra di essi a mano a mano che tutto attorno si stringeva. Il mare poteva contenere tremila bath.
Libro VIII:81 - 6. Fece ancora dieci basi di bronzo quadrangolari per i catini: ognuno era lungo cinque cubiti, largo quattro, e alto sei. Opera lavorata in rilievo da ogni parte, si presentava così: ad ogni angolo vi erano quattro colonnine, ognuna aveva i lati della base congiunti da una parte e dall'altra;
Libro VIII:82 questi lati erano divisi in tre campi, e ognuno di questi spazi era diviso da un cordone che si prolungava fino alla sottobase; in ognuno degli spazi erano scolpiti qui un leone, là un toro e un'aquila, mentre le colonnine erano lavorate in rilievo allo stesso modo dei lati e della base.
Libro VIII:83 Così tutto si reggeva su quattro ruote. Anche queste di metallo fuso, e avevano mozzi e corone di un cubito e mezzo di diametro. Destava meraviglia vedere come erano ben torniti i cerchi esteriori delle ruote, e come erano congiunti ai lati della base innestandosi correttamente nelle corone. Eppure era proprio così.
Libro VIII:84 Gli angoli superiori della base erano chiusi da spalle a forma di mani distese sopra le quali era piantata una spirale che a forma di tronco sosteneva il vaso poggiantesi sulle mani, tra le quali erano collocati un'aquila e un leone in modo così ingegnoso che, guardandoli, sembravano sorti in quel luogo. Tra loro correva un intaglio di palme.
Libro VIII:85 Così era il lavoro delle dieci basi o catini di bronzo, ognuna delle quali conteneva quaranta choeis, poiché erano alti quattro cubiti, e il diametro dei loro mozzi era alla stessa distanza. E pose questi catini sulle dieci basi dette Mechonoth.
Libro VIII:86 Cinque catini li collocò alla parte sinistra del tempio, che era il lato rivolto a settentrione, e un uguale numero sul lato sud-est; nello stesso lato collocò anche il Mare.
Libro VIII:87 Riempito il Mare di acqua, lo destinò ai sacerdoti affinché potessero lavarsi mani e piedi quando entravano nel tempio e dovevano salire all'altare, mentre i catini erano destinati alla pulizia delle interiora e dei piedi degli animali offerti in olocausto.
Libro VIII:88 - 7. Fece ancora l'altare di bronzo lungo venti cubiti e altrettanti in larghezza, e alto dieci cubiti, per gli olocausto; fece pure il vasellame per esso, tripodi e mestoli: tutto di bronzo. Oltre a questo, Cheiròm modellò bacinelle, forchette e ogni altro strumento in bronzo che in splendore e bellezza era come oro.
Libro VIII:89 Il re fece anche un grande numero di tavole, tra esse una larga di oro sulla quale essi ponevano i pani di Dio, e a lato innumerevoli altre, molto simili a questa, ma fatte in stile diverso, sulle quali venivano posti a vasellame, caraffe e coppe, ventimila d'oro e quarantamila d'argento.
Libro VIII:90 Fece diecimila candelieri secondo l'ordine di Mosè, uno di essi lo mise nel tempio perché ardesse tutto il giorno in obbedienza alla Legge, pose la tavola con sopra i pani al lato settentrionale del tempio dirimpetto al candelabro, perché questo era collocato a meridione, mentre l'altare d'oro stava in mezzo ad essi. Tutte queste cose erano contenute nella sala di quaranta cubiti davanti alla cortina dell'Aditon, dove si doveva poi riporre l'arca.
Libro VIII:91 - 8. Il re allestì anche ottantamila brocche per vino e centomila coppe d'oro e una quantità doppia d'argento; ottantamila piatti d'oro sui quali recare all'altare fior di farina impastata, e una quantità doppia d'argento;
sessantamila scodelle d'oro nelle quali si mescolava fior di farina e olio, e una doppia quantità d'argento.
Libro VIII:92 Delle misure che assomigliavano a quelle di Mosè - dette hin e assaròn - ce n'erano ventimila d'oro, e una quantità doppia d'argento. Turiboli d'oro nei quali portavano l'incenso al tempio ce n'erano ventimila; così di turiboli nei quali portavano il fuoco dall'altare grande all'altare piccolo dentro il tempio ce n'erano cinquantamila.
Libro VIII:93 Dei vestiti per il sommo sacerdote, compresi gli abiti lunghi, gli ornamenti superiori, l'oracolo e le pietre preziose, ne fece un migliaio. Ma la corona sulla quale Mosè aveva iscritto il nome di Dio era unica ed è rimasta fino ad oggi. Di vestiti sacerdotali ne fece diecimila di lino e cintole di porpora per ognuno.
Libro VIII:94 Fece duecentomila trombe, conforme all'ordinanza di Mosè e duecentomila abiti di lino per i Leviti cantori; e di strumenti musicali, tutti di elettro, destinati al canto dei salmi, detti nablai e kinyrai ne fece quarantamila.
Libro VIII:95 - 9. Tutte queste cose Salomone le preparò, con grande sontuosità e magnificenza, a gloria di Dio, senza guardare a spese, ma mirando al più alto splendore nell'ornamento del tempio, e le ripose tra i tesori di Dio. Circondò pure il tempio di una balaustra, detta gheision nella lingua del luogo, e trinkos dai Greci, innalzandola all'altezza di tre cubiti: era destinata a impedire l'ingresso della folla nel santuario, e a segnalare che l'ingresso era permesso soltanto ai sacerdoti.
Libro VIII:96 Al di là di questa innalzò un altro recinto sacro a forma quadrangolare ed eresse larghi e grandi portici che si aprivano in altre entrate ognuna rivolta ai quattro venti e chiusa da porte d'oro. In questo recinto poteva entrare tutto il popolo che si distingueva per la purità e l'osservanza delle leggi.
Libro VIII:97 Meraviglioso al di là di ogni descrizione e al di là di quanto l'occhio può vedere era il terzo sacro recinto edificato al di fuori dei precedenti: egli riempì con terra grandi valli nelle quali solo con difficoltà, si poteva spingere lo sguardo a motivo della loro immensa profondità, le elevò all'altezza di quattrocento cubiti livellandole con la cima del monte sul quale aveva eretto il tempio: e così il recinto esterno, che era a cielo aperto, fu allo stesso livello del tempio.
Libro VIII:98 Lo circondò con un doppio portico poggiato su colonne alte, di pietra locale, e soffitti di cedro rifinito armoniosamente in pannelli. Tutte le porte fatte per questo sacro recinto erano di argento.
Inaugurazione del tempio
Libro VIII:99 IV, I. Queste opere e questi grandi e magnifici edifici e questi arredi del tempio, il re Salomone li portò a termine in sette anni, facendo mostra e di ricchezza e di celerità, tanto che vedendo queste opere chiunque avrebbe pensato che fossero il risultato del lavoro di un'intera epoca, mentre furono finite in uno spazio di tempo così corto, in considerazione della vastità del tempio. Egli scrisse poi a tutti i capi e anziani degli Ebrei ordinando loro che si adunassero tutti in assemblea a Gerusalemme per vedere il tempio e per trasferire in esso l'arca di Dio.
Libro VIII:100 Sebbene la convocazione a Gerusalemme fosse inviata a tutti, fu solo con difficoltà che si radunarono nel settimo mese, detto tishri dai nativi, e hyperberataio, dai Macedoni. Nello stesso periodo cadeva la festa della Scenopeghia considerata dagli Ebrei santissima e grandissima.
Libro VIII:101 Sollevarono, dunque, l'arca e la tenda innalzato da Mosè, e il vasellame necessario all'offerta dei sacrifici a Dio, e li trasportarono nel tempio. Precedeva lo stesso re e poi tutto il popolo e i Leviti, con sacrifici, che spargevano al suolo libagioni e sangue di numerose vittime, e bruciavano una così ampia quantità di incenso
Libro VIII:102 che tutt'intorno l'aria veniva impregnata e portava la fragranza a quanti erano lontani, e portava a conoscenza di tutti l'arrivo di Dio e l'ingresso, secondo l'umano pensare, nella casa appena edificata e consacrata per Lui. E in verità essi non si stancarono di cantare e danzare fino a che giunsero al tempio.
Libro VIII:103 Questo fu il modo col quale essi trasferirono l'arca. Ma, giunto il momento di metterla nell'Aditon, il popolo rimase fuori, e la trasportarono solo i sacerdoti, e la posarono tra i due cherubini: questi intrecciando tra loro le punte delle ali - così erano stati fatti dall'artefice - coprivano l'arca quasi come una specie di tenda o cupola.
Libro VIII:104 Dentro l'arca non c'era altro che le due tavole di pietra che serbavano le dieci parole dette da Dio a Mosè sul Monte Sinai, scritte sopra di
esse. Il candeliere e la tavola e l'altare d'oro li sistemarono nel tempio davanti all'Aditon, nella stessa posizione che avevano occupato anteriormente allorché stavano nella tenda; poi offrirono i sacrifici quotidiani.
Libro VIII:105 L'altare di bronzo fu posto davanti al tempio, di fronte alla porta, di modo che, quando era aperta, esso era davanti agli occhi dei presenti e potevano vedere le sacre cerimonie e lo splendore dei sacrifici; tutto il resto degli arredi egli lo depositò nel tempio.
Libro VIII:106 - 2. Quando uscirono i sacerdoti dopo aver messo in ordine tutto quanto riguardava l'arca, apparve improvvisamente una densa nube, non era simile (a quella) che si leva d'inverno impregnata di pioggia, ma era temperata e diffusa e si sparse nel tempio e oscurò la vista dei sacerdoti tanto che tra loro non si potevano vedere e nella mente di tutti produsse l'impressione e la persuasione che nel tempio era disceso Dio e di buon grado vi aveva preso dimora.
Libro VIII:107 E mentre essi erano presi da questi pensieri, Salomone - che per caso era seduto - si alzò e si rivolse a Dio con parole che giudicò convenienti alla natura divina, e appropriata sulle sue labbra. Disse: “Tu, o despota, hai una casa eterna nelle cose che hai fatto per te, noi conosciamo il cielo e l'aria e la terra e il mare, per mezzo di tutto questo tu muovi ma non sei contenuto da essi.
Libro VIII:108 Ho edificato un tempio al Tuo nome perché da esso noi possiamo, quando sacrifichiamo, cercare oracoli, innalzare su nell'aria le preghiere a Te, e possiamo sempre essere persuasi che Tu sei presente e non te ne stai lontano. Poiché come anche quando sei qui ove è il tuo giusto posto, Tu non cessi di essere vicinissimo ad ogni uomo, ma anzi presente con ognuno che domanda consiglio sia di notte sia di giorno”.
Libro VIII:109 Dopo avere rivolto a Dio un'invocazione così solenne, si rivolse alla moltitudine ed espose ad essa la potenza e la provvidenza che Dio aveva manifestato a suo padre Davide, quanto stava or ora accadendo, e il resto era prossimo a venire;
Libro VIII:110 e come Dio stesso gli avesse dato il nome prima della nascita e avesse predetto come sarebbe stato chiamato, e che nessuno all'infuori di lui Gli avrebbe innalzato un tempio, una volta divenuto re dopo la morte del padre. Ed ora che vedevano il compimento di tutto questo concordemente alle profezie di Davide, egli chiese che lodassero Dio e non disperassero di alcuna delle promesse
fatte da Lui per la loro felicità come se non fossero future, ma avessero fede in esse a motivo di quanto avevano già visto.
Libro VIII:111 - 3. Dopo avere parlato così alla folla, il re si volse nuovamente verso il tempio e, alzando la destra al cielo, disse: “L'uomo non può, con i fatti, ringraziare Dio dei favori ricevuti, perché Dio non abbisogna di nulla ed è al di sopra di simili ricompense. Ciò per cui, grazie a Te, despota, siamo stati fatti al di sopra delle altre creature, noi non possiamo fare altro che lodare la Tua grandezza e ringraziarti della Tua benevolenza verso la nostra casa e per il popolo degli Ebrei.
Libro VIII:112 E c'è qualcos'altro di più opportuno per noi all'infuori di supplicarti allorché sei in collera, e, quando sei mal disposto, di conservare la Tua benevolenza con la nostra voce che abbiamo dall'aria e attraverso di essa sappiamo salire nuovamente verso l'alto? Attraverso di essa io ringrazio Te, prima per mio padre che dall'oscurità tu hai innalzato a tanta gloria,
Libro VIII:113 e poi per me verso il quale hai mantenuto fino a oggi tutto quanto avevi promesso. Ti supplico di favorirmi in avvenire di tutto ciò che un Dio può concedere a uomini che gli sono cari, e di ingrandire per sempre la nostra casa, come hai promesso a Davide, mio padre, e durante la sua vita e quand'era ormai vicino alla morte, dicendogli che la regalità sarebbe rimasta tra noi, che sarebbe stata trasmessa dai suoi discendenti a innumerevoli successori. Concedi, pertanto, a noi queste cose, e da' ai miei figli quella virtù che Ti è più cara.
Libro VIII:114 Ti supplico inoltre affinché discenda nel tempio qualche particella del Tuo spirito per abitarvi, affinché ci possa sembrare che Tu sia anche in terra. Per Te, infatti, è un'abitazione piccola anche l'intera volta del cielo e tutto ciò che vi è in essa, tanto più questo tempio! Tuttavia Ti prego di custodirlo per sempre, come Tuo proprio Tempio, dal saccheggio dei nostri nemici e di vigilare su di esso come Tua proprietà.
Libro VIII:115 E se mai il popolo peccasse e poi a causa del peccato fosse punito da Te con qualche flagello, sterilità della terra o morbo pestifero o qualcuno dei malanni con i quali visiti coloro che trasgrediscono qualche Tua sacra legge, se tutti costoro corrono a rifugiarsi in questo tempio, e Ti supplicano e pregano di salvarli, Tu allora ascoltali, siccome Tu sei qui dentro, abbi compassione di loro e liberali dalle sciagure.
Libro VIII:116 E questo aiuto io Te lo chiedo non soltanto per gli Ebrei caduti in qualche errore, ma anche per qualunque altro venga dai confini della terra o da qualsiasi luogo si rivolga a Te implorando per qualche favore, deh, esaudiscili e accontentali.
Libro VIII:117 Così, infatti, tutti quanti sapranno che Tu stesso hai voluto che Ti fosse innalzata questa casa nella nostra terra e anche che noi non siamo inumani per natura né mal disposti verso coloro che sono stranieri, ma vogliamo che tutti ricevano ugualmente da Te aiuto e godano delle Tue benedizioni”.
Libro VIII:118 - 4. Dette queste cose si gettò a terra, e dopo avere adorato a lungo, si alzò, avvicinò le vittime sacrificali all'altare e quando lo riempì con le sacre vittime senza macchia, conobbe che Dio accoglieva con piacere il sacrificio: dall'aria si sprigionò, infatti, un fuoco e sotto gli occhi di tutti balzò sull'altare, afferrò il sacrificio e lo divorò interamente.
Libro VIII:119 Quando accadde questa manifestazione, tutto il popolo ne trasse chiaro argomento che Dio d'allora in poi avrebbe preso dimora nel tempio, e con gioia si prostrò al suolo e adorò. Ma il re iniziò a benedire Dio e invitò la moltitudine a fare altrettanto visto che ormai avevano una prova della benevolenza di Dio verso di loro,
Libro VIII:120 e pregarLo affinché Egli li trattasse sempre allo stesso modo, e conservasse le loro menti lontane da qualsiasi malvagità ed essi seguitassero nella giustizia, nella religione e nell'osservanza dei comandamenti dati loro da Dio per mezzo di Mosè; poiché così la nazione ebraica sarebbe stata felice e più benedetta di tutte le altre stirpi umane.
Libro VIII:121 Egli li esortò ancora a perseverare sulla stessa via nella quale avevano ricevute al presente le benedizioni rendendole certamente più grandi e più numerose. Giacché, diceva, dovevano avere coscienza che le avevano ricevute non solo per la loro pietà e giustizia, ma dovevano pure custodirle per mezzo delle stesse qualità, e che per l'uomo non è gran cosa acquistare dei beni che prima non aveva, ma conservare ciò che gli è dato e non compiere nulla che possa danneggiarlo.
Libro VIII:122 - 5. Dopo avere indirizzato alla moltitudine queste parole, il re sciolse l'assemblea una volta offerti sacrifici per sé e per gli Ebrei uccidendo dodicimila vitelli, centoventimila pecore;
Libro VIII:123 questa, infatti, era la prima volta che egli diede al tempio parte delle vittime, e in esso banchettarono tutti gli Ebrei con donne e bambini. Il re celebrò ancora in modo splendido e con magnificenza la festa chiamata della Scenopeghia davanti al tempio per due volte sette giorni con tutto il popolo.
Libro VIII:124 - 6. Quando ne ebbero abbastanza di questo e nulla era stato omesso di quanto esige la pietà verso Dio, il re li congedò e ognuno si recò a casa sua; ringraziando il re per la cura dimostrata verso di loro, per le grandi opere che aveva fatto e pregando Dio di conservare loro a lungo il re Salomone, si misero in cammino lieti e festanti, cantando inni a Dio, sicché a motivo della loro gioia tutti seguirono senza fatica il cammino verso casa.
Libro VIII:125 Quelli che avevano introdotto l'arca nel tempio, ammirarono la sua grandezza e bellezza e, dopo avere partecipato ai grandi sacrifici e alle feste, ognuno ritornò nella propria città. Il re poi, nel sonno, vide un sogno che gli rivelò che Dio aveva esaudito la sua preghiera,
Libro VIII:126 che Egli avrebbe custodito il tempio e avrebbe abitato in esso per sempre, qualora i suoi discendenti e tutta la moltitudine avesse agito correttamente; quanto al re, disse che se egli si fosse mantenuto conforme ai consigli di suo padre, Egli l'avrebbe innalzato a un'altezza e grandezza di felicità al di là di ogni misura e che quelli della sua discendenza avrebbero regnato per sempre sulla regione e sulla tribù di Giuda.
Libro VIII:127 Ma, qualora fosse venuto meno al suo compito, se ne fosse dimenticato e si fosse rivolto al culto di dèi stranieri, Egli avrebbe tagliato radice e rami e non avrebbe permesso che sopravvivesse alcuno della sua stirpe, né avrebbe concesso che il popolo degli Israeliti se ne restasse impunito, ma l'avrebbe distrutto interamente con guerre e innumeri sfortune, e scacciato dalla terra data ai loro padri e fatto di loro dei forestieri in terra straniera,
Libro VIII:128 e il tempio che era stato appena eretto, Egli l'avrebbe consegnato ai loro nemici da saccheggiare e bruciare e, per mano dei loro nemici, avrebbe anche abbattuto la loro città, e le disgrazie che si abbatteranno su di loro diventeranno oggetto di discorsi e di grande stupore per l'eccesso a cui giungeranno,
Libro VIII:129 tanto che i loro vicini si stupiranno alla notizia della loro sfortuna e, curiosi, cercheranno come mai gli Ebrei sono così odiati da Dio mentre prima da Lui erano stati innalzati a gloria e ricchezza: dai sopravvissuti ne avrebbero udito il motivo, perché confesseranno i loro peccati e le loro
trasgressioni verso le leggi dei loro padri. Queste cose sono scritte nella Scrittura, avendo Dio parlato a lui durante il sonno.
La reggia e altre costruzioni
Libro VIII:130 - V, I. - Dopo l'erezione del tempio, per la quale, come abbiamo detto, impiegò sette anni, egli gettò le fondamenta dell'edificio della reggia portata a termine in tredici anni, perché non fu costruita con la stessa cura del tempio; questo, benché molto grande e opera meravigliosa, che sorpassa ogni immaginazione, ciononostante fu compiuto nello spazio di tempo anzidetto, perché anche Dio, per il quale era costruito, assistette i lavori.
Libro VIII:131 Per la reggia, invece, assai meno pregevole del tempio, il materiale non era stato preparato così tanto tempo prima, né con le stesse spese, essendo la dimora di re e non di Dio, e fu eseguita più lentamente.
Libro VIII:132 Anch'essa, tuttavia, era degna della parola, fabbricata con quello splendore che conveniva al benessere della regione degli Ebrei e del loro re; dobbiamo descrivere l'intero suo piano e la sistemazione, affinché quanti leggeranno questo scritto, da questa descrizione se ne possano fare un'idea e avere un'immagine della sua grandezza.
Libro VIII:133 - 2. Era un edificio grande e bello, sostenuto da una moltitudine di colonne, (fabbricato) per accogliere un grande numero di persone per i giudizi e le decisioni dei pubblici affari, capace di accogliere adunanze di persone che si radunavano per confrontare l'un l'altro i propri giudizi: era lungo cento cubiti, largo cinquanta, e alto trenta, sostenuto interamente da colonne di cedro quadrangolari; era coperto in stile corinzio, e contemporaneamente rafforzato e ornato con pilastri della stessa grandezza e tre pannelli intagliati.
Libro VIII:134 In mezzo al gruppo di edifici ce n'era uno che si estendeva lungo tutta la larghezza del primo edificio: era quadrangolare, largo trenta cubiti, posto dirimpetto al tempio e poggiato su colonne massicce: in esso vi era una sala ove il re sedeva per giudicare; a essa si univa un altro edificio eretto per la regina, e altre camere per mangiare e per riposare dopo gli affari pubblici; tutte erano pavimentate con tavolette di cedro.
Libro VIII:135 Alcune di queste le costruì con pietre di dieci cubiti l'una e coprì le mura con un'altra specie di marmo pulito e di gran pregio, che si estrae in
regioni rinomate per queste miniere che forniscono materiali per ornamento dei templi e per abbellire palazzi reali.
Libro VIII:136 La bellezza di questa pietra era accresciuta da un disegno disposto su tre file e in una quarta fila destava meraviglia l'eccellenza degli scultori che avevano modellato alberi e piante ombrose d'ogni specie con rami e foglie pendenti da essi, intagliati con tale finezza da sembrare che tremassero e coprissero la pietra sotto di essi.
Libro VIII:137 Il resto del muro, fino al soffitto, era intonacato e ravvivato da vari colori e tinte. Oltre a questo, egli fabbricò altre camere di divertimento e lunghissimi colonnati situati nella parte più bella del palazzo, nei quali si trovava una splendida sala per le feste e i banchetti, piena di oro. Il vasellame della sala corrispondeva alle necessità del servizio degli ospiti durante le feste: tutto era d'oro.
Libro VIII:138 E’ però difficile descrivere nei particolari la grandezza e la varietà dei locali dei palazzi reali: quante fossero le camere grandi, quante le piccole e quante sotterranee e invisibili, la bellezza delle parti all'aperto, i boschetti amenissimi da vedere che servivano da opportuno rifugio e riparo del corpo dal caldo estivo.
Libro VIII:139 In breve, fece l'intero edificio di marmo bianco, cedro, oro, argento, decorò soffitto e mura con pietre incastonate con oro nello stesso modo in cui aveva abbellito con esse il tempio di Dio.
Libro VIII:140 Fece fare ancora un grandissimo trono d'avorio con una predella di sei gradini, da una parte e dall'altra di ognuno dei quali vi erano due leoni, e altri due in cima; il sedile del trono aveva braccia per accogliere il re: esso poggiava sulla testa di un torello girato verso il retro del trono. Il trono tutt'intero era placcato in oro.
Città vendute; altre costruzioni e sofismi
Libro VIII:141 - 3. Salomone portò a termine tutto questo in venti anni. E siccome Eirom, re di Tiro, aveva contribuito con molto oro e più ancora con molto argento per gli edifici e con legno di cedro, anch'egli, da parte sua, inviò grandi doni a Eirom: ogni anno gli mandava granaglie, vino e olio dei quali aveva particolare necessità, perché, come abbiamo detto sopra, egli abitava su di un'isola.
Libro VIII:142 Gli donò inoltre alcune città della Galilea, venti di numero, non lontane da Tiro; ma allorché Eirom andò a vederle e le considerò, non gradì il dono, e mandò a dire a Salomone che di quelle città non se ne faceva nulla; e da quel tempo esse furono denominate “Terra di Chabalòn”, perché, nella lingua dei Fenici “Chabalòn” designa ciò che “non piace”.
Libro VIII:143 Il re di Tiro mandò a Salomone sofismi ed enigmi domandandone la spiegazione e che gli sciogliesse le difficoltà dei quesiti che proponeva. Ma per Salomone, acuto e sottile qual era, nessuno di essi era troppo difficile e li scioglieva tutti con la forza della ragione, ne penetrava il significato e li poneva in luce.
Libro VIII:144 Di questi due re fa menzione anche Menandro che tradusse le memorie dei Tirii dalla lingua fenicia alla parlata greca, con queste parole: “Morto Abibalo, gli succedette nel regno suo figlio Eirom, il quale visse cinquantatre anni e ne regnò trentaquattro;
Libro VIII:145 questi realizzò l'Euruchoron e innalzò una colonna d'oro nel tempio di Zeus; viaggiò e abbatté gran copia di legname dal monte chiamato Libano per i tetti dei templi,
Libro VIII:146 abbatté antichi templi e ne eresse di nuovi a Eracle e ad Astarte; e fu il primo che celebrò la risurrezione di Eracle nel mese di Peritio; fece una spedizione contro gli Itikai perché non gli pagavano i tributi e, quando li ebbe assoggettati, se ne tornò indietro. Durante il suo regno, il giovanotto Abdemone aveva sempre successo nella soluzione dei problemi che gli erano sottoposti da Salomone, re di Gerusalemme”.
Libro VIII:147 Ne fa memoria anche Dione in questi termini: “Morto Abibalo, regnò suo figlio Eirom; costui ampliò la parte orientale della città ed estese la città; il tempio di Zeus Olimpio, che era in disparte rispetto alla città, egli lo congiunse ad essa riempiendo con terrapieni lo spazio che lo divideva e lo abbellì con offerte d'oro;
Libro VIII:148 salì sul Libano e tagliò del legname per la fabbricazione di templi; dicono che Salomone, tiranno di Gerusalemme, inviasse enigmi ad Eirom, e domandasse di riceverne a sua volta da lui e proponesse che colui che non riusciva a scioglierli sborsasse una somma all'altro che li scioglieva:
Libro VIII:149 Eirom acconsentì, ma incapace a sciogliere gli enigmi, pagò una notevole somma come ammenda -, in seguito, per opera di un certo Abdemo, cittadino di Tiro, sciolse gli enigmi, e ne propose altri che Salomone fu incapace a sciogliere e, a sua volta, pagò una grande somma ad Eirom”. Così lasciò scritto Dione.
Libro VIII:150 - VI, I. - Siccome il re vide che le mura di Gerusalemme necessitavano di torri e di altre fortificazioni per la sua sicurezza, riteneva, infatti, che l'onore della città richiedeva anche un forte recinto, restaurò le mura e le guarnì di grandi torri.
Libro VIII:151 Fondò pure città, annoverate tra le più fortificate, come Asor e Meghedo, e una terza, Gazara, che apparteneva alla regione dei Palestinesi e contro la quale era andato il Faraone che, dopo averla assediata, la prese d'assalto, ne uccise tutti gli abitanti e la rase al suolo; la diede poi a sua figlia andata in moglie a Salomone.
Libro VIII:152 Perciò il re la riedificò perché era una fortezza naturale e poteva essere utile in caso di guerra e in tempi di cambiamenti improvvisi. Non lungi da essa egli eresse due altre città: il nome di una è Betchora, mentre l'altra si chiama Balet.
Libro VIII:153 Oltre a queste, ne eresse altre situate in posizione conveniente per il riposo e il piacere, e favorite naturalmente da temperatura mite, prodotti stagionali, e canali d'acqua per l’irrigazione. Si inoltrò anche nel deserto della Siria superiore, se ne impadronì e vi fondò una grandissima città distante due giorni di viaggio dalla Siria superiore e un giorno di viaggio dall'Eufrate, mentre la distanza dalla grande Babilonia era di sei giorni.
Libro VIII:154 Il motivo della fondazione di una città così distante dalle parti abitate della Siria, fu che nella regione inferiore non v'era acqua, e solo in quel luogo si trovavano pozzi e sorgenti; così fondò questa città, la circondò di mura fortificate, e la chiamò Tadamora, come è chiamata tuttora dai Siri, mentre i Greci la chiamano Palmira.
Il nome “Faraothi”
Libro VIII:155 - 2. Queste furono le cose compiute in quel tempo dal re Salomone. Ora a coloro che domandano perché i Faraothi dell'Egitto, da Minaia, fondatore di Memfis, che visse molti anni prima del nostro progenitore
Abramo, fino a Salomone - un intervallo di più di milletrecento anni - erano chiamati Faraothai, prendendo questo nome da Faraothes, re che regnò dopo (quel) periodo, ho ritenuto necessario spiegarlo per allontanare la loro ignoranza mettendo in chiaro il motivo di questo nome: “Farao” per gli Egiziani, infatti, significa “re”.
Libro VIII:156 Penso che nell'infanzia avessero altri nomi, e che divenuti re, li cambiassero con quello che secondo la lingua degli antenati indicava l'autorità regia. Così anche i re di Alessandria erano chiamati con altri nomi, ma quando assumevano la regalità, venivano chiamati Tolomei, dal nome del primo re.
Libro VIII:157 Anche gli imperatori romani che dalla nascita sono conosciuti con altri nomi, sono chiamati “Cesari”, ricevendo questo titolo dal loro ufficio e grado principesco, e non mantengono i nomi con i quali erano stati chiamati dai genitori. Penso che sia per questa ragione che Erodoto di Alicarnasso, quando afferma che dopo Minaia - fondatore di Memfis - ci furono in Egitto trecentotrenta re, ma non ne dà i nomi, è perché tutti erano cumulativamente chiamati “Faraothai”.
Libro VIII:158 E, invero, allorché dopo la morte di questi re, regnò una donna come regina, egli ne dà il nome, “Nicaule”, offrendo un chiaro argomento che, mentre i re maschi potevano portare tutti lo stesso nome, la donna non lo poteva portare: per questo motivo la menziona col nome che le apparteneva dalla nascita.
Libro VIII:159 Io stesso ho scoperto nei nostri abituali libri, che, dopo il Faraothe suocero di Salomone, non ci fu in Egitto alcun re che prendesse questo nome, e che dopo, dal re Salomone, venne la donna anzidetta, sovrana d'Egitto e dell'Etiopia. Di lei tratteremo tra breve. Ora intanto ho menzionato queste cose per mostrare come i nostri libri concordino, in molti casi, con quelli degli Egiziani.
Gesta e naviglio di Salomone
Libro VIII:160 - 3. Dunque Salomone assoggettò i Cananei che erano ancora rimasti liberi, quelli cioè che abitavano dal Monte Libano giù fino ad Amathe: impose loro tributi e inaugurò una leva annua su di loro al suo servizio, per l'esecuzione di lavori domestici e per la coltura della campagna.
Libro VIII:161 Tra gli Ebrei, infatti, non c'era alcuno che servisse - né sarebbe stato conveniente che, mentre Dio aveva assoggettato a loro molte nazioni dalle quali potevano trarre la loro servitù, essi stessi si riducessero in quella condizione -, tutti loro, invece, portavano le armi e montavano sui carri e combattevano sui cavalli, anziché menare una vita da servi.
Libro VIII:162 Sui Cananei ridotti in servitù, deputò cinquecentocinquanta sovrintendenti che ricevettero su di essi pieni poteri dal re, e li avviavano ai compiti e alle attività da lui volute.
Libro VIII:163 - 4. Il re fece costruire anche molto naviglio nel golfo egiziano del Mar Rosso in una località detta Gasiongabel non lungi dalla città di Ailane, detta ora Berenice. Questo territorio una volta, infatti, apparteneva ai Giudei. Avvenne perciò che da Eirom, re di Tiro, ebbe in dono quanto era necessario per il suo naviglio:
Libro VIII:164 gli inviò nocchieri e un buon numero di uomini esperti in cose marinare; Salomone ordinò che costoro facessero vela con i suoi sovrintendenti alla volta del paese che anticamente si chiamava Sofeir, oggi, invece, “terra dell'oro” - e appartiene all'India -; raccolto un quantitativo di oro di quattrocento talenti, ritornarono dal re.
Dall'Egitto e dall'Etiopia
Libro VIII:165 - 5. La donna che regnava in Egitto e sull'Etiopia, dotata di grande sapienza e ammirevole in altre cose, quando seppe della virtù e dell'intelligenza di Salomone, fu presa da un grande desiderio di vedere lui e le cose che quotidianamente si dicevano del suo paese.
Libro VIII:166 Volendo essere convinta dall'esperienza e non semplicemente per sentito dire - cosa, questa, che verosimilmente induce a prendere per buone cose fallaci, che poi vengono smentite, e si resta convinti dell'opposto, dato che dipendono interamente dalla voce dei relatori - decise di recarsi da lui; tanto più che aveva anche in animo di fare prova della sua sapienza proponendogli domande e chiedergli la soluzione dei dubbi che aveva intenzione di presentargli; venne dunque a Gerusalemme con molto sfarzo e ostentazione di ricchezza.
Libro VIII:167 Portò, infatti, con sé cammelli carichi di oro, di varie spezie, e di gemme preziose. Al suo arrivo, il re l'accolse con gioia, fu premuroso
nell'assecondarla in ogni modo, soprattutto nell'afferrare i difficili quesiti propostigli, e sciogliere più presto del previsto.
Libro VIII:168 Lei rimase stordita dalla sapienza di Salomone allorché constatò quanto fosse straordinaria e di quanto sorpassasse ogni apprezzamento che di essa aveva sentito. Ammirava, in particolare, la reggia per la bellezza e per la dimensione, non meno che per l'ordine con cui gli edifici erano distribuiti: in tutto questo, constatò la grandezza della sapienza del re.
Libro VIII:169 Restò soprattutto ammirata alla vista della sala chiamata “Selva del Libano” e dalla magnificenza dei pasti quotidiani, del servizio della sua tavola, dell'abbigliamento dei suoi servitori e della grazia e destrezza con cui adempivano il loro compito; e non ultimo, dei sacrifici che quotidianamente venivano offerti a Dio e della cura che vi prestavano sacerdoti e Leviti.
Libro VIII:170 Vedendo ogni giorno queste cose, era fuori di sé per lo stupore, e non poteva frenare i sentimenti di meraviglia per quanto vedeva, e manifestò apertamente quanto fosse rimasta stupefatta, indirizzando al re parole che esprimevano questo sentimento di stupore per le cose che abbiamo descritto.
Libro VIII:171 “Veramente”, disse, “o re, stentiamo sempre a credere quanto viene a nostra conoscenza soltanto dall'udito, ma a proposito dei tuoi beni, sia quelli che tu hai nella tua persona, cioè la sapienza e la prudenza, sia quelli che ti dà la regalità, non è in alcun modo falsa la fama a noi giunta, ma è proprio vera, e tuttavia è molto al di sotto della prosperità che io ora vedo.
Libro VIII:172 Giacché la fama è diretta a persuadere le nostre orecchie, ma non può farci conoscere pienamente la grandezza della tua situazione così come è, vista da me in persona. Data la quantità e la straordinarietà delle cose che mi venivano riferite, io non prestavo fede, ma ora attesto che qui le cose sono assai maggiori.
Libro VIII:173 Beato il popolo degli Ebrei, i loro servi e amici che quotidianamente godono della tua vista, e possono di continuo ascoltare la tua sapienza. Sia benedetto Dio che amò così tanto questo paese e i suoi abitanti da fare di te il loro re”.
Libro VIII:174 - 6. Dopo avere dimostrato con le sue parole i sentimenti che nutriva nei confronti del re, li attestò anche con i doni che gli fece: venti talenti d'oro e una incalcolabile quantità di spezie e di gemme preziosissime; si dice che
la radice di balsamo che ancora oggi produce il nostro paese, si debba a un dono di questa donna.
Libro VIII:175 Da parte sua anche Salomone le fece grandi doni, in particolare di quelle cose che ella scelse come più corrispondenti al suo gusto; domandando, non c'era nulla che non ottenesse: anzi, si mostrò più pronto lui a soddisfare le sue domande che lei a fargliele. Così la regina d'Egitto e dell'Etiopia, dopo avere avuto i doni menzionati e averne dati al re altri dei propri, fece ritorno al suo paese.
Ricchezza del regno
Libro VIII:176 - VII, I. - Intorno allo stesso tempo dalla Terra dell'Oro furono portate al re pietre preziose e legname di pino; legno, questo, del quale si servì per fare pilastri per il tempio e per la reggia, per la costruzione di strumenti musicali, cetre e arpe, con i quali i Leviti innalzavano lodi a Dio. Il legno importato in quel tempo sorpassa ampiamente in dimensione e bellezza quello che era stato importato prima.
Libro VIII:177 Nessuno pensi che il legname di pino fosse come quello che oggi va sotto questo nome datogli da coloro che lo vendono per abbagliare i compratori: poiché quello del quale parliamo assomiglia, quanto al colore, al legno di fico, ma è più bianco e splendente.
Libro VIII:178 Questo l'abbiamo detto affinché nessuno ignori la genuina natura del pino e la differenza dalle altre qualità; come abbiamo detto, l'uso che ne fece il re era appropriato, ed è stato un atto cortese parlarne più compiutamente.
Libro VIII:179 - 2. Il peso dell'oro che gli fu portato era di seicento sessanta sei talenti, non contando quello comprato dai mercanti e i doni inviatigli dai governatori e dai re dell'Arabia. Egli fuse l'oro per farne scudi del peso di seicento sicli ognuno.
Libro VIII:180 Fece anche trecento scudi, ognuno del peso di tre mine, e li collocò nella sala detta “Selva del Libano”. Fece ancora coppe d'oro e di pietre preziose con arte raffinatissima ad uso degli ospiti; modellò anche molto altro vasellame tutto d'oro:
Libro VIII:181 nessuno vendeva o comprava qualcosa che fosse d'argento. Il re aveva, infatti, molte navi che stazionavano nel mare di Tarso, così si chiamava, con l'ordine di caricare ogni sorta di mercanzie all'interno dei paesi, e dalla vendita di queste, portare al re argento, oro, molto avorio, Etiopi e scimmie. Il viaggio per mare, andata e ritorno, durava tre anni.
Cavalli e carri donati a Salomone
Libro VIII:182 - 3. Intanto correva per tutti i paesi vicini la strepitosa fama che divulgava la virtù e la sapienza di Salomone, sicché da ogni parte tutti i re desideravano vederlo con i propri occhi, non sembrando loro credibile, perché troppo straordinario quanto era loro riferito, e (desideravano) mostrare con sontuosi doni l'ammirazione che avevano per lui.
Libro VIII:183 Gli inviavano vasellame d'oro e d'argento, vesti di porpora e ogni specie di aromi, cavalli e cocchi e molti muli per portare pesi che si poteva pensare fossero graditi al re per la loro forza e bellezza, sicché, aggiunti ai cocchi e ai cavalli che già aveva, aumentò il numero dei cocchi di quattrocento - prima ne aveva mille - e il numero dei cavalli di duemila - prima ne aveva ventimila.
Libro VIII:184 Essi erano tenuti in esercizio sia per la bellezza della forma, sia per la velocità, tanto che non ce n'erano altrove di più belli e svelti di questi o che ad essi si potessero paragonare: erano più belli di tutti e non ammettevano confronti.
Libro VIII:185 Ad essi si aggiungeva un ulteriore abbellimento, cioè i cavalieri, che sprigionavano giovinezza, graziosi da vedere, di statura imponente, per cui si distinguevano molto dagli altri; la loro lunga capigliatura ondeggiava sulle spalle, e vestivano porpora di Tiro.
Libro VIII:186 Ogni giorno spargevano sulla chioma sottilissima polvere d'oro che scintillava al sole. Con questi uomini ben armati e forniti di frecce, il re soleva salire sul cocchio indossando un manto bianco per una passeggiata. Ora vi era un luogo distante due scheni da Gerusalemme, chiamato Etan, delizioso e fertile con giardini e corsi d'acqua: in questo luogo si recava sul cocchio.
Libro VIII:187 - 4. Dando prova di una riflessione tutta divina, di zelo in ogni cosa, amante qual era della bellezza, non trascurò le strade e in particolare quelle che conducono a Gerusalemme, la città regia; le lastricò con pietra nera,
sia per agevolare i passeggeri, sia per dimostrare quanto grande e potente fosse il paese.
Libro VIII:188 Divise i cocchi e li distribuì in maniera che ogni città ne avesse un numero conveniente, e ritenne per sé solo un piccolo numero: e queste città le chiamò “Città dei cocchi”. Il re fece sì che a Gerusalemme l'argento fosse così abbondante quanto lo erano le pietre, e che la città fosse così ricca di legname di cedro - di cui proprio non ce n'era - come è ricca di alberi di fichi che abbondano in tutta la piana della Giudea.
Libro VIII:189 Si accordò con i mercanti d'Egitto affinché gli portassero e vendessero un cocchio a due cavalli per seicento dracme d'argento, che egli stesso poi mandò ai re della Siria e a quelli che risiedevano al di là dell'Eufrate.
Infedeltà verso Dio
Libro VIII:190 - 5. Divenuto più illustre di tutti i re, più caro a Dio, sorpassava per intelligenza e ricchezza quanti avevano comandato gli Ebrei prima di lui, ma non si mantenne così fino alla fine, abbandonò le osservanze dei padri, e giunse a una fine del tutto dissimile da quanto sopra abbiamo detto su di lui.
Libro VIII:191 Diventò follemente affascinato dalle donne e indulse negli eccessi della passione; e, non contentandosi soltanto delle donne del suo paese, ne sposò molte di altre nazioni, da Sidone, da Tiro, dall'Ammonite e dall'Idumea, trasgredendo così le leggi di Mosè che vietano il matrimonio con persone d'altra stirpe,
Libro VIII:192 e, per accondiscendere le sue mogli e la passione verso di esse, iniziò a venerare i loro dèi - cosa, questa, che il legislatore aveva presente allorché interdisse lo sposalizio con donne d'altri paesi -, affinché, impigliati in usanze straniere, non abbandonassero quelle paterne, e venerassero gli dèi di queste donne, tralasciando la venerazione per il loro proprio Dio.
Libro VIII:193 Salomone, trascinato da un insensato piacere, trascurò questi avvertimenti e prese in moglie settecento donne, figlie di principi e nobili, e trecento concubine, e oltre a queste, ancora la figlia del re d'Egitto; molto presto, spinto da esse, ne assunse i costumi e la maniera di vivere, per dimostrare il suo trasporto e il suo amore verso di esse, e abbandonò il suo tenore di vita e assunse quello delle sue donne.
Libro VIII:194 Col progredire dell'età, smarrì il vigore della mente e, troppo debole per opporre loro il ricordo del genere di vita del suo paese, dimostrò una trascuratezza sempre maggiore verso il proprio Dio, e seguitò a venerare (gli dèi) ai quali era condotto dalle sue mogli.
Libro VIII:195 Anche prima di questo, però, aveva peccato ed era andato fuori strada circa l'osservanza delle leggi, come quando al piedestallo del “mare” appose le immagini bronzee dei buoi, e quelle dei leoni al proprio trono: giacché tali cose non erano lecite.
Libro VIII:196 Aveva avuto l'esempio più eccellente e vicinissimo a lui nella virtù di suo padre e nella gloria che gli aveva lasciato con la sua pietà verso Dio; non lo imitò, anzi, nonostante Dio gli fosse apparso due volte in sogno, esortandolo a imitare il padre, morì ingloriosamente.
Libro VIII:197 Andò, dunque, un profeta da parte di Dio e gli disse che non Gli sfuggivano le sue mancanze, e lo minacciò che non avrebbe goduto a lungo impunemente di quanto andava facendo, anche se non sarebbe stato privato del regno durante la sua vita, a motivo della promessa divina fatta a suo padre Davide di dargli un successore;
Libro VIII:198 alla sua morte, però, questo sarebbe accaduto a suo figlio; ciononostante Egli non avrebbe distolto dal Suo servo tutto il popolo, ma dieci tribù, lasciandone soltanto due al nipote di Davide, grazie a Davide, perché aveva amato Dio, e grazie a Gerusalemme, nella quale Egli aveva voluto avere un tempio.
Libro VIII:199 - 6. Udito questo, Salomone rimase addolorato, triste e profondamente turbato al pensiero che tutti i beni che destavano l'ammirazione di tutti, stavano ormai volgendo al peggio. Né trascorse molto tempo, dopo l'annunzio fattogli dal profeta, che Dio gli suscitò contro un nemico di nome Adero e questa era la ragione della sua inimicizia.
Libro VIII:200 Era un giovane di stirpe Idumea, di discendenza reale; quando Joab, generale di Davide, soggiogò l'Idumea e nello spazio di sei mesi annientò tutti coloro che erano in età di combattere e di portare le armi, egli si sottrasse con la fuga e si rifugiò presso il Faraone, re d'Egitto;
Libro VIII:201 questi lo accolse cortesemente e gli diede casa e terra per sostentarsi: cresciuto in età, l'amò così tanto da dargli in sposa la sorella di sua
moglie, di nome Tafina, dalla quale ebbe un figlio, che fu allevato con i figli del re.
Libro VIII:202 Allorché Adero, in Egitto, seppe della morte di Davide e di Joab, andò dal Faraone e gli chiese la licenza di ritornare nella sua patria. Il re gli domandò se gli mancava qualcosa e che mai gli fosse accaduto che era ansioso di abbandonarlo; nonostante Adero insistesse frequentemente e continuamente perorasse la propria causa, sul momento non ottenne alcuna licenza.
Libro VIII:203 Ma dopo quel periodo, allorché gli affari di Salomone presero a mettersi male, a motivo delle azioni inique delle quali ho parlato sopra, e fu perciò colpito dall'ira di Dio, il Faraone diede il suo assenso, e Adero ritornò in Idumea; non essendo in condizione di suscitare una ribellione contro Salomone, poiché la zona era difesa da molte guarnigioni e perciò una rivoluzione non era un affare di libera scelta né era scevra da pericoli, si allontanò di là e si recò in Siria.
Libro VIII:204 Qui capitò con un certo Razo che fuggiva dal suo despota Adraazaro, re di Sofene, che andava razziando la regione, unì le sue forze a quelle di costui e, con una banda di predoni, occupò quella parte della Siria e ne fu proclamato re; iniziò scorrerie nella regione degli Israeliti causando danni e ruberie, quando Salomone era ancora vivo. Tali erano le malversazioni cui erano sottoposti gli Ebrei a motivo di Adero.
Jeroboamo e il profeta Achia
Libro VIII:205 - 7. Insorse contro Salomone anche un suo compatriota, Jeroboamo figlio di Nabataio, che aveva fiducia in se stesso a motivo di un'antica profezia che gli era stata fatta: costui perse il padre quando era ancora fanciullo e fu allevato dalla madre; e Salomone, vedendo che era d'indole nobile e coraggiosa, lo fece sovrintendente alla costruzione delle mura allorché recinse di difese Gerusalemme.
Libro VIII:206 E provvide così bene alla supervisione del lavoro, che il re lo distinse con la sua approvazione e gli diede in premio il comando generale sulla tribù di Giuseppe. In quel tempo accadde che, mentre Jeroboamo usciva da Gerusalemme, lo incontrò un profeta della città di Silo, di nome Achia, che, dopo avere salutato Jeroboamo, lo condusse un po' fuori in un luogo ove non c'era nessun'altro.
Libro VIII:207 Qui squarciò in dodici pezzi il manto che portava addosso, ordinò a Jeroboamo che ne pigliasse dieci, annunziandogli che era volere di Dio che così fosse squarciato il regno di Salomone, concedendo a suo figlio - secondo la promessa fatta a Davide - una tribù e la sua vicina, “a te, invece, ha dato dieci tribù perché Salomone lo ha offeso e si è dato interamente alle sue donne e ai loro dèi.
Libro VIII:208 Ora sai qual è la ragione per cui Dio ha mutato la sua disposizione verso Salomone, abbi cura di essere giusto e di osservare le leggi, perché ci sarà un premio più grande di tutti per la pietà e per l'onore dimostrato verso Dio, che diverrà grande quanto sai che fu grande Davide”.
Libro VIII:209 - 8. Imbaldanzito perciò dalle parole del profeta, Jeroboamo, giovane ardente per natura e bramoso di grandi imprese, non rimase ozioso. Assunto che ebbe il comando generale, richiamò alla mente quanto gli era stato rivelato da Achia e si ingegnò subito per attrarre il popolo a ribellarsi a Salomone, iniziare una rivolta e assumere egli stesso il supremo potere.
Libro VIII:210 Ma, quando Salomone seppe la sua intenzione e il suo complotto, cercò di prenderlo e ucciderlo; tuttavia Jeroboamo lo prevenne in tempo, fuggendo da Isako, re d'Egitto, ove si fermò fino alla morte di Salomone; ebbe così un duplice vantaggio: sfuggire al castigo di Salomone e preservarsi per il regno.
Morte di Salomone, scisma (931-930)
Libro VIII:211 Il re Salomone morì in una buona tarda età, dopo ottanta anni di regno: visse novantaquattro anni, e fu sepolto in Gerusalemme. Sorpassò tutti gli altri re per la fortuna, per le ricchezze e per la sapienza, senonché nella vecchiaia fu raggirato dalle sue donne e commise azioni empie. Di queste azioni e delle sfortune che ne derivarono agli Ebrei, troveremo un'occasione più appropriata per parlarne compiutamente.
Libro VIII:212 - VIII, I. - Dopo la morte, a Salomone succedette nel regno il figlio Roboamo avuto da una moglie Ammonita di nome Nooma; e subito i capi della folla chiamarono Jeroboamo dall'Egitto. Ma quando venne da loro nella città di Sikima, giunse qui anche Roboamo, poiché gli Israeliti avevano deciso di tenere quivi un'assemblea e proclamarlo re.
Libro VIII:213 I capi del popolo e Jeroboamo andarono, dunque, da lui e gli chiesero di alleggerire alquanto le servitù e di essere più indulgente di suo padre; affermavano, infatti, che il giogo sopportato sotto di lui era stato veramente pesante, ed essi erano più disposti ad obbligarsi verso di lui e lo avrebbero fatto più volentieri se trattati con la gentilezza più che con la paura.
Libro VIII:214 Egli rispose che avrebbe preso tre giorni, prima di dare risposta alle loro richieste; e così suscitò subito in loro il sospetto che non avrebbe soddisfatto i loro desideri. Essi pensavano che cortesia e amicizia fossero più facili da ottenere, specialmente da un giovane. Tuttavia il volersi consigliare e il non avere dato un immediato rifiuto, pareva - nel momento - offrire loro una base per ben sperare.
Libro VIII:215 - 2. Egli raccolse gli amici di suo padre e valutò con essi che genere di risposta dare alla folla; come era da aspettarsi da uomini benevoli e a conoscenza della natura delle folle, lo consigliarono di parlare al popolo con cortesia e in maniera più popolare di quella abituale dell'autorità reale, assicurandosi così la loro benevolenza, poiché i sudditi amano l'affabilità nei loro re e un trattamento quasi alla pari.
Libro VIII:216 Un parere così benevolo è utile in ogni occasione ma forse, se non in tutte, era singolarmente opportuno in quella occasione, ma lui lo respinse. Penso che sia stato Dio a fare sì che condannasse quanto gli sarebbe stato di beneficio. Convocò, invece, i giovani che erano stati educati con lui, disse loro quale fosse il parere degli anziani e li costrinse a dire che cosa pensavano che egli dovesse fare.
Libro VIII:217 Quelli, ai quali né l'età giovanile né Dio permettono di vedere quanto è meglio, l'esortarono a rispondere al popolo che il suo dito mignolo era più grosso del busto di suo padre: se trovarono suo padre troppo severo, molto maggiore sarà la severità che sperimenteranno in lui; se suo padre li aveva battuti con la sferza, si aspettassero da lui lo stesso trattamento con gli scorpioni.
Libro VIII:218 Al re piacque questa esortazione, e la giudicò una risposta appropriata alla sua dignità regia. Nel terzo giorno, si radunò la moltitudine per sentire la risposta - il popolo tutto era eccitato e ansioso di sentire che cosa il re avrebbe detto -, supponendo che avrebbe parlato in modo amichevole. Ma ignoravano il consiglio dei suoi (antichi) amici, ed egli rispose seguendo il giudizio dei giovani. Ciò avvenne in conformità del volere di Dio, affinché si adempisse quanto aveva preannunziato Achia.
Libro VIII:219 - 3. Colpiti da queste parole e oltremodo indignati come se provassero l'esecuzione di quelle minacce, tutti concordi alzarono la voce protestando e affermando che da quel giorno in avanti non avrebbero avuto più nulla a che fare con Davide e con i suoi discendenti; e dichiararono che a lui avrebbero lasciato soltanto il Tempio eretto da suo nonno e minacciarono di lasciarlo.
Libro VIII:220 Così amaro era il sentimento verso di lui e così grande la collera covata, che quando egli inviò Adoramos con la sovrintendenza ai tributi, per calmarli e raddolcire il loro animo persuadendoli a perdonare quanto egli aveva detto in modo così precipitoso e maldestro per loro, attribuendolo alla sua gioventù, essi non gli permisero neppure di parlare, lanciandogli sassi e uccidendolo.
Libro VIII:221 Alla vista di questo Roboamo immaginò che il bersaglio di quei sassi, con i quali la folla aveva ucciso il suo ministro, era lui, e rimase spaventato al pensiero di essere vittima di quello spaventoso destino, salì subito sul suo cocchio, e fuggì verso Gerusalemme. Le tribù di Giuda e di Beniamino lo acclamarono re, ma il resto della folla, da quel giorno si ribellò ai discendenti di Davide, e proclamò Jeroboamo signore della situazione.
Libro VIII:222 Roboamo, figlio di Salomone, fece allora un'assemblea delle due tribù che gli erano rimaste fedeli e si preparava ad arruolare tra esse un esercito di centottantamila uomini scelti per marciare contro Jeroboamo e il suo popolo per forzarlo all'obbedienza con le armi.
Libro VIII:223 Ma per mezzo di un profeta, Dio lo distolse da questa spedizione; gli disse, infatti, che non era giusto fare guerra tra connazionali, specialmente quando la rivolta della folla era avvenuta in conformità alla disposizione di Dio. E così egli non uscì.
Libro VIII:224 Esporrò prima le azioni di Jeroboamo, re di Israele, e dopo, quanto avvenne nel regno di Roboamo, re delle due tribù. In questo modo si potrà provvedere a una sistemazione ordinata degli avvenimenti della storia.
Jeroboamo, re delle dieci tribù del nord (931-910)
Libro VIII:225 - 4. Jeroboamo si eresse un palazzo in Sikima e qui fece la sua residenza; costruì un altro palazzo in una città chiamata Fanuel. Di lì a poco doveva avere luogo la festa della Scenopeghia, e pensò che se lasciava che il
popolo si recasse a Gerusalemme per venerare Dio e celebrare là la festività, poteva sentirsi attratto dal tempio e dalle cerimonie che vi si compivano, e così abbandonarlo, ritornando al suo re di prima; e qualora questo accadesse, avrebbe messo in pericolo la sua vita.
Libro VIII:226 Perciò ricorse a questo espediente. Fece due vitelli d'oro e fabbricò due tempietti delle menzionate città; radunò le dieci tribù sulle quali governava e le arringò con le seguenti parole:
Libro VIII:227 “Connazionali, penso che voi sappiate come Dio si trovi in ogni luogo, e come non vi sia posto nel quale non sia la Sua presenza, e come ovunque Egli ascolti e guardi i suoi devoti. Perciò a me non sembra che per adorare (Dio) io debba obbligarvi a intraprendere un viaggio così lungo per Gerusalemme, città dei nostri nemici.
Libro VIII:228 Era, infatti, un uomo, quello che innalzò quel tempio; io pure ho fatto due vitelli d'oro che portano il nome di Dio e li ho consacrati uno nella città di Bethel e l'altro in Dan, affinché ognuno di voi vada a venerare (Dio) nella città a lui più vicina. Vi assegnerò sacerdoti e Leviti, tratti da voi, affinché non abbiate alcun bisogno della tribù di Levi e dei figli di Aaronne: quello tra voi che volete sia sacerdote offra un vitello e un capretto a Dio, come si dice abbia fatto Aaronne, il primo sacerdote”.
Libro VIII:229 Con queste parole traviò il popolo e fece sì che abbandonasse la religione dei padri e trasgredisse le leggi. Questo fu l'inizio delle sfortune degli Ebrei e li avviò alle disfatte in guerra per opera di altre stirpi e alla prigionia. Ma di queste cose tratteremo a suo luogo
Libro VIII:230 - 5. Quando arrivò la festività, nell'ultimo mese, Jeroboamo la volle celebrare personalmente in Bethel, proprio come le due tribù la celebravano a Gerusalemme: alzò un altare davanti al vitello, fattosi egli stesso sommo sacerdote, salì all'altare con i suoi sacerdoti.
Libro VIII:231 Ma quando, davanti a tutto il popolo, stava per offrire tutti gli olocausti, sotto gli occhi di tutto il popolo, da Gerusalemme arrivò da lui un profeta di nome Jadon, mandato da Dio - e in piedi tra la moltitudine e sotto le orecchie del re - si rivolse all'altare con queste parole:
Libro VIII:232 “Dio predisse che dalla stirpe di Davide uscirà un (uomo) chiamato Josia, che su di te sacrificherà i falsi sacerdoti del suo tempo e su di te brucerà le ossa di questi seduttori del popolo, di questi impostori e infedeli.
Inoltre, affinché il popolo creda che così sarà, io preannuncerò loro un segno che si realizzerà: l'altare d'improvviso si romperà e tutto il grasso delle vittime che è su di esso si spargerà a terra”.
Libro VIII:233 Irritato dal parlare del profeta, Jeroboamo stese la mano e ordinò di arrestarlo; ma, appena distese la mano, restò paralizzato, fu incapace a ritirarsi, e restò insensibile e senza vita. Si infranse anche l'altare e tutto quanto era sopra di esso fu spazzato via, come aveva predetto il profeta.
Libro VIII:234 Visto che l'uomo diceva la verità ed era investito da prescienza divina, lo supplicò di pregare Dio affinché restituisse la vita alla sua mano destra; ed egli supplicò Dio per questo favore: lietissimo che la sua mano avesse ripreso la sua naturale funzione, Jeroboamo invitò il profeta a mangiare con lui.
Libro VIII:235 Jadon, però, rispose che rifiutava di entrare in casa sua, e di gustare pane o acqua in quella città perché Dio glielo aveva vietato, così come (gli aveva vietato) il ritorno per la stessa strada dalla quale era venuto, ma gli aveva ordinato di ritornare da un'altra. Il re ammirò il saggio comportamento dell'uomo, ed egli stesso rimase in grande timore sospettando, che, dalle cose già dette, gli succedesse un cambiamento sfavorevole della sua fortuna.
Libro VIII:236 IX. In quella città vi era un uomo vecchio e cattivo, un falso profeta, molto stimato da Jeroboamo perché l'ingannava dicendogli cose piacevoli. In quel tempo quest'uomo giaceva a letto, prostrato dalla debolezza della vecchiaia; e allorché i suoi figli gli parlarono del profeta venuto da Gerusalemme e dei segni che aveva operato,
Libro VIII:237 del braccio destro di Jeroboamo paralizzato e restituito alla vita dalla preghiera del profeta, temendo che il forestiero si accattivasse il favore del re più di lui, e godesse di maggiori onori, ordinò ai figli di sellare subito il suo asino e di approntarlo per un suo viaggio.
Libro VIII:238 Eseguirono presto l'ordine ricevuto ed egli, salito in sella, cavalcò all'inseguimento del profeta. Quando lo raggiunse, stava riposando sotto un albero grande pieno di foglie e ombroso come una enorme quercia; per prima cosa lo salutò, poi si dolse che non fosse entrato in casa sua e non avesse accolto la sua ospitalità;
Libro VIII:239 l'altro gli rispose che Dio gli aveva proibito di gustare cibo nella casa di alcuno in quella città. Sì che egli rispose: “Ma non in casa mia, almeno, la Divinità ha proibito di assiderti a tavola. Anch'io, infatti, sono profeta, partecipo
della stessa tua religione, ed ora sono proprio inviato da Lui per condurti ospite in casa mia”.
Libro VIII:240 E quello, credendo al bugiardo, tornò indietro. Ma, mentre a mezzogiorno pranzavano conversando amichevolmente, Dio apparve a Jadon e gli disse che avrebbe subìto il castigo per avere trasgredito i Suoi ordini; e gli manifestò quale sarebbe stato il castigo, dicendogli che sulla via del ritorno avrebbe incontrato un leone, sarebbe stato sbranato e così non avrebbe avuto la sepoltura nelle tombe dei suoi padri.
Libro VIII:241 Io ritengo che ciò sia accaduto per volere di Dio, affinché Jeroboamo non prestasse fede alle parole di Jadon, che era apparso reo di menzogna. Nel ritorno verso Gerusalemme, Jadon si scontrò con un leone che lo tirò giù dal giumento e l'uccise; senza causare alcun danno all'asino, anzi si accovacciò accanto a esso custodendolo con il cadavere del profeta fino a che non lo vide qualche viandante, e andò in città a dirlo al falso profeta.
Libro VIII:242 Questi inviò i propri figli per portarne il corpo in città, lo onorò con sontuosi funerali e diede istruzioni ai suoi figli affinché alla sua morte seppellissero anche lui con il profeta, affermando che ogni cosa da lui preannunziata contro la città e l'altare e i sacerdoti e i falsi profeti corrispondeva a verità, ma che lui non avrebbe avuto alcuna mutilazione allorché dopo la morte sarà sepolto con il profeta, poiché non si poteva dire che le loro ossa fossero separate.
Libro VIII:243 Sepolto il profeta dai suoi figli e date loro queste istruzioni, essendo uomo malvagio ed empio, andò da Jeroboamo e disse: “Vorrei sapere perché eri sconvolto dalle parole di quel folle”. E quando il re gli narrò quanto era accaduto all'altare e alla sua mano, e parlò di lui come divino ed eccellente profeta, egli iniziò maliziosamente a distoglierlo da questa opinione avvalendosi di speciose spiegazioni delle cose avvenute per appannare il loro vero significato.
Libro VIII:244 Si studiava di dargli a credere che la mano gli si era intorpidita per la fatica nel portare le vittime del sacrificio, mentre lasciata poi a riposo, aveva ripreso il suo stato naturale; l'altare poi, essendo nuovo e avendo ricevuto un carico di tante e così grandi vittime, si era rotto ed era caduto per il troppo peso posto su di esso. Gli notificò in seguito la morte del vecchio uomo che gli aveva dato quei segni, e come avesse perso la vita, attaccato da un leone. “Così, disse, non c'era nulla di un profeta né nella sua persona né in quello che aveva detto”.
Libro VIII:245 Con queste parole persuase il re, distolse totalmente il suo pensiero da Dio, dal sacro e dalle opere giuste, e lo avviò a un agire empio. E tanto imperversò nell'oltraggio verso Dio e nella trasgressione delle Sue leggi che ogni giorno cercava di commettere azioni sempre più odiose di quelle delle quali già era colpevole. E per Jeroboamo, per ora, basti quanto fin qui scritto.
Roboamo, re delle due tribù del sud (931-913)
Libro VIII:246 - X, I. - Roboamo, figlio di Salomone, che come abbiamo detto prima era re di due tribù, costruì le forti e vaste città di Bethlemme, Etame, Thecoa, Betsur, Socho, Odollam, Eipan, Marisa, Zipha, Adoraim, Lacheis, Azeka, Saram, Elom e Ebron.
Libro VIII:247 Queste furono le prime che costruì nella tribù e territorio di Giuda; ornò pure altre grandi città nel territorio di Beniamino, le circondò di mura, collocò in tutte presidi e capitani, le fornì abbondantemente di frumento, vino, olio e altri generi di viveri, e inoltre migliaia di aste e scudi.
Libro VIII:248 Allora sacerdoti e Leviti e quant'altre persone buone e rette vi erano tra gli Israeliti, convennero da lui a Gerusalemme, dopo avere abbandonato la propria città per venerare Dio a Gerusalemme, giacché non sopportavano di essere obbligati a venerare i vitelli fatti da Jeroboamo. E seguitarono per tre anni ad accrescere il regno di Roboamo.
Libro VIII:249 Egli sposò una parente dalla quale ebbe tre fanciulli; poi prese un'altra moglie di nome Machane, figlia di Tamar, figlia di Assalonne; anche questa gli era cugina. Da lei ebbe un figlio al quale diede nome Abia; ebbe pure altri figli e molte altre mogli, ma sopra di tutte amava Machane.
Libro VIII:250 Ebbe diciotto mogli legittime e trenta concubine: gli nacquero ventotto figli e sessanta figlie. Come successore al regno designò Abia, suo figlio, da Machane, al quale affidò i suoi tesori e le città meglio fortificate.
Libro VIII:251 - 2. Più volte mi viene da pensare che tra gli uomini prosperità, fortuna e progressivo miglioramento degli affari siano cause di mali e di iniquità. Così Roboamo, vedendo come il suo regno si ingrandiva e aumentava in solidità, fu traviato in azioni ingiuste ed empie, e mostrò noncuranza verso il servizio di Dio, tanto che anche il popolo a lui soggetto prese a imitare le sue empie azioni.
Libro VIII:252 E i costumi dei sudditi si adeguano presto a quelli dei reggitori, non ammettono che la loro personale moderazione sia come un rimprovero e seguono i loro (dei reggitori) vizi quasi che fossero virtù, dato che non è possibile applaudire le azioni dei re se non facendo quanto essi fanno.
Libro VIII:253 Questo appunto era il caso del popolo governato da Roboamo: comportandosi egli in modo empio e violando la legge, (il popolo) si studiava di non irritare il re, curando di vivere correttamente. Ma punendo gli oltraggi a Lui fatti, Dio mandò il re d'Egitto Isokos, del quale, sbagliando Erodoto attribuì le gesta a Sesostri.
Libro VIII:254 Fu proprio lui, Isokos, che nel quinto anno del regno di Roboamo andò contro di lui con molte decine di migliaia: lo seguivano mille duecento carri, sessantamila uomini a cavallo e quattrocentomila soldati a piedi; la maggior parte di costoro erano Libi ed Etiopi.
Libro VIII:255 Costoro invasero la regione degli Ebrei e si impadronirono, senza combattere, delle città fortificate del regno di Roboamo, e dopo aversele assicurate con guarnigioni, infine, avanzarono su Gerusalemme. 3. - Roboamo e la (sua) moltitudine, che durante l'avanzata dell'esercito di Isokos era rimasta chiusa in città, supplicò Dio di concederle vittoria e liberazione, ma non riuscì a piegare Dio in suo favore.
Libro VIII:256 Allora il profeta Samaia disse che Dio minacciava di abbandonare, proprio come essi avevano abbandonato il Suo culto. All'udire questo, l'animo loro si abbatté subito, e non scorgendo alcuna speranza di liberazione, tutti, all'unanimità, riconobbero che Dio avrebbe agito correttamente distogliendosi da loro, poiché si erano comportati ampiamente verso di Lui, e avevano violate le sue disposizioni.
Libro VIII:257 Quando Dio li vide in quello stato e che riconoscevano i loro peccati, disse al profeta che Egli non li avrebbe distrutti, tuttavia li avrebbe assoggettati agli Egiziani affinché imparassero s'era più penoso servire l'uomo oppure Dio.
Libro VIII:258 Allorché Isokos, senza combattere, prese la città perché Roboamo, avendone paura, gli aveva aperto le porte, non si attenne ai termini dell'accordo da essi sancito, ma saccheggiò il tempio, vuotò i tesori di Dio e del re, e portò via un indicibile quantitativo di oro e argento, non lasciando nulla dopo di sé.
Libro VIII:259 Portò via anche gli scudi e le aste d'oro che aveva fatto il re Salomone, e non tralasciò neppure le faretre d'oro che Davide aveva offerto a Dio dopo averle catturate al re di Sofene; dopo questo se ne ritornò al suo paese.
Libro VIII:260 Questa spedizione è ricordata anche da Erodoto di Alicarnasso, che ha sbagliato soltanto il nome del re e l'affermazione che marciò anche contro molte altre nazioni e soggiogò la Siria-Palestina catturandone gli abitanti senza combattere.
Libro VIII:261 E’ chiaro che intende parlare della nostra nazione come sottomessa agli Egiziani perché, aggiunge poi, nelle regioni che si erano arrese senza combattere, il loro re si era lasciato dietro delle colonne sulle quali aveva inciso genitali femminili. Ma era stato il nostro re Roboamo che consegnò la città senza combattere.
Libro VIII:262 Egli aggiunge anche che gli Etiopi avevano imparato la pratica della circoncisione dagli Egiziani, “perché i Fenici e i Siri che sono in Palestina affermano di averla imparata dagli Egiziani”. Ora è chiaro che nessun Siro in Palestina pratica la circoncisione oltre noi. Ma su queste cose ciascuno parli come gli pare.
Libro VIII:263 - 4. Quando Isokos si ritirò, il re Roboamo, al posto delle aste e degli scudi d'oro, ne fece un uguale numero di bronzo e li diede alle guardie del palazzo reale; e invece di condurre la vita di un illustre comandante e brillante uomo di stato, regnò in molta quiete e paura; essendo rimasto per tutti i suoi giorni nemico di Jeroboamo.
Libro VIII:264 Morì all'età di cinquantasette anni, e regnò diciasette anni; uomo vanaglorioso e sciocco per natura, per non avere prestato attenzione agli amici di suo padre, perdette il potere regio. Fu sepolto in Gerusalemme nella tomba dei re, e sul trono gli succedette il figlio Abia; era il diciottesimo anno del regno di Jeroboamo sulle dieci tribù. Questa, dunque, fu la fine (della storia di Roboamo).
Jeroboamo (931-910), il figlio, il profeta Achia,
guerra contro Abia
Libro VIII:265 Ed ora abbiamo da riferire gli avvenimenti del regno di Jeroboamo e come egli terminò la sua vita. Questi non desistette mai
dall'oltraggiare Dio, e in ogni tempo seguitò a erigere altari in cima ai monti, e a designare sacerdoti scelti dalla folla.
Libro VIII:266 - XI, I. - I castighi che meritavano queste empietà, la Divinità non tardò a farli cadere sia sul suo capo sia su quello della sua discendenza. E, infatti, intorno a quel tempo, caduto ammalato suo figlio, che chiamavano Obime, ordinò a sua moglie di deporre il suo abito, indossare un abito privato e recarsi dal profeta Achia;
Libro VIII:267 dicendo che quello era un uomo meraviglioso nel predire il futuro, e a lui stesso aveva predetto il regno. Le ordinò, dunque, di andare quasi fosse una forestiera, e interrogarlo se il figlio avrebbe superato la malattia. Ella cambiò gli abiti come gli aveva ordinato il marito, e andò nella città di Silo dove abitava Achia.
Libro VIII:268 Quando era in procinto di entrare in casa sua, i suoi occhi erano oscurati dall'età, Dio gli apparve e gli manifestò ambedue le cose: che sarebbe venuta da lui la moglie di Jeroboamo, e come doveva rispondere a quanto lei gli avrebbe domandato.
Libro VIII:269 Entrata nella casa come donna privata e forestiera, egli gridò: “Vieni, o moglie di Jeroboamo! Perché ti sei travestita? Il tuo arrivo qui non era ignoto a Dio: Egli mi è apparso, mi ha rivelato la tua venuta e mi ha suggerito quanto ti debbo dire. Ritorna dunque da tuo marito e digli che Dio così dice:
Libro VIII:270 “Come io ti ho fatto grande da piccolo e dal nulla che eri, e ho preso (una parte del) regno di Davide e l'ho dato a te - cose queste delle quali ti sei dimenticato e hai abbandonato il mio culto facendo dèi di metallo fuso e onorandoli - così io ti ridurrò nuovamente al nulla e annullerò tutta la tua discendenza, la farò preda dei cani e degli uccelli;
Libro VIII:271 farò sorgere, infatti, uno che sarà re su tutto questo popolo, e dei discendenti di Jeroboamo non resterà vivo nessuno. Anche il popolo avrà parte a questo castigo, sarà condotto via dalla loro buona terra e sparso per la regione aldilà dell'Eufrate, perché ha seguito le empie vie del re, adorato gli dèi fatti da lui, e abbandonato i sacrifici a me.
Libro VIII:272 Tu poi, donna, affrettati a tornare da tuo marito per dirgli queste cose; troverai però che tuo figlio è morto; non appena entrerai nella città, la vita lo abbandonerà. E dopo che sarà morto tutto il popolo lo piangerà e lo
onorerà con un lutto generale, poiché di tutti i discendenti di Jeroboamo, lui solo era buono”.
Libro VIII:273 Dopo queste predizioni la donna, rattristata e profondamente afflitta, si affrettò a partire; lungo il cammino si lamentava e picchiava il petto al pensiero della prossima fine del ragazzo, e travagliata per la sua sfortuna e tormentata da inevitabili guai, accelerava l'andatura con una celerità malaugurata per il figlio; quanto più si affrettava, tanto più era destinata a vedere presto il figlio morto, ma (la sua andatura) era necessaria a motivo del marito. Non appena giunse, trovò che il figlio spirava, come le aveva annunziato il profeta; e raccontò ogni cosa al re.
Libro VIII:274 - 2. Ma Jeroboamo non si diè pensiero per queste cose; radunò un grosso esercito e uscì per fare la guerra ad Abia, figlio di Roboamo, succeduto a suo padre come re delle due tribù e a Gerusalemme contava poco a motivo della sua giovane età. Allorché seppe la mossa di Jeroboamo non si scoraggiò, ma, con un coraggio superiore alla sua gioventù e alle aspettative del nemico, dalle due tribù convocò un esercito col quale si confrontò con Jeroboamo in un luogo detto Monte Samaron: qui vicino si accampò e si preparò a dare battaglia.
Libro VIII:275 Le sue forze erano di quattrocentomila, e l'esercito di Jeroboamo due volte tanto. Ora, allorché gli eserciti erano disposti bene l'uno contro l'altro, pronti all'azione e ai rischi della guerra, si trovavano sul punto di scontrarsi; stando in un posto elevato, Abia fece un cenno con la mano e domandò alla folla e a Jeroboamo di ascoltarlo in silenzio;
Libro VIII:276 ottenuto il silenzio, iniziò a parlare: “Che Dio abbia concesso la sovranità a Davide e ai suoi discendenti per tutto il tempo avvenire, neppure voi l'ignorate. Mi stupisco perciò come vi siate ribellati contro mio padre e abbiate seguito il suo servo Jeroboamo, e come ora siate giunti qui con lui a combattere contro coloro che furono scelti da Dio per regnare e a rapire loro il potere regale tuttora in mano a essi: la parte maggiore del regno di Jeroboamo finora è tenuta ingiustamente.
Libro VIII:277 Io però non penso che egli ne godrà ancora per lungo tempo, ma quando avrà pagato a Dio il castigo per ciò che ha compiuto in passato, porrà fine alle trasgressioni e oltraggi che non ha mai cessato di offrirgli, e ha guidato voi a fare lo stesso -, voi che mai vi siete sentiti offesi da mio padre, se non allorché seguì il consiglio di uomini malvagi e parlò nella pubblica assemblea in
una maniera a voi sgradita: voi l'avete abbandonato, almeno in apparenza, in realtà voi vi siete separati da Dio e dalle Sue leggi.
Libro VIII:278 Tuttavia sarebbe stato leale da parte vostra, per amore di mio padre Salomone e per i benefici da lui ricevuti, perdonare le sgradevoli parole di un giovane inesperto del pubblico, ma anche azioni irritanti alle quali era indotto e dalla sua giovane età, e dalla sua ignoranza degli affari pubblici. Perché le benemerenze dei padri dovrebbero attenuare i peccati dei figli.
Libro VIII:279 Tuttavia né allora né adesso voi avete tenuto conto di queste cose, e avete schierato questo esercito contro di noi. In che riponete voi la speranza di vittoria? Forse nei vitelli d'oro e negli altari innalzati sui monti che sono prova della vostra empietà e non della vostra religione? Oppure è la vostra moltitudine, ben al di sopra del nostro esercito che vi dà fiducia?
Libro VIII:280 Ma non v'è forza che basti, sia pure un esercito di molte decine di migliaia, quando questo esercito combatte per una causa ingiusta. Poiché solo nella giustizia e nella pietà verso Dio, è riposta la speranza di superare il nemico, e questo appunto appartiene a noi che fin da principio abbiamo osservato le leggi e venerato il nostro Dio, che non è di materia corruttibile plasmato dalle mani, né dal capriccio di un re per ingannare la folla, ma è opera di se stesso, principio e fine di ogni cosa.
Libro VIII:281 Io vi consiglio che almeno vi pentiate e adottiate un piano più ragionevole cessando di fare la guerra e riconosciate le patrie leggi e il potere che vi ha condotto a una così grande e alta prosperità”.
Abia re di Giuda (913-910)
Libro VIII:282 - 3. Tale fu il parlare di Abia alla folla. Ma egli ancora stava parlando, quando Jeroboamo inviò segretamente alcuni dei suoi soldati a circondare Abia da certi lati del campo che non erano custoditi; allorché fu preso in mezzo dal nemico il suo esercito si spaventò e perse il coraggio, ma Abia faceva loro animo e li esortava a sperare in Dio dicendo che Egli non era circondato dal nemico.
Libro VIII:283 Allora tutti insieme invocarono Dio loro alleato, e quando i sacerdoti suonarono le trombe, si lanciarono sui nemici con grandi grida.
Libro VIII:284 Dio allora infranse il loro ardire e spezzò la loro forza, mentre rese più forte l'esercito di Abia. Una strage del genere non ha l'uguale in alcuna guerra dei Greci e dei Barbari, la strage cioè che ebbe luogo tra i soldati di Jeroboamo, allorché Dio permise di ottenere una vittoria così strepitosa e mirabile; difatti essi ammazzarono cinquecentomila nemici e presero d'assalto e saccheggiarono le città più agguerrite, cioè Bethel e la sua provincia, Isana e la sua provincia.
Libro VIII:285 Dopo questa sconfitta, Jeroboamo non fu mai più così forte, fino a quando visse Abia. Quest'ultimo tuttavia sopravvisse solo poco tempo dopo la sua vittoria: morì dopo aver regnato tre anni, e fu sepolto a Gerusalemme nella tomba dei suoi antenati. Lasciò ventidue figli e sedici figlie. Tutti questi figli li ebbe da quattordici mogli.
Asa (911-870)
Libro VIII:286 Sul trono gli succedette il figlio Asano, la madre del giovane si chiamava Machaia. Durante il suo regno la regione degli Israeliti godette di dieci anni di pace.
Libro VIII:287 - 4. Questi sono gli eventi che ci furono tramandati a proposito di Abia, figlio di Roboamo, figlio di Salomone. Jeroboamo, il re delle dieci tribù morì dopo ventidue anni di regno; gli succedette il figlio Nabado nel secondo anno del regno di Asano. Il figlio che succedette a Jeroboamo regnò due anni, e per empietà e malvagità assomigliava al padre.
Libro VIII:288 Nel corso di questi due anni combatté contro Gabaton, città dei Palestinesi, e sperava di prenderla con un lungo assedio; ma cadde vittima di un complotto capeggiato da uno dei suoi amici di nome Basane figlio di Seido che, dopo la sua morte prese tutto il potere regio ed eliminò l'intera famiglia di Jeroboamo.
Libro VIII:289 Così avvenne conforme alla profezia di Dio, secondo la quale dei congiunti di Jeroboamo avrebbero incontrato la morte in città e sarebbero stati lacerati e divorati dai cani, altri invece sarebbero morti sui campi e divorati dagli uccelli. Così avvenne alla casa di Jeroboamo e subì giusta punizione per la sua empietà e illegalità.
Asano attaccato dagli Etiopi
Libro VIII:290 - XII, I. - Asano, re di Gerusalemme, era uomo di ottimo carattere e timorato di Dio né faceva o meditava nulla che non fosse conforme alla pietà e all'osservanza delle leggi; ordinò il suo regno eliminando quanto v'era di male e purificando ogni impurità.
Libro VIII:291 Aveva un esercito di trecentomila uomini scelti, armati di scudi e aste affilate, della tribù di Giuda e duecento cinquantamila della tribù di Beniamino con scudi e archi e arcieri.
Libro VIII:292 Aveva regnato dieci anni quando Zaraio, re dell'Etiopia, venne contro di lui con un grande esercito, aveva novecentomila fanti, centomila cavalieri e trecento carri; quando arrivò fino alla città di Marisa, nella tribù di Giuda,
Libro VIII:293 Asano lo affrontò con le proprie forze in una valle chiamata Safata, non lungi dalla città. Ma alla vista della folla di Etiopi alzò la voce in preghiera a Dio per la vittoria e la distruzione delle molte miriadi nemiche; in nessun altro, infatti, disse di porre la speranza all'infuori di Lui, che può fare sì che i meno trionfino sui più e il debole sul forte, avrebbe posto la sua fiducia nella imminenza dell'incontro con Zaraio.
Libro VIII:294 - 2. Mentre Asano diceva queste parole, Dio gli diede un segno che sarebbe stato vittorioso; e così, lieto per quanto gli era stato predetto da Dio, andò incontro al nemico e uccise molti Etiopi, inseguì quelli che si erano dati alla fuga fino al termine del territorio di Gherar. Qui arrestarono la strage e si diedero a saccheggiare le città, Gherar era ormai presa, e il campo nemico, cosicché presero molto oro e argento e portarono via un grande bottino e cammelli, bestie da soma e greggi di pecore.
Il profeta Azaria
Libro VIII:295 Ricevuta da Dio una tale vittoria e guadagno, Asano e il suo esercito ritornarono a Gerusalemme. Mentre si avvicinavano, li incontrò sulla via un profeta di nome Azaria. Ordinò di arrestare il cammino e iniziò a parlare dicendo che essi avevano ottenuto da Dio questa vittoria perché si erano dimostrati giusti e puri, e avevano agito sempre secondo la volontà di Dio.
Libro VIII:296 Se, dunque, proseguì, seguiteranno a comportarsi così, Dio concederà sempre a loro la vittoria sui nemici e una vita tranquilla; ma qualora abbandonassero il Suo culto, ogni cosa sarebbe andata al contrario e sarebbe
venuto un tempo nel quale “nessun vero profeta si troverà nel vostro popolo né alcun sacerdote per dare giudizi giusti,
Libro VIII:297 anzi, le vostre città saranno deserte e la nazione dispersa su tutta la terra, a condurre una vita da straniero e nomade”. Perciò li esortava a essere virtuosi mentre erano ancora in tempo e a non rifiutare, in modo insolente, di accogliere la benevolenza di Dio. Quando re e popolo udivano queste cose gioivano tutti insieme, e ciascuno personalmente rivolse il pensiero a ciò che è giusto. Il re, poi, inviò uomini per tutta la regione affinché avessero cura dell'attenta osservanza delle leggi.
Libro VIII:298 - 3. E questo è quanto avvenne alle due tribù sotto il re Asano.
Basane re di Israele (909-886)
Ora ritornerò al popolo degli Israeliti e al loro re Basane che uccise il figlio di Jeroboamo, Nabado, e prese il potere reale.
Libro VIII:299 Egli visse nella città di Tharse, la fece sua residenza, e quivi regnò per ventiquattro anni; ma, essendo molto più malvagio ed empio di Jeroboamo e di suo figlio, attirò sul popolo molti malanni, e oltraggiò gravemente Dio, che gli mandò il profeta Jehu per preannunciargli la distruzione di tutta la sua linea opprimendola con le stesse disgrazie che avevano colpito la casa di Jeroboamo;
Libro VIII:300 perché dopo essere stato fatto re, egli non Gli fu riconoscente governando il popolo con giustizia e pietà - certamente vantaggiose, anzitutto, a coloro che le hanno, e anche gradite a Dio - ma imitò il nequissimo Jeroboamo: sebbene Jeroboamo fosse morto, rivelò quanto fosse ancora viva la sua malvagità; siccome si era reso simile a lui, disse, era ben giusto che subisse pure una disavventura simile alla sua.
Libro VIII:301 Basane, pur avendo udito quale triste destino fosse assegnato a lui e all'intera sua famiglia a motivo della sua condotta noncurante, non si trattenne, almeno per evitare di andare incontro alla morte in una maniera ancora più malvagia, e non si preoccupò di ottenere il perdono da Dio almeno col pentimento dei suoi passati misfatti;
Libro VIII:302 ma come coloro davanti ai quali viene proposto un premio tendono a esso pur di raggiungerlo e ottenerlo, così Basane, dopo quanto di
imminente gli aveva predetto il profeta, si comportò come se queste somme disgrazie, l'estinzione della sua famiglia e lo sterminio del suo casato, fossero benedizioni, e divenne ancora peggiore: come un atleta del male, ogni giorno, faticosamente, vi si impegnava.
Basane e Asano
Libro VIII:303 Alla fine convocò nuovamente l'esercito e attaccò una città di non poca importanza di nome Aramathon, distante quaranta stadi da Gerusalemme: la prese e la fortificò, con l'intento di lasciarvi una guarnigione che, con sortite improvvise potesse saccheggiare il regno di Asano.
Libro VIII:304 - 4. Atterrito dall'attacco del nemico e pensando che l'esercito lasciato in Aramathon potesse infliggere un grave danno a tutta la regione che gli era sottomessa, Asano mandò ambasciatori al re di Damasco con oro e argento, con la preghiera di allearsi, e ricordandogli l'amicizia che c'era reciprocamente tra i loro genitori.
Libro VIII:305 Egli accettò di buon grado la generosa somma, e strinse alleanza con lui, disdicendo l'amicizia con Basane e inviò comandanti del suo esercito alle città del regno di Basane con ordine di devastarle. Così danneggiarono e bruciarono alcune città e ne saccheggiarono altre, inclusa Aion, così era chiamata Dan, Abellane e molte altre.
Libro VIII:306 Venuto a conoscenza di questo, il re d'Israele interruppe la costruzione e le fortificazioni di Aramathon e ritornò in fretta a soccorrere i suoi sudditi che erano stati danneggiati. Allora Asano prese il materiale preparato da Basane per le costruzioni ad Aramathon e con esso edificò, nella stessa regione, due città fortificate, una è detta Gaba e l'altra Masfa.
Basane, Elano, Zambria (886-885)
Libro VIII:307 Dopo di questo, Basane non ebbe più alcuna occasione di combattere contro Asano, poiché fu molto presto sopraffatto dal destino e fu sepolto nella città di Tharse, dove suo figlio Elano gli succedette nel regno; e questo, a sua volta, morì dopo appena due anni di regno ucciso a tradimento da Zambria, capo di metà della sua cavalleria, nel modo seguente:
Libro VIII:308 mentre era a tavola dal suo maggiordomo, di nome Osa, Zambria indusse alcuni dei suoi cavalieri a irrompere su di lui e ucciderlo,
mentre era solo, senza i propri soldati e comandanti, tutti impegnati nell'assedio di Gabaton, nel territorio dei Palestinesi.
Libro VIII:309 - 5. Dopo avere trucidato Elano, Zambria, capo della cavalleria, incominciò egli stesso a regnare ed eliminò tutta la famiglia di Basane, conforme alla profezia di Jehu; si giunse a questo, a motivo della sua empietà la sua casa fu distrutta alla radice, come era stata eliminata quella di Jeroboamo, di cui abbiamo narrato sopra.
Zambria (885-884), Amarino
Libro VIII:310 L'esercito che assediava Gabaton, saputo quanto era accaduto al re e che Zambria l'aveva ucciso e ora regnava, elesse a sua volta re il comandante Amarino; egli tolse l'esercito da Gabaton e andò a Tharse città regia, la attaccò e la prese d'assalto.
Libro VIII:311 Vedendo cadere la città, Zambria fuggì nell'angolo più segreto della reggia, vi appiccò il fuoco e si lasciò bruciare con essa, dopo un regno di soli sette giorni. Immediatamente dopo il popolo d'Israele si divise in due partiti: uno voleva come re Thamanaio, altri Amarino. Vinsero quelli che volevano al comando Amarino, e misero a morte Thamanaio, e Amarino divenne re di tutto il popolo.
Libro VIII:312 Era l'anno trentesimo del regno di Asano, e regnò dodici anni: sei nella città di Tharse e il resto nella città chiamata Somareon, nota ai Greci come Samaria. Fu chiamata così da Amarino, da Somaro, l'uomo che vendette la collina sulla quale costruì la città.
Libro VIII:313 Non differiva in nulla da quanti avevano regnato prima di lui, se non nel fatto che era peggio di loro: tutti, infatti, cercarono di distogliere il popolo da Dio con quotidiane empietà. Perciò Dio li pose uno contro l'altro e delle loro famiglie non restò nessuno. Amarino morì in Samaria e gli succedette il figlio Achab.
Asano, Josafat
Libro VIII:314 - 6. Da questo si impara con quale stretta attenzione la Divinità vigili sulle vicende umane, come Egli ami gli uomini buoni e odi i malvagi, ai quali strappa le radici e i rami. Infatti i re degli Israeliti a motivo della loro empietà e iniquità in breve spazio di tempo, uno dopo l'altro, furono votati alla
distruzione con le loro famiglie, mentre Asano, re di Gerusalemme e delle due tribù, per la sua pietà e giustizia fu accompagnato da Dio a una lunga e benedetta vecchiaia e morì felice dopo quarant'anni di regno.
Libro VIII:315 Alla sua morte gli succedette nel regno il figlio Josafat avuto da una moglie di nome Abida; che Asano abbia imitato il suo antenato Davide nel coraggio e nella pietà fu da tutti riconosciuto per le sue azioni. Ma proprio adesso non vi è alcuna grande necessità di parlare di questo re giusto.
Achab (874-853), Jezabele, il Profeta Elia,
sul Carmelo e il Sinai
Libro VIII:316 - XIII, I. - Achab, re degli Israeliti, abitava in Samaria, ed esercitò il suo dominio regio per ventidue anni; non fece nulla di nuovo rispetto ai re che l'avevano preceduto, a eccezione invero dell'inventare strade di ancor peggiore malvagità, imitando strettamente tutti i loro misfatti e il comportamento oltraggioso verso Dio, emulando in scelleratezza Jeroboamo.
Libro VIII:317 Anch'egli venerò i vitelli innalzati da Jeroboamo e a questi aggiunse altri inauditi oggetti cultuali. Prese in moglie la figlia di Ithobalo, re di Tiro e Sidone, il cui nome era Jezabela e da lei imparò a venerare le sue familiari divinità.
Libro VIII:318 Era donna facinorosa e sfrontata che giunse al punto di licenziosità e pazzia da edificare un tempio al dio dei Tirii chiamato Belia, piantò un bosco di alberi d'ogni specie e designò per questo dio sacerdoti e falsi profeti. Lo stesso re aveva molti di costoro attorno a sé: in follia e scelleratezza sorpassò tutti i re che l'avevano preceduto.
Libro VIII:319 - 2. C'era un certo profeta del sommo Dio, della città di Thesbone nella regione Galadite, che andò da Achab per dirgli che Dio gli aveva preannunziato che in quegli anni non avrebbe mandato sulla terra né pioggia né rugiada fino a quando egli sarebbe apparso; confermò questo con giuramento, poi si ritirò nella regione meridionale e si stabilì presso un torrente che gli provvedeva anche l'acqua da bere; il cibo glielo portava ogni giorno un corvo.
Libro VIII:320 Disseccatosi il fiume per la mancanza d'acqua, egli si recò nella città di Sereftha, non lungi da Sidone e Tiro - è tra loro due - per comando di Dio, poiché Egli disse che quivi avrebbe trovato una vedova che lo avrebbe provvisto di cibo.
Libro VIII:321 Quando giunse poco lungi dalla porta (della città) vide una donna che lavorava alla raccolta della legna; saputo da Dio che era quella che gli avrebbe dato il cibo, andò da lei, la salutò e le chiese dell'acqua da bere, e allorché lei stava andando, la richiamò indietro ingiungendole di portargli anche del pane.
Libro VIII:322 Ma lei giurò che in casa non aveva altro che un pugno di farina e un po' di olio; e aggiunse che raccoglieva legna per impastare la farina e farne un pane per sé e per suo figlio: consumato questo, sarebbero morti consunti dalla fame perché non c'era rimasto più nulla. Perciò le disse: “Anche se è così, fatti coraggio nella speranza di cose migliori! Prima però preparami un po' di cibo e portalo a me. Ti preannunzio, infatti, che non ti mancherà mai la farina nella ciotola, né l'olio nell'orcio fino a quando Dio manderà la pioggia”.
Libro VIII:323 Dopo che il profeta le disse questo, lei andò a casa e fece come lui le aveva ordinato. Ed ebbe cibo a sufficienza per se stessa, per suo figlio e per il profeta, e non le mancò nulla da mangiare fino a che, finalmente, non cessò la siccità.
Libro VIII:324 Questa siccità è ricordata anche da Menandro trattando di Ithobalo, re di Tiro, con queste parole: “Durante il suo regno ci fu una siccità che durò dal mese di Hyperberetaio fino al mese Hyperberetaio dell'anno seguente. Ma egli elevò suppliche agli dèi, e un violento temporale la portò via. Egli fondò anche le città di Botri in Fenicia e di Anza in Libia”. Così scrisse Menandro a proposito della siccità venuta durante il regno di Achab, poiché fu durante il suo tempo che Ithobalo era re di Tiro.
Libro VIII:325 - 3. La donna che provvide il cibo al profeta e della quale abbiamo parlato, ebbe il figlio così gravemente infermo da rendere l'anima ed essere creduto morto, e perciò lei piangeva amaramente, si tormentava con le proprie mani e innalzava forti grida come suggeriva il suo dolore; rimproverava il profeta di essere venuto per rinfacciarle il peccato, causa della morte di suo figlio.
Libro VIII:326 Egli l'invitava ad avere fiducia e a dare il figlio in mano sua, che glielo avrebbe restituito vivo. Lei glielo consegnò, ed egli lo portò nella camera in cui viveva, lo adagiò sul letto, elevò poi un forte grido a Dio, dicendo che Egli avrebbe dato una cattiva ricompensa alla donna che l'aveva accolto e nutrito qualora le avesse tolto il figlio, e Lo supplicò affinché ammettesse nuovamente l'anima nel ragazzo e gli desse la vita.
Libro VIII:327 Mosso a pietà della madre e anche perché voleva gentilmente risparmiare al profeta l'accusa di essere andato da lei per arrecarle danno, al di là di ogni aspettativa riportò in vita il fanciullo. La madre allora ringraziò il profeta e disse di avere ora compreso all'evidenza che Dio parlava con lui.
Libro VIII:328 - 4. Di lì a poco, per volere di Dio, ritornò dal re Achab per annunciargli l'imminente arrivo della pioggia. La carestia attanagliava l'intera regione, al punto che mancava il pane, ma, a motivo della siccità, la terra non poteva neppure produrre l'erba necessaria al pascolo dei cavalli e degli altri animali.
Libro VIII:329 Al punto che il re chiamò Obedia, sovrintendente alle sue entrate, e gli disse che era suo desiderio che andasse alla ricerca di fonti d'acqua e di torrenti affinché si potesse falciare la poca erba spuntata lungo le loro sponde e darla in pastura alle bestie; gli disse pure di avere mandato uomini in giro per tutta la terra alla ricerca del profeta Elia, ma non l'avevano trovato; così ordinò a Obedia di accompagnarlo.
Libro VIII:330 E decisero, Obedia e il re, di mettersi in viaggio e si divisero le strade, e ognuno prese un cammino differente dall'altro; avvenne che, quando la regina Jezabela uccideva i profeti, Obedia ne nascondeva un centinaio in spelonche sotterranee e li nutriva dando loro solo pane e acqua.
Libro VIII:331 Obedia, dunque, allorché si separò dal re e rimase solo, incontrò il profeta Elia; Obedia l'interrogò chi fosse, e, saputolo, lo venerò; ma (il profeta) gli ordinò di andare a dire che il profeta stava andando da lui.
Libro VIII:332 Ed egli domandò che male aveva fatto per essere mandato da un uomo che cercava di uccidere il profeta e indagava su di lui in ogni luogo; non sapeva, forse, che il re non aveva trascurato alcun luogo ove potesse inviare uomini per dare la morte a Elia, qualora lo trovassero?
Scontro tra Elia e i profeti di Baal sul Carmelo
Libro VIII:333 Pertanto, aggiunse, egli aveva paura che, se Dio apparisse a Elia un'altra volta, il profeta potrebbe andarsene in un altro luogo e così, quando il re manderà a prenderlo, non lo troverebbe in qualsiasi parte della terra si trovasse, e punirà lui stesso con la morte.
Libro VIII:334 Lo supplicò, quindi, di provvedere alla propria salvezza considerando il fatto che egli si era preso cura dei suoi seguaci nell'arte profetica, avendone messi in salvo un centinaio, poiché, quando Jezabela aveva ordinato di eliminarli tutti, li aveva custoditi e nutriti. Ma egli gli ordinò di andare via senza alcuna paura del re, dopo averlo prima assicurato con giuramento che quello stesso giorno sarebbe comparso davanti ad Achab.
Libro VIII:335 - 5. Allorché Obedia informò il re della apparizione di Elia, Achab si preparò all'incontro. L'interrogò, irritato, se era colui che aveva straziato il popolo degli Ebrei e aveva causato la sterilità del suolo; ed egli, senza adulazione alcuna, rispose che era proprio lui, Achab, e la sua famiglia che avevano portato su tutti queste sfortune introducendo e venerando divinità straniere nella regione, mentre il loro proprio Dio, unico vero, lo avevano abbandonato, non dandosi più alcun pensiero di Lui.
Libro VIII:336 Ora gli disse di andare, radunare tutto il popolo intorno a sé sul Monte Carmelo, con i suoi profeti e quelli di sua moglie, dicendogli quanti erano, e anche i profeti dei boschi, una folla di circa quattrocento.
Libro VIII:337 E quando Achab li convocò tutti e li radunò insieme sul monte summenzionato, il profeta Elia si alzò in mezzo a loro e domandò per quanto tempo avrebbero vissuto in quella maniera discorde nel credere e nel pensare. Se essi credevano che il Dio delle origini è l'unico vero, seguissero Lui e i Suoi comandamenti, mentre se pensavano che fosse una nullità e ritenevano di dovere venerare gli dèi stranieri, andassero pure con essi.
Libro VIII:338 A queste parole il popolo non rispose; allora Elia domandò una prova sui rispettivi poteri degli dèi stranieri e del suo; e siccome lui era il Suo unico profeta mentre gli altri dèi ne avevano quattrocento, chiese che gli fosse concesso di prendere un bue, di ucciderlo e porlo su di una pia di legna senza appiccarvi il fuoco; e che anch'essi facessero lo stesso; che poi essi dovessero supplicare i loro dèi affinché dessero fuoco alla legna: se ciò avverrà, essi comprenderanno quale sia la vera natura di Dio.
Libro VIII:339 La proposta fu accettata, ed Elia ordinò che i profeti scegliessero un bue e fossero i primi a offrire il sacrificio e a invocare su di esso i loro dèi; ma alle preghiere e invocazione dei profeti dopo l'offerta del sacrificio, non avvenne nulla; Elia allora prese a schernirli dicendo di invocare i loro dèi con voce più vigorosa, perché forse erano in viaggio o dormivano.
Libro VIII:340 E così fecero dall'alba fino a mezzodì, facendosi tagli con coltelli e lame da barba secondo l'usanza del loro paese fino a che, giunto il momento del suo sacrificio, egli ordinò loro di ritirarsi mentre quanti gli erano vicini guardavano che egli non appiccasse il fuoco alla legna segretamente.
Libro VIII:341 Allorché la folla si appressò, egli prese dodici pietre, una per ogni tribù del popolo degli Ebrei, e con esse eresse un altare attorno al quale scavò una fossa assai profonda, ordinò che sopra l'altare si disponesse la legna e che si riempissero quattro brocche d'acqua dalla sorgente vicina e le rovesciassero sull'altare fino a che l'acqua traboccasse e ne fosse ripiena tutta la fossa come se fosse alimentata da una sorgente.
Libro VIII:342 Compiuto tutto questo, iniziò a pregare Dio e invocarlo affinché manifestasse la Sua potenza al popolo in errore da così lungo tempo. Diceva questo allorché, improvvisamente, sotto gli occhi di tutta la moltitudine apparve dal cielo un fuoco che discese sull'altare e lo consumò con il sacrificio tanto da consumare anche l'acqua e il suolo diventò tutto secco.
Libro VIII:343 - 6. A questo spettacolo, gli Israeliti caddero tutti a terra e adorarono l'unico Dio, lo riconobbero come l'onnipotente e il solo vero, mentre gli altri erano dei semplici nomi inventati da un'idea sciocca e malvagia. Allora per ordine di Elia afferrarono i loro profeti e li uccisero; egli poi disse al re di andare, senza indugio, a pranzare perché di lì a poco avrebbe visto la pioggia inviata da Dio.
Libro VIII:344 Achab allora se ne andò, Elia, invece, salì sul Monte Carmelo e, sedutosi per terra, appoggiò la testa sulle ginocchia, ordinò al suo servo di salire su di una certa altura e volgere lo sguardo verso il mare, e dirgli quando scorgesse alzarsi una nuvola in qualsiasi direzione: fino allora, infatti, il cielo era sereno.
Libro VIII:345 Egli salì più volte e l'informava di non avere visto nulla; ma dopo la settima volta, quando giunse, gli annunziò di avere visto nel cielo un punto oscuro non più grande dell'impronta di un piede umano. Udito questo, Elia mandò subito da Achab, ordinandogli di ritornare in città prima che venisse la pioggia a torrenti;
Libro VIII:346 così il re se ne ritornò nella città di Jerezela; poco dopo il cielo si oscurò e si coprì di nuvole, si levò un gran vento e cadde una pioggia a dirotto. E il profeta pieno di Dio, corse al fianco del cocchio del re fino alla città di Jerezela.
Verso il Sinai
Libro VIII:347 - 7. Quando la moglie di Achab Jezabela seppe dei segni fatti da Elia e dell'ordine da lui dato di uccidere i suoi profeti, piena di collera, gli mandò dei messaggeri con la minaccia di ucciderlo con le loro mani, come lui aveva fatto scempio dei suoi profeti.
Libro VIII:348 Atterrito, Elia fuggì verso la città chiamata Beersubee - è la città estrema nella parte del territorio della tribù di Giuda confinante con la terra degli Idumei -, quivi licenziò il suo servo e si inoltrò nel deserto. Pregava Dio di farlo morire, asserendo di non essere migliore dei padri
Libro VIII:349 per vivere a lungo mentre essi se n'erano andati; e si pose a dormire sotto un albero. Fu però svegliato da qualcuno e, quando si alzò, si trovò davanti del cibo e dell'acqua; così mangiò del cibo, acquistò forze e andò fino al monte chiamato Sinai, dove si dice che Mosè abbia ricevuto le leggi da Dio.
Libro VIII:350 Quivi trovò una grotta, entrò e per un certo tempo ne fece sua dimora. Da qualcuno gli giunse in seguito una voce, non sapeva da chi, che lo interrogava sul motivo per cui aveva abbandonato la città per venire in quel luogo; rispose che era perché aveva ucciso i profeti di divinità straniere e aveva persuaso il popolo che Dio è uno solo, Colui che è; Colui che aveva venerato dapprincipio; e che per questo motivo era ricercato dalla moglie del re, per venire punito.
Libro VIII:351 Nuovamente udì (una voce) che gli disse di uscire, il giorno appresso, all'aria aperta, e così avrebbe saputo quello che doveva fare; uscito perciò dalla grotta, sentì un terremoto e vide una luce brillante e infuocato.
Libro VIII:352 Quando tutto tornò quieto, una voce divina l'esortò a non allarmarsi per quanto era avvenuto, poiché nessuno dei suoi nemici avrebbe potuto prenderlo; gli ordinò di ritornare nella sua patria, e designare Jehu, figlio di Nemesaio, quale re del popolo, e Azaelo re di Damasco in Siria; e profeta, al suo posto, sarà il suo discepolo Elissaio della città di Abela. “Alcuni della folla degli empi saranno eliminati da Azaelo, altri da Jehu”.
Samaria assediata
Libro VIII:353 Udito ciò, Elia si pose in cammino per ritornare nella regione degli Ebrei, e incontrò il figlio di Safato, Elissaio, che arava; e con lui c'erano alcuni altri che guidavano dodici coppie di buoi; avvicinatolo, gli gettò addosso il proprio mantello.
Libro VIII:354 Subito Elissaio iniziò a profetare; e, lasciati i buoi, si pose al seguito di Elia; gli domandò poi che gli fosse concesso di andare a salutare i suoi genitori e dopo che Elia gli ordinò di fare così, li salutò e si pose al seguito di Elia e per tutto il tempo che egli visse gli fu discepolo e ministro. Tali sono le cose riguardanti questo profeta.
Il campo di Naboth, e la guerra contro i Siri
Libro VIII:355 - 8. Ora un certo Naboth della città di Jezarela aveva un campo contiguo a quelli del re; questi gli domandò di vendergli, a qualsiasi prezzo, il campo vicino alle sue terre, di modo che potesse unirlo alle sue terre e farne un'unica proprietà; qualora non volesse denaro, gli avrebbe concesso di scegliere un altro dei propri campi; ma quello rifiutò di accettare affermando di voler godere dei frutti della sua terra ereditata da suo padre.
Libro VIII:356 Il re ne rimase addolorato, come fosse stato un insulto: non cercò la proprietà di un altro, non prese il bagno, né toccò cibo. Quando la moglie Jezabela volle conoscere il motivo della tristezza e perché non faceva il bagno, né prendeva il pranzo, né gli era servita la cena, egli le parlò del rifiuto di Naboth e come, nonostante che egli avesse usato verso di lui parole dolci ben inferiori all'autorità regale, egli gli aveva fatto l'affronto di negargli quanto chiedeva.
Libro VIII:357 Lei allora lo pregò di non rattristarsi per queste cose, di finirla di crucciarsi e di ritornare ad avere cura del proprio corpo come al solito, perché avrebbe pensato lei alla punizione di Naboth.
Libro VIII:358 E inviò subito lettere, a nome di Achab, ai capi degli Jezareliti ordinando che osservassero un digiuno e tenessero un'assemblea, presieduta da Naboth, poiché era di nobile famiglia; dopo avrebbero dovuto condurre tre uomini senza scrupoli a testimoniare contro di lui in quanto aveva bestemmiato contro Dio e contro il re: doveva quindi essere lapidato a morte e così finito.
Libro VIII:359 Dopo la lettera della regina, Naboth fu accusato di bestemmia contro Dio e contro Achab e fu lapidato a morte dal popolo. Saputo questo,
Jezabela si recò dal re con l'ordine di prendere pure possesso della vigna di Naboth gratuitamente.
Libro VIII:360 Achab, lieto di quanto avvenuto, balzò dal letto e andò a vedere la vigna di Naboth. Ma Dio era in collera e mandò il profeta Elia nel campo di Naboth, e qui incontrò Achab, e lo interrogò su quanto aveva fatto e sul motivo: dopo avere ucciso il vero proprietario del campo, ne aveva preso, ingiustamente, la proprietà.
Libro VIII:361 Quando gli fu davanti, il re gli disse che poteva fargli quanto voleva, poiché aveva agito in modo vergognoso ed era stato preso in fallo; l'altro disse che proprio in quel luogo ove il corpo di Naboth era stato divorato dai cani, sarebbe stato versato il suo sangue e quello di sua moglie e tutta la sua famiglia sarebbe perita, perché egli aveva commesso azioni empie e, violando le leggi dei padri, aveva assassinato ingiustamente un cittadino.
Libro VIII:362 Allora Achab fu preso da angoscia e rimorso per quello che aveva commesso: si vestì di sacco, andò a piedi nudi, non toccò cibo, confessò i suoi peccati, cercando di propiziarsi Dio in questo modo. E al profeta Dio disse che, a motivo del pentimento per le sue azioni violente durante la sua vita, Lui avrebbe procrastinato il castigo della sua famiglia e le minacce le avrebbe realizzate sul figlio di Achab. Così il profeta appalesò queste cose al re.
Guerra di Achab contro i Siri
Libro VIII:363 - XIV, I. - Questo era lo stato delle vicende riguardanti Achab, quando il figlio di Adado, re della Siria e di Damasco, raccolse forze da tutte le parti della sua regione e, alleatosi con trentadue re del Transeufrate, attaccò guerra contro Achab.
Libro VIII:364 Ma questi non aveva un esercito uguale per fargli fronte, non convocò i suoi uomini per la battaglia, non radunò tutte le ricchezze nelle città più fortificate, ma se ne stette in Samaria perché questa città era cinta da mura assai forti e pareva in ogni modo difficile da espugnare. Il Siro con il suo esercito marciò su Samaria, la chiuse da ogni parte e l'assediò;
Libro VIII:365 poi mandò un araldo ad Achab domandando che ricevesse i suoi ambasciatori che lo avrebbero informato sui suoi voleri. Quando il re israelita diede il suo assenso, vennero gli ambasciatori con l'ordine del loro re: dissero che le ricchezze di Achab, i figli e le donne appartenevano ad Adado. Se Achab
era d'accordo e gli concedeva di prendere ciò che voleva, egli avrebbe ritirato il suo esercito e tolto l'assedio.
Libro VIII:366 Achab ordinò agli ambasciatori di andare dal loro re per dirgli che egli e tutto quanto gli apparteneva erano sua proprietà.
Libro VIII:367 Allorché riferirono a lui queste parole egli inviò nuovamente (dei messi) domandando che, avendo egli ammesso che tutto quanto gli apparteneva era di Adado, accogliesse i servi che gli sarebbero stati inviati nei prossimi giorni per cercare nel palazzo e nelle case dei suoi amici e congiunti e desse loro qualsiasi cosa trovassero di desiderabile, aggiungendo: “Quanto a loro non piacerà, ti sarà lasciato”.
Libro VIII:368 Sdegnato per la seconda ambasciata del re dei Siri, Achab radunò il popolo in una assemblea, disse loro che da parte sua era pronto, nell'interesse della salvezza e della pace, a consegnare al nemico moglie e figli e a cedere tutti i suoi beni, perché tale era la richiesta quando il Siro aveva inviato la prima ambasciata:
Libro VIII:369 “Ma ora egli insiste nel volere inviare i suoi servi a compiere ricerche in tutte le case e a non lasciare in esse alcuna delle cose più appetibili, per trovare un pretesto di fare guerra; pur sapendo che io, per il vostro bene, non avrei risparmiato quanto mi appartiene, egli sta tentando di essere minaccioso con questo comportamento odioso verso di voi, per creare un'occasione di guerra. Io, tuttavia, farò quanto vi piace”.
Libro VIII:370 La folla lo consigliò a non ascoltare i termini di Adado, ma trattarlo con disprezzo, e preparare la guerra. In questi termini rispose all'ambasciata di ritornarsene dicendo che egli per salvare i cittadini restava d'accordo con le richieste fatte da Adado la prima volta, ma non avrebbe mai accettato la seconda richiesta. E li congedò.
Libro VIII:371 - 2. Udito ciò, Adado, contrariato, mandò ad Achab una terza ambasciata minacciando che, se ogni uomo del suo esercito avesse preso un pugno di terra, avrebbe eretto un argine assai più alto delle mura nelle quali lui poneva una fiducia così illimitata, ostentando in tal modo il gran numero delle proprie forze e cercando di incutergli il terrore.
Libro VIII:372 Achab replicò che il momento di vantarsi non è quando ci si arma bene, ma quando si ritorna vittoriosi dopo la battaglia. Quando l'ambasciata ritornò dal re, lo trovò che stava pranzando con i trentadue re suoi
alleati, e gli riferì la risposta; egli diede subito ordine di circondare la città, di innalzare terrapieni e non lasciare agli assediati alcuna via di scampo.
Libro VIII:373 Mentre avveniva tutto questo, Achab si trovava in uno stato di terribile ansietà e con lui il suo popolo; ma si fece coraggio e fu sollevato dai suoi timori allorché andò da lui un certo profeta e gli disse che Dio aveva promesso di dare nelle sue mani le miriadi del nemico.
Libro VIII:374 Quando domandò in che modo sarebbe arrivata la vittoria, il profeta rispose: “Per opera dei figli dei capitani che tu stesso comanderai a motivo della loro inesperienza” Radunò allora i figli dei capitani che ammontavano a duecentotrentadue e, quando seppe che il Siro si stava dando a feste e divertimenti, spalancò le porte e mandò fuori i giovani.
Libro VIII:375 Quando le sentinelle riferirono ciò ad Adado, egli mandò alcuni dei suoi uomini a incontrarli con l'ordine che se gli altri avessero attaccato, essi dovevano legarli e portarglieli davanti; e qualora avanzassero in maniera pacifica, anch'essi dovevano comportarsi allo stesso modo.
Libro VIII:376 Ma Achab aveva ancora un altro esercito in attesa dentro le mura. I figli dei capitani attaccarono le guardie e ne uccisero molte, e inseguirono gli altri fino al loro campo. Il re degli Israeliti, vedendo costoro vincere, mandò anche tutto l'altro esercito.
Libro VIII:377 E questo, scagliatosi all'improvviso sopra i Siri, li sconfisse perché costoro non si aspettavano la loro uscita; erano perciò disarmati e ubriachi quando furono attaccati, sicché fuggendo dal campo abbandonarono dietro di sé tutto il loro armamento; ebbe scampo il re perché fuggì a dorso del cavallo.
Libro VIII:378 Achab inseguì i Siri per lungo tratto uccidendone molti e saccheggiò il loro accampamento ove vi era una non piccola quantità di oro e argento, e, presi i cocchi e i cavalli di Adado, ritornò in città. Ma il profeta gli disse di stare all'erta e di riprendere le forze perché il Siro l'avrebbe attaccato l'anno seguente. Achab dunque si occupò di questi problemi.
Libro VIII:379 - 3. Adado, sfuggito dal campo di battaglia con tutte le sue forze che gli riuscì di mettere in salvo, si consigliò con gli amici su come avrebbe potuto scendere in campo contro gli Israeliti; essi erano del parere che lui non dovesse affrontarli sulle colline, poiché il loro dio aveva molto potere su di esse,
ed è per tale motivo che recentemente erano stati sconfitti; suggerirono che li avrebbero vinti attaccandoli in pianura.
Libro VIII:380 Oltre a ciò, lo consigliarono di mandare a casa quei re che si era portato dietro come alleati, di trattenere invece il loro esercito mettendo al loro posto dei satrapi; e per riempire i vuoti lasciati dagli uccisi, doveva operare una leva tra la gente delle loro regioni, così pure per i cavalli e i carri. Parendogli buono, egli approvò tutto questo e preparò la sua forza in conformità.
Libro VIII:381 - 4. Iniziata la primavera mise in piedi l'esercito e lo condusse contro gli Ebrei, iniziando da una città chiamata Afeka e si accampò in una vasta pianura. Achab gli andò contro con la sua forza e si accampò di fronte a lui, sebbene il suo esercito fosse piccolo rispetto a quello del nemico.
Libro VIII:382 Il profeta andò nuovamente da lui e gli disse che Dio gli avrebbe dato la vittoria volendo dimostrargli che la Sua forza non si manifestava soltanto tra le colline, ma anche in pianura, nonostante i Siri non lo credessero. Per sette giorni i due eserciti restarono quieti nei loro accampamenti, l'uno di fronte all'altro, ma nell'ultimo giorno, sul fare dell'alba, i nemici uscirono dalle trincee e si schierarono per la battaglia. Anche Achab schierò la sua forza per la battaglia;
Libro VIII:383 poi li affrontò in una lotta ostinata combattuta strenuamente, e il nemico fu messo in fuga e incalzato con accanimento: si uccidevano a vicenda con i loro stessi carri. Alcuni riuscirono a sfuggire fino a raggiungere Afeka, la loro città;
Libro VIII:384 ma anche costoro, ventisettemila, perirono sotto le mura che rovinavano su di essi. In quella battaglia ne morirono altri centomila. Adado, re dei Siri, fuggì e con parecchi dei suoi fedelissimi ebbe scampo nascondendosi in un locale sottoterra;
Libro VIII:385 e quando costoro gli dissero che i re degli Israeliti erano umani e misericordiosi, e facendo uso delle solite forme di supplica, essi avrebbero potuto ottenere salva la vita da Achab, qualora avesse loro concesso di andare da lui: egli acconsentì. Così si vestirono di sacco, avvolsero funi attorno al collo - questa era la tenuta del comportamento supplichevole degli antichi Siri -, andarono da Achab e gli dissero che Adado lo supplicava di risparmiargli la vita, e in compenso della cortesia sarebbe stato suo servo per sempre.
Libro VIII:386 Il re rispose che si rallegrava che Adado fosse sopravvissuto alla guerra, indenne da qualsiasi ferita, gli promise che gli avrebbe dimostrato l'onore e la benevolenza che altri avrebbe dimostrato verso un fratello. Ricevuto il giuramento che ad Adado non avrebbe fatto nulla di male quando gli fosse apparso davanti, partirono, andarono a prenderlo dal luogo nel quale era nascosto, e lo condussero da Achab che stava seduto sul suo cocchio.
Libro VIII:387 Egli lo riverì, ma Achab gli porse la destra, lo fece salire sul cocchio, lo abbracciò e gli disse di farsi coraggio e di non temere alcuna sorpresa: allora Adado lo ringraziò, gli promise che per tutti i giorni della sua vita avrebbe serbato il ricordo della sua benevolenza, e si offrì di restituirgli le città degli Israeliti che avevano portato via i re suoi predecessori, e di aprire loro Damasco di modo che potessero andare liberamente in Samaria.
Libro VIII:388 Dopo avere sancito ogni cosa con giuramento, Achab gli offrì molti doni, e lo lasciò andare nel suo regno. Così ebbe fine la spedizione di Adado, re di Siria, contro Achab e gli Israeliti.
Libro VIII:389 - 5. Un certo profeta di nome Michaia andò da un Israelita e gli ordinò di batterlo in testa, perché questa era la volontà di Dio. Allorché quello si rifiutò, il profeta l'avvertì che a motivo di questa disobbedienza agli ordini di Dio, incontrerà un leone che lo sbranerà. Questo è quanto accadde a quell'uomo. Così il profeta ne abbordò un altro al quale ordinò la stessa cosa.
Libro VIII:390 Dopo che l'uomo l'ebbe battuto e ferito al capo, se lo fasciò e andò dal re per dirgli che aveva servito nel suo esercito, un suo ufficiale gli aveva affidato la custodia di un prigioniero, ma questo se ne era fuggito, e ora egli correva pericolo di essere ucciso dall'ufficiale che glielo aveva affidato in custodia sotto la minaccia di uccidere lui qualora il prigioniero fosse fuggito.
Libro VIII:391 “Giusto”, disse Achab, “merita la morte”; allora egli si sciolse le bende, e il re riconobbe che era il profeta Michaia. Aveva scelto questo trucco come mezzo per introdursi a quello che stava per dirgli.
Libro VIII:392 Disse, dunque, che Dio lo avrebbe punito perché aveva lasciato che Adado sfuggisse al castigo dopo avere bestemmiato contro di Lui; egli stesso sarebbe morto per mano di Adado, e il popolo di Achab sarà messo a morte per mano del suo esercito. Achab, inasprito contro il profeta, ordinò che fosse imprigionato e tenuto sotto custodia; e profondamente turbato dalle parole del profeta, se ne tornò a casa.
Regno di Josafat (870-848)
Libro VIII:393 - XV, I. - Achab allora si trovava in questa condizione. Ritorno ora al re di Gerusalemme, Josafat. Egli aveva ingrandito il suo regno e disposte delle forze nelle città della regione abitate dai suoi sudditi; aveva fortificato con presidi quelle città del territorio di Efraim che erano state prese da suo nonno Abia quando sulle dieci tribù regnava Jeroboamo.
Libro VIII:394 Godeva perciò del favore e dell'assistenza della Divinità, poiché era giusto e pio e ogni giorno cercava di compiere qualcosa di piacevole e gradito a Dio. I vicini lo onoravano con doni regali, tanto che ammassò un notevole quantità di ricchezze e si guadagnò una grandissima gloria.
Libro VIII:395 - 2. Al terzo anno del suo regno, convocò i governatori della regione e i sacerdoti e disse loro di percorrere tutta la terra, città per città, istruendo tutto il popolo sulla legge di Mosè, osservandolo e dimostrandosi diligenti nel culto a Dio. Il popolo tutto ne fu così lieto che non si gloriava e non si compiaceva d'altro che dell'osservanza delle leggi.
Libro VIII:396 I popoli confinanti seguitavano ad avere simpatia per Josafat e rimanevano in pace con lui. I Palestinesi gli pagavano il tributo stabilito, e gli Arabi gli somministravano ogni anno trecento sessanta agnelli e altrettanti capretti. Egli fortificò anche delle grandi città e delle fortezze, e preparò una forza militare e armamenti contro i nemici.
Libro VIII:397 Dalla tribù di Giuda aveva un esercito di trecentomila soldati armati in modo pesante sotto il comando di Ednaio, duecentomila sotto Joannes che era contemporaneamente comandante dei duecentomila arcieri a piedi della tribù di Beniamino; sotto un altro comandante, di nome Ochobato , per disposizione del re, era posta una moltitudine di contottantamila armati in modo pesante. Cifre, queste, che non includono quelli che il re aveva sparsi nelle numerose città meglio fortificate.
I due re e i profeti
Libro VIII:398 - 3. A suo figlio Joram diede in moglie la figlia di Achab, re delle dieci tribù, di nome Othlia; quando, qualche tempo dopo, andò in Samaria, Achab lo accolse con un amichevole benvenuto; trattò splendidamente l'esercito che lo accompagnava, con abbondanza di grano, vino e carne; e lo invitò a
divenire alleato in una guerra contro il re della Siria per riprendergli la città di Aramatha nella Galadene:
Libro VIII:399 questa, infatti, apparteneva prima a suo padre ma gli era stata presa dal padre di lui. Perciò Josafat gli offrì volentieri il suo aiuto, anch'egli aveva una forza non inferiore ad Achab, e, fatta venire la sua forza da Gerusalemme in Samaria, i due re uscirono dalla città, ognuno seduto sul proprio trono, e distribuirono la paga ai loro rispettivi eserciti.
Libro VIII:400 Josafat volle che fossero chiamati i profeti, se lì ve n'era qualcuno, per consultarli sulla sorte della spedizione contro il Siro, e sentire se li consigliavano a scendere in campo allora. In verità c'era pace e amicizia tra Achab e il Siro, che durava da tre anni, dal tempo in cui Achab lo aveva preso prigioniero e l'aveva rilasciato, fino a quel giorno.
Libro VIII:401 - 4. Achab chiamò così i suoi profeti, che erano circa quattrocento, e ordinò loro di interrogare Dio se, marciando contro Adado, Egli gli avrebbe dato la vittoria e avrebbe preso la città per la quale era in procinto di muovere guerra.
Libro VIII:402 Allorché i profeti l'esortarono a scendere in campo perché avrebbe vinto il Siro e lo avrebbe preso in suo potere come l'altra volta, Josafat - che dalle loro parole si era accorto che si trattava di falsi profeti - domandò ad Achab se c'era qualche altro profeta di Dio, “affinché abbiamo modo di conoscere con più precisione quanto avverrà”.
Libro VIII:403 Achab gli rispose che uno c'era ancora, uno che egli aveva in odio perché gli aveva annunziato disgrazie e predetto che contro il re dei Siri avrebbe perso e incontrato la morte; e questo era il motivo per cui l'aveva messo in prigione; e aggiunse che il suo nome era Michaia, figlio di Jemblaio. Avendo Josafat domandato che fosse condotto, Achab mandò un eunuco a prendere Michaia.
Libro VIII:404 Lungo il cammino l'eunuco lo informò che tutti gli altri profeti avevano predetto al re la vittoria; ed egli rispose che a lui non era concesso di dire falsità in nome di Dio, ma era suo dovere dire al re qualsiasi cosa Egli gli avesse comunicato. Giunto alla presenza di Achab, il re lo supplicò di dirgli la verità; ed egli rispose che Dio gli aveva mostrato gli Israeliti in fuga, incalzati dai Siriani e dispersi da essi sulle montagne, abbandonati come un gregge di pecore senza i pastori.
Libro VIII:405 Aggiunse che Dio gli aveva mostrato che i suoi uomini sarebbero ritornati a casa in pace, e lui solo sarebbe caduto in battaglia. Quando Michaia parlava così, Achab, rivoltosi a Josafat, disse: “Non ti avevo detto proprio ora della bella disposizione che l'uomo ha per me, e che mi preannuncia disgrazie?”.
Libro VIII:406 Michaia però gli rispose che era suo dovere ascoltare quanto Dio gli suggeriva, e che erano falsi profeti quelli che lo spingevano a fare la guerra nella speranza della vittoria, e che solo lui doveva morire nella battaglia; così Achab restò soprappensiero. Intanto uno dei falsi profeti, Sedekia, andò da lui istigandolo a non prestare attenzione a Michaia, in quanto non una sola parola da lui detta era vera.
Libro VIII:407 Ne è prova la predizione di Elia, uomo ben più esperto di costui nel prevedere il futuro; disse che egli, infatti, allorché profetizzò nella città di Jezarela, nel campo di Naboth, preannunciò che i cani avrebbero leccato il sangue di Achab, come avevano leccato il sangue di Naboth, lapidato a morte dalla folla.
Libro VIII:408 “E’ chiaro che costui mente, visto che dice il contrario di quanto è stato detto da un profeta più autorevole di lui, sentenziando che di qui a tre giorni tu morirai. Ma tu saprai se egli è realmente un vero profeta e ha la forza dello spirito divino: proprio ora io lo batto, la mia mano diventi inabile come Jadao fece avvizzire la mano del re Jeroboamo allorché voleva arrestarlo. Penso che tu abbia sentito questo avvenimento”.
Libro VIII:409 Percosse, dunque Michaia, e non gli incolse male alcuno. Achab, allora, prese coraggio e divenne impaziente di condurre l'esercito contro il Siro. Suppongo che sia stato il Destino a prevalere e fargli credere un falso profeta più convincente di uno vero per accellerare la sua fine. Intanto Sedekia fece un paio di corna di ferro e disse ad Achab che Dio gli aveva rivelato che con queste avrebbe conquistato tutta la Siria.
Libro VIII:410 Ma Michaia disse che tra pochi giorni Sedekia avrebbe cambiato il suo nascondiglio da un posto segreto a un altro nell'intento di sfuggire al castigo per le sue menzogne; perciò il re diede ordine che fosse condotto da Achamon, governatore della città, imprigionato e non gli si desse altro che pane e acqua.
Libro VIII:411 - 5. Achab, dunque, e Josafat, re di Gerusalemme, si misero in cammino con le loro truppe verso Aramatha, città della Galadite; e il re siro,
saputo della loro mossa di guerra, andò loro incontro con il suo esercito e si accampò non lungi da Aramatha.
Libro VIII:412 Ora Achab e Josafat si erano messi d'accordo che Achab, nella linea di guerra, si svestisse degli abiti regali e ne indossasse altri, e che il re di Gerusalemme prendesse il suo posto nella linea di guerra, vestendo gli abiti dell'altro. Con questo trucco pensavano di sfuggire a quanto aveva predetto Michaia. Ma il Destino lo trovò anche se non aveva le sue insegne.
Libro VIII:413 Adado, re dei Siri, infatti, aveva dato ordine di non uccidere altri all'infuori del re degli Israeliti. Giunto il momento dello scontro, i Siri videro Josafat in piedi in prima linea, pensando che fosse Achab, e si avventarono su di lui,
Libro VIII:414 ma, accerchiatolo e fattisi più vicini si accorsero che non era lui, e tutti si ritrassero; dalla prima luce del giorno fino a sera inoltrata i Siri combatterono vittoriosi, ma, conforme agli ordini del re, non uccisero nessuno, cercarono esclusivamente di ammazzare Achab, senza riuscire a trovarlo. Quando un giovane cortigiano di Adado, di nome Aman, scagliando una freccia contro il nemico colpì il re trapassandogli la corazza fino al polmone.
Libro VIII:415 Ma Achab non giudicò opportuno che se ne accorgesse il suo esercito affinché non iniziasse a fuggire e ordinò al cocchiere di voltare il cocchio e condurlo fuori dal campo di battaglia, essendo egli gravemente e mortalmente ferito. Sebbene profondamente dolorante, rimase in piedi sul cocchio fino al tramonto del sole, quando, dissanguato, morì.
Libro VIII:416 - 6. Calata la notte, l'esercito dei Siri si ritirò nel proprio accampamento; quando un banditore annunziò che Achab era morto, si ritirarono nei propri paesi, dopo avere prima portato in Samaria il cadavere di Achab e qui seppellito.
Libro VIII:417 Quando lavarono il suo cocchio, tutto intriso del sangue del re, nella fonte di Jezarela, constatarono l'avverarsi della profezia di Elia: infatti i cani leccavano il suo sangue. In seguito le meretrici solevano lavarsi in questa fontana di sangue. Egli però morì in Aramatha, come aveva predetto Michaia.
Libro VIII:418 Visto che ad Achab avvenne quanto due profeti gli avevano predetto, dobbiamo riconoscere la grandezza della Divinità, ovunque onorarla e riverirla, non pensare che le cose che dicono, dirette ad adularci o a farci piacere, siano degne di fede più della verità, ma ritenere che nulla è più utile
della profezia e della prescienza che dà, perché in questa maniera Dio fa conoscere ciò da cui dobbiamo guardarci.
Libro VIII:419 Inoltre con la storia del re davanti agli occhi, giova riflettere sulla potenza del Destino, e riconoscere che anche con la preconoscenza non è possibile sottrarvici, perché entra segretamente nell'anima degli uomini allettandoli con belle speranze e per mezzo loro li attira al punto ove può dominarli.
Libro VIII:420 E’ chiaro dunque che questa potenza ingannò la mente di Achab di modo che, mentre era incredulo verso coloro che gli predicevano la disfatta, credeva invece a coloro che gli annunziavano cose piacevoli: così perse la vita. Gli succedette il figlio Ochozia.